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Le obiezioni di coscienza secundum legem nel diritto italiano: la crisi del paradigma nominalistico

IPOTESI DI OBIEZIONE DI COSCIENZA SINE LEGE

2. Le obiezioni di coscienza secundum legem nel diritto italiano: la crisi del paradigma nominalistico

L’ordinamento italiano ha sin qui modulato una legislazione piuttosto scarna in materia di obiezioni di coscienza, adottando un criterio nominalistico, tipico, nell’individuazione delle obiezioni riconosciute. Il paradigma dell’obiezione, in Italia, è stato (e, in parte, ancora è) quello della obiezione secundum legem, anche se il procedimento di adozione delle norme correlate è stato spesso tormentato, sin dalla fase redazionale e fino ai concreti risvolti applicativi giurisprudenziali. Sono quattro le ipotesi obiettorie espressamente sancite dal legislatore: l’obie- zione al servizio di leva (in ordine alla quale l’originaria regolamentazione era contenuta nella legge 15 dicembre 1972, n. 772), all’interruzione volontaria della gravidanza (legge 22 maggio 1978, n. 194), alla sperimentazione animale (legge 12 ottobre 1993, n. 413) e alla procreazione medicalmente assistita (legge 19 febbraio 2004, n. 40).

Si tratta di ipotesi obiettorie per le quali l’originaria disciplina normativa ha evidenziato nel corso dei decenni la propria precoce senescenza, senza riuscire a sopire un dibattito ampio, nella dottrina e nelle forze politiche, sulle condizioni per un superamento complessivo delle disposizioni richiamate. Fa in parte ec- cezione il caso della sperimentazione animale12, ma sembra una comprensibile

particolarità. Si tratta di un settore dell’ordinamento molto specifico e speciali- stico; la legislazione sul punto è, del resto, intervenuta in una fase della vita civile del Paese in cui la sensibilità per i temi ambientali e le sfide ecologiche aveva un certo seguito. Non può dimenticarsi, tra le ragioni che rendono giustificabile il più tenue dibattito pubblico e dottrinale in materia di obiezioni di coscienza alla sperimentazione animale, il fatto che quella legislazione abbia prodotto un contenzioso di modesta entità, poco incisivo per gli operatori forensi e non parti- colarmente problematico nella rilettura ermeneutica degli studiosi.

Fuori dal ristretto perimetro applicativo della legge 413, le altre ipotesi obiet- torie riconosciute dal diritto italiano hanno riscontrato fasi attuative particolar- 12 La tenuità dell’ipotesi potrebbe, ad esempio, essere ulteriormente giustificata dalla vali-

da occorrenza di alternative scientifiche ritenute generalmente del tutto fungibili, o pressoché equipollenti. Per tale via, Metodi alternativi alla sperimentazione animale, a cura di Maria Vittoria Ferroni, Carla Campanaro, Torino, Giappichelli, 2017.

mente travagliate, che hanno in parte snaturato l’originaria ratio delle norme che le prevedevano. La legge 772 ha, ad esempio, costituito a lungo il più paradigma- tico caso di obiezione di coscienza nel diritto italiano. Prima che venisse adottata una legislazione generale sul punto, il rifiuto di prestare il servizio militare inte- grava un’ipotesi di reato (la c.d. renitenza alla leva)13, quale che fosse la ragione

in forza della quale il “chiamato alle armi” avesse scelto di sottrarsi all’obbligo coscrizionale. Il legislatore, pur istituendo il servizio civile con modalità di rego- lamentazione che diedero luogo a motivate perplessità, si faceva carico di recepire una avvertita domanda sociale, capace di declinare finalmente la carica ideale di cui all’articolo 52 della Costituzione in una accezione non esclusivamente mili- taristica della difesa della patria14. La riflessione cattolica sulla non belligeranza e

