• Non ci sono risultati.

E ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO

1. Il riconoscimento del diritto di libertà religiosa

Negli ordinamenti secolari che rientrano nell’area di influenza della civiltà giu- ridica europea il diritto di libertà religiosa è ormai diffusamente riconosciuto

come un diritto fondamentale della persona umana1. Anzi, nell’esperienza sto-

rica seguita alle persecuzioni e ai conflitti a motivo della diversa appartenenza religiosa, la progressiva ammissione in epoca moderna del diritto individuale di seguire la propria coscienza nelle scelte in ambito religioso, senza subire costri- zioni, ha rappresentato il prototipo delle libertà civili da assicurare all’autono- mia dei singoli e da proteggere come sfera intangibile contro qualsiasi pretesa di ingerenza da parte delle autorità civili o politiche2. Dalla seconda metà del

XX secolo, poi, la tutela del diritto di libertà religiosa e degli altri diritti umani riconosciuti come fondamentali è divenuto il paradigma primario su cui impo- stare non solo le relazioni internazionali ma anche il sistema giuridico interno a ciascuno Stato3. In base all’ispirazione personalistica degli attuali regimi costi-

tuzionali, infatti, la protezione della persona e degli attributi giuridici inerenti alla sua dignità intrinseca viene considerata un valore supremo e posta al centro dell’interesse e della ragione stessa di esistenza dell’organizzazione politica e del suo ordinamento giuridico. Lo Stato assume quindi la funzione di garantire il rispetto dei diritti inviolabili della persona, quali diritti assoluti, indisponibili, intrasmissibili e imprescrittibili, non solo nei rapporti con i poteri pubblici ma

erga omnes, secondo un sistema dinamico di bilanciamento dei valori costitu-

zionalmente rilevanti che tende ad armonizzare l’attuazione di ciascuno nel quadro dei principi superiori che informano il sistema di convivenza civile e, nella graduatoria di importanza dei beni protetti, ai diritti umani fondamen- tali viene attribuito una peso tendenzialmente preminente in virtù del primato riconosciuto all’individuo4.

1 Vasta e articolata è la bibliografia sulla libertà religiosa, tra le opere più recenti si possono

ricordare Carlo Cardia, La libertà religiosa tra ascesa e crisi dei diritti umani, in Libertà religio- sa, diritti umani, globalizzazione, a cura di Giuliano Amato e Carlo Cardia, Roma, RomaTre- Press, 2017, pp. 17-34; Giuliano Amato, La libertà religiosa nell’attuale scenario internazionale, cit., pp. 35-39; Angelo Licastro, Il diritto statale delle religioni nei Paesi dell’Unione europea . Lineamenti di comparazione, Milano, Giuffré, 20172, pp. 219-256.

2 Francesco Ruffini, La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, Bologna, il Muli-

no, 1992; Carlo Cardia, Genesi dei diritti umani, Torino, Giappichelli, 20052.

3 Diritto e religione in Europa . Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti

dell’uomo in materia di libertà religiosa, a cura di Roberto Mazzola, Bologna, il Mulino, 2012; Diritto e religione in Italia . Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, a cura di Sara Domianello, Bologna, il Mulino, 2012; David Durisotto, Istituzioni europee e libertà religiosa . Cedu e Ue tra processi di integrazione europea e rispetto delle specificità nazionali, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2016.

4 Sulla tutela della libertà religiosa secondo la giurisprudenza della Corte europea per la

salvaguardia dei diritti umani, si veda Marcello Toscano, Il fattore religioso nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo . Itinerari giurisprudenziali, Pisa, Edizioni ETS, 2018.

