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E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

4. La libertà dell’atto contrario ai vincoli della comunione

Dal quadro teologico e giuridico sopra delineato, la dottrina trae conclusioni diverse in ordine alla possibilità di riconoscere il diritto di libertà religiosa nella Chiesa. Se alcuni sono più disponibili ad ammettere un diritto di liber- tà in ambito ecclesiale quasi pari a quello degli ordinamenti secolari122, altri,

per contro, negano che possa essere configurato un simile diritto di libertà nella comunità ecclesiale e intendono il diritto di libertà religiosa come la libertà civile che deve essere garantita dall’ordinamento secolare e che riguar- da la Chiesa solo in modo implicito, in quanto le autorità civili non possono inibire la libertà di aderire alla fede o di uscire dalla comunità, né la Chiesa può pretendere di comprimere questa libertà ricorrendo alla forza del brac- cio secolare123. Una posizione intermedia alle precedenti, invece, riconosce

il diritto di libertà dei fedeli come un bene fondamentale nella Chiesa, ma esclude che possa essere esercitato in contraddizione con le verità del deposito

121 Veritatis splendor, n. 41.

122 P. Colella, La libertà religiosa nell’ordinamento canonico, cit., pp. 133-136.

123 Antonio Rouco Varela, Fundamentos eclesiológicos de una teoría general de los derechos

fundamentales del cristiano en la Iglesia, in I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società, p. 76; Eugenio Corecco, Considerazioni sul problema dei diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società, cit., p. 1232.

della fede124. Un’ultima tesi, infine, sostiene che il diritto di libertà religiosa

debba essere affermato anche nell’ambito intraecclesiale e quindi la Chiesa non possa esercitare alcuna costrizione sul fedele qualora non professi più la fede nella sua integrità o intenda passare a un’altra religione, ma, nel con- tempo, avendo il fedele violato il dovere di vivere nella piena comunione, si autoesclude dalla stessa125.

Effettivamente, come si è sottolineato, non si può dubitare che l’ordinamen- to canonico, soprattutto a seguito della normativa vigente, riconosca numerosi spazi di autodeterminazione dei fedeli in vari ambiti della vita e della missio- ne della Chiesa, ma pone come limite inderogabile il rispetto delle disposizioni poste a salvaguardia dei presupposti essenziali e delle condizioni necessarie per conservare la comunione ecclesiale. Nonostante la previsione di questi confini indisponibili, sembra eccessivo affermare che non possa essere ammessa la libertà religiosa quando il suo esercizio sia contrario alla parola di Dio rivelata e agli altri vincoli della comunione ecclesiale. Non pare, infatti, che questa sia la tesi che si possa dedurre dalle premesse fondamentali esposte dal magistero ecclesiale, in particolare a riguardo del principio basilare che richiede la libera volontarietà alla base dell’atto di fede.

Se si esige come dato imprescindibile l’esigenza di un atto volontario e libero per aderire alla fede cristiana, non risulta coerente negare la stessa libera volonta- rietà nelle successive decisioni personali in ordine all’orientamento religioso. Non vale sostenere in proposito che la persona, nell’entrare a far parte della comunità ecclesiale, si sarebbe obbligata a rispettare i vincoli della comunione e abbia così rinunciato alla libertà di autodeterminarsi successivamente in senso contrario. Questo argomento, che poteva essere invocato in una impostazione integralistica della fede religiosa, non può più trovare giustificazione in un quadro di valori che tuteli i diritti fondamentali della persona. La libertà è un attributo essen- ziale dell’essere umano e quindi il diritto alla libertà religiosa, al pari di tutte le esigenze primarie fondate sulla dignità sostanziale della persona, è un diritto in- disponibile, inalienabile e irrinunciabile126. Il suo esercizio può essere circoscritto

e definito nei limiti necessari a salvaguardare altri valori connessi al bene comu-

124 Carlos J. Errázuriz, Esiste un diritto di libertà religiosa del fedele all’interno della Chiesa?,

cit., pp. 91-99; Alberto Perlasca, L’abbandono della Chiesa cattolica e libertà religiosa . Implica- zioni canoniche e diritto ecclesiastico, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 2007, 20, pp. 60-81; G. Comotti, Obbedienza della fede e libertà religiosa, cit., pp. 242-246.

