1.6. La festa nelle Operette moral
2.6.1. Il “sistema di Stratocle e Teofrasto”
Vi sono altri due passi assai rappresentativi della funzione della festa per Leopardi143, da cui si può ricavare in particolare un aspetto pragmatico, secondo
quello che definirei il “sistema di Stratocle144 e Teofrasto145”, fortemente inserito
nel “sistema atropologico” leopardiano. Il primo è tratto dalla Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte, del 1822, che in origine fu pensata come premessa al Bruto minore ed edita nelle Canzoni del 1824, mentre, in seguito, fu espunta e pubblicata in appendice alle Operette morali. Il secondo lo traggo dal Capitolo sesto dei Detti memorabili di Filippo Ottonieri, del 1824, ma le parole di Stratocle sono trascritte anche alla pagina 2681 dello Zibaldone146, del 1823. Li riporto nelle parti più significative:
In quanto agl’insegnamenti, Cicerone dice che Teofrasto in un libro che scrisse delle ricchezze, si distendeva molto a lodare la magnificenza e l’apparato degli spettacoli e delle feste popolari, e metteva nella facoltà di queste spese molta parte dell’utilità che proviene dalle ricchezze. La qual sentenza è biasimata da Cicerone e data per assurda. Io non voglio contendere con Cicerone sopra questa materia, se bene io so e vedo ch’egli si poteva ingannare e tastar le cose con quella filosofia che penetra poco addentro. Ma l’ho per uomo cosi ricco d’ogni virtù privata e civile, che non mi basta l’animo d’accusarlo che non conoscesse i maggiori incitamenti e i più fermi propugnacoli della virtù che s’abbiano a questo mondo, voglio
142 Che la danza sia espressione di festa, concetto peraltro abbastanza intuitivo, è suggerito dal
loro accostamento nelle Ricordanze (vv. 154-159) e dal fatto che la parola “danze”, al verso 67 dell’edizione definitiva di Al Conte Carlo Pepoli, sostituisca la parola “feste”, presente allo stesso verso e nella stessa posizione chiave a fine verso, nella prima redazione dell’Epistola al Conte
Carlo Pepoli, stampata nei Versi del 1826.
143 I due passi sono già stati messi in relazione nel saggio di D’Intino (2009: 50); svolgo qui la
riflessione in relazione alla festa.
144 Stratocle fu un uomo politico e oratore ateniese, nato verso la metà del IV secolo. Fu
avversario e accusatore di Demostene, che lo definì un buffone. Plutarco, nelle Vite parallele, racconta che in seguito alla battaglia di Amorgo, nel 322 a. C., Stratocle venuto a sapere per primo della sconfitta degli ateniesi, si recò in uno dei demi di Atene e proclamò la vittoria, facendo istituire una festa di ringraziamento che durò tre giorni. Su Stratocle si veda anche D’Intino (2009: 231 ss.).
145 Teofrasto (371 a.C.-287 a.C.) fu allievo di Aristotele, cui succedette nella direzione del Liceo
nel 322 a.C. Scrisse il trattato Della pietà e fu botanico, vegetariano e contrario all’uccisione degli animali sia per i sacrifici e che per l’alimentazione (De Mori, 2007: 64).
146 Questo il passo dello Zibaldone: “Molto meno arieno ancora gli Spartani patito l'insolenza, e buffonerie di Stratocle, il quale avendo persuaso il popolo (credo Ateniese, o Tebano) a sacrificare come vincitore; che poi sentito il vero della rotta si sdegnava, disse: Qual ingiuria riceveste da me, che seppi tenervi in festa, ed in gioja per ispazio di tre giorni?” (Zib: 2681).
