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Il procedimento di revisione costituzionale: criticità e prospettive della fase referendaria come momento di confronto tra le esigenze d

DI FRONTE AI MUTAMENTI NEL DIRITTO E NELLA SOCIETÀ

3. Il procedimento di revisione costituzionale: criticità e prospettive della fase referendaria come momento di confronto tra le esigenze d

stabilità e quelle di cambiamento

La fase referendaria costituisce un’ulteriore garanzia di stabilità, in quanto essa può essere attivata, nel caso in cui le Camere abbiano deliberato una revisione costituzionale, al fine di arrestarla. L’ipotesi di utilizzarla in modo plebiscitario, a conferma (plaudente) della decisione parlamentare sembra stridere con il fatto che essa non è necessaria.

In effetti, la questione del carattere oppositivo o confermativo del referendum costituzionale ha prodotto alcune divisioni in dottrina. Se, in effetti, la possibilità di richiesta anche da parte della maggioranza (rectius, di una parte della maggio- ranza) che ha votato a favore della legge costituzionale in Parlamento, utilizzata

11 G. Piccirilli, La fase parlamentare del procedimento di formazione della legge di revisione,

sia nel 2001 che nel 2016 (ma non nel 2006), sembra avere contribuito ad elaborare tesi circa la natura non oppositiva (o almeno non necessariamente oppositiva)12,

a nostro avviso, invece, un’adeguata valorizzazione degli elementi caratterizzanti pare condurre alla considerazione della natura del referendum come oppositiva, anche recentemente sostenuta dal Tribunale di Milano, in occasione del giudizio per la decisione del ricorso proposto in sede cautelare anticipatoria ex art. 700 c.p.c. (essendo evidente il periculum in mora a fronte dell’imminenza della con- sultazione referendaria) per impugnare la legge n. 352 del 1970 nella parte in cui non consente la scomposizione del testo approvato in più quesiti, imponendo così un voto su un quesito privo del carattere di omogeneità.

L’elemento più forte a sostegno del carattere oppositivo sembra quello della facoltatività della richiesta (ancor più della sua eventualità, subordinata al man- cato raggiungimento della maggioranza qualificata), rendendo evidente che chi non ha nulla in contrario rispetto a quanto deliberato dal Parlamento attenda il decorso del tempo per l’entrata in vigore. Nella stessa direzione, poi, spinge anche l’assenza della previsione di un quorum di partecipazione: se, infatti, si volesse una conferma della delibera parlamentare si dovrebbe prevedere che questa fosse votata dalla maggioranza13, considerato che altrimenti il referendum indebolireb-

be la delibera parlamentare (come probabilmente accadde nel 200114).

Ancora a favore della natura oppositiva, in effetti, spinge il fatto che l’iniziati- va spetta a minoranze (in particolare una minoranza parlamentare, una frazione del corpo elettorale, alcuni consigli regionali), che si suppone vogliano contrasta- re quanto approvato da una maggioranza parlamentare. Ciò può risultare par- ticolarmente evidente con riferimento all’iniziativa di un quinto dei membri di una Camera, i quali, rimasti soccombenti nel voto parlamentare, ma ritenendo le proprie posizioni in sintonia con quelle degli elettori potrebbero ricorrere a questi per rovesciare il risultato ottenuto in Parlamento. Naturalmente, però, un comitato promotore di un referendum può essere organizzato anche da chi ha

12 Luca Geninatti Satè, Il carattere non necessariamente oppositivo del referendum costituzio-

nale, Torino, Giappichelli, 2018.

13 In proposito possiamo ricordare che una delle procedure derogatorie dell’art. 138 Cost.

e segnatamente quella contenuta nella legge cost. n. 1/1997, prevedendo il referendum ne- cessario, con evidenti finalità confermative, richiedeva la partecipazione a questo della mag- gioranza degli aventi diritto (non così, invece, la procedura derogatoria di cui alla legge cost. n. 1/1993, che pure prevedeva il referendum obbligatorio).

