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6.6 Ancora su memoria e movimento (1, 1-6, 3)

«Ma le anime che sono scese dall'intelligibile come ricordano? In realtà susciteranno in sé il ricordo delle stesse cose benché meno intenso rispetto a quelle che vengono da quaggiù; avranno infatti altre cose da ricordare, e il maggior tempo trascorso avrà prodotto il completo oblio di molte cose. E se invece rivolgendosi all'universo sensibile sono cadute quaggiù nel divenire, in che modo ricorderanno? In realtà non è necessario che precipitino fino in fondo. È possibile infatti per quelle che si sono mosse anche arrestarsi dopo un tratto e nulla impedisce loro di riemergere, prima di giungere all'ultimo luogo del divenire». «ἀλλ' ὅταν ἐκ τοῦ νοητοῦ κατέλθωσι, πῶς; ἢ ἀνακινήσουσι τὴν μνήμην, ἐλαττόνως μέντοι ἢ ἐκεῖναι, τῶν αὐτῶν· ἄλλα τε γὰρ ἕξουσι μνημονεύειν, καὶ χρόνος πλείων λήθην παντελῆ πολλῶν πεποιηκὼς ἔσται. ἀλλ' εἰ τραπεῖσαι εἰς τὸν αἰσθητὸν κόσμον εἰς γένεσιν τῇδε πεσοῦνται, ποῖος τρόπος ἔσται τοῦ μνημονεύειν; ἢ οὐκ ἀνάγκη εἰς πᾶν βάθος πεσεῖν. ἒστι γὰρ κινηθείσας καὶ στῆναι ἐπί τι προελθούσας καὶ οὐδὲν δὲ κωλύει πάλιν ἐκδῦναι, πρὶν γενέσεως ἐλθεῖν ἐπ' ἔσχατον τόπον»294 (5, 22-31).

Incontriamo due nuove occorrenze di κίνησις:

i. alla l. 5, 23 il verbo ἀνακινέω è riferito alle anime che hanno compiuto la discesa, le quali in una certa misura sono capaci di fare memoria di ciò che, non

completamente hanno abbandonato, [scil. ψυχαί] ἀνακινήσουσι τὴν μνήμην (5, 23-24);

ii. nel secondo caso, alla l. 5, 29 il verbo κινέω indica il movimento di discesa delle anime, movimento non necessitato e che può essere interrotto, [scil. ψυχαί]

κινηθείσας καὶ στῆναι ἐπί τι προελθούσας καὶ οὐδὲν δὲ κωλύει πάλιν ἐκδῦναι.

Il passo riportato s'interroga su quelle anime che discendono e sui ricordi di quelle realtà che sono capaci di portare con sé. L'uso del verbo κινέω denota la capacità delle anime che abbandonano quella sfera di rivolgersi comunque a essa smuovendone e sollecitandone il ricordo. Così, mentre è escluso che l'anima possa fare esercizio di memoria degli accadimenti di quaggiù una volta che si trovi nell'intelligibile, così non è all'inverso: le anime discese sono capaci di ricordare la loro permanenza lassù.

Che l'anima muova al ricordo e che intraprenda un movimento di discesa sono entrambi due processi accomunati da una medesima condizione psichica e dal medesimo ambito di svolgimento, quello sensibile; infatti, la memoria è esercitata propriamente da quelle anime che mutano il luogo in cui si trovano e il proprio stato (μετιούσας καὶ μεταβαλλούσας, 6, 1), ed è pertanto il segno e il risultato di un tale passaggio. Infatti, nell'intelligibile non vi è in alcun modo ricordo (1, 14)295: qui ogni atto di pensiero (πᾶσα νόησις, 1, 12) quanto gli

esseri di quassù sono οὐκ ἐν χρόνῳ (1, 13), in una dimensione eterna. L'intelletto coglie in atto tutte queste realtà insieme, realtà complessa (ὄντος ποικίλου, 1, 22) e differenziata (ἐν

τῷ νῷ διῄρηται, 1, 25); tuttavia una tale articolazione intelligibile non comporta in alcun

modo una disposizione secondo il “prima” e il “dopo”, né il pensiero che la coglie è dispiegato temporalmente: è corretto invece parlare di un certo ordine (1, 29) e di una realtà unitaria (1, 20): qui tutte le cose sono presenti (ἕκαστον παρόν, 1, 15)296, senza che che con

ciò si verifichi alcun cambiamento (οὐδὲ μετάβασις, 1, 15)297.

