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E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

5. Le reazioni giuridiche agli atti illeciti di esercizio della libertà religiosa

L’esercizio del diritto di libertà religiosa può risultare illecito, ossia contrario al diritto, qualora risulti in contrasto con le disposizioni vincolanti date dalle au- torità ecclesiastiche (in necessariis). Nelle questioni opinabili (in dubiis), invece, o nelle materie in cui si riconosce una legittima sfera di autonomia, i fedeli sono liberi di assumere posizioni o iniziative conformi alla propria coscienza, fatti salvi sia il dovere generale di conservare sempre la comunione, sia gli altri doveri connessi al rispetto delle giuste modalità di espressione per salvaguardare il bene comune e il bene degli altri fedeli.

Gli atti illeciti sono oggetto di regolamentazione giuridica quando risultano manifestati con parole o altre condotte esteriori, quantunque possano rimanere confinati nell’ambito personale e non essere conosciuti o dimostrabili sul piano dei rapporti sociali. Gli atteggiamenti puramente interiori, per contro, riguarda- no l’ordine morale dei rapporti della persona con Dio e pur potendo acquisire una rilevanza giuridica indiretta, nella misura in cui vadano a incidere sullo stato di grazia del fedele che viene richiesto come condizione per l’esercizio di determi- nati diritti135, non sono sanzionati direttamente dalle norme giuridiche. Agli atti

illeciti espressi, invece, l’ordinamento canonico riconduce diverse conseguenze giuridiche a seconda dell’oggetto, cioè del valore del bene ecclesiale compromes- so, e della gravità della condotta, sia dal punto di vista soggettivo, ossia della consapevolezza e volontarietà di compiere un atto antigiuridico136, sia dal punto

di vista materiale, ossia degli effetti prodotti dal comportamento illecito sulla comunione ecclesiale.

Le situazioni possono essere quindi molto diversificate. Si può riscontrare an- zitutto la situazione di chi abbandona la comunità e l’istituzione ecclesiale per mera disaffezione e viene così a violare materialmente, quantunque non intenzio- nalmente, il dovere generale di conservare sempre la comunione. Diversamente, altri possono volersi separare perché contestano i contenuti essenziali di apparte- nenza alla Chiesa, ponendosi al di fuori della comunione e rendendosi anche col- pevoli di delitti contro l’unità della Chiesa. Altri ancora possono rifiutare alcune delle verità presupposte dal deposito della fede o disobbedire ad altre disposizioni vincolanti, senza voler uscire dalla comunione ecclesiale, ma commettendo co-

135 Si veda, ad esempio, la restrizione alla celebrazione della messa e alla comunione euca-

ristica per chi è consapevole di essere in peccato grave (can. 916 CIC).

136 Sotto il profilo soggettivo, costituisce il presupposto di validità dell’atto la capacità

di agire della persona, che richiede di aver raggiunto l’età minima per possedere un uso di ragione adeguato all’oggetto dell’atto: il can. 11 CIC fissa in generale il termine a sette anni, ma età diverse possono essere previste in relazione ad altri atti: per i delitti sono fissati 16 anni (can. 1323, 1°); inoltre, occorre la capacità effettiva di saper usare nel caso concreto le funzioni razionali dell’intendere e del volere (can. 124, § 1 CIC). Condizioni ulteriori per la validità dell’atto sono l’assenza di violenza irresistibile ab extrinseco (can. 125, § 1 CIC) e l’assenza di ignoranza o di errore circa gli elementi essenziali dell’atto (can. 126 CIC). Nella fattispecie dell’atto illecito (can. 128 CIC), per aversi l’imputabilità degli effetti dell’atto, occorre l’imputabilità a titolo di dolo, ossia la cosciente e deliberata vo- lontà di commettere l’atto lesivo, oppure a titolo di colpa, ossia la cosciente e deliberata omissione della diligenza dovuta per evitare l’evento lesivo che l’agente non solo poteva prevedere ma poteva anche evitare (can. 1321, §§1-2 CIC). Per le fattispecie delittuose, si richiede che l’imputabilità sia grave (can. 1321, § 1 CIC), ossia a titolo di dolo o di colpa grave.

munque un delitto di opposizione alla dottrina della Chiesa. Altri infine possono violare altri doveri specifici connessi alla dimensione di comunione, non protetti da alcuna norma penale, senza allontanarsi dalla comunione e senza commettere alcun delitto.

