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Tavola 3. La festa nelle Novelle della Pescara

3.3.2. La vergine Anna

Se il calendario delle festività dall’inizio del ciclo natalizio alla fine di quello pasquale, nel breve periodo che va dalla sua convalescenza alla morte, scandisce la novella della vergine Orsola, è tutta la vita della vergine Anna a essere marcata dal ricorrere delle feste. Entrambe le storie sono incentrate su giovani ragazze illibate, le cui esistenze sono variamente determinate dal fervore religioso, che condurrà la prima alla depravazione, la seconda alla demenza. Così, anche la scelta di adottare il titolo La vergine Anna è senz’altro legata all’idea di costruire un dittico speculare con La vergine Orsola - precedentemente intitolata Le vergini nella raccolta omonima. Infatti, la novella nel San Pantaleone aveva come titolo originario Annali d’Anna, con l’evidente riferimento agli Annales su cui il pontefice massimo segnava i presagi, i prodigi e le feste giorno per giorno, anno per anno. Secondo tale modello, la novella di Anna presenta al suo interno una successione ordinata di anni, che può essere utile anche per comprendere il periodo storico in cui sono ambientate tutte Le novelle della Pescara. La vicenda parte dal 1789, data della nascita del padre di Anna, prosegue con la nascita della ragazza nel 1817, fino a giungere al 1881, anno della sua morte. Si potrebbe riportare la sequenza di tutti gli anni così come D’Annunzio li ha inseriti nella narrazione, ma, in realtà, il vero calendario in base a cui è scandita la vita di Anna è quello festivo. In particolare, nella sua esistenza gioca un ruolo cruciale il culto di San Tommaso Apostolo, patrono di Ortona, che ne è il fulcro, l’inizio e il compimento. Infatti, durante la festa di San Tommaso, Anna viene ustionata perché il fuoco delle candele si appicca ai suoi abiti, proprio mentre viene mostrata dalla madre al santo32. L’ustione della

31 Si tratta del cosiddetto “Miracolo di Bolsena”.

32 “Nel maggio del 1823 ella fu vestita da cherubino, con una corona di rose e un velo bianco; e,

confusa in mezzo allo stuolo angelico, seguì la processione tenendo in mano un cero sottile. La madre nella chiesa volle sollevarla su le braccia per farle baciare il Santo protettore. Ma, come le altri madri sorreggenti gli altri cherubini spingevano in folla, uno dei ceri appiccò il fuoco al velo di Anna e d'improvviso la fiamma avvolse il corpo tenerello. Un moto di paura si propagò allora nella moltitudine, e ciascuno tentava d'essere primo ad uscire. Francesca, se bene aveva le mani quasi impedite dal terrore, riuscì a strappare la veste ardente; si strinse contro il petto la

147 piccola Anna, prodigio ambiguo, segno della predilezione del Santo o presagio di un destino tragico, troverà il suo più terribile corrispettivo nella morte della madre Francesca ad opera degli stessi fedeli di San Tommaso, pochi anni dopo:

