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E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

2. Una libertà valida anche per la Chiesa?

La dichiarazione Dignitatis Humanae afferma il diritto di libertà religiosa come esigenza necessaria per gli ordinamenti civili45 e tale dottrina viene ripetuta co-

stantemente da interventi successivi del magistero ecclesiale, tanto da poter essere considerata ormai una dottrina pienamente consolidata46. Nessun documento,

tuttavia, contiene affermazioni esplicite in merito all’estensione del riconosci- mento del diritto di libertà religiosa anche all’interno dell’ordinamento della Chiesa. Questo silenzio lascia pertanto aperto l’interrogativo se nell’ambito della comunità ecclesiale possa essere ammesso, e in quali termini, un principio di libertà della coscienza analogo a quello affermato per gli ordinamenti civili47. In

una prospettiva più ampia, l’interrogativo si può allargare anche alla questione della recezione dei diritti umani, ma sul punto, di fronte all’ampiezza dell’in- segnamento del magistero circa il loro fondamento nella dignità della persona umana, pare innegabile riconoscere il loro valore di principi di diritto divino, e, come tali, dotati di validità intrinseca e vigenza immediata nell’ordinamento

45 «Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e san-

cito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società» (DH, n. 2); «Tutelare e pro- muovere gli inviolabili diritti dell’uomo è dovere essenziale di ogni potestà civile» (DH, n. 6).

46 Tra gli interventi principali, si possono ricordare: Paolo VI, enciclica Populorum pro-

gressio, 26 marzo 1967; enciclica Octogesima adveniens, 14 maggio 1971; esortazione apostolica Evangeliii nuntiandi, 1975; Giovanni Paolo II, enciclica Redemptor hominis, 1979; discorso all’assemblea generale dell’Onu del 2 ottobre 1979; messaggio L’Église catholique alle autorità dei Paesi firmatari dell’Atto finale di Helsinki, 1 settembre 1980; messaggio per la Giornata mondiale della pace, La libertà religiosa condizione per la pacifica convivenza, 1 gennaio 1988; Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea generale dell’organizzazione mondiale delle Nazioni Uni- te, del 18 aprile 2008; messaggio per la giornata della pace, La libertà religiosa, via per la pace, del 1 gennaio 2011; Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno internazionale “La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori”, del 20 giugno 2014.

47 Pasquale Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, Napoli, Jovene,

19993; Id., La libertà religiosa nell’ordinamento canonico (a trentasei anni dalla dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae”), in La libertà religiosa, II, a cura di M. Tedeschi, Soveria Mannelli, Rubettino, 2002, pp. 614-624; Carlos J. Errázuriz M., Esiste un diritto di libertà religiosa del fedele all’interno della Chiesa?, in «Fidelium iura», 1993, 3, pp. 79-99; Id., Il diritto e la giustizia nella Chiesa . Per una teoria fondamentale del diritto canonico, Milano, Giuffré, 2000, pp. 193-196; Pierantonio Pavanello, Rilevanza del principio della libertà re- ligiosa all’interno dell’ordinamento canonico, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 1998, 11, pp. 267-283; Giuseppe Comotti, Obbedienza della fede e libertà religiosa: manifestazione del pensiero e diritto al dissenso nell’ordinamento canonico, in «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», 2008, 16, pp. 233-255.

giuridico della Chiesa48. Un argomento testuale può essere anche ricavato dalle

disposizioni dei codici, in quanto, pur non essendo trattati espressamente, sono tuttavia menzionati come un dato attinente all’ordine naturale che è oggetto dell’insegnamento e dell’impegno missionario della Chiesa49.

Il riconoscimento del fondamento nel diritto divino delle esigenze intrinseche della persona, peraltro, non implica necessariamente che nella Chiesa si debbano recepire i diritti umani con una struttura e un’estensione pari a quella conseguita nei regimi secolari. La configurazione all’interno di un ordinamento giuridico delle situazioni giuridiche soggettive, pure di quelle definite fondamentali, deve essere infatti coerente con gli elementi costitutivi di quel preciso sistema giuri- dico; in particolare, per il tema trattato, con i principi che informano i rapporti tra gli individui e l’istituzione di cui l’ordinamento è espressione50. Da questo

punto di vista, è indubbio che il diritto di libertà religiosa ponga problemi spe- cifici e diversi a una organizzazione confessionale, come la Chiesa, che ha come norma fondamentale il mandato missionario di custodire e diffondere la verità dell’annunzio evangelico51 e quindi non possa, per non contraddire i suoi stessi

