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E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

3. I diritti di libertà dei fedel

L’impostazione del problema della libertà nella Chiesa, sopra esposta, sembra corrispondere a quella elaborata nella tradizione canonica risalente87 e recepita

ancora nella normativa piano-benedettina. Eppure, la legislazione giovanneo- paolina, sulla scorta del concilio ecumenico Vaticano II, ha segnato un sensibile progresso nella valorizzazione e nella tutela delle posizioni soggettive dei singoli, prevedendo uno statuto giuridico dei fedeli che traduce in forma giuridica le esigenze intrinseche alla condizione ontologico-sacramentale di figli di Dio e di membri della comunità ecclesiale. Sebbene non sia stata accolta nei codici l’espressione “diritti fondamentali”, per evitare ambigue commistioni con la con- cezione secolare dei diritti umani88, è indubbio che la ratio sottesa alla stesura di

questo catalogo di situazioni giuridiche basilari sia quella di definire delle posi- zioni costitutive che preesistono alla formalizzazione positiva e che devono essere garantite nei confronti dei poteri gerarchici. Lo statuto giuridico dei fedeli, che esprime principi inerenti alla dimensione comunitaria della struttura costituzio- nale della Chiesa, risulta così avere una valenza primaria nell’ordine dei valori tutelati dall’ordinamento, che viene considerata pari se non prevalente rispetto alla dimensione istituzionale89.

Nell’elenco di queste situazioni giuridiche costitutive dei fedeli sono ricom- prese significative sfere di autonomia, sia nell’ambito della vita personale, sia nella partecipazione alla missione della Chiesa90. L’ampiezza dei diritti di libertà rico-

86 Per l’analisi delle conseguenze si veda infra § 5.1.

87 Il rapporto tra volontà e necessità in ordine alla scelta di fede viene così espresso da

Tommaso d’Aquino: «sicut vovere est voluntatis, reddere autem est necessitatis, ita accipe- re fidem est voluntatis, sed tenere iam acceptam est necessitatis» (Summa Theologiae, II-II, qu. 10, a. 8, ad 3).

88 M. Del Pozzo, Lo statuto giuridico fondamentale del fedele, cit., pp. 179-212.

89 Si veda la sistematica dei codici che antepongono la trattazione dello statuto giuridico

dei fedeli a quella della organizzazione gerarchica. Da questo argomento testuale si può rica- vare una conferma della preminenza attribuita alle persone.

90 Javier Hervada, Diritto costituzionale canonico, Milano, Giuffré, 1989, pp. 92-138;

nosciuta dalla legislazione vigente può risultare pertanto contraddittoria rispetto alla rigida impostazione dei vincoli di comunione che l’ordinamento canonico persiste a sanzionare in continuità con la tradizione precedente.

In realtà, occorre svolgere opportune precisazioni concettuali per non tra- sportare indebitamente e in modo equivoco nozioni usate negli ordinamenti civili all’interno dell’ordinamento canonico. Tra i sistemi giuridici secolare ed ecclesiale si riscontrano infatti differenze significative sia nel modo di impostare il rapporto tra l’individuo e la comunità, sia nel concepire la nozione stessa di libertà.

3 .1 . Il rapporto tra individuo e comunità

Il rapporto del fedele con la comunità ecclesiale non è meramente funzionale, come per la società civile, ma è intrinseco e sostanziale, in quanto la dimen- sione comunitaria è essenziale e performativa della rinnovata identità assunta dalla persona. Con il battesimo, infatti, l’individuo viene configurato in modo indelebile a Cristo e congiunto al suo corpo visibile che è la Chiesa, sacramento primordiale di salvezza91. L’identità del cristiano risulta così composta sia dall’e-

lemento ontologico-sacramentale della rigenerazione come figlio di Dio, sia dalla partecipazione ecclesiale al popolo di Dio, che si attuano contemporaneamente e inscindibilmente con la recezione del sacramento.

