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1.4. Le fonti sulla festa

1.4.1. Ancora sul “celeberrimo Gio 101 ”

La questione più spinosa è ancora una volta quella del rapporto di Leopardi con Rousseau. Come ho già messo in luce, il problema della festa assume una notevole rilevanza nell’Illuminismo, sia come critica delle feste religiose e popolari, sia in relazione all’introduzione delle feste rivoluzionarie,

98 Segnalo i seguenti passi della Scienza Nuova da una breve indagine attraverso la LIZ: Lib. 2,

sez.10, cap.1.2; Introduzione. 3; Lib.3. sez.1, cap. 6.12, 6.15, 6.17; Lib. 3. Sez. 2, Appendice 4; Lib. 4, sez. 10, cap. 3.1; Lib. 4, sez. 14, cap. 2.16.

99 Il testo di Creuzer, riportato da Damiani, è Meletemata e disciplina antiquitatis, Lipsiae, 1817-

1819 (2015: 3223).

100 Questa voce è analizzata anche da Folin nel suo saggio (1993: 53).

59 alla loro forma e alla loro funzione102. Sebbene gli interventi dei philosophes in

questo dibattito siano numerosi, non c’è dubbio che un ruolo di primo piano sia occupato proprio da Rousseau. I riferimenti alla festa nell’opera del ginevrino sono molteplici e sono stati oggetto di numerose e articolate analisi nell’arco di questi anni, tuttavia la questione è stata dipanata in maniera, a mio avviso, completa ed esemplare nel saggio di De Marinis (1981), che seguirò da vicino nella mia trattazione103. Intanto, occorre segnalare che, a parte qualche accenno

nel Discours sur l’origine et le fondement de l’inegalité, nell’Essai sur l’origine des langues, nel Projet de constitution pour la Corse e nelle Rêveries du promeneur solitaire, i testi chiave per comprendere la posizione di Rousseau sulla festa sono soprattutto la Lettre à M. d'Alembert sur les Spectacles del 1758, le Considérations sur le gouvernement de Pologne del 1782, ma anche la Nouvelle Héloïse del 1761.

Il dibattito si accese in Francia soprattutto in relazione alla Lettre sur les spectacles, che, lo ricordo brevemente, fu concepita dal ginevrino in risposta alla voce “Genève” dell’Encyclopédie compilata da D’Alembert e pubblicata nel 1757, in cui si auspicava l’introduzione del teatro a Ginevra. Rousseau in tale lettera si schiera apertamente contro il teatro, proponendo al suo posto la sua idea di festa popolare. In essa viene tracciata anche la distinzione tra spettatori e attori, tra l’oscurità del teatro e la piena luce festiva, tra corruzione e innocenza, celebrando l’idea della generazione spontanea della festa104, all’interno della

quale si realizzano l’uguaglianza, la fraternità e la “trasparenza dei cuori105”.

Tale immagine della festa viene sostanzialmente ribadita nella celebre lettera sulla vendemmia da Clarens della Nouvelle Héloïse106. Agli attenti commentatori non è sfuggito come in realtà questa immagine della macchina festiva rousseauiana nasconda un’ideologia nient’affatto egualitaria e ingenua, che, al di là delle apparenti contraddizioni, si sposa bene con l’altro modello, quello proposto nelle Considérations. Infatti a Clarens i servi finiscono per diventare gli

102 Sulle feste rivoluzionarie Franzini (2002), Baczko (1978), Vovelle (1976), Ouzouf (1976). 103 Altri contributi a cui faccio riferimento sono Baczko (1978), Vernes (1978), Starobinski (1982),

Franzini (2002). Da una prospettiva antropologica e storico-religiosa la questione è affrontata nel famoso saggio di Jesi, dal titolo Conoscibilità della festa (1977: 4-30), e da Apolito nel capitolo

Durkheim e Rousseau: due modelli (1993: 13 ss.); questi due saggi sono molto utili soprattutto per

comprendere la ricezione di Rousseau.