presupposti teologici, ammettere come equivalenti dottrine contrarie alla parola di Dio rivelata. Può sorgere pertanto l’interrogativo se sia possibile salvaguardare 48 Sull’argomento la dottrina più recente risulta maggiormente coesa, in quanto anche

gli autori che mantengono posizioni rigide circa la possibilità di riconoscere la libertà reli- giosa, riconoscono la vigenza dei diritti umani nell’ordinamento ecclesiale. Sul tema ex mul- tis si vedano Javier Hervada, Diritto costituzionale canonico, Milano, Giuffré, 1989, pp. 138- 142; Giuseppe Comotti, Sui diritti umani nell’ordinamento canonico, in «Daimon», 2007, 7, pp. 79-95; Massimo Del Pozzo, Lo statuto giuridico fondamentale del fedele, Roma, EDUSC, 2018, pp. 213-244.

49 Can. 747, 2 CIC; cann. 595, § 2 e 908 CCEO. L’esiguità dei riferimenti normativi può

essere spiegata dall’atteggiamento assunto storicamente dalla Chiesa in merito ai diritti uma- ni, proclamati ad extra nei confronti degli ordinamenti civili (G. Comotti, Obbedienza della fede e libertà religiosa, cit., pp. 234-235).

50 Sulla necessità di valutare il fondamento e l’estensione dei diritti della persona umana

in rapporto alle caratteristiche specifiche di ciascun ordinamento, si veda Gaetano Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, Milano, Giuffré, 1985, pp. 272-274.

51 Nonostante le aperture ecumeniche del Concilio vaticano II, il magistero ecclesiale

continua a ribadire che l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica con pienezza degli elementi istituzionali, dei doni di grazia e dei mezzi di salvezza, «ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica» [costituzione dogmatica Lu- men gentium (21 novembre 1964), n. 8; conforme anche il decreto sull’ecumenismo Unitatis redintregatio (21 novembre 1964), n. 4]. Sull’unicità della Chiesa di Cristo e la veridictà della fede cattolica, si veda anche Congregazione per la dottrina della fede, dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000).

la libertà della coscienza anche di chi professa tesi o assume comportamenti che contraddicono i contenuti essenziali della fede cristiana52.

La radice della questione, come si evince, consiste appunto nell’esaminare il rapporto tra le persone e la Chiesa e a tal fine occorre in via preliminare distin- guere tra le diverse condizioni che sono proprie, tanto sotto il profilo ontologico quanto giuridico, ai battezzati cattolici e ai non battezzati.

Per i non battezzati vale il principio fondamentale della libera volontarietà dell’atto di professione della fede e di adesione alla Chiesa, riconosciuto univer- salmente a tutti gli esseri umani in base alla dignità intrinseca alla loro natura, come era affermato nella tradizione canonica53 e viene enunciato ora nella legisla-

zione giovanneo-paolina: «Non è mai lecito ad alcuno indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza»54. Nel codice

latino il divieto di coercizione viene preceduto dall’affermazione del dovere di tutti gli uomini di ricercare la verità55, ma, considerando la diversità dei piani su

cui operano la responsabilità morale della coscienza a rispondere alla chiamata divina, da un lato, e la protezione giuridica della libertà di scelta, dall’altro56,

si può rilevare come l’immunità da qualsiasi costrizione debba essere garantita sempre dall’ordinamento giuridico, anche se la persona non risponde o risponde in modo imperfetto o erroneo.

52 Dalla questione sopra enunciata è da tenere distinto il problema più specifico, ma

altrettanto delicato e complesso, del riconoscimento dell’obiezione di coscienza nella Chiesa. Mentre la libertà religiosa latamente intesa può portare ad assumere posizioni contrarie alla verità del depositum fidei, ed è questo il profilo che interessa la presente trattazione, invece l’obiezione di coscienza non è diretta a sostenere valori contrari al piano divino di salvezza, ma, quale aequitas ex corde, intende far valere nel caso concreto esigenze che non sono ade- guatamente tutelate dalle leggi ecclesiastiche. Sul tema si rimanda a Rinaldo Bertolino, La libertà di coscienza e il diritto di obiezione nell’ordinamento giuridico della Chiesa, in Il nuovo diritto ecclesiale tra coscienza dell’uomo e istituzione, Torino, Giappichelli, 1989, pp. 85-143; Id., L’obiezione di coscienza moderna. Per una fondazione costituzionale del diritto di obiezione, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 69-76; Rafael Palomino, Objeción de conciencia, in Diccionario general de derecho canónico, V, pp. 660-664.