Nel maggio seguente, alle feste dell'Apostolo intervenne l'Arcivescovo di Orsogna. La chiesa era tutta parata di drappi rossi e di fogliami d'oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano undici lampade d'argento lavorate dagli orefici per religione; e tutte le sere l'orchestra sonava un oratorio solenne con un bel coro di voci bianche. Il sabato si doveva esporre il busto dell'Apostolo. I devoti peregrinavano da tutti i paesi marittimi e interni; salivano la costa cantando e portando in mano i voti, nel conspetto del mare […] La sera Francesca volle dormire, com'è costume dei fedeli, sul pavimento della basilica, aspettando l'ostensione mattutina del Santo. Ella era incinta da sette mesi, e molto l'affaticava il peso del ventre. Sul pavimento i pellegrini giacevano accumulati; dai loro corpi esalava il calore e montava nell'aria. Alcune voci confuse uscivano a tratti da qualche bocca inconscia nel sonno; le fiammelle tremolavano e si riflettevano su l'olio nei bicchieri sospesi tra gli archi; e nei vani delle larghe porte aperte scintillavano le stelle alla notte primaverile. Francesca vegliò per due ore in travaglio, poiché l'esalazione dei dormienti le dava la nausea. Ma, determinata a resistere e a soffrire pel bene dell'anima, vinta dalla stanchezza, piegò alfine il capo. Su l'alba si destò. L'aspettazione cresceva negli animi degli astanti e altra gente sopraggiungeva: in ciascuno ardeva il desiderio d'essere primo a vedere l'Apostolo. Fu aperto il cancello esterno; e il romore dei cardini risonò nitidamente nel silenzio, si ripercosse in tutti i cuori. Fu aperto il secondo cancello, poi il terzo, poi il quarto, il quinto, il sesto, l'ultimo. Parve allora come una tromba d'uragano investisse la moltitudine. La massa degli uomini si precipitò verso il tabernacolo; grida acute squillarono nell'aria mossa da quell'impeto; dieci, quindici persone rimasero, schiacciate e soffocate; una preghiera tumultuaria si levò. I morti furono tratti fuori all'aperto. Il corpo di Francesca, tutto contuso e livido, fu portato alla famiglia. Molti curiosi in torno si accalcarono; e i parenti gemevano compassionevolmente (NDP: 134-135).

Innanzitutto possiamo rilevare che D’Annunzio offre precise informazioni sullo svolgimento della festa di San Tommaso mostrando di essere a conoscenza di numerosi dettagli, per aver probabilmente assistito in prima persona all’evento, dettagli che corrispondono a dati reali della tradizione ortonese. Così la novella assume anche i tratti di un resoconto etnografico, che isola i momenti della festa ritenuti salienti dall’autore. Dai due testi, che raccontano questi momenti in due fasi diverse della vita di Anna, si possono ricavare alcune notizie per una

figliuola nuda e tramortita; gittandosi dietro ai fuggenti, invocava Gesù con alte grida (NDP: 132)”.

148 ricostruzione della norma festiva al tempo di D’Annunzio, come il fatto che la festa di San Tommaso si svolgeva a Ortona tutti gli anni a maggio e che il momento più importante, l’acme o climax festivo, era rappresentato dall’esposizione del busto di San Tommaso33 all’alba del sabato. Per essere certi

di raggiungere per primi il santo e poterlo toccare34, i fedeli passavano la notte

intera del venerdì nella basilica, dove la maggior parte di loro dormiva sul pavimento, secondo una pratica – ora vietata - che ricorda quella dell’incubatio. All’alba dovevano essere, inoltre, aperti sette differenti cancelli di bronzo che si frapponevano fra i fedeli e la cella dove era esposto il santo. Un altro aspetto era la pratica di vestire i bambini da angeli, con abito bianco e veli, che venivano mostrati al santo per rendergli omaggio e riceverne la benedizione. Fin qui i dati oggettivi. Ma quello che interessa a D’Annunzio è mettere in luce la barbarie di queste pratiche, che assumono tratti di agitazione e violenza, tanto che la piccola Anna viene ustionata e la madre Francesca travolta e uccisa dai tumultuosi astanti, che premono alle sue spalle per raggiungere per primi il santo, ignorando ogni aspetto di mitezza e carità cristiana. Così, nella competizione delle madri per esporre i figli e in quella dei fedeli che si urtano e si travolgono l’un l’altro per raggiungere il busto di San Tommaso sembra di cogliere un’eco della darwiniana lotta per l’esistenza, che investe anche la fede cieca e selvaggia dei devoti popolari.