Al fine di analizzare la coerenza e la compatibilità della reazione dell’ordina- mento con il rispetto nei riguardi della libertà della coscienza, sempre dovuto anche nei confronti di chi compia un atto illecito, può essere conveniente di- stinguere tra la situazione di chi, pur agendo in vario modo contro l’ortodossia o l’ortoprassi, intenda comunque restare nella comunione ecclesiale, e quella, per contro, di chi voglia abbandonare la Chiesa. L’utilità di una simile distin- zione emerge dalla considerazione che per valutare il valore dell’obbedienza o della disobbedienza alle disposizioni delle autorità ecclesiastiche in ordine alla conservazione della comunione non basta considerare la mera condotta oggettiva dei fedeli, ossia se esprimano opinioni o adottino comportamenti più o meno corretti, ma bisogna tenere conto anche delle loro disposizioni soggetti- ve, vale a dire se si riconoscano nella comunità ecclesiale e vogliano continuare a restare nella piena comunione con la Chiesa, oppure se non abbiano più alcun interesse a rimanere e rifiutino di sottostare ai vincoli di comunione. La diversità delle situazioni incide non solo, com’è ovvio, sulla misurazione della gravità della condotta, in quanto è diversa la responsabilità di chi viola alcuni doveri ma riconosce l’importanza dell’essere incorporati a Cristo, rispetto a chi nega il valore stesso di appartenere alla Chiesa, ma anche per vagliare l’effica- cia della sanzione prevista dall’ordinamento. Tanto sotto il profilo oggettivo di ripristinare l’ordine violato, quanto sotto il profilo soggettivo di indurre la persona a correggere gli errori, la riuscita degli obiettivi potrà essere diversa a seconda che il fedele intenda continuare a restare nella comunione ecclesiale e quindi sia propenso quanto meno a rivedere la propria posizione, oppure, al contrario, non voglia avere più niente a che fare con la Chiesa e dunque non sia disponibile ad ascoltare alcun tipo di riprensione.

5 .1 . Verso chi vuole restare nella comunione ecclesiale

Secondo la predetta bipartizione, si può passare a considerare la prima situazione, che è quella del fedele che voglia continuare a partecipare alla vita e alla missione della Chiesa, anche se esprime opinioni o adotta comportamenti contrari all’in- terezza o ad alcune verità del deposito della fede o dei vincoli della comunione ecclesiale. In base alla materia e alla gravità delle contestazioni l’ordinamento canonico prevede diverse sanzioni.

Se l’esercizio della libertà religiosa configura una delle fattispecie dei delitti di eresia, apostasia o scisma, che comportano il rifiuto di uno dei vincoli necessari

per restare nella piena comunione137, questa condotta materiale compromette già

in se stessa la permanenza dei presupposti di appartenenza alla Chiesa, quindi si ritiene che equivalga a una auto-esclusione del fedele dalla comunità138, anche

se formalmente possa non incorrere automaticamente nella scomunica, qualora manchino nel caso concreto le condizioni per l’applicazione della sanzione139.

Data la gravità degli effetti, l’eventuale resipiscenza dell’autore del delitto, il re- cesso dalla contumacia e la remissione della censura, possono non essere suffi- cienti a riammettere il fedele in seno alla Chiesa, per cui si ritiene che occorra celebrare un apposito rito di riammissione nella Chiesa140.