sull’antimilitarismo, alla pari di vasti movimenti civili di orientamento pacifista, ebbe un peso specifico non irrilevante nel superare il vetusto regime sanzionato- rio in materia di renitenza alla leva15. L’obiezione di coscienza al servizio militare

ha, però, perso l’evidente significatività che la connotava, in ragione del comples- sivo cambiamento intervenuto nella legislazione sul reclutamento, a partire dalla legge 8 luglio 1998, n. 230 e fino alla legge 23 agosto 2004, n. 226: una transizio- ne piena dal metodo coscrizionale obbligatorio universale a forme particolari di reclutamento volontario-professionale. È, anzi, il caso di notare che nell’ultimo decennio sono emerse istanze di un ritorno ai previgenti regimi, non soltanto in Italia, probabilmente a cagione di un quadro internazionale contraddittorio e non del tutto pacificato. I diversi legislatori nazionali, tuttavia, hanno tenden- zialmente preferito non eliminare il diritto all’obiezione, ove lo avessero previsto. Si sono piuttosto orientati su forme brevi di reclutamento16, forse opinabilmente

capaci di rispondere alla percepita domanda di sicurezza in politica estera, senza però mettere a punto normative derogatorie delle raggiunte acquisizioni civili.

13 Ricostruisce i superati regimi punitivi dell’istituto Aljs Vignudelli, Diritto costituziona-

le, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 625-626.

14 Anche perché questa lettura evolutiva del sacro dovere di difesa della patria non sembra

tradire l’animus dei costituenti e l’elaborazione pubblicistica che ne precedette l’opera. Cfr. Alberto Castelli, Il pacifismo alla prova . Ernesto Teodoro Moneta e il conflitto italo-turco, in Nazione, Democrazia e Pace tra Ottocento e Novecento, a cura di Giovanna Angelini, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 131; Carmelo Calabrò, Liberalismo, democrazia, socialismo . L’itinerario di Carlo Rosselli, Firenze, Firenze University Press, 2009, pp. 12-13.

15 Questa vivacità di orientamenti culturali, che favorì un ripensamento della coscrizione

obbligatoria, veniva positivamente richiamata, per aggiornarne le suggestioni, in Antonio Guarino, Obiezione di coscienza e valori costituzionali, Napoli, Jovene, 1992, pp. 147-150.

16 Pur facendo rilevare soprattutto voci critiche, invero talvolta eccessive rispetto all’at-

tuale portata di istituti siffatti, vedasi Giuseppe Gagliano, La guerra cognitiva nella riflessione strategica francese contemporanea, Trento, Tangram, 2012, pp. 182-183.

L’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio e le iniziative civili e di studio a favore del suo riconoscimento mantengono intatta la loro connotazione democratico-pluralista nei sistemi dove non solo non è giuridicamente protetto lo

status di obiettore, ma è addirittura fatto destinatario di un articolato apparato san-

zionatorio17. Simile considerazione veniva autorevolmente proposta in due importanti

pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (Savda c. Turchia e Bayatyan c. Armenia, rispettivamente del 12 giugno 2012 e del 7 giugno 2011). Le due fattispecie sostanziali, invero, differivano profondamente, poiché l’un ricorrente era un presunto sostenitore dell’indipendentismo curdo (progressivamente al centro di una vasta azio- ne repressiva nell’ordinamento turco)18 e l’altro un testimone di Geova, esponente,

cioè, di una confessione religiosa che sin dalla sua genesi ha avversato le forme obbli- gatorie di coscrizione nazionale19. L’uno e l’altro caso introducono, però, degli elemen-

ti di interesse. La prima pronuncia richiamata consente di evidenziare la presenza di un autonomismo curdo almeno nei principi antimilitaristico, anche se verosimilmen- te non maggioritario; la seconda, invece, può costituire un utile abbrivio di analisi per verificare le forme organizzative e il radicamento sociale dei testimoni di Geova nella regione euro-orientale. Il dato più importante, comunque, sembra consistere nella “tutela convenzionale” dell’obiezione di coscienza, che le Corti non hanno ricavato da esplicite menzioni testuali nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La giurisprudenza ha, invece, ricostruito i margini di una protezione del diritto all’obiezione attraverso un’interpretazione evolutiva del combinato disposto degli articoli 3 e 9 della Convenzione medesima (concernenti il divieto di trattamenti inumani e degradanti, in riferimento alla sanzione afflittiva della renitenza, e, preve- dibilmente, la tutela della libertà di pensiero, coscienza e religione)20.