Se si considera l'anima nella sua purezza nell'intelligibile la si troverà unicamente nella dimensione contemplativa delle realtà che la circondano: ἐνεργεῖν e θεωρεῖν (1, 2) escludono che l'anima possa interrompere una tale visione per dedicarsi ad attività differenti, siano queste traducibili anche solo nell'asserzione rivolta a un tale tipo di realtà o al ricordo di essa (1, 10). All'anima non appartiene alcun ricordo perché nulla trascorre in questa dimensione (οὐδὲ διέξοδος)298: gli atti di pensiero molteplici e variegati con cui coglie

quella realtà complessa, seguano anche un processo diairetico o sintetico, non costituiscono alcun mutamento: l'anima, infatti, coglie in modo unitario questa realtà unitaria (ἐπιβολὴν

ἀθρόαν ἀθρόων, 1, 20)299: gli atti di pensiero che rivolge a questa realtà sono come le

295 Come in IV, 3 (27) 25, 13-17.

296 Come sottolinea L. Brisson, Plotin..., vol. IV, p. 245 n. 10 qui opera il legame fra ciò che è eternamente

presente e una dimensione atemporale; cfr. Platone, Tim., 37 C-38 C.

297 Qui il riferimento è alla dialettica quale attività intellettiva che costituisce una tappa preliminare al

θεωρεῖν; il processo dialettico non introduce alcuna transizione nell'intelligibile, che si presenta come una realtà in sé articolata che l'Intelligenza coglie attualmente e simultaneamente. Sulla dialettica plotiniana rimando allo scritti I, 3 (20).

298 In riferimento all'utilizzo del termine διέξοδος e alla sua polivalenza nell'opera plotiniana il rinvio è a

O. Becker, Plotin und das Problem der geistigen Aneignung, De Gruyter, Berlino 1940.

299 Come indica M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani, Plotino..., p. 582, si tratta della

molteplici sensazioni che affiorano nella visione di un volto in cui sono compresenti aspetti diversi. L'anima non coglie tutte le cose in un unico atto di pensiero (οὐ κατὰ μίαν νόησιν

πάντα, 1, 34), ma secondo atti molteplici e unitari300 che appartengono a una facoltà stabile

in se stessa.

In questa dimensione inoltre non vi è neppure il ricordo di sé, né in quanto individui contemplanti, né in quanto intelligenza né in quanto anima; e ciò perché la contemplazione non implica che ci si rivolga a sé come qualcosa di altro nel momento in cui si pensa, ma piuttosto che si disponga totalmente di sé, al punto che il proprio atto è teso a ciò che si contempla fino a divenire quell'oggetto stesso (2, 5-7). La metafora utilizzata è quella della materia plasmabile, che prende forma secondo ciò a cui è rivolta: l'anima coincide con quegli esseri (2, 25), perché si volge all'Intelligenza (εἴπερ ἐπεστράφη, 2, 27), si unisce (εἰς

ἕνωσιν ἐλθεῖν τῷ νῷ, 2, 26), e si armonizza facendo tutt'uno con questa (ἁρμοσθεῖσα ἥνωται, 2, 28-29).

Certo l'anima non si dissolve in questa unità (οὐκ ἀπολλυμένη, 2, 29): infatti, è l'anima nella sua purezza che si mantiene salda presso l'Intelligenza, gode perciò stesso della sua stabilità (2, 18): si rivolge a quella in modo impassibile e nello stesso tempo ha percezione di sé (ὁμοῦ ἔχουσα τὴν συναίσθησιν αὐτῆς, 2, 31): e nel rivolgersi a sé o all'Intelligenza non vi è alcun cambiamento (οὐδὲ μεταβολὴν, 2, 20), perché si è fatta identica a quella ed entrambe sono una e due allo stesso tempo.

Tuttavia, per riprendere l'immagine utilizzata precedentemente, la materia è κατὰ τὸ

ὁρώμενον (2, 8) e diviene ciò a cui è rivolta; così l'anima, per quella sua parte più pura si fa

una con l'Intelligenza, ma per un altro verso si differenzia da essa perché non gode della medesima stabilità (μὴ ὁμοίως μένον, 2, 19-20). Così, accanto a quell'anima che permane

καθαρῶς ἐν τῷ νοητῷ οὖσα (2, 24) ve n'è un'altra che si distacca volendosi separare

dall'unità; questa, nel desiderio di se stessa si prefigge di essere qualcosa di diverso e così facendo si protende verso il basso (3, 1-4); è di quest'anima che si può affermare che cambia il proprio stato e la propria posizione, e acquista la memoria.