104 Val la pena di riportare le parole di Rousseau: “Plantez au milieu d’une place un piquet

couronné des fleurs, rassemblez-y le peuple, et vous aurez une fête”(Rousseau, 1962: 225).

105 L’espressione è presente in De Marinis (1981: 77), ma è chiaramente derivata dal saggio di

Starobinski (1982).

106 Si tratta della VII lettera della V parte della Nouvelle Héloïse, in cui a Clarens viene

improvvisata una festa durante la vendemmia (Rousseau, 2013: 624 ss.). La lettera è stata oggetto dell’analisi di Starobinski (1982: 154 ss.) e di De Marinis (1981). Da segnalare anche la lettera X della IV parte sull’ozio domenicale (Rousseau, 2013: 463 ss.).

60 attori di uno spettacolo agreste, egualitario solo nella percezione soggettiva, offerto alla vista-godimento dei signori e in particolare di M. Wolmar, che è l’abile costruttore di una società così perfetta che i servi nella sua tenuta sono contenti di obbedire al padrone - pedagogo e, sotto sotto, vero regista della festa (De Marinis, 1981: 78-80). Così in una nota della Lettre, quasi in risposta al citato articolo di Faiguet sull’Encyclopédie, la festa viene individuata non come un problema che fa indulgere i servitori nell’ozio, ma anzi come uno meccanismo che li rende più contenti di lavorare, più riposati e più operosi, e quindi come un utile strumento economico nelle mani del padrone107. Ma è nelle

Considérations che la funzione “ideologico-pedagogica” (De Marinis, 1981: 77) della festa trova la sua massima sistemazione, per cui la festa civica, da ingenua e spontanea, diviene strumento di irreggimentazione del popolo. Ed è a questo trattato che guardò probabilmente il Robespierre istitutore delle “nuove feste”, tanto che Rousseau venne sbandierato come il padre delle feste della Rivoluzione, propagandisticamente per i suoi accenti di celebrazione egualitaria, ma in realtà perché ne aveva individuato la funzione di educazione e controllo, se poste sotto un’attenta regia108. Tuttavia, di queste sottili analisi

che noi oggi possiamo fare poco fu presente nella cultura diffusa dell’epoca, per cui la figura di Rousseau fu indissolubilmente legata all’idea della spontaneità e dell’uguaglianza festiva, volta ristabilire l’“ordre de nature109”, e al motto: “Il

faut qu'on s'amuse …110”.

Ma Leopardi era al corrente di questo dibattito e quali di questi testi conosceva? La critica non ha ancora stabilito con certezza cosa Leopardi abbia letto davvero di Rousseau. Secondo quanto riportato da Damiani (2015: 3247) nella biblioteca paterna erano presenti Les Confessions, arricchite da una raccolta di lettere ed edite a Londra fra il 1786 e il 1790, il Discorso sopra la origine e i fondamenti della ineguaglianza fra gli uomini, i Pensées, la silloge italiana Pensieri di un illustro filosofo moderno e l’apocrifo L’arte di rendersi felice. Inoltre nella parte proibita era presente la Nouvelle Héloïse111. Tuttavia, nello Zibaldone sono citati solo il Discours e le Pensées, ma in questi ultimi non vi è nessun estratto sulla

107 La questione è chiarita in De Marinis (1981: 82).

108 Risulta evidente così che la festa rivoluzionaria ridiventa teatro. La questione è ampiamente

dipanata nel capitolo dal titolo Rousseau, la festa e la rivoluzione in Franzini (2002: 15-28).

109 L’espressione in francese è tratta da De Marinis (1981); nell’edizione italiana si trova, sempre

nella parte V, lettera VII della Nuova Eloisa, in Rousseau (2013: 630).

110 La citazione completa è: “Il faut qu’on s’amuse en Pologne plus que dans les autres pays”

(Rousseau, 1962: 349).