Nell’evoluzione del riconoscimento dei diritti umani che progredisce nel pas- saggio tra diverse impostazioni, dai diritti liberali di prima generazione, a conte- nuto negativo, ai diritti sociali di seconda generazione a contenuto positivo, e poi a quelli di terza o quarta generazione, che accentuano la fruizione personalissima o quella di carattere collettivo-solidaristico o diacronico intergenerazionale5, si perfe-

ziona e si arricchisce anche il contenuto del diritto di libertà religiosa. Negli attuali regimi democratico-sociali e pluralisti, la libertà religiosa si configura come una situazione giuridica complessa, comprensiva di un insieme di diritti che riguardano aspetti e ambiti diversi di espressione della libertà, tutti con valore coessenziale per il suo pieno riconoscimento, nel senso che la violazione anche di uno solo condu- ce alla negazione dell’intera libertà. Tali diritti riguardano tanto la dimensione interna della libertà della coscienza di maturare in autonomia una convinzione in materia religiosa, quanto la dimensione esteriore di manifestare il proprio credo religioso con condotte concrete6; tanto l’ambito individuale di espressione della

singola persona, quanto collettivo o associato delle organizzazioni confessionali; tanto le pretese negative di immunità dalle ingerenze di altri nella propria sfera intangibile di intimità della coscienza, quanto le pretese positive di visibilità nella sfera pubblica, di riconoscimento sociale, di cooperazione delle strutture pubbliche nel promuovere l’attuazione delle esigenze religiose della popolazione7.

A fronte del progresso conseguito negli ordinamenti secolari, il diritto di liber- tà religiosa non risulta avere un analogo riconoscimento nell’ordinamento della Chiesa, nonostante si possano individuare nel Cristianesimo germi significativi per una compiuta teorizzazione della libertà in ambito confessionale. Proprio il messaggio evangelico, infatti, è stato proposto da Gesù di Nazareth e dai suoi se- guaci come una vocazione a una rinascita spirituale che libera dalle imperfezioni e dai limiti del peccato e della morte attraverso l’adesione alla Redenzione della natura umana operata dal Cristo, salvatore del mondo8. Il modo di concepire la

5 Si veda, per uno sguardo storico e comparativo, José Justo Megías, Derechos humanos, in

Diccionario general de derecho canónico, a cura di Javier Otaduy, Antonio Viana, Joaquín Seda- no, V, Pamplona, Aranzadi, 2012, III, pp. 212-217; Giuseppe Franco Ferrari, Le libertà e i diritti: categorie concettuali e strumenti di garanzia, in Diritto costituzionale comparato, II, a cura di Paolo Carrozza, Alfonso Di Giovine, Giuseppe F. Ferrari, II, Roma, Laterza, 2014, pp. 1137-1211.

6 Mentre nella dimensione esterna la libertà religiosa può subire i limiti imposti dalla

convivenza civile secondo la tecnica del bilanciamento di valori, nella dimensione interna, invece, la libertà religiosa si configura come un diritto assoluto che non può sottostare ad alcun tipo di restrizione o ingerenza. Sulla giurisprudenza europea

7 Ampliamento contenuti

8 Sulla teorizzazione della lex gratiae come lex libertatis, si veda Javier Hervada, La ley del

pueblo de Dios como ley para la libertad, in Vetera et nova . Cuestiones de Derecho Canónico y afines (1958-2004), Pamplona, Navarra Gráfica Ediciones, 20052, pp. 411-425.

religione da parte del Cristianesimo ha condotto in effetti, nel corso delle vicende storiche delle prime comunità, a far emergere una duplice dinamica di libera- zione nei rapporti tra individuo e comunità, a partire dal principio dualistico di distinzione tra l’ordine spirituale e l’ordine temporale9.

Il primo movimento di liberazione riguarda l’affermazione dell’autonomia dell’anima individuale rispetto alla visione integrata della religione diffusa nel mondo antico, che considerava le credenze spirituali come un fenomeno di carat- tere etnico-culturale, strettamente collegato alle tradizioni, ai costumi e alla vita di una determinata comunità, tanto che spesso il culto delle divinità era associato al culto degli antenati. La condivisione e il rispetto dei valori e delle pratiche connesse alla religione del popolo di appartenenza diveniva così la condizione essenziale per poter partecipare in pienezza alla vita di quel gruppo sociale. Per il Cristianesimo, invece, l’adesione al credo religioso non avviene per la nascita all’interno di una concreta comunità, ma attraverso una risposta individuale a una vocazione di Dio. L’atto di fede è quindi un atto personale, volontario e libe- ro della coscienza di ciascuna persona10, a prescindere da qualsiasi appartenenza

