Il topos della festa compare a più riprese nei Canti leopardiani, apertamente dichiarato o meno, così, se la sua evocazione risulta immediata fin dal titolo della Sera del dì di festa e del Sabato del villaggio, la sua presenza è facilmente ravvisabile nel Passero solitario e nelle Ricordanze, mentre i due brevi accenni nella Quiete dopo la tempesta e in A Silvia spiccano per il nitore dei celebri versi; il termine occorre solo un’altra volta, nella Palinodia al marchese Gino Capponi, dove invece, all’interno di una struttura lunga e complessa incentrata sulla critica del progresso, non assume grande risonanza. Si tratta in tutto di sette poesie su quarantuno, per un totale di diciassette occorrenze del lemma festa e dei suoi corradicali.

93 Prima di analizzare il significato e la valenza del tema nella raccolta, conviene chiedersi se la sua comparsa in queste liriche sia del tutto accidentale e contingente o se, invece, sia rintracciabile un momento preciso della poetica leopardiana in cui la festa assume un particolare rilievo, imponendosi nell’immaginario del poeta fino al suo concretizzarsi, seppur frammentato in vari componimenti, e se non vi sia un qualche schema, non in prima battuta evidente, nella sua dislocazione nei Canti.

Se osserviamo la cronologia e l’ordinamento dei Canti “secondo il tempo certo o probabile della composizione” elaborata da Moroncini1 (tavola 1), risulta

evidente che, a parte La sera del dì di festa che è del 1820, l’immagine della festa leopardiana viene a costituirsi – a livello temporale - attraverso un nucleo molto coeso di poesie, che coincide per buona parte con i cosiddetti “canti pisano- recanatesi” del ’28-‘30, a esclusione del Risorgimento e del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia2. La situazione non cambia in maniera significativa nemmeno se si segue l’ipotesi Monteverdi-De Robertis3, secondo la quale Il

passero solitario sarebbe stato scritto nel 1831, dopo l’edizione Piatti, venendo così a posporsi al Canto notturno nella cronologia. A queste liriche maggiori va senz’altro aggiunto anche il frammento del Canto della fanciulla, da tutti i commentatori individuato come un’anticipazione di A Silvia, benché privo di datazione. Risulta, pertanto, evidente che il tema della festa, comparso una prima volta nel 1820 con la disperata malinconia della Sera, dopo l’inaridimento della vena poetica e l’abbandono dei versi per l’“acerbo vero”, si impone nuovamente nell’animo di Leopardi proprio a partire dal ’28, dall’anno del suo rinascimento poetico come lui stesso lo descrisse alla sorella Paolina4,

reificandosi nelle molteplici immagini presenti in A Silvia, nelle Ricordanze, nella Quiete, del Sabato, nel Passero. E questa volta, in armonia col rinnovato impeto lirico, quella evocata appare come una festa davvero in piena regola,

1 Ora anche in Colaiacomo (1995b: 357)

2 Il Canto notturno è ambientato in un paesaggio notevolmente lontano dall’orizzonte

borghigiano degli altri canti pisano-recanatesi, che sembrano pertanto alle sue spalle per temi e immaginario. Tuttavia vorrei segnalare che il termine “contento”, presente alla fine della quarta lassa, è dato dal Forcellini nell’edizione posseduta da Leopardi come possibile traduzione di

festivitas (1805: 300). Infine anche Il risorgimento, con il suo andamento di canzonetta arcadica,

sembra partecipare per titolo e ritmo a un certo clima festoso.

3 Secondo Marti la stesura definitiva è da collocarsi addirittura fra il ’32 e il ’35; le varie

posizioni sono riassunte in Biral (1992: 251) e Dotti (1993: 89). Interessante anche l’argomentata sintesi di Bigongiari (1976: 157-158). Per comodità ripropongo lo schema di Moroncini, senza la cesura del Canto notturno.

4 Riporto il noto passo dalla lettera da Pisa del 2 maggio 1828: “e dopo due anni, ho fatto dei

94 metamorfico emblema della felicità, pur con tutti i suoi corollari di illusione e delusione.

Rintracciare uno schema o una struttura nei Canti risulta un compito ben più arduo, con cui pochi si sono misurati. Ma è indubbio che Leopardi avesse in mente già all’altezza della Starita un esatto percorso nella sua produzione poetica, di cui l’esempio più lampante è proprio la collocazione del Passero solitario, del ’29 o del ’31, in undicesima posizione prima dell’Infinito del ’19: spostamento che riguarda da vicino il tema della festa. Così intanto, in via preliminare, si può notare che nell’ordinamento definitivo dei Canti il nucleo coeso di poesie prima individuato su base cronologica in parte si sfalda, e il tema della festa, se prescindiamo dalla Palinodia, viene a dislocarsi in due differenti zone di condensazione del significato: la prima, all’incirca a metà della prima parte dei Canti (metà comunemente individuata nella cesura del Pepoli; cfr. Colaiacomo, 1995b: 367 ss.), si estende fra il Passero (XI) e la Sera (XIII), con in mezzo lo iato dell’Infinito; la seconda, all’inizio della seconda parte dei Canti, assume quasi l’aspetto di un raddoppiamento della prima, con Silvia (XXI) e le Ricordanze (XXII), in coppia, separate dalla Quiete (XXIV) e dal Sabato (XXV), anch’esse in coppia, attraverso lo iato del Canto notturno. Dati gli spostamenti effettuati da Leopardi in vista dell’edizione definitiva, questa disposizione non può apparirci del tutto casuale o simmetricamente fortuita, tuttavia, vista così, fuori da uno schema complessivo, non rivela molto di più. Soprattutto non risulta intuitivamente evidente il motivo per cui il festivo Passero si trovi davanti all’Infinito, e perché mai quest’ultimo sia stato separato dal suo idillio gemello, Alla luna, proprio dalla Sera del dì di festa.