111 La lista si amplia nel saggio di Muñiz Muñiz (2012: 127-128). Si veda a proposito anche

61 festa. Negli elenchi di letture112 si trovano indicati i seguenti testi: la Nouvelle

Héloïse, il Contrat social, Les Confessions, suivies des Reveries du promeneur solitaire, una silloge, Pièces diverses edita a Londra nel 1792. Anche di questo elenco di libri non è stabilito se Leopardi li abbia davvero reperiti e letti. Il fatto che vi sia indicata la Nouvelle Héloïse fa propendere per l’idea che a quell’epoca Leopardi non ne avesse fatta una lettura completa; tuttavia vi è chi sostiene, in base a una lettera del fratello Carlo, che la lettura del romanzo sia invece avvenuta prima del 1822 (Ambrus, 2012: 158). Possiamo concludere che Leopardi avesse una conoscenza parziale della Nouvelle Héloïse, ma non è possibile stabilire se avesse presente la lettera sulla vendemmia. La stessa cosa vale per le Rêveries, segnalate nell’elenco di lettura; nel caso in cui le avesse lette, si sarebbe imbattuto nella nona promenade, dove Rousseau parla della festa in termini di esaltazione solipsistica, ma essa è priva di riflessione teorica113. In questo

panorama delle ipotesi in campo, ritengo indimostrabile anche una conoscenza diretta delle Considérations, perché non è mai stato un testo fra i più noti del ginevrino e non circolavano sue traduzioni114. Per quanto riguarda la Lettre sur

les spectacles, secondo Rota Ghibaudi essa ebbe scarsissima risonanza in Italia115;

inoltre non risultano neanche sue traduzioni in italiano fino a tempi molto recenti, in base all’apparato critico alla lettera approntato da Lupi (Rousseau, 1995: 161-162). Nell’opera di M.me de Staël, Lettres sur les ouvrages et le caractere de J.J. Rousseau, che Leopardi conosceva, vi è un riferimento alla Lettre, ma non vi tratta del tema della festa. Tuttavia, dallo studio di Frattini risulta che Leopardi abbia letto la risposta di D’Alembert alla Lettre di Rousseau116, per cui,

anche se D’Alembert risponde a proposito del teatro e dei cittadini di Ginevra e

112 Sono riportati in Zito (2000: 116), Cacciapuoti (2010: 188), Muñiz Muñiz (2012: 127); risalgono

al 1825.

113 Riporto le considerazioni di De Marinis: “La Neuvième promenade delle Rêveries, scritta pochi

mesi prima della morte, trabocca di episodi di festosa allegrezza infantile, nei quali Rousseau gioca sempre, e «à bon marché», con poca spesa, il ruolo demiurgico del suscitatore di festa, che gode nel vedere la gioia innocente diffondersi intorno a sé («tout autour de moi»), sapendo inoltre che è opera sua, «mon ouvrage»“ (1981: 79).

114 All’epoca vi era in Italia solo una traduzione manoscritta conservata nella Biblioteca

Nazionale di Firenze (Rota Ghibaudi, 1961: 328).

115 Riporto le parole di Rota Ghibaudi: “La Lettera sugli spettacoli di Rousseau […] non sembra

aver avuto molta eco in Italia. «Le Novelle letterarie» di Firenze vi fanno un indiretto riferimento nel 1759 […] Ne parlò invece il letterato calabrese Francesco Saverio Salfi nel suo

Saggio di fenomeni antropologici relativi al tremoto” (1961: 66).

116 La lettera è conosciuta semplicemente col titolo di Lettre à M. Rousseau. Si veda a questo

proposito la nota n. 114 in Frattini (1964: 277-278) e anche la nota 36 in Landolfi Petrone (1993: 483).

62 non parla della festa, è plausibile che Leopardi fosse a conoscenza dell’esistenza della Lettre e della questione del contendere.