Altri atti illeciti che sono posti in contraddizione con la comunione, senza però escludere i vincoli di unità della compagine visibile della Chiesa, non risul- tano così gravi da incidere sul legame di appartenenza ecclesiale, ma determina- no la restrizione nell’esercizio di determinati diritti dei fedeli141. Così, nell’ipotesi

in cui l’esercizio della libertà religiosa conduca il fedele a compiere atti di nega- zione della dottrina del magistero supremo o di disobbedienza delle disposizioni

137 Oltre alla scomunica latae sententiae, per gli eretici apostati e scismatici sono previ-

ste ulteriori conseguenze sanzionatorie: l’irregolarità a ricevere gli ordini sacri (can. 1041, 2° CIC) e, se il comportamento è notorio, la privazione delle esequie ecclesiastiche (can. 1184, § 1, 1° CIC). Se l’autore del delitto è un chierico si stabilisce anche l’irregolarità a esercitare gli ordini ricevuti, se il delitto è pubblico (can. 1044, § 1, 2° CIC), e la possibilità di irrogare in aggiunta altre pene espiatorie ferendae sententiae, tra cui anche la dimissione dallo stato clericale (can. 1364, §§ 1-2).

138 R. Coronelli, Appartenenza alla Chiesa e abbandono, cit., pp. 27-28; M. Mosconi, L’ab-

bandono pubblico o notorio della Chiesa e in particolare l’abbandono con atto formale, cit., p. 39.

139 Sotto il profilo oggettivo, per considerarsi effettivamente compiuto il delitto che con-

siste in una dichiarazione o in un’altra manifestazione di volontà, di dottrina o di scienza, si richiede che l’atto sia percepito da qualcuno (can. 1330 CIC). Sotto il profilo soggettivo, poi, si richiede l’imputabilità grave a titolo di dolo (can. 1321, §§ 1-2 CIC). L’inavvertenza o l’ignoranza incolpevole circa la violazione della norma possono escludere la punibilità (can. 1323, § 1, 2° CIC) o attenuarla se il difetto di conoscenza concerne la sola sanzione penale (can. 1324, § 1, 9° CIC). Infine, Per l’irrogazione della scomunica latae sententiae bisogna che nel caso concreto non ricorrano circostanze che escludano (can. 1323 CIC) o attenuino la punibilità dell’atto (can. 1324, § 3 CIC).

140 Gianluca Marchetti, La riammissione alla Chiesa cattolica di coloro che hanno abbando-

nato la piena comunione, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 2007, 20, pp. 82-104.

141 A norma del can. 96 CIC, si possono prevedere diverse situazioni che possono restrin-

gere i diritti e i doveri dei fedeli che pure permangono nella piena comunione della Chiesa (ai sensi del can. 205 CIC): l’irrogazione di una sanzione penale, la comminazione di una sanzione disciplinare non penale, la mancanza dello stato di grazia (ad es. can. 916 CIC), la situazione di vita che oggettivamente contrasta con la dottrina e la pratica di vita cristiane (come nel can. 915 CIC, l’essere in peccato grave manifesto contrasta con il valore della co- munione eucaristica).

vincolanti di governo, possono essere inflitte alcune sanzioni penali142. Si tratta

di misure restrittive che privano della capacità di conservare o acquisire determi- nate situazioni giuridiche soggettive, o impongono certi comportamenti143, con

il duplice scopo di salvaguardare l’autenticità e l’integrità del patrimonio di sal- vezza tanto nei riguardi della comunità, quanto nei confronti dell’autore dell’at- to illecito. A tutela della comunità, si vuole impedire a chi sostiene e diffonde opinioni discordanti dal depositum fidei definito dal magistero di continuare a divulgarle o di rivestire incarichi pubblici di insegnamento delle scienze sacre o di governo, così da evitare che confondano gli altri fedeli o suscitino scandalo nella collettività. Per promuovere poi il bene spirituale anche dell’autore dell’il- lecito, la reprimenda è un monito per indurlo a ripensare le proprie convinzioni, a comprendere gli errori nel confronto con l’autentica dottrina e a correggere la propria condotta.