53 Il principio era affermato anche nel codice piano-benedettino: «Ad amplexandam fi-

dem catholicam nemo invitus cogatur» (can. 1351 CIC17).

54 Can. 748, § 2 CIC. Ancora più stringente nel vietare qualsiasi costrizione è il Codice dei

canoni delle Chiese orientali), nel can. 586: «Severe prohibetur, ne quis ad Ecclesiam amplecten- dam cogatur vel artibus importunis inducatur aut alliciatur; omnes vero christifideles curent, ut vindicetur ius ad libertatem religiosam, ne quis iniquis vexationibus ab Ecclesia deterreatur».

55 «Tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità nelle cose, che riguardano Dio e la

Chiesa, e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e godono del diritto di ab- bracciarla e osservarla» (can. 748, § 1 CIC). Questo paragrafo non risulta invece nel CCEO.

In virtù della chiamata universale alla salvezza, dunque, i non battezzati che si trovino nelle debite disposizioni soggettive possono godere del diritto di ricevere il battesimo e di entrare così a far parte della Chiesa di Cristo57. Si tratta di un diritto

di libertà che non implica alcun dovere complementare di riceverlo. Si può pertan- to ritenere che l’ordinamento canonico tuteli come esigenza intrinseca della perso- na la libertà della coscienza dei non battezzati di decidere se accogliere o no la fede cattolica, se aderire a un’altra confessione religiosa, o se non riconoscersi in alcuna.

Radicalmente diversa, per contro, è la condizione dei battezzati cattolici. Per coloro che con il battesimo sono entrati a far parte del popolo di Dio, il dovere mo- rale di cercare la verità su Dio e la Chiesa, enunciato come principio fondamentale del munus docendi Ecclesiae58, si precisa e si concretizza in un vero e proprio dovere

giuridico di conservare e tramandare fedelmente la verità del messaggio cristiano. Invero, dato che la Chiesa ha ricevuto in affidamento da Cristo il depositum fidei59,

tutti i fedeli, in forza del principio di comunione, partecipano di questo patrimonio di grazia e sono corresponsabili della missione di custodire e trasmettere fedelmente la parola di Dio rivelata. In capo ai fedeli battezzati, pertanto, il dovere di rispettare la verità non configura solo una responsabilità morale della coscienza nei confronti di Dio, ma costituisce anche un vincolo giuridico nei confronti della comunità ec- clesiale. Questo dovere fondamentale dei fedeli viene dichiarato espressamente nel Codice dei canoni delle Chiese orientali60, mentre nel Codice latino resta implicito

e compreso nel dovere generale di conservare la comunione con la Chiesa61.

Per comprendere quali siano effettivamente i limiti posti alla libertà dei fe- deli cattolici, bisogna quindi analizzare nello specifico la portata dei vincoli che devono essere necessariamente rispettati per poter essere considerati in piena co- munione con la Chiesa62. La questione appare complessa, perché occorre tenere

57 Can. 864 CIC. Per amministrare il battesimo alle persone adulte si richiedono come

condizioni necessarie: la manifestazione della volontà di riceverlo, una sufficiente istruzione nelle verità di fede, la provata vita cristiana e una debita disposizione morale (can. 865, § 1 CIC).

58 Il can. 748, § 1 CIC, infatti, è inserito nei canoni introduttivi del libro III del codice

latino, De Ecclesiae munere docendi.

59 Can. 747, § 1 CIC; can. 548, § 1 CCEO.

60 «Verbo Dei inhaerentes atque vivo Ecclesiae magisterio authentico adhaerentes te-

nentur christifideles fidem immenso pretio a maioribus custoditam ac transmissam integre servare et aperte profiteri necnon eam et exercendo magis intellegere et in operibus caritatis fructificare» (can. 10 CCEO).

61 «I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la

comunione con la Chiesa» (can. 209, § 1 CIC).

