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DELLA COSTITUZIONE

3. Secondo quadro Le fonti di diritto in materia di libertà religiosa tra

modernità e post-modernità57

Gli interrogativi descritti nel precedente quadro obbligano a chiedersi di quali fonti si abbia bisogno oggi per assicurare una tutela della libertà religiosa all’al- tezza delle sfide poste dalla complessità delle società post-secolari. Insomma, la

postmodernità impone o non l’uso di nuove fonti di diritto nel regolare il fenome-

no religioso? In futuro si avrà più bisogno di un diritto ‘mite’, elastico, a ‘bassa definizione’58, costituito da una trama normativa semplificata dove le soluzioni

degli operatori del diritto risultano meno condizionate dai principi formali e dai vincoli procedurali, oppure si avrà bisogno di un diritto ‘forte’, centralistico ad ‘alta definizione’59, più prescrittivo e rigido, ma soprattutto meno incline a ibri-

dazioni e mutamenti?60 In altre parole, meglio un modello caratterizzato da un

accentuato ‘rigidismo’ funzionale alla preservazione di un preciso disegno di po- litica ecclesiastica con al centro la legge ordinaria formale capace di solidificare il sistema e garantire la preservazione di un compiuta geometria d’insieme, oppure un modello giuridico di natura ‘regolativa’, libero da invasive ipoteche autorita- tive e capace di organizzare l’osservanza delle norme spingendo i destinatari a conformarsi o creando sistemi di convenienze? Un sistema normativo, in altri termini, che preferisce alla centralità della legge le fonti periferiche e le soluzioni di natura casistica in grado di rinviare a un tenore giuridico prevalentemente regolativo, oppure un apparato di fonti che si limiti «a circoscrivere le possibilità di azione dei soggetti entro specifiche arene attraverso standard e indicazioni di

57 L’uso di questo lemma è di Paolo Grossi più oltre citato.

58 Maria Rosa Ferrarese, Prima lezione di diritto globale, Bari-Roma, Laterza, 2012,

pp. 33 ss. Si veda anche Sabino Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, Laterza, 2006; Saskia Sassen, Territorio, autorità, diritti, Milano, Bruno Mondadori, 2008.

59 M.R. Ferrarese, Prima lezione, cit., p. 32. Si veda anche: Natalino Irti, L’età della deco-

dificazione, Milano, Giuffré, 1978.

massima»61? A prima vista il secondo modello, definito da Grossi pos-moderno62,

risulterebbe più consono ad una democrazia interculturale e plurireligiosa fonda- ta su di una rete di interlegalità sospesa tra regole giuridiche differenti dove speri- mentare commistioni e ibridi di varia natura e dove attuare «possibili interazioni tra i diversi piani, da cui possono derivare contaminazioni e cambiamenti […]»63.

Quest’ultimo, infatti, sembrerebbe più adattato a regolare la complessità dell’at- tuale panorama religioso italiano. In verità, non è detto che ciò sia sempre vero, soprattutto quando la posta in gioco concerne non diritti patrimoniali o libertà mercantili, rispetto alle quali mi sembra si adattino meglio le categorie generali del c.d. ‘diritto globale’64, ma i diritti fondamentali. Minore centralità della legge

ordinaria formale, maggiore socialità del diritto e diversificazione delle fonti non bastano infatti a garantire più libertà e minore condizionamento politico sul diritto. Nel caso specifico del diritto di libertà religiosa e di coscienza, infatti, il sistema delle fonti vigenti fin dal 1984 presenta di fatto tratti tipici del diritto

pos-moderno. Lo testimoniano: la crescita quantitativa e la diversificazione delle

fonti65; la minore centralità della legge ordinaria-formale a favore di fonti di di-

ritto bilaterali frutto di continua e rinnovava contrattazione; una forte resistenza verso l’ipotesi di una nuova legge generale e unilaterale di libertà religiosa e di co- scienza; un peso crescente della giurisprudenza di merito, sia ordinaria sia ammi- nistrativa; l’amministrativizzazione di ampi settori del diritto di libertà religiosa; la più ampia applicazione del principio di sussidiarietà; il ruolo sempre più diri- mente della giustizia costituzionale e di quella delle corti internazionali; il peso sempre maggiore, infine, del diritto internazionale e della Unione europea nei di- ritti interni. Ora, tutto questo si è forse tradotto in una maggiore eguaglianza tra confessioni religiose o nel ridimensionamento del modello piramidale-gerarchico della organizzazione confessionale italiana? È fondato ritenere che le decisioni in merito alla disciplina dei profili individuali e collettivi di libertà di religione e di coscienza non siano più, come scrive Grossi: «confezionate unicamente nelle cancellerie di un Parlamento o di un Ministero, ma scaturenti, innanzi tutto, da strati profondi di una civiltà, allo stesso modo di quanto avviene per le fonti della natura fisica; strati profondi dove allignano quei valori capaci di costituire una esperienza giuridica e di darle, nel mutamento, solidità e resistenza all’usura»?66

61 Ibidem, p. 111.

62 Cfr. P. Grossi, Il diritto in Italia, oggi . Tra modernità e pos-modernità, in Ritorno al di-

ritto, cit., Introd. p. IX.

