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Tavola 3. La festa nelle Novelle della Pescara

3.3.1. La vergine Orsola

Il primo dei venti capitoli della novella lunga La vergine Orsola - e dunque tutta la raccolta nel suo insieme - si apre con l’immagine funebre del viatico e dell’estrema unzione, cerimonia che si sovrappone al periodo dell’Avvento21. In

seguito l’arrivo del Natale coincide con la rinascita di Orsola dal suo stato di morte apparente – D’Annunzio utilizza i termini “teschio” e “scheletro” nel descriverla -, ma quello che è più interessante non è tanto l’allucinazione di Orsola, che ispirata dai suoni festosi delle zampogne, s’immagina nelle vesti di “vergine e martire”, quanto il fatto che i prodromi della guarigione e il profumo dei cibi festivi risvegliano in Orsola una fame incontrollabile22 che fa pensare al

motivo folklorico della “fame del morto23”. Come la tradizione insegna, si pensi

21 “Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si fermava a veder passare il

prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i Salmi susurrati dal prete (NDP: 79)”. Tutte le citazioni dalle Novelle d’ora in poi solo con la sigla

NDP e col numero di pagina dall’edizione D’Annunzio (2006).

22 “Ella aveva fame, aveva fame. Una bramosìa bestiale di cibo le torturava le viscere vuote […]

Quasi tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un pallor terreo, di quei pallori sotto cui pare non anche possa rimanere la vita, le occupava la faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne traspariva, e da tutta la restante aridezza della pelle lo scheletro traspariva, e intorno a tutto quell'ossame nei punti di pressione sul letto i tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa fame animava quella rovina, torturava gl'intestini ove le ulcere tifose si cicatrizzavano lentamente (NDP: 83-84)”.

23 Le feste dei morti sono contraddistinte in moltissime culture, anche tra loro assai differenti,

141 all’emblematica Novella della matrona di Efeso, il cibo si collega all’appetito sessuale e nella vergine Orsola, dopo i lunghi estenuanti digiuni della propria esistenza virginale e dopo la lunga malattia, con la fame si risveglierà anche l’altro, mentre le tappe della sua perdizione saranno scandite dall’avvicendarsi delle feste, e precisamente dall’inizio del ciclo di Natale fino al termine di quello di Pasqua.

Seguendo il calendario liturgico, i primi passi di Orsola dopo la malattia avvengono in concomitanza con la Candelora – si legge nel capitolo III: “Erano i primi giorni di febbraio” (NDP: 86) -, mentre la decisione di guardarsi allo specchio, ritrovata la salute e la sensualità, coincide con l’Annunciazione, in assenza della sorella – nel capitolo VII : “La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva cantate le litanie per l'Annunciazione e aveva ascoltata la predica sul messaggio dell'Arcangelo all'ancella di Dio. Ecce ancilla Domini” (NDP: 95). Si tratta ovviamente di un gioco ossimorico, poiché nel momento in cui avviene il concepimento virginale di Maria, la vergine Orsola subisce le tentazioni diaboliche dello specchio. Da quel momento prende avvio la sua iniziazione alla sensualità, che si concretizza con la seduzione messa in atto da un giovane militare attraverso un abbaino dirimpetto a una finestrella della casa. Il primo scambio di sguardi avviene nella quinta domenica di Quaresima, la domenica della resurrezione di Lazzaro: anche qui trapela il gioco blasfemo fra la rinascita della sensualità di Orsola e il calendario liturgico (NDP: 96-97). Tale seduzione riecheggia anche quella della monaca di Monza e, secondo un procedimento stilistico manzoniano, Orsola è chiamata col solo epiteto “la vergine”.

L’incontro, seppur fugace, col suo seduttore, si concretizza così la domenica delle Palme, durante la processione festiva:

La domenica delle Palme ella uscì dopo tanti mesi, per la prima volta; poiché Camilla voleva condurla a render grazie della guarigione al Signore […] Le campane chiamavano. Per le vie i fasci delle palme mettevano un mobile luccicore argenteo; da ogni gruppo di villici sorgeva una selva di ramoscelli; e la candida clemenza della benedizione cristiana si diffondeva per tutta l'aria da quelle selve, come se si appressasse il Galileo, il re povero e dolce sedente su l'asina fra la turba dei discepoli, in contro agli osanna del popolo redento. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis! Nella chiesa la folla era immensa, sotto la selva delle palme. Per una di quelle correnti che si formano irresistibili nelle masse di popolo, Orsola fu divisa da Camilla; restò sola in quel rigurgito, in mezzo a tutti quei contatti, in mezzo

beni alimentari per i defunti che tornano sulla terra affamati, alfine di placare la loro fame che può arrecare danni di vario tipo ai viventi, fino agli eccessi del vampirismo o dei morts