62 Peter Erdö, Il cattolico, il battezzato e il fedele in piena comunione con la Chiesa cattolica .

Osservazioni circa la nozione di “cattolico” nel CIC (a proposito dei cc . 11 e 96), in «Periodica de re canonica», 1997, 86, pp. 213-240; Renato Coronelli, Appartenenza alla Chiesa e abbandono:

conto di una pluralità di dimensioni e di una graduazione di intensità in cui può essere considerata la nozione di comunione ecclesiale. In particolare, si deve distinguere tra un aspetto interno e invisibile, dato dalla comunione con il Pa- dre tramite Cristo nello Spirito Santo, e un aspetto esterno e visibile, dato dalla partecipazione alla compagine terrena della Chiesa63. Tra le due dimensioni esiste

un rapporto di intima complementarità che le rende inscindibili e reciproca- mente necessarie, ma mentre la prima, attinente alla relazione della persona con Dio non è pienamente percepibile dalle capacità umane e quindi, benché rile- vante, resta in definitiva insondabile, invece l’adesione alle strutture istituzionali dell’organismo visibile può avere riscontri concreti e dunque essere più facilmente oggetto di regolamentazione da parte dell’ordinamento ecclesiale. Nel definire infatti i criteri di appartenenza alla Chiesa la tradizione apologetica aveva attri- buito prevalenza alle condizioni minimali di adesione all’istituzione visibile che potevano essere concretamente accertate e dalle quali pertanto si poteva dedurre la permanenza nell’unica Chiesa64.

Il Concilio vaticano II recupera questa dottrina, ma, in considerazione della nuova impostazione dei rapporti ecumenici con le altre comunità cristiane, la inserisce in un quadro rinnovato della concezione dell’appartenenza alla Chiesa, in termini non statici e rigidi, bensì dinamici e graduati. Infatti, la condizione basilare e comune data dalla incorporazione sacramentale alla Chiesa di Cristo tramite il battesimo, si sviluppa secondo gradi diversi di comunione, nei battez- zati cattolici e nei battezzati non cattolici: nei primi la comunione è “piena”, in quanto l’appartenenza alla Chiesa cattolica comporta la piena compartecipazione dei beni della redenzione che Cristo ha affidato alla Chiesa, mentre nei battezzati non cattolici la comunione è “non piena” e risulta distinta a seconda dei beni di santificazione e di verità che si ritrovano nelle loro comunità65.

aspetti fondamentali e questioni terminologiche, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 2007, 20, pp. 8-34; Marino Mosconi, L’abbandono pubblico o notorio della Chiesa e in particolare l’ab- bandono con atto formale, cit., pp. 35-59.

63 La duplice dimensione della comunione corrisponde alla natura complessa della Chiesa,

quale sacramento universale di salvezza, formata da un duplice elemento, umano e divino (Lumen gentium, n. 8). Sulla nozione di comunione, si veda Congregazione per la dottrina della fede, lette- ra Communionis notio, circa alcuni aspetti della Chiesa come comunione (28 maggio 1992).

64 La tesi viene esposta autorevolmente da Roberto Bellarmino, De controversiis christia-

nae fidei adversus huius temporis haereticos, l. III, De Ecclesia militante, cap. 2, De definitione Ecclesiae, in Opera omnia . Disputationum Roberti Bellarmini Politiani S .J . S .R .E . Cardinalis, II, Mediolani, 1858, p. 75.

65 Lumen gentium nn. 14-15; Unitatis redintegratio, n. 3. Come si nota, la graduazione nella

comunione non riguarda il singolo individuo, ma la comunità in cui è inserito a seguito del battesimo.

Nel definire i criteri di partecipazione dei fedeli alla Chiesa la legislazione giovanneo-paolina recupera i testi conciliari ma utilizza una formulazione che, da un lato, risulta riduttiva, e, dall’altro, ambigua. I canoni dei codici66 richiama-

no infatti alla lettera il passo della costituzione Lumen gentium67 dove si elencano

i vincoli di congiunzione dei fedeli al corpo visibile di Cristo, ossia la professione della fede, i sacramenti e il governo ecclesiastico, tutti elementi che attengono alla compagine terrena della Chiesa, mentre omettono il riferimento all’elemen- to interno e invisibile dell’avere lo Spirito di Cristo, che solo consente di com- prendere il significato dell’espressione “pienamente incorporati nella società della Chiesa” contenuta nel documento conciliare. Nel contesto della riflessione del Concilio, infatti, la comunione spirituale con Cristo è il presupposto essenziale per vivere in pienezza e fruttuosamente la condizione di membro della Chiesa68.

La locuzione “piena comunione” espressa nei codici, pertanto, non essendo correlata al criterio di una possibile graduazione nella condivisione dello Spirito di Cristo, viene ad acquisire un significato diverso, riconducibile alla termino- logia impiegata dal Concilio per distinguere il grado di comunione tra battez- zati cattolici e battezzati non cattolici. Dato però che i canoni si riferiscono alla condizione dei battezzati cattolici e questi, per definizione, se appartengono alla Chiesa cattolica sono in piena comunione con il patrimonio di salvezza della Chiesa di Cristo, si deduce che i tre vincoli indicati intendono precisare non già forme diverse e graduate di partecipazione alla comunione ecclesiale, ma i criteri dell’appartenenza istituzionale alla Chiesa che, se sussiste, è sempre partecipazio- ne piena alla comunione ecclesiale.