14 Ricordiamo che, nel referendum del 7 ottobre 2001, i votanti furono 16.843.420, e cioè

il 34,05% degli aventi diritto. Tra coloro che espressero validamente il voto (16.250.101), il 64,21% (corrispondenti a 10.433.574) votò a favore, mentre il 35,79% (5.816.527) votò contro.

concorso all’approvazione della legge15, così come un quinto dei membri di una

Camera possono essere anche una porzione della maggioranza, non sembrando possibile limitare la possibilità di richiesta soltanto a chi ha votato contro nella deliberazione finale, perché ciò si porrebbe in contrasto con il divieto di mandato imperativo. In effetti, come sopra evidenziato, sia nel 2001 che nel 2016 parla- mentari di maggioranza hanno chiesto il referendum, nel tentativo di vedere confermata dal popolo una revisione della Costituzione ottenuta “a colpi di mag- gioranza”. In sostanza, con il voto popolare, le ridotte maggioranze parlamentari (peraltro gonfiate, in termini di seggi, dal sistema elettorale) hanno cercato di dare alla riforma in questione quella legittimazione che il voto parlamentare non era riuscito a conferirgli. Questa prospettiva, peraltro, è stata valorizzata, in occa- sione dell’ultima ampia revisione della seconda parte della Costituzione pratica- mente dall’inizio. Infatti, a fronte dell’immediata indisponibilità manifestata dal governo, che è stato l’attore protagonista di tutto il percorso sin dalla proposta, di modificare i punti essenziali, e in particolare quello più discusso, consistente nella totale sottrazione della composizione del Senato al suffragio popolare diret- to, è stato immediatamente detto che comunque il testo sarebbe stato sottoposto a referendum, evitando la sua approvazione a maggioranza dei due terzi, anche ove questa fosse stata raggiungibile (come, nella fase in cui la riforma era soste- nuta anche da Forza Italia, sarebbe stato probabilmente possibile). È chiaro che un atteggiamento di questo tipo è teso a depotenziare la fase parlamentare, che dall’inizio si era infatti detto dover essere svolta in fretta16, per fare della votazio-

ne popolare nel referendum il momento determinante per l’approvazione della proposta governativa.

Il modello, in sostanza, non sembra tanto quello dell’art. 138, rispetto al quale la parte definita dalla Corte costituzionale come “primaria” diviene quasi un mero intralcio, ma quello di De Gaulle, che, nel 1962, per introdurre l’elezione diretta del Presidente non seguì il procedimento di revisione costituzionale, ma rivolse diret- tamente la sua proposta al popolo, con un’evidente forzatura, in quel caso praticata attraverso la norma costituzionale (art. 11) che consente al Presidente, su proposta del governo, di sottoporre a referendum ogni progetto di legge concernente l’orga- nizzazione dei pubblici poteri. In Italia una tale possibilità non è fortunatamente data, ma, pur nel formale rispetto dell’art. 138 Cost., il tentativo è stato quello di 15 Ciò è avvenuto sia nel 2001 che nel 2016. In quest’ultima occasione, peraltro, si costi-

tuirono comitati promotori del referendum sia a favore che contro la riforma costituzionale, ma singolarmente raccolsero, nei tempi previsti dalla legge, le firme necessarie, solo i primi, che furono poi sconfitti nel referendum.

16 In questo senso andavano le dichiarazioni della ministra senza portafoglio per le rifor-

saldare la volontà del governo, che aveva assunto l’iniziativa (e non era disponibile a modifiche sostanziali), con quella popolare, secondo una modalità tecnicamente qualificabile come populista, nella misura in cui cerca il rapporto diretto tra popolo e leadership, mal tollerando i freni delle garanzie costituzionali17.

4. Verso una maggiore attenzione per il bilanciamento tra le esigenze

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