• Non ci sono risultati.

Tavola 3. La festa nelle Novelle della Pescara

4.3. Il folklore primordiale della prima parte

4.3.2. Il cuore oscuro d’Abruzzo: la festa della Madonna dei Miracol

Giorgio e Ippolita giungono a Casalbordino la vigilia della festa della Madonna dei Miracoli, dunque, il 10 giugno. Non partecipano pertanto alla processione della statua, ma tutto l’apparato festivo è già ampiamente

29 Riporto per intero il passo dove era già emersa l’illusione di una svolta verso il vitalismo

dionisiaco: “Ella gli offriva l'avanzo su cui era il segno umido del morso; glie lo spingeva fra le labbra, ridendo, comunicandogli sensualmente la sua ilarità. - Tieni! Egli trovò delizioso quel sapore; si abbandonò a quell'incanto leggero; si lasciò avvolgere da quella seduzione che pareva nuova. Un desiderio folle all'improvviso l'assalì: di stringere tra le braccia la provocatrice, di sollevarla su le braccia, di portarla in corsa come una preda. Il cuore gli si gonfiò d'un'aspirazione confusa alla forza fisica, alla sanità possente, a una vita di gioia quasi selvaggia, all'amore semplice e rude, alla grande libertà primordiale. Provò come un bisogno istantaneo di rompere la vecchia spoglia che l'opprimeva, d'uscirne interamente rinnovellato, immune da tutti i mali che l'avevano afflitto, da tutte le deformità che l'avevano impedito. Ebbe la visione allucinante d'una sua esistenza futura in cui egli, affrancato da ogni abitudine funesta, da ogni tirannia estranea, da ogni triste errore, guardava le cose come se le vedesse per la prima volta ed aveva innanzi a sé tutta quanta la faccia dell'Universo aperta come una faccia umana. - Non poteva dunque venire il prodigio da quella donna giovine che su la mensa di pietra, sotto la quercia sicura, aveva spezzato il nuovo pane e l'aveva diviso con lui? Non poteva dunque incominciare da quel giorno, veramente, la Vita Nuova?” (TDM: 818).

30 È esplicita nei seguenti passi l’immaginazione sacrificale di Giorgio e la proiezione di Ippolita

nel ruolo di vittima: “«Misericordia di quel che ho goduto e di quel che soffro! Fate, mio Dio, che io possa compiere il Sacrificio nel vostro nome!» […] Ella aveva sentito cadere intorno a sé quella parte della sua sostanza che si opponeva alla totale offerta. Nessuna cosa torbida e impura era rimasta in lei. Il suo corpo s'era trasformato in un elemento sottile, agile, chiaro e incorruttibile; i suoi sensi s'eran confusi in una suprema ed unica voluttà. Assunta in sommo dello stelo meraviglioso, ella ardeva e gioiva del suo ardore e del suo splendore, simile a una

197 dispiegato e in corso, così come l’arrivo dei pellegrini e le pratiche cerimoniali. Ho già avuto modo di chiarire, poi, come in D’Annunzio nella vigilia della festa si concentrino le ansie e le tensioni del singolo e della comunità, determinando anche esiti violenti – una sensazione, in fondo, non troppo dissimile da quella del Sabato del villaggio, di cui D’Annunzio coglie però i risvolti parossistici e tragici.

L’episodio di Casalbordino, che è la parte più propriamente etnografica del romanzo, occupa ben tre capitoli del libro quarto: il quinto, il sesto e il settimo. A loro volta, i tre capitoli suddividono il racconto in tre fasi ben distinte: il capitolo quinto tratta dell’arrivo al santuario; il sesto è quello centrale con la descrizione dei riti fuori e dentro il santuario; il settimo racconta la fuga rocambolesca della coppia dal santuario. In questo caso, dato che sarebbe impossibile riportare tutte le pagine sulla ricognizione festiva dei due protagonisti, davvero molto numerose, propongo una ripartizione della narrazione in sequenze, riportando e commentando, di volta in volta, solo quelle espressioni più significative per il presente studio.

V

Arrivo a Casalbordino (TDM: 866-867): L’inizio del capitolo mette in evidenza da subito la descrizione della folla dei pellegrini attraverso immagini iperboliche e barbariche (“immense onde di popolo”, “si precipitavano con violenza”, “urlavano”).