Fra i tentativi di individuare una partizione strutturale vi è quello di Bigongiari nel saggio intitolato “Leopardi e il desiderio dell’io. Riflessioni preliminari sull’ordinamento dei Canti” (1976: 1-50), ripreso in seguito nel saggio di Colaiacomo (1995b), che sembrano poter offrire un’interessante chiave di lettura. Inoltre, la strategia interpretativa messa in atto da Bigongiari, centrata sull’idea di un Leopardi lettore di se stesso nella costruzione dei Canti (1976: 11), e sulla tematica del desiderio, si sposa perfettamente con alcune posizioni espresse nell’ambito dell’antropologia letteraria, come quella del “lettore implicito” di Iser (1989; 1993) e quella della “struttura del desiderio” di Bortoluzzi (2009), che pertanto terrò presenti e fonderò con quella nella mia lettura dei Canti5. Per altri aspetti dell’analisi, mi colloco nella prospettiva antropologica dello “sguardo dall’interno”, precedentemente delineata (cfr. §

95 1.2.). Innanzitutto, riporto brevemente la partizione generale della raccolta su basi metrico-formali e tematiche secondo Bigongiari (tavola 2): i Canti si dividerebbero, così, in quattro gruppi di liriche, disposti a chiasmo intorno all’Epistola al Pepoli (XIX), cerniera e spartiacque fra le due parti maggiori, chiamate sul modello petrarchesco “In vita” (I-XVIII) e “In morte” (XX-XXXIX). Il primo gruppo di poesie, da All’Italia a Ultimo canto di Saffo (I-IX), sono definite “Canzoni-odi” e in esse, secondo Bigongiari, “L’io si tenta come personaggio” - “antico”, aggiungo per chiarezza. Il secondo gruppo va dal Primo amore fino Alla sua donna (X-XVIII) e viene definito degli “Idilli” - espandendo così a tale accezione un numero maggiore di componimenti rispetto ai sei chiamati così da Leopardi e comunemente indicati dalla critica come tali6; in queste poesieL’io

si tenta in proprio come personaggio”, cioè, come personaggio moderno e contemporaneo. Il terzo gruppo, dal Risorgimento al Sabato del villaggio (XX- XXV), è indicato con la tradizionale definizione carducciana di “Grandi idilli”, per evidenziarne l’aspetto speculare rispetto al secondo gruppo; in questi componimenti assistiamo alla “Resurrezione dell’io come rimembranza”. Infine, il quarto gruppo dal Pensiero dominante alla Ginestra (XXVI-XXXIV), definito delle “Odi-canzoni”, metterebbe in scena la “Morte dell’immagine dell’io”.

Stando così le cose, il topos della festa viene a collocarsi una prima volta negli “Idilli”, quando ancora l’io è in vita, e precisamente quando il poeta, lettore ideale di se stesso, ma anche il lettore che compia tutto il percorso iniziatico dei Canti sono ancora preda del “desiderio dell’io”, mentre una seconda volta dopo la “morte dell’io”, e più precisamente quando, avendo sperimentato il “desiderio di morte”, l’immagine dell’io risorge attraverso il meccanismo della memoria nei “Grandi idilli”, specularmente e per raddoppiamento, o meglio sdoppiamento, rispetto ai primi. Così, fra la prima e la seconda parte dei Canti anche l’immagine della festa sembra assumere due accezioni diverse o speculari. Per cercare di spiegare meglio tale cambiamento, occorre analizzare distintamente quelle che ho definito come le due zone di condensazione del significato del tema della festa, il gruppo XI-XIII e quello XXI-XXV.

6 Gli idilli tradizionalmente intesi sono: L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa, Il sogno, La vita solitaria, Lo spavento notturno. Si veda a questo proposito Dotti (1993: 50).

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Tavola 1. Cronologia dei Canti “secondo il tempo certo o probabile della composizione” di Moroncini

1. Frammento (Spento il diurno raggio). Recanati, novembre-dicembre 1816 2. Il primo amore. Recanati, 1817-18

3. Frammento (Io qui vagando). Recanati, 1818 4. All’Italia. Recanati, settembre 1818

5. Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze. Recanati, settembre-ottobre 1818 6. Imitazione. Recanati, 1818 ?

7. Alla luna. Recanati, 1819 8. L’infinito. Recanati, 1819

9. Frammento (Odi, Melisso). Recanati, 1819

10. Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica. Recanati, gennaio 1820

11. La sera del dì di festa. Recanati, scorcio del 1820 (probabilmente ottobre)

In document Lo sguardo sulla festa.Valenza antropologica dell’esperienza festiva nella rappresentazione letteraria: Leopardi, D’Annunzio, Pavese (Page 92-96)