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1.3. Il “sistema antropologico” di Leopard

1.3.2. Precisazioni teoriche e struttural

Nel tratteggiare il “sistema antropologico” di Leopardi terrò conto di alcuni dei più significativi tentativi in tal senso, fra cui quelli di Muñiz Muñiz (1989), di Colaiacomo (1995a), di Ferroni (2010). Alcune delle ricostruzioni già brillantemente portate a termine, se hanno indubbiamente molti meriti, si muovono essenzialmente all’interno dello Zibaldone e si concentrano maggiormente sulla parte precedente al 1824, che è quella che offre senza dubbio il maggior numero di riflessioni in tal senso. Se ciò ha la funzione di ricostruire fin nei dettagli il pensiero di Leopardi nel suo dispiegarsi cronologico, per quanto mi è necessario occorre offrire anche una sintetica valutazione d’insieme, facilmente consultabile “a colpo d’occhio80”. A questo

proposito vorrei precisare che il “sistema antropologico” qui ricostruito non

79 Le prime forme di diffusionismo vere e proprie sono quelle delle scuole austriaca e tedesca, in

particolare quella dei Kulturkreis (cerchi culturali) del geografo Friedrich Ratzel, e quindi le opere di Frobenius e padre Schimdt, i quali tutti legarono le loro concezioni all’avversione all’evoluzionismo e alla credenza nella degenerazione dei tratti culturali. In America invece le figure di riferimento del diffusionismo furono Clark Wissler e Franz Boas, il cui anti- evoluzionismo fu in realtà molto più sfumato, non negando affatto il processo storico delle forme culturali, ma su basi “particolari” e non universali (Fabietti, 1991: 62, 63). Tuttavia la concezione dell’antropologia leopardiana è nel suo complesso molto lontana da queste posizioni.

50 corrisponde, se non in parte, al cosiddetto “sistema della Natura e delle illusioni” precedente al ’24. Per questa ricostruzione ritengo necessario inserire le riflessioni successive a tale data, e alcune notazioni presenti nei Canti e soprattutto nella Ginestra, perché non essendoci testimonianze in contrario dobbiamo supporre che il “sistema” non sia affatto saltato all’altezza della sua stesura e come “testamento” leopardiano sembra offrire il punto di vista ultimo sulla questione; pertanto mi spingo anche a ritenere che si possano rileggere i passi zibaldoniani à rebours proprio a partire dalla Ginestra. Al contrario la mia ricostruzione avverrà a prescindere da un’altra opera molto spesso indagata come chiave delle concezioni leopardiane, la Storia del genere umano. Se, da una parte, potrei far mie le posizioni di Solmi, quando sostiene di tralasciare le Operette morali, ritenendole “non altrettanto probanti, perché il pensiero leopardiano vi si trova a uno stadio meno genuino, in quanto maggiormente soggetto alle esigenze letterarie” (1987: 105), dall’altra la motivazione risiede soprattutto nel fatto che tale opera si offre come una costruzione fortemente “mitico-allegorica” (Binni, 2014, II: 275), anche dal sapore moralistico e umoristico, ponendosi al di fuori dell’impianto ermeneutico del “sistema antropologico” propriamente detto e altrove delineato. Inoltre, la presenza delle divinità come Giove, Venere, Amore nella sua duplice forma, dei “fantasmi” e la storia del diluvio universale mi sembrano esautorare tale racconto da ogni valore scientifico agli occhi dello stesso ateismo leopardiano, offrendo invece una rappresentazione allegorica parallela. Non sarei, infine, neanche così sicuro che il vero intento di tale opera sia quello di ricostruire, sebbene sotto forma di favola o di pseudo-mito, l’evoluzione del genere umano, quanto di mettere in luce alcuni temi “antropologici” che si dispiegheranno poi all’interno di tutta la tessitura delle Operette, in primis, il desiderio, l’infelicità, la noia, ma anche il valore delle illusioni, la potenza dell’amore81.

Per quanto riguarda l’idea che dà forma al sistema vorrei ribadire che l’opposizione strutturante fondamentale è quella tra “Natura e Ragione”, da cui discendono le altre - quella fra antichi e moderni, quella fra meridionali e settentrionali, fra società stretta e larga. La legge che determina l’evoluzione complessiva del sistema dalla Natura verso la Ragione va rintracciata nell’idea cardine dell’“assuefazione” umana, sullo sfondo di un processo sociale di accumulo dei dati acquisiti attraverso l’esperienza, che si avvicina molto a un’idea di sviluppo della “cultura”:

81 Per una lettura dell’operetta si vedano Luporini (1998), Bellucci (2010), e in particolare Binni,

il quale sostiene che il tema principale della Storia del genere umano è l’“infelicità dell’uomo” (2014, II: 275).