L’altro evento fondamentale della vita di Anna, il trasferimento a Pescara a servizio della vedova Basile, è sempre determinato da un’occorrenza festiva, la festa della Madonna del Rosario35. Essa cade precisamente il 7 ottobre, ma

33 Da un’altra novella, La fine di Candia, si ricava che il busto di San Tommaso è interamente

d’argento: “Era venuta da Ortona insieme con Donna Cristina, all'epoca delle nozze, quasi facendo parte dell'appannaggio matrimoniale; ed oramai nella casa aveva acquistata una certa autorità, sotto la protezione della signora. Ella era piena di superstizioni religiose, devota al suo santo e al suo campanile, astutissima. Con la signora aveva stretta una specie di alleanza ostile contro tutte le cose di Pescara, e specialmente contro il santo dei Pescaresi. Ad ogni occasione nominava il paese natale, le bellezze e le ricchezze del paese natale, li splendori della sua basilica, i tesori di San Tommaso, la magnificenza delle cerimonie ecclesiastiche, in confronto alle miserie di San Cetteo che possedeva un solo piccolo braccio d'argento” (NDP: 277).

34 Lo scopo è quello di ottenere l’indulgenza plenaria.

35 “Quando nel 1851 Anna venne la prima volta al paese di Pescara, era prossima la festa del

Rosario, che si celebra nella prima domenica di ottobre. La donna si mosse da Ortona a piedi, per sciogliere un voto; e, portando chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo cuore d'argento, camminò religiosamente lungo la riva del mare […] A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre palustre, e ricoverata per misericordia nella casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo i cantici della pompa sacra, e vedendo le cime degli stendardi ondeggiare all'altezza della finestra, ella si mise a dire le preghiere e a invocare la guarigione. Quando passò la Vergine, ella scorse soltanto la corona gemmata, e fece atto di mettersi in ginocchio su i guanciali per adorare (NDP: 141)”.

149 viene in genere spostata alla domenica successiva. Dal testo si comprende che si trattava di una festa particolarmente importante a Pescara, ma evidentemente non a Ortona. Essa era contraddistinta dalla processione per le vie della città di una statua della Madonna recante in mano il rosario, che veniva ornata per l’occasione con una corona d’oro e pietre preziose, dono dei fedeli, e circondata dalle bandiere che raffigurano immagini sacre della Vergine e delle confraternite dei devoti.

Anche in questo caso la religione folklorica spiega la motivazione dell’agire dei personaggi. Anna si reca alla festa di Pescara perché ritiene di aver ricevuto una grazia proprio da quella Madonna, e non da un’altra. Infatti, nella tradizione popolare non esiste un’unica Madonna, ma ve ne sono molte, tutte differenti fra loro, che vengono invocate in momenti diversi a seconda dei loro attributi e dell’intervento necessario in quello specifico momento36. Spesso

una statua - ma dovrei dire una Madonna per riflettere il punto di vista dei fedeli - che appartiene a un’altra comunità o a un santuario lontano e difficilmente accessibile viene considerata più potente e il suo aiuto più efficace nel risolvere un problema o un dramma esistenziale. I fedeli sono così immersi in una rete di relazioni simboliche molto articolata, in cui rientrano anche i sacra dei paesi vicini, a volte visti come concorrenti e a volte come più potenti di quelli locali o comunque esperibili, laddove i primi dimostrino di aver fallito. In questo caso, dato che la grazia è stata ottenuta, Anna porta in dono alla statua un cuore d’argento, un ex voto che entrerà a far parte del tesoro del santuario. Il testo non dice di quale grazia si tratti ed è difficile stabilirlo, in quanto l’immagine del cuore non rimanda alla guarigione da una malattia specifica, come accade nel caso di altri ex voto (piedi, mani, mammelle, ecc.), ma rimanda forse a una grazia di tipo spirituale o che abbia a che fare con la dimensione esistenziale del devoto. Tali concezioni folkloriche del rapporto con le potenze divine D’Annunzio coglie e innesta nelle sue novelle. Tuttavia anche in questo caso la festa coincide con una disgrazia: la malattia di Anna.