142 a tutti quegli urti e quegli aliti. Ella tentava d'aprirsi un varco: le sue mani incontravano la schiena d'un uomo, altre mani tiepide il cui tocco la turbava. Ella si sentiva sfiorare il volto da una foglia d'olivo, contrastare il passo da un ginocchio, spingere il fianco da un gomito, offendere il petto, offendere le spalle da pressioni incognite. Sotto l'odore dell'incenso, sotto le palme benedette, nella penombra mistica, in tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane, piccole scintille erotiche scoccavano per attrito e si propagavano; amori segreti si ritrovavano e si congiungevano. Passavano accanto a Orsola fanciulle della campagna con palme sul petto, con un riso fuggente nel bianco degli occhi vòlto ad amatori che dietro le insidiavano: ed ella sentiva in torno a sé così passare l'amore, poneva il suo corpo tra quei corpi che si cercavano, era un ostacolo a quei gesti che tentavano toccarsi, separava le strette di quelle mani, i legami di quelle braccia. Ma qualche cosa di quelle carezze interrotte le penetrava nel sangue. In un punto ella s'incontrò a faccia a faccia con un soldato biondo; quasi gli posò il capo su la tunica, perché una colonna di gente dietro la spingeva. Ella levò gli occhi; e il giovine sorrise come aveva sorriso un giorno dall'abbaino della caserma. Dietro, l'urto seguitava; il vapore dell'incenso si spandeva più denso, e il Diacono dal fondo cantò: - Procedamus in pace. E il coro rispose: - In nomine Christi. Amen. Era l'annunzio della processione, che mise un sommovimento enorme in tutto il popolo. Per istinto, senza pensare, Orsola si attaccò all'uomo, come se già gli appartenesse; si lasciò quasi sollevare da quelle braccia che la prendevano ai fianchi, si sentì ne' capelli quel fiato virile che sapeva lievemente di tabacco. Ella andava così, indebolita, sfinita, oppressa da quella voluttà che l'aveva colta d'improvviso, non vedendo se non un barbaglio dinanzi a sé (NDP: 99-101) [corsivo mio eccetto il latino].

La festa della Domenica delle Palme è descritta secondo i canoni consueti che i riti liturgici cattolici assumono nella loro espressione popolare in Italia: D’Annunzio è anche attento a notare l’arrivo di gruppi di ragazze dalla campagne che stringono la “palma”, con cui s’intende popolarmente il rametto d’ulivo benedetto. Alla benedizione cristiana, ai fumi dell’incenso, all’evocazione della figura dolce di Cristo fa da contraltare la folla festiva, che si muove come un rigurgito attraverso correnti autodeterminantisi che allontanano la protagonista dalla sorella, favorendo lo sfioramento e il contatto sensuale delle vesti e dei corpi. Paradossalmente “nella penombra mistica, in tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane, piccole scintille erotiche scoccavano per attrito e si propagavano; amori segreti si ritrovavano e si congiungevano”. La festa qui diviene occasione per l’incontro fra i giovani e per la seduzione, elemento che non è affatto estraneo alla tradizione folklorica, in quanto i momenti festivi erano gli unici in cui le giovani ragazze potevano uscire di casa e incontrare i loro coetanei – una situazione simile è evocata in A Silvia. Tuttavia D’Annunzio la carica di un sovrappiù di senso erotico. Gli

143 “amatori”, termine della lirica cortese assai più sensuale di innamorati, insidiano le ragazze, le loro carezze interrotte penetrano nel sangue, gli aliti virili inebriano l’aria: Orsola ne rimane indebolita, sfinita, oppressa dalla voluttà. I festeggiamenti della Domenica delle Palme, di cui si mette in luce la natura primaverile, sanciscono il risveglio dei sensi e fungono da paraninfi, ma ciò che in realtà D’Annunzio fa trapelare è che sotto l’esperienza estetica dell’incenso e dell’agitarsi delle fronde d’ulivo si celano il desiderio e la foia.