È questa dimensione che apre lo spazio al potere della μνήμη, potere che non ricopre interamente una valenza positiva, essendo la capacità di ricordare il marchio inconfondibile di una separazione, che tuttavia non si compie mai interamente; infatti anche da quaggiù l'anima è capace di passare da queste realtà a quelle e di rintracciare quel legame che tramite l'Intelligenza la unisce al Bene301. Proprio a tal proposito emerge la forza

ambivalente della memoria: questa infatti deve essere considerata sia come una percezione del ricordare (αἰσθάνεσθαι ὅτι μνημονεύει, 4, 8), ma anche come un disporsi verso le affezioni e le visioni precedenti (διακέηται κατὰ τὰ πρόσθεν παθήματα ἢ θεάματα, 4, 9- 10): il contenuto della memoria, per così dire, nella sua duplice provenienza, sensibile e intellettuale, risulta intrinsecamente legato a certo orientamento dell'anima; in questo senso le rappresentazioni di cui si nutre la memoria302, non costituiscono per l'anima un possesso

impiegato per descrivere la percezione sensibile; cfr. Epicuro, Epistola a Erodoto, 69, 8 ss.

300 Seguendo il testo proposto da H.S.², Plotini …, ad loc.

301 Si concretizza in queste frasi «καίτοι καὶ σωμάτων μεταξὺ πολλαχῇ εἰς τὰ τρίτα ἀπὸ τῶν πρώτων ἡ

ἄφιξις» (4, 3-4) il riferimento alla possibilità per l'anima di ricongiungersi con le realtà di lassù già a partire dalla vita terrena; su questo argomento si veda:

(3, 8) quasi che si depositassero in essa delle impronte (4, 17)303: sono piuttosto una visione,

e una disposizione dell'anima(4, 8)304.

Ancora una volta potremmo affermare che l'anima è ciò che vede: tradotto al livello sensibile, che è e diviene ciò che ricorda (3, 6); eccola trascinata dall'una e dall'altra parte, perché la sua è una realtà intermedia e una posizione di confine fra la realtà intelligibile e quella di quaggiù (3, 11-12); così l'anima può rivolgersi al sensibile (τὰ αἰςθητὰ ἴδῃ, 3, 9-8), e più è questa la visione a cui si rivolge e più s'inabissa: infatti così facendo possiede tutte le cose secondariamente e in modo imperfetto, ben lungi dal modo in cui le contempla originariamente. Certo, rievocando l'immagine iniziale, l'anima può sempre arrestare questo movimento in cui procede (5, 29), ovvero può invertire la direzione e “smuovere i ricordi” (5, 23) di ciò che ha contemplato lassù: infatti il pensare e l'avere rappresentazione non sono che ricordare (τὸ μνημονεύειν ἢ νοεῖν ἢ φαντάζεσθαι, 3, 7). Così, quando l'anima era lassù possedeva attualmente quegli esseri che contemplava, mentre quaggiù deve ricorre alla memoria per portare in atto quelle realtà che non vede; se la memoria è capace di rievocare e risvegliare nell'anima il ricordo, di ciò che è eternamente presente in lei ma di cui non sempre è cosciente, bisogna invece considerare che sia un'altra la funzione che contempla queste realtà e che è risvegliata da esse305: ed è la stessa funzione che

contemplava le realtà intelligibili anche lassù (5, 3).

Allora l'avere coscienza306 è riconducibile alla memoria, e permette all'anima di

distinguere fra ciò che acquisisce e ciò che è.

Così quando l'anima lascia le realtà di lassù e discende nel cielo la potenza mnemonica diventa attiva, e una volta qui è il ricordo, se ben orientato, che permette all'anima di muoverla e risvegliarla alla sua vera natura.

Allora “essere se stessi”, secondo il senso più autentico, significa essere tutte le cose quando si pensa se stessi (2, 11); cogliere se stessi in atto è cogliere tutte le cose e se stessi nell'intuizione del tutto. Mentre il secondo significato dell'”essere se stessi”, coincide con l'essere vuoto di queste realtà e non pensare affatto (2, 10), ed essere quel “se stessi” che discende e che ha bisogno di ricordare.

6.7 Conclusioni

Nella prima parte della nostra analisi, con particolare riferimento alla sezione 6, 4-8, 61 e 30, 1-42, 20 Sul movimento e sulla memoria degli astri, sono state individuate venticinque

303Il riferimento è ai κείμενοι τύποι (4, 17), ammettendo i quali si cadrebbe in grandi assurdità: in IV, 3 (27),

26, 29 viene ribadito che le impronte che l'anima accoglie sono prive di grandezza e non devono essere in alcun modo paragonate alle impronte dei sigilli sulla cera, o al materiale plasmato; come in III, 6 (26) 1, 15 e in IV, 3 (27), 26, 32 si tratta piuttosto di qualcosa di simile agli atti di pensiero.