A Pescara Anna è spettatrice di un evento che mette in luce un aspetto centrale della vita religiosa cittadina. L’organizzazione della processione del Venerdì Santo diviene l’oggetto di un’aspra contesa fra confraternite e ordini ecclesiastici diversi:

Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un grande avvenimento. Tra la Confraternita capitanata da Don Fileno d'Amelio e l'abate Cennamele,

36 Il discorso sul culto mariano aprirebbe una digressione lunga e complessa. Rimando al mio

150 coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò la guerra; e ne fu causa un contrasto per la processione di Gesù morto. Don Fileno voleva che la pompa, fornita dai congregati, uscisse dalla chiesa della Confraternita; l'abate voleva che la pompa uscisse dalla chiesa parrocchiale. La guerra attrasse e avviluppò tutti i cittadini e le milizie del Re di Napoli, residenti nel forte. Nacquero tumulti popolari; le vie furono occupate da assembramenti di gente fanatica; pattuglie armigere andarono in volta per impedire i disordini; il conte Arcivescovo di Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo le parti; corse molta pecunia per corruzioni; un mormorìo di congiure misteriose si sparse nella città. Focolare degli odii la casa di Donna Cristina Basile […] La rivolta stava per irrompere. Quand'ecco giungere su la piazza un soldato a cavallo latore di un messaggio episcopale che dava la vittoria ai congregati. L'ordine della pompa si dispiegò allora con insolita magnificenza per le vie sparse di fiori. Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli inni della Passione; e dieci turiferarii incensarono tutta la città. I baldacchini, gli stendardi, i ceri per la nuova ricchezza empirono gli astanti di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne; ed in sua vece Don Pasquale Carabba, il Gran Coadiutore, vestito dei paramenti badiali, seguì con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù […] Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la vittoria dell'abate. Ma la suntuosità della cerimonia la abbagliò; una specie di rapimento la invase, allo spettacolo […] Poi, come l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi, ella si mescolò alla turba fanatica degli uomini, delle donne e de' fanciulli; e andò così, quasi senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi al serto culminante della Mater dolorosa. In alto, dall'uno all'altro balcone, stavano tesi i drappi signorili consecutivamente; dalle case dei panettieri pendevano rustiche forme d'agnelli materiate di fromento; ad intervalli, nei trivii, nei quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo di aròmati. La processione non passò sotto le finestre dell'abate. Di tratto in tratto una specie di movimento irregolare correva lungo le file, come se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo. E n'era causa il contrasto tra il crocifero della Confraternita e il luogotenente delle milizie, i quali ambedue avevano ricevuto il comando di seguire un itinerario diverso. Poiché il luogotenente non poteva usar violenza senza commetter sacrilegio, vinse il crocifero […] Quando la pompa, in vicinanza dell'Arsenale, si rivolse per rientrare nella chiesa di San Giacomo, Anna prese un vicolo obliquo e in pochi passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva primo verso di lei l'uomo portante il crocifisso gigantesco; seguivano gli stendardieri che tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte o sul mento, atteggiandosi con dotto giuoco di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una nuvola d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici, gli incappati, le vergini, i signori, il clero, le milizie. Lo spettacolo era grande. Una specie di terrore mistico teneva l'animo della donna. Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine, un accolito munito d'un largo piatto d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava. Allora fu che il comandante, spezzando tra i denti aspre parole contro la Confraternita, gittò violentemente il suo cero nel

151 piatto e voltò le spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero allibiti (NDP: 153-155). [corsivo mio]

Il lungo passo dannunziano trasporta dentro la narrazione novellistica uno dei riti più importanti delle celebrazioni della settimana di Pasqua, la processione del Cristo morto. Sebbene non sia costruita con l’intento di offrirne una descrizione completa e oggettiva, dalla ricostruzione di D’Annunzio si possono cogliere alcuni degli elementi centrali della cerimonia in una cittadina ricca come Pescara. Anna svicola dal percorso processionale per vederselo venire innanzi, ferma, davanti al portone della chiesa: sappiamo così che ad aprire la processione vi è un uomo che porta una pesantissima croce, il crocifero, ruolo cerimoniale assai ambito; seguono i portatori delle bandiere dei santi e delle confraternite della città, che si esercitano in prove di equilibrismo e di forza, i bambini vestiti da angeli, gli incappucciati – esponenti delle confraternite e penitenti -, le giovani donne in età da marito – le zitelle -, i potentati locali, tutti gli esponenti del clero, e i capi militari con alcune guarnigioni scelte; finalmente arriva lo spazio per il popolo che si accalca attorno ai simulacri del Cristo morto e della Madonna Addolorata, la quale segue il feretro vestita di nero e in attitudine piangente, entrambi portati a spalla. La processione termina con le offerte di grossi ceri alla chiesa.