La condizione del fedele, con le posizioni giuridiche soggettive ad essa correla- te, si fonda pertanto su entrambe le dimensioni, quella ontologico-sacramentale e quella comunitaria, in entrambe con effetto costitutivo, dal momento che questa identità non si possiede per nascita ma solo a seguito del battesimo e in virtù della partecipazione alla comunione ecclesiale. Di conseguenza, le situazioni giu- ridiche soggettive ricomprese nello statuto giuridico dei fedeli sono enunciate, secondo la concezione realistica del diritto propria della tradizione canonica92,

come la traduzione in forma giuridica della posizione costitutiva dei membri del popolo di Dio e sono pertanto contrassegnate, al pari di quella, da una intrinseca dimensione comunitaria, nel senso che non preesistono alla rigenerazione batte- simale e non possono avere, nell’oggetto o nelle modalità di esercizio, contenuti Canonicum», 2007, 94, pp. 441-463; Carlos J. Errázuriz M., Corso fondamentale sul diritto nella Chiesa, I, Introduzione . I soggetti ecclesiali di diritto, Milano, Giuffré, 2009, pp. 205-226; M. Del Pozzo, Lo statuto giuridico fondamentale del fedele, cit., pp. 179-212.

91 Cann. 204 e 849 CIC.

92 Sulla concezione realista del diritto come res iusta, traduzione giuridica di una regola

intrinseca di giustizia, si vedano gli approfondimenti in Javier Hervada, Introduzione critica al diritto naturale, Milano, Giuffré, 1990; Carlos J. Errázuriz M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa . Per una teoria fondamentale del diritto canonico, Milano, Giuffré, 2000, pp. 93-268.

contrari alla comunione ecclesiale. Il nesso di reciproca inerenza tra l’individuo e la comunità risulta anche espresso formalmente dai codici, tanto nell’uso dell’en- diadi diritto-dovere93, quanto nella preminenza accordata, tra le situazioni giuri-

diche riconosciute come proprie dei fedeli, al dovere fondamentale di conservare sempre la comunione con la Chiesa94.

Questa matrice comunitaria contraddistingue la dottrina alla base della for- malizzazione di uno statuto giuridico comune dei membri del popolo di Dio, rispetto alla impostazione più individualistica della teoria moderna dei diritti fondamentali della persona umana. La concezione realistica dei diritti nell’ordi- namento ecclesiale risulta in effetti più vicina e coerente al sistema giuridico clas- sico, consolidato in epoca medioevale e condiviso dall’utrumque ius, nel quale i diritti individuali erano configurati come una specificazione a livello personale dell’ordine oggettivo precostituito che regolava organicamente i rapporti sociali e determinava anche, di conseguenza, la posizione di ciascuno all’interno del grup- po o ceto di appartenenza95. Se la successiva teorizzazione dei diritti della persona

negli ordinamenti secolari ha condotto a concepire le pretese soggettive come un potere di scelta individuale, nell’ordinamento canonico, invece, non è mai venuta meno la concezione organica della posizione del singolo all’interno della comunità, nel senso che i diritti riconosciuti a ciascuno sono definiti e circoscritti dai nessi intrinseci ai rapporti dei fedeli tra di loro e con l’intera collettività, per cui il bene individuale oggetto delle pretese giuridiche soggettive non è mai di- sgiungibile dal bene comune96.

93 Recita infatti la rubrica del titolo: De omnium christifidelium obligationibus et iuribus

(libro II, parte I, titolo I CIC); De christifidelibus eorumqueomnium iuribus et obligationibus (titolo I CCEO). La correlazione intrinseca tra il diritto e il dovere è comprensibile nel qua- dro della corresponsabilità che unisce coloro che partecipano alla comunione ecclesiale, per cui l’esercizio del diritto è doveroso nella misura in cui sia necessario per attuare pienamente la vita e la missione della Chiesa, e nello svolgimento dei diritti è necessario osservare i doveri correlati in ordine ai diritti-doveri degli altri e al bene comune.