etnico-culturale o dalla soggezione a determinate strutture socio-politiche. Il secondo movimento di liberazione concerne proprio la distinzione della religione dalle norme e dalle istituzioni pubbliche che regolano l’organizzazione socio-politica di una determinata comunità. I Cristiani, infatti, hanno affermato la propria indipendenza nell’ambito propriamente spirituale da qualsiasi inge- renza o condizionamento proveniente dai regimi giuridici in cui si trovavano a convivere. Così, nei riguardi della legge mosaica, nell’assemblea plenaria della comunità di Gerusalemme gli Apostoli decidono di affrancare i battezzati dal

9 Il principio si trova affermato nei passi evangelici che riportano la nota frase di Gesù

Cristo: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21; Mc 12, 17; Lc 20, 25). Con tale affermazione si viene a rivendicare l’indipendenza della sfera religiosa dal dominio dell’autorità politica, da cui consegue il rifiuto di sottostare alle pre- scrizioni inerenti alla fede e ai culti che non provengano dall’autorità divina. Sul significato e l’evoluzione storica dell’applicazione del principio nei rapporti tra la Chiesa e le comunità politiche, si rinvia a Ilaria Zuanazzi, Tra spirituale e temporale: la laicità nel diritto della Chiesa e nel diritto degli Stati, in «Diritti e Religioni», 2017, 12, 2, pp. 503-522.

10 Principio contenuto nella parola di Dio (Mt 11, 28-30; Gv 6, 67-69) e insegnato co-

stantemente dalla prima dottrina cristiana, dagli Apostoli (1 Cor 2, 3-5; 1 Tess 2, 3-8) ai Padri della Chiesa: Lattanzio, Divinarum Institutionum, V, 19 (PL 6, 614 e 616 cap. 20); Ambrogio, Epistola ad Valentinianum imp ., ep. 21 (PL 16, 1005); Agostino, Contra litteras Petiliani, lib. II, cap. 8 (PL 43, 315); Id., Epistolae 23, 34 e 35 (PL 33, 98, 132 e 135); Gregorio Magno, Epistola ad Virgilium et Theodorum Episcopos Massiliae Galliarum (PL 77, 510-511, lib. I, ep. 47); Id., Epistola ad Iohannem Episcopum Constantinopolitanum (PL 77, 649, lib. III, ep. 53).

rito della circoncisione e dalle altre pratiche prescritte dalla tradizione ebraica11.

Anche nei confronti dell’Impero romano, quantunque i Cristiani riconoscano di dovere obbedienza alle istituzioni e alle leggi civili12, si rifiutano tuttavia di

prendere parte ai culti idolatrici e quindi di partecipare alle cerimonie e alla vita pubblica in tutti gli aspetti che rinviano al paganesimo. Proprio in quanto perturbatori delle tradizioni ataviche i seguaci della nuova religione furono sog- getti a progressive persecuzioni da parte degli imperatori romani, preoccupati, soprattutto con l’espandersi del Cristianesimo e il consolidarsi di sempre più consistenti comunità, per l’abbandono della religio e degli instituta patriae e per la destabilizzazione dell’ordine della Romanitas13. La presa d’atto del fallimento del-

le persecuzioni per l’impossibilità di ricondurre i convertiti al nomen Christianum ai mores veteres, induce infine gli imperatori romani a tornare a un atteggiamento di tolleranza per pacificare i rapporti di convivenza religiosa, concedendo con il cosiddetto Editto di Milano14 la libertà di culto a tutti i sudditi15.