Triplice, dunque, è la condizione per entrare a far parte e continuare a restare in comunione con la Chiesa: professare il deposito della fede nella sua integrità, accettare e celebrare correttamente i sacramenti, obbedire al governo del romano pontefice e dei vescovi che sono in comunione gerarchica con lui. I tre requisiti sono in realtà parzialmente coincidenti e si richiamano reciprocamente: le verità di fede divina e cattolica che i fedeli sono tenuti a credere sono quelle definite dal magistero supremo69; la dottrina sui sacramenti fa parte del deposito divino70 e

la comunione nei sacramenti non viene meno per la sola mancanza della pratica 66 Can. 205 CIC; can. 8 CCEO.

67 Lumen gentium, n. 14.

68 Richiamando un passo di Agostino (Bapt . c . Donat ., V, 28, 39, in PL 43, 197) la co-

stituzione ammonisce: «Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col “corpo”, ma non col “cuore”» (Lumen gentium, n. 14).

69 Can. 750, § 1 CIC. 70 Can. 841 CIC.

religiosa, ma perché si contesta il valore di questi mezzi di grazia71; le disposizioni

di governo sono la traduzione in termini giuridici delle norme necessarie per vivere la condizione di fedele (lex vivendi) in coerenza con il credo professato (lex

orandi)72.

In definitiva, quindi, i vincoli che la comunione pone alla libertà del fedele sono dati dalle pronunce delle autorità ecclesiastiche che, nell’ambito dell’orto- dossia o nell’ambito dell’ortoprassi, stabiliscono o interpretano autenticamente i principi e le regole da osservare. Peraltro, gli atti di magistero e di giurisdizione sono dotati di un diverso grado di obbligatorietà, a seconda della forma, del contenuto e dell’efficacia che l’autore ha voluto imprimere al provvedimento. Gli effetti vincolanti, quindi, possono essere diversificati e non tutti sono idonei a re- stringere realmente la libertà dei fedeli. Solo gli atti che impongono adempimenti necessari e inderogabili costituiscono dei limiti effettivi73.

Per quanto concerne gli atti del magistero, sono da considerare vincolanti gli insegnamenti che espongono una dottrina sulla fede o sui costumi riconducibile alla rivelazione divina, ma occorre distinguere il diverso grado di obbligatorietà a seconda che si tratti di magistero infallibile o solenne ovvero di magistero auten- tico74. Ai fini della sussistenza dei vincoli di appartenenza alla Chiesa risultano

rilevanti le pronunce del magistero infallibile, in particolare quelle che concer- nono verità di fede divina e cattolica contenute nel deposito della rivelazione, alle quali i fedeli devono prestare una adesione di fede, così da evitare qualsiasi dottrina contraria (veritates de fide credenda)75. L’ostinata negazione o il dubbio

71 Javier Hervada, Ad can . 205, in Codice di diritto canonico, a cura di Pedro Lombardía e

Juan Ignacio Arrieta, Roma, Logos, 1986, pp. 180-181.

72 Nello statuto giuridico comune dei fedeli si comprende il dovere di «osservare con

cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa» (can. 212, § 1 CIC; can. 15, § 1 CCEO).

73 Secondo la massima: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas». La

frase, di cui resta ancora incerto l’autore, si ritrova nella dottrina del XVII secolo e viene ri- portata da Giovanni XXIII nell’enciclica Ad Petri cathedram (29 giugno 1959).

74 Il primo comprende gli atti del Romano pontefice e del Collegio dei Vescovi che pro-

clamano una dottrina sulla fede o sui costumi da tenersi in modo definitivo (can. 749, §§ 1-2 CIC). Il § 3 precisa: «Nessuna dottrina si intende infallibilmente definita, se ciò non consta ma- nifestamente»); il secondo, invece, riguarda la dottrina circa la fede e i costumi proclamata dalle stesse autorità supreme, ma non con atto definitivo (can. 752 CIC). Sui diversi tipi di magistero ecclesiastico e sui diversi gradi di obbligatorietà, si vedano Luis Gahona Fraga, Magisterio de la Iglesia, in Diccionario general de derecho canónico, V, pp. 234-241; Carlos J. Errázuriz M., Corso fondamentale sul diritto nella Chiesa, II, Milano, Giuffré, 2017, pp. 38-52.

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