94 Difatti, il can. 209, § 1CIC è posto prima e all’inizio del catalogo dei diritti-doveri dei

fedeli.

95 Brian Tierney, L’idea dei diritti naturali . Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico

(1150-1625), Bologna, il Mulino, 2002; Abel Carmelo Andrade Ortiz, Derecho subjetivo, in Diccionario General de Derecho Canónico, III, pp. 189-195; Thierry Sol, La notion de ius en droit sacramentaire chez Gratien et les Décrétistes, in «Ius ecclesiae», 2015, 27, pp. 375-394.

96 Sul rapporto tra bene individuale e bene comune nella concezione dei diritti soggettivi

nell’ordinamento canonico, si vedano Juan Ignacio Arrieta, Diritto soggettivo, II, Diritto canonico, in «Enciclopedia giuridica», 1989, 11; Gaetano Lo Castro, ‘Pubblico’ e ‘privato’ nel diritto canonico, Diritto ‘per valori’ e ordinamento costituzionale canonico, a cura di Rinaldo Bertolino, Sandro Gher- ro, Gaetano Lo Castro, Torino, Giappichelli, 1996, pp. 119-149; Ilaria Zuanazzi, Praesis ut prosis . La funzione amministrativa nella diakonía della Chiesa, Napoli, Jovene, 2005, pp. 343-353.

Questa connessione intrinseca tra dimensione individuale e dimensione co- munitaria nella configurazione dei diritti dei fedeli può aiutare a comprendere il rapporto tra diritti umani e diritti ecclesiali contenuti nello statuto giuridico comune97. Si nota, infatti, come in questo elenco alcune delle situazioni giuridi-

che fondamentali riguardano beni propri della vocazione cristiana e della missio- ne ecclesiale98, altre, invece, riguardano beni fondamentali della persona umana

come tale, anche non appartenente alla comunità ecclesiale99. In proposito oc-

corre osservare come il rapporto tra lo stato naturale della persona, fondato sulla creazione, e lo stato soprannaturale di fedele, proveniente dalla redenzione per opera della grazia divina, non sia di contrapposizione né di reciproca esclusione, bensì di continuità e di compimento100. Nel cristiano pertanto convivono en-

trambe le dimensioni, dato che la dignità naturale è il presupposto della dignità soprannaturale, e la rigenerazione battesimale non annulla la condizione umana, ma piuttosto la sublima, riportandola alla purezza originaria ed elevandola alla condizione di figlio di Dio.

I diritti propri del fedele risultano pertanto avere un duplice fondamento, naturale e soprannaturale: la nascita come persona umana e la rinascita in Cristo. Ma l’essere inseriti nella nuova dimensione della comunione ecclesiale fa acquisire ai diritti, quale che sia il loro oggetto, tanto se sia un bene propria- mente ecclesiale, quanto se sia un bene comune a tutti gli esseri umani, una rinnovata struttura comunitaria101. Pure i diritti dei fedeli che hanno come

contenuto interessi essenziali inerenti alla natura umana, infatti, nella misura in cui sono propri del fedele e sono inseriti nel quadro dello statuto giuridico comune, assumono un valore e un significato ulteriori rispetto ai diritti umani come tali, che sono da ricondurre proprio all’acquisizione di una nuova logica di comunione.

97 Questione sollevata nel corso dei lavori di stesura del codice latino: Piero Bellini, Di-

ritti fondamentali dell’uomo diritti fondamentali del cristiano, in «Ephemerides iuris canonici», 1978, 34, pp. 211-246; Giuseppe Dalla Torre, Diritti dell’uomo o diritti del cristiano?, in I di- ritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella società, a cura di Eugenio Corecco, Niklas Herzog, Angelo Scola, Milano, Giuffré, 1981, pp. 125-138.