Ma lo sguardo di D’Annunzio - forse acuito dalla lettura della novella verghiana Guerra di santi - si concentra a cogliere lo scontro consumatosi nei giorni precedenti la processione, in cui si fronteggiano le fazioni della Confraternita37 e dell’Abbazia per il privilegio di organizzare l’evento e portare

i sacra in processione. Non sfugge a D’Annunzio che si tratta di una questione politica e che dietro la schermaglia per l’organizzazione della festa si cela il rischio di una rivolta popolare38. Intervengono soldati, scene di corruzione,

denaro, si mandano emissari al vescovo e probabilmente la notizia del pericolo di un tumulto giunge fino agli orecchi del re di Napoli, che invia le sue milizie a monitorare la situazione. È interessante, in questo caso, come D’Annunzio offra anche dei dettagli realistici ma al contempo impressionistici: lo scontro fra il capo delle milizie e il crocifero che guida la processione si conclude con la vittoria del primo, il quale in quel giorno riveste un ruolo cerimoniale tale che gli offre uno status superiore a quello del militare e lo mette al riparo da ogni tipo di rappresaglia. Infatti, sarebbe stato impensabile usare violenza a chi

37 Potrebbe trattarsi della Confraternita del SS. Sacramento citata più oltre (NDP: 164).

38 Sulla festa che si trasforma in rivolta i riferimenti vanno a Lanternari (1983a, 1997) e Apolito

152 portava la croce di Cristo. Al capitano, pertanto, non rimane che gettare con disprezzo e veemenza il suo cero sul piatto d’argento delle offerte. Anche in questo caso, poi, ritornano le consuete connotazioni dannunziane degli strati popolari: “gente fanatica”, “turba fanatica”, “terrore mistico”.

Ma è il narratore stesso a chiarire il ruolo delle festività nello scandire gli annali di Anna: “E il giro del tempo per lei non fu determinato se non dalle ricorrenze ecclesiastiche” (NDP: 160), Così, secondo un meccanismo già messo in luce nella novella di Orsola, Anna si ammala a Pasqua e la sua guarigione coincide con la Pentecoste39. Tuttavia, il vero fulcro della vita di Anna è la festa

di San Tommaso. Pur non essendo più tornata a Ortona dopo il trasferimento a Pescara, è per partecipare alla festa dell’apostolo che Anna fa per la prima volta ritorno nella città natale, in compagnia di Fra Mansueto, anche lui ortonese. Il ritorno alla festa è importante anche per comprendere il processo di indebolimento delle facoltà mentali di Anna, come indicato dalle parole “torpore” e “istupidivano” (NDP: 168), determinato dalla sua adesione cieca a certe pratiche religiose, che la porterà, da una parte, a divenire preda dei raggiri dei parenti, dall’altra, ad essere indicata in odore di santità.

Nello stesso capitolo, poi, il XIV si trova il lungo elenco delle feste popolari abruzzesi, enunciato per bocca di Fra Mansueto:

- Vanno a Cucullo - le disse Fra Mansueto, accennando col braccio a un paese lontano. E ambedue si misero a parlare di San Domenico che protegge dal morso dei serpenti gli uomini, e le semenze dai bruchi; poi d'altri patroni. - A Bugnara, sul Ponte del Rivo, più di cento giumenti, tra cavalli asini e muli, carichi di frumento vanno in processione alla Madonna

39 “Quando Anna tornò la prima volta nella chiesa, dopo la guarigione, era la Pasqua delle rose

[…] A un certo punto della cerimonia due accoliti scesero dal coro con due bacini d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere i fiori su le teste dei prostrati, mentre l'organo sonava un inno giocondo. Anna era rimasta china, in una specie di estasi che le davano la beatitudine