Nei secoli seguenti, com’è noto, il consolidarsi progressivo di una società omogenea in senso cristiano e di un ordine politico-giuridico ispirato all’ideale medioevale della ordinatio ed unum e governato da due autorità universali, l’una spirituale e l’altra temporale, distinte ma tra di loro coordinate e complementari nella funzione di guidare a Dio il genere umano, conduce a privilegiare una visione integralistica della religione che attenua l’applicazione del principio del

11 At 15, 28.

12 Come insegna l’apostolo Paolo in Rm 13, 1-2.

13 Significativa della motivazione politica alla base della persecuzione dei Cristiani era la

condizione concessa ai perseguitati per sottrarsi alla condanna, ossia il compimento di un atto di sacrificio rituale all’imperatore, quale entità divinizzata; un gesto che i Cristiani rifiutavano in nome dell’unico Dio, ma che, nella visione integrata della società romana, assumeva un valore non tanto di culto quanto di lealtà politica all’autorità costituita, per cui il rifiuto di compierlo configurava il crimen lesae maiestatis.

14 Il nome tralatizio di “Editto di Milano” viene attribuito agli accordi raggiunti nel feb-

braio del 313 a Milano dagli augusti Costantino e Licinio. In realtà non fu emanato alcun edit- to, né alcun altro atto ufficiale. Il contenuto degli accordi viene conosciuto indirettamente dalle istruzioni impartite successivamente nel giugno 313 a Nicomedia dall’imperatore Licinio con due lettere indirizzate al governatore della Bitinia (Lattanzio, De mortibus persecutorum, 48, 2-12) e al governatore della Palestina (Eusebio, Historia ecclesiastica, 10, 1-14). Sul tema, per approfondimenti, si veda Giorgio Barone Adesi, Libertà religiosa e convivenza delle reli- gioni: nell’“editto di Milano” e negli indirizzi legislativi costantiniani, in Da Costantino a oggi . La libera convivenza delle religioni, a cura di Ilaria Zuanazzi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2015, pp. 11-40.

15 La libertà di culto rimane formalmente fino alla successiva costituzione Cunctos populos

degli imperatori Graziano V e Teodosio I (Editto di Tessalonica del 28 febbraio 380), con la quale la religione cristiana viene imposta come unica religione per tutti i popoli dell’Impero.

dualismo cristiano. Entrambi i poteri, infatti, quello religioso e quello politico, sono considerati investiti da Dio e resi custodi dell’integrità della fede cristiana. Quantunque la dottrina ecclesiale non abbandoni il principio basilare della vo- lontarietà dell’atto di fede16, nondimeno solo la verità oggettiva dell’unico credo

era tutelata e aveva diritto di essere affermata, mentre le posizioni soggettive dei dissenzienti erano perseguitate o mal tollerate, non solo perché erronee, ma an- che perché ritenute pericolose per l’ordine precostituito17.

Con la Riforma protestante e l’adesione degli Stati all’una o all’altra confessio- ne cristiana, si moltiplicano i protagonisti dei conflitti religiosi, ma non cambia ancora l’impostazione di intolleranza nei confronti dell’autonomia della coscien- za individuale18. Solo con il successivo superamento del confessionismo del potere

politico e l’affermarsi della distinzione dell’ordine giuridico e dell’etica pubblica dello Stato rispetto alla verità di una determinata religione, negli ordinamenti secolari si riesce a riconoscere e tutelare il diritto di ciascun individuo a scegliere il credo religioso secondo le proprie convinzioni personali19.

La Chiesa cattolica, invece, resta ferma fino al XX secolo alla visione inte- gralistica della religione, rispecchiata ancora in ambito giuridico dalla dottrina dello ius publicum ecclesiasticum20. Nonostante quindi gli aneliti di libertà insiti

16 Si vedano, nelle fonti del diritto canonico di epoca classica: C. 23, q. 5, c. 33 (che riporta

un passo di Agostino); D. 45, c. 1 (che riporta una epistola di Gregorio Magno); D. 45, c. 5 (che riporta un decreto del Concilio Toletano IV, c. 57); X, V, 6, 9 (che riporta una decretale di Clemente III); X, III, 42, 3 (che riporta una decretale di Innocenzo III).