125 P. Pavanello, Rilevanza del principio della libertà religiosa all’interno dell’ordinamento

canonico, cit., p. 271.

ne127, ma non tanto da escluderla nel suo nucleo essenziale. Di conseguenza, non

si può ritenere che il fedele, una volta incorporato alla Chiesa, abbia perso del tutto la sua libertà, perché sarebbe contrario al rispetto dovuto all’intangibilità delle prerogative fondamentali della persona umana.

È certo, nondimeno, come si è visto, che il battezzato cattolico sia tenuto a os- servare il dovere di conservare sempre la comunione con la Chiesa nei tre vincoli della professione di fede, dei sacramenti e dell’obbedienza alla gerarchia. Tuttavia l’obbligo di conformarsi alle pronunce delle autorità ecclesiastiche in tutto ciò che sia necessario per conservare fedelmente il depositum fidei, non implica una rinuncia alla libertà, quanto piuttosto un impegno a esercitarla responsabilmen- te, vale a dire in coerenza con i valori accolti nel momento in cui si è aderito alla fede cristiana. Proprio perché si esige un uso responsabile della libertà, non si può prescindere dal richiedere un atto volontario e libero alla base di ogni adempi- mento del fedele diretto a rispettare i propri doveri128.

Si giunge così a evidenziare come il principio che richiede di aderire alla verità con atto volontario e libero costituisca il presupposto fondamentale non solo per essere incorporati nella Chiesa, ma anche per rimanere nella comunione ecclesia- le. L’aver emesso la prima professione di fede, infatti, non esime il credente da una ricerca personale continua, per approfondire e comprendere meglio i contenuti della parola di Dio e per trovare modi sempre più compiuti di attuarla nella pro- pria vita129. Se si considera, poi, che si è pienamente congiunti al corpo di Cristo

quando si possiede il Suo Spirito e che la fruttuosità del cammino di perfezio- namento spirituale non è dato dal rimanere nella Chiesa con il corpo ma con il cuore130, allora si può ritenere che il dovere di conservare la comunione implichi il

dovere di interiorizzare il messaggio salvifico, di farlo proprio, per realizzare una autentica comunione spirituale in Cristo. Anche per quanto riguarda il rispetto delle pronunce delle autorità ecclesiastiche che definiscono i presupposti neces- sari della comunione, si richiede una adesione non solo formale, di mera osser-

127 DH, n. 7.

128 DH, n. 1 sottolinea l’esigenza che gli esseri umani godano di libertà «nell’adempiere il

dovere di onorare Iddio».

129 Tra i diritti doveri propri del fedele i codici comprendono anche il diritto dovere all’e-

ducazione cristiana (can. 217 CIC), che comprende non solo il primo annunzio evangelico e la prima istruzione catechetica, ma richiede un processo graduale di maturazione che si evolve in rapporto non solo allo sviluppo dell’età e della capacità critica, ma anche alle fasi e alle situazioni della propria esistenza, in modo da assicurare ai fedeli la possibilità di ricevere una formazione progressiva e continua adeguata alla condizione e al ruolo che rivestono nella Chiesa e nel mondo. Questo principio di progressione nel diritto-dovere all’educazione cri- stiana viene dichiarato espressamente nel can. 404, § 1 CCEO.

vanza di condotte esterne, ma un’accettazione convinta e motivata dall’intimo convincimento della verità di quanto disposto131. Vana sarebbe infatti l’efficacia

dell’atto di obbedienza in ordine al raggiungimento della meta suprema della

salus animarum, se il fedele sia indotto a obbedire perché costretto dal timore di

una eventuale sanzione, e non perché sia consapevole che quella indicata sia la via giusta.

Il dovere di comunione, pertanto, esige la responsabilità del fedele di rinno- vare costantemente la propria fede e di continuare ad aderire alla verità, non solo con il primo atto di professione di fede, ma in ogni atto di obbedienza in materia di ortodossia e di ortoprassi. Solo così la lex gratiae può divenire lex libertatis.