17 Appare forse questa sede opportuna per sottolineare come una problematica siffatta

non riguardi soltanto il diritto europeo, estendendosi a tutti i sistemi giuridici connotati, fino al recente passato, da un ordinamento militare di orientamento evidentemente restrittivo. Quanto all’ordinamento colombiano, ad esempio, dove è stato forte l’impegno della dottrina e dell’accademia per giungere al positivo riconoscimento legislativo del diritto all’obiezione di coscienza, può vedersi La objeción de conciencia como un derecho: Estrategia jurídica para su reconocimiento frente al servicio militar, a cura di Manuel Iturralde, Mariana Castrellón, Bogotà, Universidad de los Andes, 2014.

18 Non si tratta esclusivamente, invero, di un processo recente di evidenziazione sociale; sui

prodromi di questa progressiva torsione restrittiva, utile il lavoro di Nicole F. Watts, Activists in Office . Kurdish Politics and Protest in Turkey, Seattle, University of Washington Press, 2010.

19 Dando espressamente conto della ricordata pronuncia, v. Bernadette Rainey, Elizabeth

Wicks, Clare Ovey, The European Convention on Human Rights, Oxford-New York, Oxford University Press, 2014, p. 423.

20 Anche se altra dottrina riteneva di potere trovare un fondamento diretto del diritto

Anche gli altri due casi di obiezione di coscienza riconosciuti dal legislatore italiano, in materia di interruzione di gravidanza e fecondazione assistita, hanno motivato una serie importante di pronunce giurisprudenziali presso le giurisdi- zioni europee e internazionali. Sembra, però, che gli aspetti più problematici non riguardino, al tenore testuale delle norme, l’esercizio dell’obiezione, come in effetti risulta disciplinato dalle fonti di diritto interno, bensì i tentativi er- meneutici di estendere la portata di tale diritto. Da qui si ritiene scaturisca la necessità, verosimilmente, di addivenire a nuove fonti de iure condendo, sostitu- tive delle stringate disposizioni oggi vigenti. La legge 194 prevede, ad esempio, un’articolata disciplina per il conseguimento dello status di obiettore, munendo- lo di garanzie formali-procedurali e di limiti sostanziali. Nel diritto italiano, il profilo applicativo più contraddittorio risiede nel progressivamente più ampio numero di obiettori che non praticano l’interruzione volontaria di gravidanza21

– rendendola, in non occasionali contesti locali, di difficile, se non impossibile, concretizzazione pratica. Al tempo dell’entrata in vigore della legge, si era molto dibattuto sulla opportunità di non riconoscere il diritto all’obiezione, al punto che una delle proposte di regolamentazione, pubblicamente presentata nel dibat- tito di quegli anni, non lo prevedeva (in tal senso, il testo proposto dai gruppi parlamentari di Democrazia Proletaria). Altri ritenevano preferibile l’introdu- zione di una obiezione “a tempo”, limitata soltanto al personale già in servizio al momento della promulgazione del provvedimento, e non da riconoscersi de

futuro alla indistinta pluralità di tutti i possibili nuovi assunti22. La particolare

sensibilità del tema fa ritenere che riconoscere il diritto all’obiezione al personale medico-sanitario, per gli interventi interruttivi della gravidanza, sia compatibile al quadro costituzionale. È un’obiezione indiscutibilmente secundum legem che, guatamente fornitane dalla Corte Edu. Cfr. Hitomi Takemura, International Human Right to Conscientious Objection to Military Service and Individual Duties to Disobey Manifestly Illegal Orders, Dordrecht-Heidelberg-London-New York, Springer, 2009, pp. 95-96.