La relazione fra le cerimonie del ciclo pasquale, la rinascita di Orsola e il risvegliarsi della sua sensualità è portata avanti anche nei capitoli successivi24. I

riti pasquali, pur in apparenza così distanti per i loro temi di morte e contrizione, sembrano agire appositamente per favorire e proteggere gli incontri fra gli amanti. Gli elementi cerimoniali che li caratterizzano - in questo D’Annunzio mostra molti tratti della devozione popolare abruzzese - si caricano di significati sensuali: le penombre delle chiese in cui i ceri devono rimanere spenti per la morte di Cristo favoriscono gli appuntamenti segreti; i drappi viola coprono le immagini dei crocifissi impedendo loro di scorgere le effusioni degli amanti; i Sepolcri25, grandi vasi in cui vengono seminati cereali

fatti crescere al buio, cosicché vengano su bianchi perché privi di clorofilla, adornano il tabernacolo vuoto delle chiese ma sembrano parlare di amori cresciuti nell’oscurità, segreti; l’aria impregnata dal profumo di fiori e di benzoino, un aroma dolciastro, diventa pesante per la sensualità opprimente26.

Tuttavia il sogno d’amore di Orsola ha un esito imprevisto. Terminata la Settimana santa, i due giovani sono costretti a ricorrere all’aiuto di un mezzano. In breve, Orsola diviene l’oggetto delle brame del turpe Lindoro. L’atto sessuale viene consumato una sera di giugno, mentre la sorella è assente per assistere a una funzione. Anche in questo caso la violenza si coagula in un giorno ben preciso, un sabato sera, scatenata dall’ansietà della vigilia di un giorno di festa, mentre per le strade del quartiere si celebrano i festeggiamenti per un matrimonio, cui Orsola, dopo lo stupro, ormai depravata dalla lunga tresca

24 “Tutta la Settimana Santa protesse delle sue complici ombre l'amore della vergine Orsola. Le

chiese erano immerse nel crepuscolo della Passione, i crocefissi su gli altari erano coperti di drappi violacei; i sepolcri del Nazareno erano circondati di grandi erbe bianche cresciute nei sotterranei; un profumo di fiori e di belzuino pesava nell'aria (NDP: 102)”.

25 La tradizione dei “sepolcri” è da Frazer collegata ai “giardini di Adone”, cui dedica l’intero

capitolo XXXIII (1992 [1911]: 392-393). Si tratterebbe pertanto di un rito di fertilità di natura agraria.

26 Infatti: “Ella s'inabissava poi come in un sogno dove la figura livida di Gesù morto e lo

scroscio delle battiture e i brividi della carne sollecitata e l'odor grave dei fiori e gli aliti di quell'uomo biondo si mescolavano in un senso dubbio di dolore e di piacere (NDP: 102)”.

144 amorosa e adusa alla menzogna, è costretta a partecipare per non destare sospetti nella sorella27. Paradossalmente la violenza si compie proprio nel

mezzo di una festa nuziale, quella festa nuziale che Orsola avrebbe tanto desiderato per sé, ma che dopo l’azione ignominiosa si allontana definitivamente dalla sua vita. Per un amaro gioco della sorte, nel momento stesso in cui le viene per sempre negato il matrimonio, Orsola vi dovrà partecipare, ma solo come spettatrice.

Messe da parte tutte le sue speranze, deflorata dal turpe mezzano, contaminata agli occhi del Signore, Orsola si rifugia di nuovo nel misticismo. D’Annunzio indulge nel descrivere l’apparato scenografico della chiesa durante la celebrazione dell’Uffizio di Pentecoste; oltre alle statue barbariche e alla figura dello Spirito Santo in forma di colomba, insiste sul campo semantico della luce (“arco radioso”, “ali d’oro”, “rossore”, “incendio”, “rilucevano”, “abbacinava”, “raggiava”, “percossa dal sole”) e sul profumo dell’incenso (“nimbo”, “aromi spirituali”, “turiboli fumanti e odoranti”). Anche le immagini evocate dal prete sull’altare sono costruite artatamente per sollevare il tormento di Orsola e suscitare il suo abbandono mistico, tanto che la giovane crede di ricevere un segno di assenso dal Signore alle sue preghiere di redenzione: “Le parve un istante di vedere la colomba d'oro balenarle un lampo di assentimento, e il cuore le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni nelle viscere d'Elisabetta alla visita della Vergine Maria” (NDP: 118-119). Ma la similitudine, colta dalla prospettiva interna di Orsola, diventa una ignominiosa blasfemia in seguito alla rivelazione parodica, sadica, del narratore. Infatti, la non più vergine Orsola è incinta del vecchio deforme: “Un nuvolo di incenso avvolse la vergine violata che stava da presso; e subitamente un invincibile fiotto di nausea dal fondo della maternità le salì alla gola e le fece torcere la bocca” (NDP: 119). A cinquanta giorni dalla Pasqua, nella festa di Pentecoste, il destino di Orsola è segnato.