L’aver sottolineato la necessità di un atto volontario e libero quale presupposto per continuare a restare nella comunione ecclesiale, non implica, tuttavia, di poter riconoscere un diritto del fedele di andare contro le verità di fede rivelate da Dio e interpretate autenticamente dalle autorità ecclesiastiche. Il mancato ri- spetto del vincolo di conservare la comunione con la Chiesa, infatti, costituisce per l’ordinamento canonico un atto illecito, non solo sul piano morale ma anche su quello giuridico, in quanto contrario a un dovere fondamentale che il fedele era tenuto a osservare. Di conseguenza, il rispetto per la libertà di coscienza della persona non comporta anche di riconoscere come legittima una pretesa di auto- nomia che il battezzato non può rivendicare all’interno della Chiesa.

L’obbligo di conservare la verità non può comunque andare a detrimento del diritto alla libertà132. Se non si può ammettere il diritto all’errore, nondimeno non

si può neppure ricorrere a strumenti coercitivi o vessatori per obbligare qualcuno a convertirsi133. Il rispetto dovuto alla libertà di coscienza, anche a quella erronea

o imperfetta, esige di garantire l’immunità da qualsiasi ingerenza che costringa 131 Benedetto XVI sottolinea come la libertà religiosa sia «una conseguenza intrinseca del-

la verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento» (Allocuzione alla Curia romana, 22 dicembre 2005).

132 «E dunque l’obbligo di cercare la verità…non potrà mai andare a detrimento, in qual-

siasi società (compresa la religiosa), in qualunque orizzonte giuridico (compreso il canoni- co), del diritto di libertà, che è come dire della dignità della persona; dignità e diritto che permangono pur nella negazione dell’anzidetto obbligo, nella sua concreta elusione, o nella sua ignoranza, e che del resto si manifestano nella sua osservanza e nella sua affermazione» (Gaetano Lo Castro, Il diritto laico, in Il mistero del diritto, I, Del diritto e della sua conoscenza, Torino, Giappichelli, 1997, p. 73).

133 La dichiarazione Dignitatis Humanae ammoniva nei riguardi delle comunità religiose:

«nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre costumanze religiose si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone immature o bisognose: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui» (n. 4).

la persona ad andare contro i dettami della propria coscienza o che le impedisca di agire in conformità alla propria coscienza134. Questo principio fondamentale,

affermato dal magistero e tutelato dai codici a riguardo della professione della fede cristiana, per ragioni di coerenza deve essere riconosciuto ad ogni atto di scelta in materia religiosa, anche quando sia contrario ai vincoli di comunione e quindi sia considerato illecito dall’ordinamento canonico. In quanto atto illecito, il fedele non può pretendere un diritto di autodeterminazione in ordine a scelte che sono antigiuridiche, ma può esigere che sia rispettata la sua libertà di coscien- za e che non gli sia imposta alcuna misura coercitiva che gli impedisca di seguire la propria coscienza.

Fatto salvo il divieto di costrizioni della libertà di coscienza, la Chiesa ha nondimeno il diritto di reagire e di prendere provvedimenti per tutelare i beni ecclesiali che possano essere pregiudicati o messi in pericolo dagli atti dei fedeli che contraddicono il deposito della fede. Tali interventi possono prevedere tanto misure persuasive, che, nel rispetto della libertà della persona, cerchino di con- vincere dell’errore e sollecitino il pentimento, quanto misure riparative, che siano dirette a proteggere l’integrità del deposito della fede, ripristinare la testimonian- za della verità e rimuovere gli effetti pregiudizievoli alla comunione ecclesiale, come lo scandalo suscitato negli altri fedeli.

In definitiva, l’effettiva tutela della libertà religiosa del fedele dipende dalla coerenza con cui l’ordinamento ecclesiale riesce a contemperare tra loro, da un lato, l’immunità della coscienza dalle coercizioni estrinseche, dall’altro, le conse- guenze previste dal sistema giuridico per la violazione dei vincoli di comunione. Una composizione che deve essere valutata distinguendo le differenti reazioni nelle diverse situazioni.

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