21 Secondo stime e dati raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica delle inter-

ruzioni volontarie della gravidanza, esercita l’obiezione di coscienza circa il 70% dei medici ginecologi italiani (con picchi superiori all’80%, in alcune regioni meridionali). Il dato, stan- do alle rilevazioni e alle statistiche riferite al 2016, al 2017 e al 2018, appare consolidato. Un resoconto sintetico quanto efficace di queste stime, unito a una prima valutazione sugli effetti dei nuovi ritrovati farmacologici contraccettivi, può leggersi in Paola Russo, Più di due gine- cologi su tre sono obiettori di coscienza, in «la Stampa», 11 ottobre 2018.

22 Quanto al testo e ai contenuti della richiamata proposta di Democrazia Proletaria (c.d.

“Corvisieri-Pinto”), può leggersi Giovambattista Sciré, L’aborto in Italia: storia di una legge, Milano, Mondadori, 2008, pp. 101 ss. Circa le posizioni relative a una possibile interinalità sopravvenuta del riconoscimento del diritto all’obiezione, cfr. Paolo Veronesi, Il corpo e la costituzione . Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Milano, Giuffré, 2007, pp. 97 ss.

nella sua applicazione di massa, rischia però di produrre effetti contra jus (estro- mettendo dalla materiale applicabilità una prestazione in realtà prevista dal si- stema sanitario nazionale). Quanto alla possibilità di applicare estensivamente la disciplina dell’obiezione ad altre figure professionali (come il farmacista, nel caso di prescrizione di ritrovati farmacologici contraccettivi ad effetti potenzialmente abortivi), vi sarà modo di soffermarsi più analiticamente nel seguito. Preme sin d’ora anticipare, però, che se il tema si è posto con tanta attenzione, anche al di fuori dell’ambito degli specialisti, ciò potrebbe avvalorare l’idea che il perimetro regolativo individuato dalla legge 194, valido per la società in cui la legge trovava prima applicazione, sia oggi da rivedere o da integrare con normative di nuovo conio, relative agli aspetti di più recente evidenziazione sociale.

Un’esigenza simile sta ulteriormente manifestandosi nell’ambito della procre- azione medicalmente assistita. Questo fenomeno si sta verificando non solo in ragione del porsi di rinnovate problematiche sostanziali, nell’avanzamento me- dico-scientifico delle diverse pratiche ricomprese nell’ambito della fecondazio- ne artificiale23. In questo settore, la più complessa questione preliminare sembra

proprio riguardare la fonte formale che detta la legislazione generale in materia. La ricordata legge 40, che pure superò un referendum abrogativo parziale per mancato raggiungimento del quorum richiesto24, è stata modificata e interpre-

tata, nelle acquisizioni della giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in direzioni assai diverse dall’originaria formalizzazione testuale delle norme25. Pro-

prio una simile rimodulazione operativa avrebbe potuto, o dovuto, suggerire a un legislatore più attento di quello attuale un ripensamento complessivo della materia, idoneo a regolamentarla, accogliendo in modo più armonico e razionale il contributo elaborativo offerto dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Ciò non è avvenuto e non appare, in verità, destinato ad accadere a breve, almeno non nel senso auspicato. Quanto allo specifico tema dell’obiezione, tuttavia, non sembra- no da doversi sottolineare particolari problematiche. Benché le pratiche feconda- 23 Sul punto, v. già Adriano Bompiani, Le tecniche di fecondazione assistita: una rassegna

critica, Milano, Vita & Pensiero, 2006, p. 209; in termini più strettamente medico-scientifici, è aggiornato alle ultime acquisizioni clinico-terapeutiche, pur non prese in considerazione dal legislatore del 2004, il volume di Lawrence Impey, Tim Child, Manuale di ginecologia e ostetricia, a cura di Pierluigi Benedetti Panici, Ettore Cicinelli, Nicola Colacurci, Nicola Rizzo, Milano, Edra, 2018.