85 dir le cose appropriate a stimolare e scuotere gli animi ed esercitare la facoltà dell’immaginazione. Solamente dirò che qualunque o fra gli antichi o fra’ moderni conobbe meglio e sentì più forte e più dentro al cuor suo la nullità d’ogni cosa e l’efficacia del vero, non solamente non procurò che gli altri si riducessero in questa sua condizione, ma fece ogni sforzo di nasconderla e dissimularla a se medesimo, e favorì sopra ogni altro quelle opinioni e quegli effetti che sono valevoli a distornarla, come quello che per suo proprio esperimento era chiarito della miseria che nasce dalla perfezione e sommità della sapienza (OM: 272).
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A un passo di Plutarco, che è trasportato da Marcello Adriani giovane in queste parole: molto meno arieno ancora gli Spartani patito l’insolenza e buffonerie di Stratocle: il quale avendo persuaso il popolo (ciò furono gli Ateniesi) a sacrificare come vincitore; che poi, sentito il vero della rotta, si sdegnava; disse: qual ingiuria riceveste da me, che seppi tenervi in festa ed in gioia per ispazio di tre giorni? soggiunse l’Ottonieri: il simile si potrebbe rispondere molto convenientemente a quelli che si dolgono della natura, gravandosi che ella, per quanto è in sé, tenga celato a ciascuno il vero, e coperto con molte apparenze vane, ma belle e dilettevoli: che ingiuria vi fa ella a tenervi lieti per tre o quattro giorni? E in altra occasione disse, potersi appropriare alla nostra specie universalmente, avendo rispetto agli errori naturali dell’uomo, quello che del fanciullo ridotto ingannevolmente a prendere la medicina, dice il Tasso: e da l’inganno suo vita riceve (OM: 143).
Nelle parole dello Zibaldone, a commento della boutade di Stratocle, è anche più chiaro il senso che Leopardi attribuisce alla festa per l’esistenza umana:
Agli Spartani si possono paragonare i filosofi, anzi questo secolo, anzi quasi tutti gli uomini, avidi del sapere o della filosofia, e di scoprir le cose più nascoste dalla natura, e p. conseg. di conoscere a propria infelicità, e p. conseg. di sentirla, quando non l'avrebbero sentita mai o di sentirla più presto. E la risposta di Stratocle starebbe molto bene in bocca de' poeti, de' musici, degli antichi filosofi, della natura, delle illusioni medesime, di tutti quelli che sono accusati d'avere introdotti o fomentati, d'introdurre o fomentare o promuovere de' begli errori nel genere umano, o in qualche nazione o in qualche individuo. Che danno recano essi se ci fanno godere, o se ci c'impediscono di soffrire, per tre giorni? Che ingiuria ci fanno se ci nascondono quanto e mentre possono la nostra miseria, o se in qualunque modo contribuiscono a fare che l'ignoriamo o dimentichiamo? (5 Marzo 1823) (Zib: 1821).
Appare così evidente che la festa rappresenta il risvolto pratico della “mezza filosofia” e, per così dire, la sua concreta applicazione, e che Stratocle il buffone e il compassionevole Teofrasto furono “mezzi filosofi”, forse, più efficaci di
86 quanto lo furono Isocrate e lo stesso Socrate147. Se la “mezza filosofia” ha la
funzione di ingannare l’uomo, di tenerlo al di qua del velo che la Natura ha gettato sul mondo, di nascondere la cognizione del vero, la festa fa implicitamente tutto questo e molto di più, distrae l’uomo facendolo godere, gli offre una tregua dal dolore, gli predispone una facile - seppur illusoria - felicità. Essa, come e più della “mezza filosofia”, svolge la funzione di ricondurre l’uomo dalla Ragione verso la Natura. Non si tratta di un espediente naturale, come gli uccelli e come il velo, ma di un artificio umano, nato non per rallegrarsi della morte, ma partorito da una mente pietosa che nei tempi antichi intravide quale baratro di dolore attendeva l’uomo all’“apparir del vero”. Così, l’uomo riceve dal proprio inganno la possibilità di sopravvivere a se stesso, e non solo vita, ma entusiasmo e stimolo alla virtù.