17 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 10, a.; q. 11, a. 3.

18 Tale visione perdura successivamente per tutta l’epoca moderna fino al XVIII secolo,

condivisa sia dai regimi assolutistici degli Stati che adottano il sistema giurisdizionalistico confessionista, per ragioni di opportunità e utilità politica, sia dalla Chiesa cattolica e dalle comunità riformate, per motivi di intransigenza religiosa.

19 Sottolinea come all’origine dell’emergere dell’idea della libertà della coscienza nella

civiltà dell’Europa cristiana si possa individuare proprio il principio del dualismo cristiano Ottavio de Bertolis, La libertà religiosa: problemi e prospettive, in «Periodica de re canonica», 2005, 94, pp. 681-702.

20 La teorica si richiama ancora a una visione unitaria del disegno di Dio, il quale ha voluto

stabilire due societates iuridice perfectae a guida dell’umanità: lo Stato si occupa delle materie temporali, invece la Chiesa è competente nelle res spirituales vel spiritualibus adnexae. Alla Chie- sa non viene più attribuito potere in temporalibus se non quella potestas indirecta che deriva dalla sua funzione spirituale di dirigere e di aiutare l’autorità secolare a perseguire più perfettamente i fini terreni in modo che siano in sintonia con il fine supremo della salvezza delle anime. Sul tema si rinvia per approfondimenti a Jean-Pierre Schouppe, Rapporti giuridici tra Chiesa e comu- nità politiche . Profili epistemologici e metodologici di una rinnovata disciplina, in «Ius Ecclesiae», 2008, 20, pp. 65-86; Matteo Nacci, Chiesa e Stato dalla potestà contesa alla sana cooperatio . Un profilo storico-giuridico, Città del Vaticano, Lateran University Press, 2015, pp. 25-102.

nelle fonti del messaggio evangelico e attuati nella storia delle prime comunità cristiane, il magistero ecclesiastico ha mostrato diffidenza e incomprensione ver- so l’emergente dottrina moderna tesa a propugnare il diritto di libertà religiosa. Occorre peraltro sottolineare che le prime condanne erano dirette a rigettare non tanto l’idea di libertà in sé, quanto i presupposti ideologici dell’Illuminismo che avevano portato a una determinata concezione della libertà religiosa che con- traddiceva il dogma cattolico dell’unica vera fede e rimetteva all’arbitrio della coscienza individuale la scelta della religione da credere21.

La strada verso l’accoglimento del diritto di libertà religiosa viene aperta pri- ma da una rinnovata interpretazione dei rapporti tra la Chiesa e gli Stati che riconosca la giusta autonomia dell’ordine temporale22 e successivamente da una

decisa difesa della intangibilità della persona umana contro i regimi politici op- pressivi23. Ma la svolta definitiva per un pieno riconoscimento di questo diritto è

avvenuta nell’ambito della riflessione sui “segni dei tempi” avviata nel Concilio ecumenico vaticano II24, che dedica alla libertà religiosa una apposita trattazione

con la dichiarazione Dignitatis humanae25. In linea con l’intero insegnamento

21 Gregorio XVI nell’enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) condanna la dottrina illuministi-

ca sulla libertà religiosa perché frutto dell’indifferentismo, del soggettivismo e del relativismo in ambito religioso; parimenti Pio IX condanna la libertà di culto omnimoda, perché contraria alla verità oggettiva della fede cristiana, nell’enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864) e nel Syllabus ad essa allegato (proposizioni XV e XVI).

22 Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei (1 novembre 1885) pur confermando le condan-

ne degli errori dottrinali e pratici in merito alla libertà religiosa, afferma che l’ambito tem- porale e quello religioso sono ambedue supremi nel loro ordine, pur sottostando entrambi ai propri limiti, ma disponendo ciascuno iure proprio.