63 Ibidem, p. 167.

64 Cfr. M.R. Ferrarese, Prima lezione, cit., pp. 32 ss. 65 Cfr. il precedente par. 1

Gli ultimi orientamenti della Corte costituzionale, si pensi alla sentenza n. 52 del 10 marzo 2016, non mi sembra seguano tale trend, visto che il giudice delle leggi ha voluto inchiodare l’esegesi del terzo comma dell’art 8 Cost. all’interno della cornice concettuale di ‘atto politico’67.

In verità l’impressione è che il sistema normativo italiano in materia sia per- corso da una ambiguità di fondo: se in parte sembra seguire le dinamiche pro- prie del diritto pos-moderno e della globalizzazione presentandosi più aperto alle esigenze reali di ordine spirituale di parti sempre più consistenti della società civile, per altro verso la presunta68 politica ecclesiastica italiana rimane vincolata

ad una logica e ad una mentalità verticistica, tipicamente ‘liberale’ dove è il pote- re centrale che alla fine determina e condiziona le scelte e dove la confessione di maggioranza continua a condizionare l’agenda politica di Governo e Parlamento. Insomma, in questo settore il vincolo strettissimo fra potere politico e diritto rimane più solido e compatto che in altri comparti dell’ordinamento dove, al contrario, l’erosione di tale assetto è avvenuta in forme più estese e profonde. Ciò vuol dire che il diritto ecclesiastico italiano è rimasto sostanzialmente ‘moderno’, con tutte le conseguenze che ne derivano, nel bene e nel male, ovvero, giusto per essere espliciti, «un diritto pensato, voluto, realizzato in alto, frutto di una visione duramente potestativa ed elitaria dell’ordinamento giuridico che genera inevi- tabilmente un distacco fra diritto ufficiale, cioè legale, e società»69. Un vincolo,

osserva ancora Grossi, che «non può non ripercuotersi anche nelle orditure stesse del diritto, che, leso nella sua autonomia e riflettendo ormai le scelte del potere, ne (esprime) anche le miserie»70.

Come valutare tutto ciò? Personalmente ritengo che la simbiosi fra modernità e

pos-modernità non sia poi un male. Auspicare uno sposamento deciso del sistema

normativo in materia di libertà religiosa verso un modello a ‘bassa definizione’ presenterebbe, infatti, più di un inconveniente in termini di certezza del diritto, rispetto del principio di eguaglianza e di non discriminazione. Se un diritto meno formalizzato e più affidato a regole consuetudinarie è sicuramente più adatto per dare risposte alle esigenze pratiche della vita sociale e alle domande delle società mercantili, lo è molto meno quando in gioco v’è il fattore umano. Nessuno nega che in epoca pos-moderna il diritto vada ‘inventato’ ovvero trovato e ricercato « 67 Cfr Luca Buscema, Atti politici e principio di giustiziabilità dei diritti e degli interessi, in

«Riv. Ass. it. dei costituzionalisti (AIC)», 2014, 1, pp. 11 ss.

68 Cfr. F. Margiotta Broglio, La politica religiosa della Repubblica italiana . Elementi e ri-

flessioni, cit., pp. 11 ss.

69 P. Grossi, Il diritto in Italia, oggi . Tra modernità e pos-modernità, in Ritorno al diritto,

cit., p. 6.

nelle trame dell’esperienza, sia quando la regola manca, sia quando la regola troppo vecchia o troppo generica non si presta a ordinare i fatti»71, tuttavia si ha ancora

bisogno di buone leggi ordinarie-formali che nella piena tradizione liberale sappia- no, partendo dal vertice, fungere da guida e faro. Le leggi di nuova generazione, soprattutto quando si trovano a dover normare materie sensibili, come il diritto di liberta religosa e di coscienza, vanno infatti costruite con attenzione e cura, con- tenitori di principi generali, frutto di una fattiva e responsabile collaborazione fra potere politico, mondo accademico, potere giudiziario e società civile72.

4. Terzo quadro. Orientamenti futuri della politica in materia di liber-

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