98 Come il diritto di ricevere i beni spirituali (can. 213 CIC) o il diritto di intraprendere

iniziative apostoliche (can. 216 CIC).

99 Come il diritto alla scelta dello stato di vita (can. 219 CIC), il diritto alla tutela della

buona fama e dell’intimità personale (can. 220 CIC) e il diritto di difesa nelle procedure giudiziarie (can. 221, §§ 1-2 CIC).

100 «Cum enim gratia non tollat naturam, sed perficiat» (Tommaso d’Aquino, Summa

Theologiae, I, qu. 1, a. 8, ad 2).

101 Jean-Pierre Schouppe, Le concept de liberté: clé pour une herméneutique des droits et des

Appare quindi come una conclusione necessaria sottolineare che pure e so- prattutto i diritti di libertà dei fedeli siano da ricomprendere nell’ambito di que- sto sistema comunitario. Quantunque a seguito della riflessione del Concilio ecumenico vaticano II sia stata superata la concezione stratificata per status della composizione del popolo di Dio e sia stato affermato il principio di uguaglianza radicale nella condizione di base comune a tutti i fedeli, resta nondimeno a scan- dire e tutelare la posizione dei singoli individui il principio di varietà funzionale, che riconosce diversità di diritti e di doveri in base ai carismi, alle vocazioni e al ruolo propri di ciascuno. Appunto il principio di varietà, inteso in senso ampio, risulta il fondamento per riconoscere in capo ad ogni fedele una sfera di legittima autonomia, per poter esprimere la propria irriducibile originalità. Il catalogo dei diritti e doveri comuni riporta un ampio elenco di queste potenziali posizioni di libertà102, che vengono poi precisate e integrate con le ulteriori disposizioni previ-

ste per ciascuna categoria dei componenti il popolo di Dio, vale a dire per i laici, i chierici o i fedeli di vita consacrata.

Tutte queste posizioni giuridiche soggettive, peraltro, sono intrinsecamente circoscritte, nell’oggetto e nelle modalità di esercizio, dalla necessità di osservare i doveri connessi al rispetto dei vincoli di comunione, che prescrivono di tenere conto «del bene comune della Chiesa, dei diritti altrui e dei propri doveri nei confronti degli altri»103. Le attenzioni richieste come doverose per l’attuazione

dei diritti non sono dei limiti esterni alla posizione giuridica individuale, ma risultano le condizioni essenziali, in forza della responsabilità condivisa in ordine al patrimonio comune di salvezza, per la stessa configurabilità della situazione giuridica soggettiva. Così, tutte le fattispecie giuridiche comprese nello statuto comune dei fedeli, in rapporto alla materia specifica, precisano espressamente o presuppongono implicitamente i requisiti e le condizioni che si esigono per riconoscere i rispettivi diritti nella misura in cui siano conformi ai doveri verso la comunità ecclesiale.

Per quanto concerne la libertà religiosa, si possono ricordare i limiti che cir- coscrivono il legittimo esercizio del diritto di manifestare la propria opinione nella Chiesa. La fattispecie viene inserita nel canone che disciplina i rapporti tra fedeli e gerarchia, dopo il paragrafo che sancisce il dovere di ‘cristiana obbe-

102 Can. 214 CIC: diritto a scegliere un proprio metodo di vita spirituale; can. 219 CIC:

diritto a scegliere il proprio stato di vita; can. 215 CIC: diritto a fondare e a dirigere associa- zioni e a tenere riunioni; can. 212, § 3 CIC: diritto a manifestare il proprio pensiero ai Pastori e a renderlo noto agli altri fedeli; can. 216 CIC: diritto a promuovere e a sostenere attività apostoliche.

dienza’ verso le pronunce delle autorità ecclesiastiche104. L’espressione qualifica il

carattere del dovere di rispetto dei fedeli, che non è un ossequio passivo, ma viene assunto consapevolmente dalla coscienza, persuasa della responsabilità verso Dio e verso la comunità di conservare l’unità nella fede e nei rapporti di comunione. Tale responsabilità coinvolge anche l’obiettivo di perfezionamento spirituale del fedele, nella misura in cui la ‘vita santa’ non è un cammino solo individuale, ma è diretto a promuovere la santificazione di tutta la Chiesa105.