304 Come è riportato in H.S.², vol. II, p. 57.

305 La formula utilizzata è quella delle linee 5, 4-5: «ἐγείρεται γὰρ τοῦτο οἷς ἐγείρεται, καὶ τοῦτό ἐστι τὸ

ὁρῶν περὶ τῶν εἰρημένων»: mi domando se quella funzione che vede le realtà lassù e che quaggiù deve essere risvegliata per il tramite delle realtà che la memoria fa riaffiorare nell'anima, non sia, non semplicemente la noesis (che di per sé opera eternamente nell'anima e che dunque non ha bisogno di essere risvegliata) ma anche quella coscienza di sé che opera anche a livello intelligibile, e di cui si parla alle ll. 2, 31: « νόησιν ὁμοῦ ἔχουσα τὴν συναίσθησιν αὐτῆς».

occorrenze di κίνησις (8, 11; 8, 22; 8, 27; 8, 28;8, 42; 8, 56, 57; 31, 12; 32, 52; 33, 8; 33, 28; 33, 31; 33, 39; 35, 56; 35, 58; 36, 17; 36, 18; 36, 21; 36, 22; 38, 1; 38, 3; 41, 3; 41, 4; 41, 4; 41, 6); il nostro termine è stato più volte utilizzato per descrivere il movimento dei cieli intorno ad uno stesso stesso punto, movimento locale di tipo speciale, perché spaziale solo accidentalmente, mentre in sé risulta piuttosto un moto vitale. Il movimento celeste è stato poi considerato in relazione al suo potere che appartiene tanto alla natura degli astri considerati in se stessi quanto alle configurazioni che questi compongono nelle figurazioni reciproche che dipendono dai loro movimenti. Gli astri hanno certamente degli influssi, agiscono sul tutto concepito come un unico vivente unitario, che grazie a quell'unica anima che lo forgia e lo vivifica in tutte le sue parti, è governato dall'armonia e dalla simpatia delle parti. Ciò permette di concepire il potere astrale all'interno di quella dinamica di influssi naturali che sono presenti nel tutto: ecco in realtà a cosa si deve la loro influenza sulle vicende umane, non ad una scelta ma a quella catena di azioni e passioni in cui è legato l'universo intero. È quella somiglianza irriducibile fra tutti gli esseri che rende possibile che parti non contigue dell'universo stiano in un rapporto simpatetico; somiglianza che comprende certo delle differenze ma che in ultima istanza è riconducibile a quell'unica ragione formale che diviene saggezza dell'anima nel cosmo. Il movimento è proprio ciò che caratterizza la vita di questo vivente unitario, la relazione reciproca delle sue parti legate da affinità ma anche da contesa, sopraffazione e distruzione; il modo in gli influssi si propagano in questo tutto unitario è quello del trasmettersi delle vibrazioni, non solo nella stessa corda, ma anche da corda a corda e da strumento a strumento. In questo modo nell'universo il potere di una parte può essere condiviso da altre parti, anche se lontane, perché condividono la partecipazione a quella medesima anima che è nel tutto; ciò è evidente anche nel caso dell'uomo che per il tramite del corpo riflette il legame simpatetico del tutto; il corpo infatti è capace di patire il dolore e piacere, di originare desiderio e collera proprio in virtù di quella natura che gli dona una traccia di vita. Ecco che il un corpo di questo tipo è coinvolto in una molteplicità di movimenti, e trascina l'anima nelle sue necessità.

Come si è messo in evidenza nella sezione dedicata al movimento delle facoltà psichiche, in cui sono state isolate quindici occorrenze di κίνησις (17, 3; 17, 10; 17, 11; 17, 16; 20, 6; 21, 19; 21, 19; 28, 20; 28, 39; 28, 40; 28, 53; 28, 59; 29, 7; 29, 43; 29, 44), alla stimolazione della facoltà concupiscibile e irascibile corrispondono certi meccanismi nel corpo, come il movimento del sangue intorno al cuore o della bile. Nessun corpo morto avrebbe potuto ingenerare questi moti; lo dimostra la difficoltà di attribuire un'anima alla terra, che invece va ammessa, a causa della sua natura stabile priva di movimento locale. Bisogna aggiungere che nel caso dell'anima umana, questa non consta solo di una facoltà vegetativa che la lega ai richiami del corpo, ma anche di un'altra anima che è quella che discende da lassù e che in questo movimento acquisisce memoria.