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La seconda fase: realizzare la libertà religiosa attraverso l’eguale libertà delle confession

ITINERARI, ATTORI E CONTRADDIZIONI DI UN PERCORSO NON LINEARE

3. La seconda fase: realizzare la libertà religiosa attraverso l’eguale libertà delle confession

L’espansione della libertà religiosa percorre il binario descritto nel paragrafo pre- cedente fino a quando esso si rivela funzionale al progressivo riallineamento tra diritto e società. Già alla fine degli anni ’70 diviene evidente che questo rialline- amento è ormai compiuto e che l’opera della giurisprudenza non è più sufficiente ad alimentare ulteriori avanzate. L’attuazione dell’art. 19 richiederebbe ormai un intervento legislativo che assumesse i caratteri della sistematicità e della comple- tezza. Ancora una volta, la strada seguita per attuare il diritto di libertà religiosa, però, non sarà la sua implementazione diretta, quanto piuttosto la sua attuazione indiretta per il tramite del principio di uguaglianza, che ora viene in rilievo sotto l’aspetto collettivo attraverso gli articoli 7 e 8 della Costituzione.

La revisione del Concordato e la stagione delle intese, infatti, diventano lo strumento per realizzare compiutamente il contenuto costituzionale del diritto di libertà religiosa, per favorire la dimensione promozionale del diritto e per esten- dere la platea dei soggetti che fruiscono di questo riconoscimento. La normativa pattizia garantisce più libertà religiosa in Italia ma prima ancora garantisce la libertà religiosa ad un maggior numero di persone che vivono in Italia.

La stagione delle intese, pur coi suoi evidenti limiti che la dottrina ha segna- lato a più riprese16 e su cui non mi soffermerò in questa sede, rappresenta co- protezione dei diritti fondamentali e dello sviluppo della democrazia ma con un restringi- mento della propria azione in queste materie. Si vedano sul punto le acute considerazioni di Costanza Margiotta, Introduzione . Il diritto della crisi europea e la crisi del diritto europeo, in Europa: diritto della crisi e crisi del diritto, a cura di Costanza Margiotta, Bologna, il Mulino, 2018, pp. 9 ss., nonché i vari saggi contenuti nello stesso volume.

16 Le voci critiche sono andate aumentando senza sosta al punto che oggi sarebbe impos-

sibile raccoglierle tutte. Quel che però mi sembra significativo sottolineare è che la maggior parte di questi interventi non disconosce il valore dello strumento in sé ma piuttosto ne denuncia l’irragionevole attuazione o l’impossibilità che su di esso ricada per intero il disegno di inveramento, in ambito giuridico, del pluralismo religioso. In questo senso, ritengo che la posizione maggioritaria in dottrina – che per una volta racchiude anche il mio pensiero – sia ben espressa dalle parole di Pierangela Floris, Le intese tra conferme e ritocchi della Consulta e prospettive per il futuro, in www .statoechiese .it, p. 6, secondo cui il «senso costituzionale delle intese è stato abbastanza sacrificato nell’esperienza giuridica concreta, dove esse sono diven- tate lo strumento utilizzato dalle confessioni per la ricerca di un diritto comunque migliore, costituzionalmente orientato, di libertà religiosa, rispetto a quello offerto dalle norme del ’29/’30 tuttora vigenti. Il che ha prodotto il fenomeno, da tutti denunciato, di intese ripetitive in molti dei loro contenuti, con rari passaggi veramente specifici, cioè adeguati all’identità (quanto a patrimonio fideistico, cultuale, di organizzazione) di ciascuna confessione firmata- ria. Ma questo non ha portato certo a disconoscere il senso costituzionale delle intese, semmai

munque un grande momento di crescita nel godimento della libertà religiosa in Italia, le cui applicazioni concrete vengono, come detto, estese progressivamente a nuovi gruppi e, non dimentichiamolo, garantite in maniera rafforzata dalla natura pattizia delle norme. Le intese stanno armonicamente dentro il presente italiano di fine millennio, ma non guardano al futuro17. Anzi, il traino dell’ugua-

glianza si tramuta in un peso insopportabile nel momento in cui appaiono sulla scena nuovi soggetti, troppo grossi e/o troppo problematici per restare dentro allo schema consolidato delle intese fotocopia, più o meno aventi sempre il me- desimo contenuto a prescindere dal soggetto contraente. La scelta politica di non procedere all’emanazione di una legge generale sulla libertà religiosa incrocia a questo punto la questione islamica e su questo snodo la seconda fase si impanta- na, poiché, al di là del fatto che con l’Islam non si voglia o invece non si possa, per la sua frammentazione, stipulare un’intesa, risulta chiaro che se anche ciò avvenisse non si potrebbe comunque concludere un’intesa simile a quelle prece- denti, ma nemmeno può sottacersi che la riconduzione della seconda confessione religiosa, per numero di fedeli, nel calderone delle confessioni senza intesa inde- bolisce mortalmente la strategia di politica ecclesiastica fondata sulla centralità dell’art. 8, terzo comma.