Il richiamo alla responsabilità è implicito anche nel paragrafo che riconosce ai fedeli il diritto di esprimere alle autorità e agli altri fedeli il proprio pensiero, in rapporto alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono: si tratta quindi di una cooperazione propositiva, che presuppone una formazione e cono- scenza adeguate all’oggetto dell’esternazione e che è diretta a promuovere il bene della Chiesa106. Condizioni essenziali risultano pertanto la custodia dell’integrità

della fede e dei costumi, il rispetto verso i Pastori, la considerazione dell’utilità comune e della dignità delle persone. Le stesse condizioni sono richiamate e precisate nel contesto specifico dello studio e della ricerca nelle scienze sacre107,

dove si afferma che i fedeli godono di libertà nella misura in cui sia ‘giusta’, ossia rispettosa dei doveri connessi ai vincoli di comunione, in particolare all’ossequio dovuto all’insegnamento del magistero, secondo l’adesione graduata richiesta dal diverso valore delle pronunce108. Nella manifestazione dei risultati della ricerca,

inoltre, si sottolinea la necessità di osservare la virtù cristiana della prudenza, che richiede di rendere pubbliche le proprie opinioni solo se sono considerate fondate sulla verità, di non presentare come un dato irrefutabile pareri solo personali, di essere cauti nel divulgare posizioni che possono essere male interpretate e provo- care scandalo o altre conseguenze negative nella comunità109.

Doveri ancora più stringenti di conformità ai presupposti essenziali della co- munione sono stabiliti per coloro che, a vario titolo, sono deputati a svolgere

104 Can. 212, §§ 1 e 3 CIC. I canoni sono ripresi dal testo di Lumen gentium, n. 37. 105 Can. 210 CIC.

106 Jean-Pierre Schouppe, Opinion dans l’Église et recherche théologique: deux libertés fonda-

mentales à l’examen (cc . 212 et 218), in «Fidelium iura», 1995, 5, pp. 85-116; Id., Opinión (derecho de), in Diccionario generl de derecho canónico, V, pp. 715-718.

107 Can. 218 CIC.

108 Giuseppe Comotti, Il can . 218 e la ricerca teologica: «iusta libertas» e «debitum obse-

quium», in Diritto per valori e ordinamento costituzionale della Chiesa, a cura di Rinaldo Bertolino, Sandro Gherro, Gaetano Lo Castro, Torino, Giappichelli, 1996, pp. 231-249; Id., Libertad de investigación, in Diccionario generl de derecho canónico, V, pp. 144-147.

109 La prevalenza del dovere di aderire alla verità porta a non giustificare il diritto al dis-

senso, inteso come opposizione pubblica al magistero che implica irriverenza nei confronti dell’autorità e produce turbamento nel popolo di Dio (Donum veritatis, nn. 36-37).

compiti specifici nell’ambito di funzioni che sono rilevanti ai fini del bene e della missione della Chiesa, quali l’educazione110, l’insegnamento111 o, in generale, po-

sizioni o incarichi pubblici112. Peraltro, nel momento in cui si riceve un mandato

della gerarchia per svolgere determinate attribuzioni in nome della Chiesa, non si opera più nella sfera della legittima autonomia dei fedeli, ma nel diverso contesto dell’organizzazione istituzionale, venendo così ad assumere la responsabilità ulte- riore di adempiere ai doveri funzionali connessi al proprio ruolo, che concernono non solo la correttezza nell’esercizio delle competenze, ma anche, per la posizione pubblica rivestita, l’esemplarità nella vita cristiana113.