Orsola è pronta a morire per evitare l’infamia e anche questa decisione è presa in concomitanza alle cadenze del ciclo pasquale, il giovedì della seconda settimana dopo Pentecoste: “Quando questo pensiero balenò alla mente di Orsola, cadeva il pomeriggio. Tutte le campane sonavano a gloria, nella vigilia del Corpus Domini” (NDP: 120). Poi, all’improvviso, le giunge l’illuminazione di chiedere aiuto al mago Spacone, la cui fama era giunta fino in città, per ottenere

27 Riporto i passi della novella: “Voci e risa empivano la piazza; giù pe 'l casamento cantava la

gioia sabatina degli abitanti sollevati. Dal secondo pianerottolo Teodora La Iece gridò: - Comare Camilla, comare Orsola, venite? […] - Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena si marita” (NDP: 110-111).

145 una pozione abortiva. È interessante notare che la sua figura di devota, cresciuta nell’adempimento delle funzioni cristiane, non ha nessuna remora ad abortire né tantomeno a ricorrere alla magia, due pratiche aborrite e vietate dall’ortodossia cattolica. In Orsola D’Annunzio coglie un tratto ricorrente negli esponenti delle classi popolari e un elemento della religione folklorica, o meglio in questo caso della “religion vécue”- le modalità con cui la religione è vissuta concretamente nelle pratiche di ogni giorno - che consiste nel non operare un ferreo discrimine fra una magia falsa e una religione vera, ma ricorrere variamente a differenti manipolatori delle forze sacre, santi, monaci o stregoni, a seconda delle necessità vitali. Nella mentalità popolare, poi, si attua una contiguità inestricabile fra segni divini, manifestatisi attraverso pratiche liturgiche o accettate dalla Chiesa, e incantesimi, magie, pozioni o pentacoli, adibite dai maghi, che all’immaginario cristiano fanno comunque ricorso per l’uso di molti simboli e immagini di potere. Può accadere pertanto che il mago, manipolatore delle forze sovrannaturali, si trasfiguri in un santo elargitore di miracoli, in un redentore dei peccati, nell’aiutante dei poveri e dei disperati. Così accade, in effetti, per Orsola che proietta sul vecchio Spacone la propria fede cristiana e circonfonde la sua immagine della dolcezza e della mitezza del Galileo28 – si ricordi che nella descrizione del suo arrivo nel passo sulla

Domenica delle Palme D’Annunzio utilizza proprio il termine “dolce” -, facendo di lui quello che, secondo la definizione di de Martino, potremmo definire un “Cristo magico29”. Le fantasie mistiche di Orsola, ora definita “la

peccatrice”, secondo lo stilema manzoniano già indicato, si scontrano con la dura realtà. Spacone non è a casa e sua moglie, una megera, le prepara una pozione che le provoca un aborto immediato e violento. Poi il rientro a Pescara avviene fra dolori torturanti. Giunta sulla soglia cittadina, le viene incontro la processione festante del Corpus Domini30, preceduta da bambine vergini in abiti bianchi, che rappresentano icasticamente le alterae ego della vergine Orsola e la

28 “In fondo, alla mèta, ella vedeva nella sua fantasia sorgere il vecchio benefico e illuminarsi

misticamente. Per una nativa tendenza superstiziosa, ella trasformava quella figura, la ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana, la cingeva il nimbo […] E a poco a poco, giacché nulla possono gli uomini senza l'assistenza di Dio, sorse anche la persuasione che il Vecchio fosse un inviato del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza corporale, un distributore di grazie celesti su la terra ai caduti. - La speranza estrema non era discesa su la peccatrice improvvisamente, quasi per influsso divino, fra i segnali accesi nell'aria? E nella Pentecoste la colomba non aveva balenato dall'alto, agli occhi della pregante, un lampo di buona promessa? La promessa ora si compiva nel santo giorno del Corpus Domini (NDP: 123- 124)”.

29 Il concetto è coniato per la figura dello sciamano in Il mondo magico (de Martino: 1973: 285 ss.).

Qui ovviamente mutatis mutandis.

146 sua purezza ormai perduta. Nel finale l’immagine della morte di Orsola, immersa nel “sangue del peccato”, si sovrappone così a quella della candida festa del Corpus Domini. Si coagulano così nel giorno della celebrazione del Santissimo Sacramento, ma anche dell’apparizione del sangue santo di Cristo nell’ostia consacrata31, istanze violente, tragiche, fatali: la festa diviene foriera di

morte.