La leggenda (TDM: 867-869): Viene riportata con ampiezza di particolari la leggenda di fondazione del santuario della Madonna dei Miracoli, nel 1527, legata all’apparizione della Vergine, sotto forma della Madre della Misericordia, a un vecchio contadino con l’esplicita richiesta di costruire una chiesa in quel luogo esatto. Alla fine di questa sequenza sono da notare le parole di Cola: “Questa è la Madonna che fa più grazie nel mondo” […] “Dicono che n’è uscita un’altra, ora, nel Regno. Ma questa vince”. Qui il riferimento è con ogni probabilità al culto della Madonna di Pompei, su cui D’Annunzio aveva peraltro progettato romanzo mai portato a termine. Il culto di tale Madonna si diffonde fra il 1876 e il 1887 a partire dal Regno di Napoli. Tuttavia vi si potrebbe scorgere anche una velata allusione alla Madonna di Lourdes, le cui apparizioni avvengono a partire dal 1858, e una sorta di sfida a Zola.

Il simulacro (TDM: 869-870): In questo denso paragrafo D’Annunzio espone con grande acutezza alcune questioni che concernono l’utilizzo delle statue dei santi

198 e della Madonna nel culto popolare, cogliendone i tratti salienti da un punto di vista antropologico. Lo riporto per intero:

Era palese nella sua voce e nella sua attitudine quel fanatismo di parte, che accende il sangue di tutti gli idolatri e che talvolta in terra d'Abruzzi muove le popolazioni a guerre feroci per la supremazia di un idolo. Il vecchio, come tutti i suoi fratelli di fede, non concepiva l'Essere divino fuori del simulacro ma vedeva e adorava nel simulacro la presenza reale della persona celeste. L'Imagine su l'altare viveva come una creatura di carne e d'ossa: respirava, sorrideva, batteva le palpebre, reclinava la fronte, accennava con la mano. Così, dovunque, tutte le statue sacre, di legno, di cera, di bronzo, d'argento, vivevano d'una vita sensibile nella loro materia preziosa o vile. Se invecchiavano, se si spezzavano, se si disfacevano pel gran tempo, non cedevano il posto alle statue nuove senza dar segni fierissimi della loro collera. Una volta il frammento di un busto, divenuto irriconoscibile e confuso tra la legna da ardere, aveva sprizzato sangue vivo sotto la scure e parlato parole di minaccia. Un altro frammento, piallato e commesso tra le doghe di un tino, aveva manifestata la sua essenza soprannaturale producendo nell'acqua il fantasma della sua figura primitiva integra... [corsivo mio].

Da una parte D’Annunzio ripropone i concetti a lui cari di idolatria e di idolo, insieme al motivo della “guerra di santi”, già enucleati nelle novelle. Dall’altra, mette in luce la concezione del mondo folklorico - condivisa anche presso molte altre popolazioni preindustriali di interesse etnologico - che l’entità divina sia davvero presente e contenuta nella statua, che è dotata così di poteri miracolosi. Ma non solo, D’Annunzio coglie anche la credenza che il numen venerato (“la persona celeste”) abbia proprio la foggia di quella statua posseduta dalla comunità - e nessun’altra -, e che essa possieda una vita propria, sia cioè una “persona”, coi sentimenti e i comportamenti suoi, espressione talora di benevolenza talaltra di collera. L’oggetto-persona è, così, circondato da una serie di precauzioni, regole o tabu, volte a favorire o proteggere le persone umane dall’interazione sensibile sempre rischiosa con esso, tanto che quando se ne rende necessaria la distruzione, essa genera sovente problemi e pericoli di ordine sovrannaturale.

L’ex voto (TDM: 869-870): D’Annunzio introduce dinamicamente nella narrazione la tradizione degli ex voto, in questo caso di cera, attraverso la figura del vecchio Aligi, il quale si rifiuta di salire in carrozza perché ha promesso alla Madonna di fare tutto il tragitto a piedi in segno di ringraziamento. L’episodio si chiude con L’arrivo al santuario (TDM: 871).

199 VI

Lo spettacolo attorno al santuario (TDM: 871-875): La descrizione della folla che si aggira attorno al santuario, chiamato col nome di Casa della Vergine, termine che ne aumenta per antitesi l’effetto straniante, è uno dei capolavori della scrittura dannunziana. Tale descrizione si protrae, in realtà, per undici pagine, fino all’entrata vera e propria di Giorgio e Ippolita nel santuario ed è costruita attraverso un gioco dello sguardo del narratore che si sofferma a cogliere differenti scene sulla piazza-palcoscenico, isolandole attraverso il ripetersi cadenzato e ossessivo del grido: “Viva Maria!”. In particolar modo, le prime cinque pagine sono costruite attraverso l’alternarsi dello sguardo dalla folla dei pellegrini a gruppi di personaggi aberranti – quasi una Corte dei Miracoli proveniente da Notre-Dame de Paris -, giunti a Casalbordino per intrattenere i fedeli nei giorni della festa, in una commistione di sacro e profano. Alla Visione panoramica della folla (TDM: 871-872), segue la descrizione focalizzata in prima battuta su Mercanti e prostitute (TDM: 872), quindi lo sguardo torna sulle Compagnie dei pellegrini (TDM: 872-873). L’attenzione si dirige quindi sulle Sonnambule circensi (TDM: 873) e di nuovo sull’Arrivo di nuovi pellegrini (TDM: 873-874). La focalizzazione si sposta quindi su Bettole e crapuloni (TDM: 874) e su Bari e biscazzieri (TDM: 874-875), per tornare di nuovo sui Pellegrini (TDM: 875).