3 .2 . La nozione di libertà nel sistema ecclesiale

La condizione del cristiano come condizione di libertà si trova affermata dal Concilio ecumenico vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen gentium, dove si dichiara che i cristiani hanno «per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio»114. L’espressione richiama la tradizione ecclesiale risalente che ha sem-

pre inteso la lex gratiae come lex libertatis115. Nondimeno, in conformità con lo

110 Il padre e la madre cattolici sono tenuti al diritto-dovere di fornire ai figli un’educazio-

ne cattolica (cann. 226, § 2; 793, § 1; 1136 CIC). Questa responsabilità viene tuttora sanzio- nata in sede penale con la previsione di una pena indeterminata e obbligatoria nei confronti dei genitori che battezzano o educano la prole in una religione acattolica (can. 1366 CIC). Sul tema si veda Ilaria Zuanazzi, L’ordinatio ad educationem prolis del matrimonio canonico, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 185-208.

111 Per insegnare le scienze sacre negli istituti dipendenti dall’organizzazione gerarchica è

necessario riceve un mandato, che viene conferito alle persone ritenute idonee sia per com- petenza, sia per coerenza alla dottrina del magistero, sia per la testimonianza di vita cristiana (can. 229, § 3). Sul tema si veda José Antonio Araña, Libertad de enseñanza, in Diccionario generl de derecho canónico, V, pp. 138-143.

112 Per essere promossi ad un ufficio ecclesiastico, oltre a possedere l’idoneità richiesta per

le specifiche competenze, si richiede di essere nella comunione della Chiesa (can. 149, § 1 CIC). Inoltre, si prescrive l’obbligo di emettere la professione di fede per coloro che parte- cipano a determinate celebrazioni, o assumono certi incarichi o funzioni (can. 833 CIC). In più, per rivestire alcune posizioni o uffici è necessario anche prestare giuramento di fedeltà (can. 833, nn. 5-8 CIC).

113 Il Regolamento generale della Curia romana (30 aprile 1999) prescrive per i dipendenti

degli organismi della Curia romana il dovere di svolgere il proprio lavoro con diligenza, esattezza, senso di responsabilità e spirito di piena collaborazione (art. 32) e inoltre richiede di tenere una esemplare condotta religiosa o morale, anche nella vita privata e familiare, in conformità alla dottrina della Chiesa (art. 33).

114 Lumen gentium, n. 9. P.A. Bonnet, Habet pro conditione dignitatem libertatemque filio-

rum Dei, in Il diritto ecclesiastico, cit., pp. 556-620; Javier Hervada, La dignidad y libertad de los hijos de Dios, in Vetera et nova, pp. 745-760.

spirito del messaggio evangelico, la libertà del credente non è separabile dalla responsabilità verso la verità testimoniata dal Cristo, perché è lo svelamento del mistero dell’amore di Dio che rende possibile alla persona umana, assunta con la redenzione alla purezza originaria, di essere veramente libera di perfezionarsi a immagine di Dio116.

Risulta quindi evidente la diversa impostazione della concezione della libertà nella Chiesa rispetto alla teoria dei diritti di libertà elaborata nell’ambito degli ordinamenti secolari117. L’autentica novità della dottrina moderna, infatti, non

consiste tanto nell’aver riconosciuto spazi di legittima autonomia protetti dalle ingerenze dei poteri pubblici, dal momento che anche il sistema medioevale pre- vedeva e proteggeva i diritti e i privilegi individuali; ciò che cambia è il valore soggettivo attribuito a questa autonomia, come conseguenza dell’aver sottoline- ato il primato dell’individuo e la sua capacità di scegliere come perseguire il proprio interesse, senza essere costretto o condizionato da un ordine oggettivo precostituito118.

Per contro, come si è visto, la libertà del cristiano è centrata sul piano di salvezza divino, è una libertà ordinata intrinsecamente a perseguire la meta del perfezionamento spirituale nella sequela del progetto d’amore divino119. Una li-

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