Una funzione invece più propriamente diretta a salvaguardare la correttezza delle mansioni pubbliche hanno le sanzioni disciplinari che possono essere di- sposte dai superiori gerarchici nei confronti di chi rivesta un incarico o un ufficio ecclesiale, qualora abbia violato i doveri specifici del proprio ruolo144.

In aggiunta alle fattispecie sopra esposte, i codici prevedono due figure di abbandono della fede o di distacco dalla comunione che vengono formulate in modo generico, così da comprendere situazioni molteplici e indeterminate, che possono includere le condotte materiali dei precedenti illeciti, ma che si esten- dono anche ad altre diverse tipologie di comportamenti. Il presupposto comune è che si tratti di atti che manifestino la volontà di rifiutare elementi essenziali e vincolanti del deposito della fede o di opporsi in vario modo ai vincoli fonda- mentali della comunione ecclesiale. Non rientrano in queste situazioni, invece, i meri comportamenti di fatto che pur risultando incoerenti con la dottrina e la

142 Per i delitti di disobbedienza alla dottrina del magistero supremo, tanto quello defi-

nitivo in materia de fide tenenda, sia quello autentico (can. 1371, 1° CIC; can. 1436, § 2), e ai comandi legittimi dell’autorità di governo (can. 1371, 2° CIC) viene prevista una pena obbli- gatoria ma indeterminata. Spetta al giudice valutare la sanzione da applicare, commisurando- la alla gravità della condotta, nel rispetto tuttavia dei limiti stabiliti dal can. 1349 CIC, per cui non possono essere inflitte pene perpetue, né pene troppo gravi, soprattutto censure, a meno che non lo richieda assolutamente la gravità del caso. Di regola, quindi, vengono applicate pene espiatorie temporanee (can. 1336, § 1 CIC).

143 Nelle sanzioni espiatorie (can. 1336, § 1 CIC) si comprendono la privazione o la proi-

bizione di esercitare una funzione, un incarico, un diritto o una facoltà; la proibizione o l’ingiunzione di dimorare in determinato luogo; il trasferimento penale ad altro ufficio.

144 Tra le sanzioni disciplinari i codici prevedono il trasferimento (can. 190 CIC) o la

pratica di vita cristiana145, non implicano alcuna intenzione di voler contrasta-

re i presupposti di appartenenza della Chiesa, ma sono posti per superficialità, ignoranza o inavvertenza, senza rendersi conto della gravità delle implicazioni di simili condotte146.

Il requisito essenziale per attribuire rilevanza giuridica a tali condotte è che abbiano carattere pubblico o notorio. Nel primo caso, occorre che siano cono- sciute nella comunità o poste in modo tale da poter essere conosciute; nel secondo caso, bisogna che oltre ad essere pubbliche siano divulgate, cosicché non ci siano dubbi in merito alla loro sussistenza147. L’accertamento diffuso di queste condotte

contrastanti con la comunione ecclesiale pone i fedeli in una condizione di irre- golarità che, per ragioni di coerenza, li rende inabili a tenere certe posizioni ec- clesialmente significative148 o a svolgere determinate funzioni pubbliche149 ovvero

restringe l’esercizio di alcuni diritti connessi al patrimonio comune di salvezza150.

Le reazioni dell’ordinamento canonico verso coloro che pretendono di con- tinuare a partecipare alla comunione ecclesiale pur contravvenendo, in modo più o meno grave, i presupposti e le condizioni della piena comunione, risulta giustificata alla luce del diritto dovere della Chiesa di conservare l’autenticità e 145 Per esempio, il mancato rispetto dei doveri di partecipazione ai sacramenti: il dovere

della comunione pasquale (can. 920 CIC), il dovere della confessione annuale dei peccati gravi (can. 989) e l’obbligo correlato di partecipare alla messa domenicale (can. 1247 CIC).