La frase più indicativa della prospettiva del narratore è proprio nell’incipit del capitolo: “Era uno spettacolo meraviglioso e terribile, inopinato, dissimile ad ogni aggregazione già veduta di cose e di genti, composto di mescolanze così strane aspre e diverse che superava i più torbidi sogni prodotti dall'incubo”. In essa si vede l’attrazione e la repulsione insieme di D’Annunzio per questo mondo folklorico festante, meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo, di cui viene messa in luce l’alterità totale, un prodotto non dell’umano ma dell’onirico, quasi un quadro di Bosch. Così si susseguono le seguenti espressioni “brutture”, “vizii turpi”, “deformazioni”, “follia”, “cupidigia”, “lussuria”, “frode”, “ebetudine”, “paura”, “tutte le basse tentazioni agli appetiti brutali” – che rimandano alla Vergine Orsola -, “tutti gli inganni alla semplicità e alla stupidezza” – che rimandano alla Vergine Anna. Ancora più icastico l’explicit che allude a una sorta di humus marcescente che rischia di invadere il templum: “ribollivano, fermentavano, intorno alla Casa della Vergine”.

Avvicinamento al santuario (TDM: 875-877): Avvicinandosi al santuario, il narratore si focalizza maggiormente sul punto di vista interno della coppia, facendo nuovamente emergere l’opposizione fra il disgusto per il “lezzo nauseabondo” e “l’attrazione dello spettacolo umano”, tanto che Ippolita appare fuori di sé “investita dalla fiamma di demenza che esalavano le turbe

200 fanatiche”. Di nuovo la religione folklorica sembra produrre un indebolimento delle facoltà mentali. Da questo punto in poi l’attenzione si focalizza esclusivamente su pellegrini e devoti, mettendo in evidenza la ferocia e la barbarie delle loro manifestazioni esteriori. Ritorna anche l’insistenza sul tema del sangue, già emerso negli Idolatri: “Le grida sembravano venire da una strage: da uomini e donne che si sgozzassero a vicenda e si dibattessero nel sangue gorgogliante”.

I pellegrini teriomorfi (TDM: 877-878): La descrizione dei pellegrini, secondo le modalità tipiche in D’Annunzio, avviene attraverso similitudini e metafore animalesche e, in parte, vegetali, che hanno l’effetto di trasformarli in creature mostruose e deformi, subumane o inumane. I termini della metamorfosi sono “rospi”, “avvoltoio”, “proboscide”, “zanne dei cinghiali”. Infine sono citate tutte le malattie più ripugnanti che generano deformità.

I duci delle compagnie (TDM: 878): Anche i capitani delle compagnie dei pellegrini subiscono la stessa metamorfosi e assumono tratti sado-masochistici, trascinando, percotendo e ingiuriando i fedeli, quasi come i demoni di un inferno dantesco.

Il paralitico e l’ossesso (TDM: 879-880): Lo sguardo del narratore si sofferma, quindi, su due figure particolarmente mostruose, che hanno lo scopo di mostrare la “bestia originaria31” dei popolani, un paralitico e un indemoniato. Il

paralitico illustra specificamente l’attaccamento alla vita di chi “non voleva morire”, che rimanda per opposizione a quello slancio vitale nicciano ormai perduto per Giorgio. Colpisce anche che D’Annunzio utilizzi per indicare la statua della Madonna semplicemente il termine “la Madre”, che non è affatto consueto né nella liturgia cristiana né nella devozione popolare, sovrapponendo allusivamente la propria interpretazione della sopravvivenza nel culto mariano di un’antica divinità genitrice, che, come abbiamo visto, è la Terra.

I dementi (TDM: 880): La descrizione dei pellegrini resi dementi dalla fede, dal sole, dalle grida altrui, dal girare in cerchio attorno al santuario secondo le prescrizioni cerimoniali prima di entrare, introduce l’importante tema sacrificale, anche qui apertamente dichiarato: “invasi da una frenesia feroce che li spingeva ai sacrifici sanguinosi, agli strazii della carne, alle prove più inumane”. Qui viene introdotto per la prima volta anche il tema dell’annullamento delle identità individuali e della fusione in un unico organismo indistinto, privo di discernimento e ragione, per effetto dei riti festivi: “incalzandosi, con tal furia concorde che non più parevano un