La stagione delle intese, a dirla tutta, finisce qui, ben prima della dismissio- ne (non ancora conclamata) dello strumento pattizio. Poco importa se qualche accordo viene ancora concluso, se si riesce finanche a farlo diventare legge, poco importa se qualche ulteriore accordo verrà concluso nel futuro prossimo, la ve- rità è che l’impossibilità o l’incapacità di aprire una trattativa con l’Islam rende manifesto l’esaurimento della spinta propulsiva dello strumento intesa. È chiaro ormai a tutti che con le intese non si affronteranno le questioni più spigolose, gli snodi identitari, riconducibili alla doppia appartenenza dei cittadini/fedeli e quindi è chiaro che esse possono servire soltanto a risolvere ciò che è semplice mentre non sono (più) idonee a risolvere ciò che è problematico, che esse sono funzionali a estendere ciò che già è ma non a regolamentare ciò che ancora non è. E l’archiviazione definitiva dello strumento intesa è paradossalmente sancita da quella giurisprudenza costituzionale che prova a ravvivarne la funzione, richiamandone la natura originaria di normativa finalizzata a regolamentare le esigenze specifiche di un gruppo18. In sostanza, per quanto autorevole sia l’indi-

cazione proveniente dalla Corte di restituire all’intesa il suo naturale significato, a insistere per un suo recupero, rimuovendo le cause delle discrasie registrate in concreto, con gli accordi a oggi stipulati».

17 A. Ferrari, La libertà religiosa in Italia . Un percorso incompiuto, cit., p. 82

18 Il riferimento va ovviamente alle sentenze della Corte Costituzionale nn. 52 e 63 del

è arduo pensare che l’obiettivo possa essere effettivamente conseguito, perché in tempi di grande conflitti e di grandi paure – come è certamente quello attua- le19 – risulta impensabile l’attivazione della contrattazione (e tanto meno di una

contrattazione coraggiosamente protesa a definire, riconoscendoli o rifiutandoli, i profili più conflittuali)20 con i gruppi più problematici, ovvero con chi più di al-

tri avrebbe bisogno di una definizione pattiziamente convenuta dei propri diritti, dei loro limiti, e delle proprie rinunce.

La giurisprudenza costituzionale, depurando le intese del loro contenuto non necessario, rende apparentemente più semplice proseguire il cammino sulla stra- da della bilateralità, ma di fatto spinge verso il risultato opposto, giacché intese ad esclusivo contenuto identitario si rivelano poco appetibili per alcune confes- sioni religiose – quelle che inseguono vantaggi – e utili solo per le confessioni con alto coefficiente di specificità, come tali difficilmente in grado di addivenire ad un accordo in questo particolare passaggio di tempo. Per certi versi, dunque, il combinato disposto di fattori giuridici21 ed elementi politici – la rilettura del

sistema operata dalla Corte e il peso elettorale rivestito dalla questione sicurezza e dalla questione immigrazione – spingono inesorabilmente il sistema verso la rottamazione delle intese.

Di più, la volontà chiara del legislatore di tenersi al largo dai problemi più scottanti veicolati dalle confessioni senza intesa, prima fra tutte l’Islam, rende ormai sostanzialmente inutile anche il dibattito relativo ad una legge generale sulla libertà religiosa, posto che se essa non avesse il coraggio di affrontare i problemi più urgenti – compreso il rifiuto di pratiche, regole, comportamenti incompatibili con i principi fondamentali del nostro ordinamento – anche la sua approvazione non inciderebbe in maniera significativa sul quadro attuale22.

19 Un tempo che qualcuno non esita a definire come il tempo dell’indebolimento dei

vincoli etici, della crisi dell’uguaglianza e della democrazia, di un «tracollo pressoché univer- sale, che sembra essere tanto morale ed emotivo quanto politico». Pankaj Mishra, La politica nell’epoca del risentimento . L’eredità oscura dell’Illuminismo, in La grande regressione, a cura di Heinrich Geiselberger, Milano, Feltrinelli, 2017, p. 133.

20 Sul punto mi permetto di rinviare a Nicola Fiorita, Donatella Loprieno, Islam e co-

stituzionalismo, in L’Islam . Dal pregiudizio ai diritti, a cura di Antonino Mantineo, Stefano Montesano, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2018, pp. 61 ss.

21 Sotto questo versante, Pierluigi Consorti, La libertà religiosa fra democrazia bloccata e

globalizzazione, in Per una disciplina democratica delle libertà di pensiero e di religione: metodi e contenuti, a cura di Marco Parisi, Campobasso, AGR Editrice, 2014, p. 55, attribuisce «il flop delle intese alle incertezze del legislatore ma anche all’evoluzione dei tempi che rende inadeguato il parallelismo “Patti lateranensi-intese”».

22 In questo senso mi sembra di poter leggere l’accenno contenuto in un recente interven-

Vi è una differenza che vorrei segnalare, infine, tra la prima e la seconda fase di espansione del diritto di libertà religiosa attraverso il filtro dell’uguaglianza: la stagione delle intese collega l’estensione soggettiva e oggettiva del diritto di liber- tà religiosa alla contrattazione con le confessioni religiose, ovvero all’appartenen- za ad un gruppo religioso, escludendo dal gioco chi appartiene ad un gruppo non preso in considerazione, chi non appartiene a nessuno gruppo religioso e chi non crede. La nota vicenda originata dalla richiesta dell’Uaar di stipulare una intesa certifica questa scelta23 e, con essa, l’avvenuto passaggio in materia religiosa da

una centralità dell’eguaglianza tra individui ad una centralità dell’eguaglianza tra gruppi religiosi.

Anche se ci si potrà affannare ancora per qualche anno, o per qualche saggio, intorno alla questione intese o intorno a questo o quel progetto di legge sulla libertà religiosa, per come spiegato fin qui credo che si debba prendere atto che siamo già entrati in un nuovo contesto; siamo già entrati nella terza stagione di vita del diritto di libertà religiosa.

4. La terza fase: proteggere la libertà religiosa attraverso il diritto anti-

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