146 Abbastanza diffusa è l’ipotesi di una adesione sincretica a movimenti religiosi o prati-

che spirituali che sottendono visioni anticristiane.

147 Diversamente dal carattere pubblico, che riguarda la modalità di espressione del fatto

sul piano dei rapporti sociali esterni al soggetto, la notorietà attiene al grado di conoscenza del fatto per le peculiari circostanze in cui si è svolto (adiuncta personarum vel rerum), che consentono alla popolazione circostante sia di conoscerlo, sia di non avere dubbi su quanto è accaduto. In questo senso, infatti, il codice piano benedettino distingueva tra il delictum publicum e il delictum notorium: mentre il pubblico è il delitto già divulgato o che si può facil- mente divulgare, il notorio notorietate facti è il delitto «publice notum...et in talibus adiunctis commissum, ut nulla tergiversatione celari» (can. 2197, 3° CIC17). Il fatto notorio, quindi, è il fatto non solo pubblico ma pure evidente, vale a dire il fatto che appare chiaramente nella situazione e nella dinamica in cui si è svolto, e che, in più, essendo conosciuto dalla comuni- tà, può essere accertato nella sua esistenza e consistenza. Sul tema si veda Raúl Madrid, Caso notorio, in Diccionario general de derecho canónico, I, pp. 897-899.

148 Non possono essere validamente accolti nelle associazioni pubbliche (can. 316, § 1

CIC; can. 580 CCEO) e se ne fanno già parte devono essere dimessi (§ 2); i religiosi sono dimessi ipso facto dall’istituto religioso (can. 694, § 1, 1°; can. 497, § 1, 1° CCEO).

149 Sono inabili a esercitare il diritto di voto (can. 171, § 1, 4° CIC; can. 953, § 1, 3° CCEO);

sono rimossi ipso iure dall’ufficio ecclesiastico (can. 194, § 1, 2° CIC; can. 976, § 1, 2° CCEO).

150 Occorre la licenza dell’ordinario per assistere al matrimonio (1071, § 1, 4° CIC;

l’integrità della parola di Dio, nell’interesse non solo dell’istituzione, ma pure degli altri fedeli che hanno anche loro il diritto dovere di custodire il patrimonio di fede151. Dal punto di vista, tuttavia, del rispetto della libertà di coscienza pos-

sono riscontrarsi alcune criticità in ordine al ricorso a strumenti afflittivi come la proibizione di celebrare sacramenti o sacramentali e di ricevere sacramenti, prevista nell’ambito degli effetti della scomunica152. Nonostante la funzione me-

dicinale di sollecitare l’emenda dell’autore del delitto, è indubbio che la pena abbia effetti costrittivi, in quanto priva il fedele della capacità di partecipare ad alcuni beni spirituali e mezzi di grazia compresi nel patrimonio di salvezza della Chiesa. L’uso di simili misure restrittive, retaggio di una passata impostazione integralistica, può non risultare davvero giustificato, come extrema ratio ossia come unica misura necessaria153, nei riguardi degli atti di manifestazione di posi-

zioni dissenzienti154. Ma, soprattutto, la reazione dell’autorità ecclesiastica ispirata

principalmente al principio retributivo, di rispondere al male con la privazione di un bene, non appare coerente con il modello evangelico dell’atteggiamento mite e misericordioso di Gesù Cristo che anche nei confronti di chi assume posizioni 151 «Le azioni dei fedeli che ledono o minacciano il pacifico godimento del bene della pa-

rola da parte dei fratelli nella fede, costituiscono vere ingiustizie, in quanto attaccano il loro diritto a vivere in ciò che potrebbe denominarsi, in tempi caratterizzati da tanta sensibilità ecologica, un ambiente ecclesiale sano» (Carlos J. Errázuriz M., Esiste un diritto di libertà religiosa del fedele all’interno della Chiesa?, cit., p. 82).