24 Molto criticamente, Emilio Dolcini, Fecondazione assistita e diritto penale, Milano,

Giuffré, 2008, pp. 28-29.

25 Una prima mappatura sintetica di questo processo, che ha condotto alla completa ri-

modulazione giurisprudenziale della fonte legislativa, in Maria Cristina Campagnoli, Procre- azione medicalmente assistita e fecondazione eterologa . Il percorso frastagliato della legge 40/2004 . Fattispecie, disciplina e profili giurisprudenziali, Vicalvi, Key, 2017, pp. 52 ss.

tive artificiali possano senz’altro investire orientamenti etici e scelte personali, le categorie professionali prepostevi non hanno avanzato richieste di allargamento ed estensione del diritto all’obiezione. L’esercizio di quest’ultimo, d’altra parte, non ha invero ingenerato particolare contenzioso ad opera della utenza sanitaria interessata all’adozione di quelle pratiche.

Si aggiunga a quanto sin qui osservato che la manualistica italiana, non sol- tanto di matrice ecclesiasticistica, ma anche privatistica e pubblicistica, ana- lizza la disciplina dei trattamenti sanitari a latere delle obiezioni di coscienza “codificate”26. Questa scelta espositiva ha una innegabile coerenza contenutistica,

soprattutto perché le ragioni per cui si rifiuta un particolare trattamento sani- tario spesso rimandano ad argomentazioni di carattere religioso (il caso tipico di fattispecie siffatte è rappresentato dal rifiuto delle emotrasfusioni da parte dei testimoni di Geova)27. La tutela della salute e le declinazioni culturali degli

obblighi e dei diritti relativi alle cure richiamano inevitabilmente scelte etiche, talvolta conseguenti a specifiche visioni religiose. Il trattamento sanitario non viene così riguardato come uno strumento neutro, rilevante solo sotto il punto di vista medico-scientifico; assume, al contrario, un’eccedenza valoriale attraverso la quale il medico e il paziente finiscono per valutarlo.

Accolto questo retroterra giustificativo, comune alla ratio istitutiva delle obie- zioni di coscienza secondo legge e al principio della libera determinazione del malato, in materia sanitaria e terapeutica, ci si permette tuttavia di sottolineare la radicale asimmetria della struttura linguistica delle norme che disciplinano le due distinte situazioni soggettive.

Nel caso dell’obiezione di coscienza, si prevede come eccezione legiferata il riconoscimento delle istanze obiettorie. In assenza di questo riconoscimento le- gislativo, la condotta richiesta ai consociati sarebbe l’ottemperanza alla norma generale (dover prestare il servizio militare, dover effettuare l’interruzione di gravidanza, dover praticare la sperimentazione animale, dover procedere all’iter procreativo medicalmente assistito).

Nel caso dei trattamenti sanitari, vige il principio opposto: il trattamento sanitario è sempre libero e il paziente esercita il diritto di scelta esprimendo il

26 Pur avvalorando l’irriducibilità dogmatica delle due fattispecie, il dato è colto, ad esem-

pio, in Salvatore Prisco, Laura Cappuccio, Obiezione di coscienza e trattamenti sanitari obbliga- tori, in Bioetica e diritti dell’uomo, a cura di Lorenzo Chieffi, Torino, Paravia, 2000, pp. 77 ss.

27 Renato Mattarelli, Il sangue, la donazione e la trasfusione nel diritto . Natura giuridica,

consenso e dissenso, indennizzo e risarcimento, Vicalvi, Key, 2017, pp. 188-189; in prospettiva comparatistica, Stefania Negri, Salute pubblica, sicurezza e diritti umani nel diritto internazio- nale, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 108-109.

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