23 Pio XI proclama la necessità di tutelare la libertà delle coscienze contro i regimi totali-

tari, nell’enciclica Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931) contro il fascismo, nell’enciclica Mit brendennen Sorge (14 marzo 1937) contro il nazionalsocialismo pagano, nell’enciclica Divini Redemptoris (19 marzo 1937) contro il comunismo ateo. Pio XII in diversi messaggi afferma il dovere dei poteri pubblici di salvaguardare i diritti inviolabili della persona umana (Radiomes- saggio del 1 giugno 1941 e Radiomessaggio del 24 dicembre 1944).

24 In realtà la nuova dottrina del concilio viene anticipata e ispirata da Giovanni XXIII

con l’enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963) e da Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam suam (6 agosto 1964).

25 Dichiarazione Dignitatis humanae, del 7 dicembre 1965 (da ora in poi citata con DH).

Sulla stesura e sul contenuto della dichiarazione, si vedano Giuseppe M. Siviero, La libertà religiosa dalla Dignitatis humanae ai nostri giorni, in «Quaderni di diritto ecclesiale», 1998, 11, pp. 244-265; Ottavio de Bertolis, La libertà religiosa: problemi e prospettive, in «Periodica de re canonica», 2005, 94, pp. 681-702; Joaquín Mantecón, Libertad religiosa, in Diccionario General de Derecho Canónico, a cura di Javier Otaduy, Antonio Viana, Joaquín Sedano, V, Pamplona, Aranzadi, 2012, pp. 161-168; Jean-Pierre Schouppe, Diritto dei rapporti tra Chiesa e comunità politica, Roma, EDUSC, 2018, pp. 151-160.

dell’assise sinodale, il documento riconosce il valore positivo del progresso cultu- rale e giuridico che ha portato negli ordinamenti secolari a riconoscere il diritto di libertà religiosa nel quadro della tutela dei diritti innati degli esseri umani26,

ma, nel contempo, l’idea di libertà religiosa viene reinterpretata e giustificata alla luce dei principi cristiani. Questo duplice sguardo viene scandito nelle due parti della dichiarazione.

Nella prima parte si espone la ratio generalis del riconoscimento del diritto di libertà religiosa, ossia i principi che fondano la libertà religiosa come diritto universale, sia per l’ordine naturale che per l’ordine civile. Seguendo la dottrina tradizionale del giusnaturalismo cristiano, il fondamento del diritto di libertà re- ligiosa, al pari degli altri diritti umani, viene indicato nella dignità della persona e nelle esigenze intrinseche alla sua natura creata da Dio, quali possono essere conosciute attraverso la parola di Dio rivelata oppure con lo strumento della ra- gione umana27. Peraltro, secondo la visione propria dell’antropologia cristiana, si

afferma un contrappunto o tensione dialettica tra due principi fondamentali: la libertà della coscienza e il dovere di tendere verso la verità; entrambi corrispon- denti alla dottrina tradizionale ma riformulati in una nuova prospettiva.

Dal punto di vista della libertà della coscienza, si afferma che la professione di fede consiste in un atto volontario e libero dell’intimità della coscienza che si rivolge a Dio28 e da questo assioma discende come corollario necessario il divieto

di porre costrizioni da parte di chiunque: non si deve costringere ad andare con- tro la coscienza né impedire di agire in conformità alla coscienza29. Trattandosi

tuttavia di una libertà che si svolge nell’ambito della convivenza collettiva, nel suo esercizio deve sottostare al principio di responsabilità personale e sociale che chiede di «avere riguardo tanto ai diritti altrui quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune», oltre a dover rispettare le esigenze di ordine pubbli- co30. Pur sottostando a questi limiti, peraltro, il suo esercizio può essere ristretto

26 DH, n. 1. Il valore dei diritti umani viene riconosciuto anche in numerosi passi della

costituzione pastorale Gaudium et spes (7 dicembre 1965) che tratta i rapporti della Chiesa con il mondo contemporaneo: si vedano a titolo esemplificativo i nn. 27 e 41.

27 DH, n. 2.

28 «Infatti, l’esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni

Outline

Documenti correlati