152 Can. 1331, § 1, 2° CIC. Si ritiene di poter tenere distinta la questione formale delle con-

seguenze giuridiche della pena con la questione sostanziale della effettiva abilitazione del fedele ad accedere ai mezzi di grazia. Quest’ultima dipende dal possesso delle necessarie disposizioni soggettive sotto il profilo della intenzione, della preparazione e dello stato di grazia. Le situazioni “irregolari” rispetto alla comunione ecclesiale possono apparire oggettivamente in contrasto con la debita condizione soggettiva, ma per valutare se siano realmente incompatibili con l’accesso ai mezzi i grazia occorre un “discernimento personale e pastorale” che nei singoli casi accerti le autentiche responsabilità circa il rispetto del disegno divino di salvezza (cfr. Francesco, esortazio- ne apostolica postsinodale Amoris letitia, 19 marzo 2016, n. 300). La disposizione soggettiva, in ultima analisi, non dipende dai riscontri oggettivi sul piano esterno, ma dal rapporto di coeren- za della coscienza con la comunione con Dio. Quale che sia l’esito del discernimento, peraltro, la preclusione a priori di partecipare ai beni spirituali della comunione ecclesiale imposta con la sanzione penale, con le conseguenze che ne derivano anche nell’ambito dei rapporti con la comunità, costituisce comunque un aggravio della posizione del fedele.

153 La sanzione penale, per la gravità degli effetti, deve essere impiegata nella Chiesa quan-

do non sia possibile ricorrere utilmente ad altri mezzi per raggiungere gli obiettivi di riparare lo scandalo, ristabilire la giustizia, emendare il reo (cann. 1317 e 1341 CIC).

154 Maggiormente giustificati, dal punto di vista della ratio tutelae, possono invece risul-

tare gli atri effetti della scomunica, che per proteggere l’autenticità e l’integrità della missione della Chiesa inibiscono all’autore del delitto di partecipare a funzioni pubbliche di esercizio sia della potestas ordinis sia della potestas iurisdictionis.

di contrasto o di rifiuto non impone la verità con la forza e promuove sempre il bene di ciascuno155. Al fine di reintegrare l’autore del delitto nella comunità pare

più efficace, anziché affliggerlo ed emarginarlo dalla vita spirituale, promuovere un processo virtuoso di conversione che lo conduca gradualmente a rivedere le sue posizioni e a ritornare pienamente in seno alla comunione156.

5 .2 . Verso chi vuole separarsi dalla Chiesa

La seconda situazione da considerare è quella di chi non solo esprime posizioni contrarie alla comunione ecclesiale, ma vuole separarsi dalla Chiesa, nel senso che non vuole più continuare a partecipare alla vita e alla missione della com- pagine visibile del corpo mistico di Cristo. La condizione è diversa da quelle esaminate nel paragrafo precedente, perché non solo si configura un distacco dai vincoli di appartenenza alla Chiesa, ma sotto il profilo soggettivo la persona non si riconosce più come membro del popolo di Dio e non vuole più avere alcun rapporto con la comunità ecclesiale157.

Parte della dottrina ritiene che la libertà religiosa del fedele non possa estendersi al punto di consentire al fedele di abbandonare la Chiesa, cosicché gli atti diretti a provocare la separazione non solo sarebbero illeciti, ma anche inefficaci, ossia inido- nei a provocare la rottura di tutti i legami con la comunità e l’istituzione ecclesiale, in quanto il battezzato cattolico resta sempre vincolato alla Chiesa e soggetto al suo ordinamento giuridico158. Le motivazioni espresse a sostegno di questa tesi sono mol-

teplici, ma possono essere ricondotte all’argomento principale che concerne gli effetti permanenti del sacramento del battesimo. La valida celebrazione del battesimo, in- fatti, produce la configurazione a Cristo e l’incorporazione nella Chiesa con effetto costitutivo permanente, in quanto ontologico, dal momento che eleva il fedele alla

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