51 L’uomo si allontana dalla natura, e quindi dalla felicità, quando a forza di esperienze di ogni genere, ch’egli non doveva fare e che la natura aveva provveduto che non facesse (perché s’è mille volte osservato ch’ella si nasconde al possibile e oppone milioni di ostacoli alla cognizione della realtà); a forza di combinazioni, di tradizioni, di conversazione scambievole ec., la sua ragione comincia ad acquistare altri dati, comincia a confrontare e finalmente a dedurre altre conseguenze sia dai dati naturali, sia da quelli che non doveva avere. E così, alterandosi le credenze, o ch’elle arrivino al vero, o che diano in errori non più naturali, si altera lo stato naturale dell’uomo; le sue azioni non venendo più da credenze naturali non sono più naturali; egli non ubbidisce più alle sue primitive inclinazioni, perché non giudica più di doverlo fare, né più ne cava la conseguenza naturale ec. (Zib: 446).

All’opposizione fra “Natura e Ragione”, con un movimento inversamente proporzionale, va però aggiunta l’opposizione strutturante tra “Felicità e Infelicità”, per cui mentre nella sua evoluzione l’uomo si muove sul piano socio-culturale verso una sempre maggiore complessità, precipita sul piano eudemonistico progressivamente nell’infelicità. In questo modo si spiega l’assunto leopardiano che:

Il principale insegnamento del mio sistema è appunto la detta degenerazione. Tutte, pertanto, le infinite osservazioni e prove generali o particolari ch’io adduco per dimostrare come l’uomo fosse fatto primitivamente alla felicità, come il suo stato perfettamente naturale, che non si trova mai nel fatto, fosse per lui il solo perfetto, come quanto più ci allontaniamo dalla natura tanto più diveniamo infelici ec. ec., tutte queste, dico, sono altrettante prove dirette di uno dei dogmi principali del Cristianesimo, e, possiamo dire, della verità dello stesso Cristianesimo (1 maggio 1821) (Zib: 1004).

Vorrei fare, a questo proposito, alcune precisazioni sul rapporto fra il “sistema” di Leopardi e il cristianesimo (o più esattamente il Genesi), chiamato spesso in causa come prova delle sue teorie ma indubbiamente ripudiato in quanto fede, anche se la questione, con tutti i riferimenti ai testi dello Zibaldone, è già stata dipanata in Colaiacomo (1995a: 269), Campana (2010), Ferroni (2010: 146). Leopardi vede nelle Sacre scritture la rivelazione di alcune eterne verità nascoste sotto la fabula mitica, di cui lui è venuto a conoscenza o di cui ha trovato conferma attraverso lo studio dei filosofi. Così, l’immagine di Adamo che coglie il frutto proibito è per Leopardi la modalità mitica di rappresentare lo squarcio nel velo frapposto fra uomo e Natura e l’acquisita consapevolezza dell’uomo della propria reale condizione. L’uscita dallo “stato di natura” è adombrata

52 nella cacciata dall’Eden, che era la massima felicità possibile per l’uomo: da quel momento inizia la “degenerazione”, cioè, il suo incombere nell’infelicità (come si legge in Zib: 1004). In questa prima fase del pensiero leopardiano, il gesto di Adamo e la sua caduta sembrano suggerire un “salto” logico dallo “stato di natura” alla condizione dell’uomo storico, ma questa è piuttosto una rappresentazione allegorica, ancora molto influenzata dalla visione del “salto” rousseauiano e volta a confermare che il “sistema” non è in contraddizione col cristianesimo82. Altrove, nel suo parallelo con la fabula mitica, il fondatore della

società è individuato non in Adamo ma in Caino, cui è attribuita la fondazione della prima città83, come si legge nell’Inno ai patriarchi: “Trepido, errante il

fratricida, e l’ombre/ solitarie fuggendo e la secreta/ nelle profonde selve ira de’ venti,/ primo i civili tetti, albergo e regno/ alle macere cure, innalza”, vv. 43-46). Il dato non va preso alla lettera, in quanto lo dice Leopardi stesso: “Il primo autore delle città vale a dire della società, secondo la Scrittura, fu il primo riprovato, cioè Caino” (Zib: 191); cioè, ciò che nel mito è detto “città” vale “società” nella storia dell’evoluzione umana. Questo può anche essere una significativa indicazione di un processo che si compie per gradi dallo svelamento (Adamo) alla definitiva separazione dalla Natura ed entrata nella “storia” (Caino).