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6 Sulle difficoltà relative all'anima II

L'argomentazione prosegue nella discussione delle questioni precedentemente dibattute, sviluppando il tema già introdotto della memoria243: l'analisi si sofferma per lunga parte sul movimento celeste a cui a

cui è legato il problema della coscienza e della memoria degli astri; da qui l'indagine proseguirà ad esaminare la stabilità della terra per comprendere come l'assenza di movimento che questa manifesta sia compatibile con la presenza in essa di un'anima; rimangono quindi da sciogliere alcuni quesiti in merito alle facoltà psichiche umane244.

6.1 Sul movimento e sulla memoria degli astri (6, 4-8, 61 e 30, 1-45, 52)

Data la ricchezza e la complessità di argomentazioni che presenta il secondo scritto sulle difficoltà relative all'anima, nella prima parte di questa analisi verrà affrontato il tema della memoria degli astri, a cui è dedicata la parte più ampia della trattazione: saranno prese in considerazione le sezioni che si estendono dalla l. 4 del sesto capitolo fino alla fine dell'ottavo e dal capitolo trenta al quarantacinquesimo. Come si avrà modo di notare, il problema della memoria degli astri risulta intrecciato a numerose altre questioni complementari che per chiarezza sintetizzo in questo modo: nella sezione 6, 4-8, 61 la capacità di ricordare degli astri è connessa alla coscienza del movimento compiuto e dei tempi di percorrenza delle orbite; nella sezione 30, 1-39, 2 viene considerato il potere che il movimento celeste esercita sulle altre realtà in virtù della simpatia che lega tutte le cose; a partire da 40, 1-55, 52 sono analizzati gli influssi che la magia è in grado di realizzare in virtù di quel legame simpatetico che tiene insieme tutte le parti dell'universo.

6.1.1 Sul movimento degli astri (6, 4-8,61)

All'interno di questa prima sezione di testo a cui è dedicata la nostra analisi viene presentata la conditio sine qua non dell'avere memoria, condizione che consiste nella capacità di pervenire a rappresentazione e coscienza di un dato percettivo o intellettivo245. Proprio su

questo terreno si gioca la possibilità di assegnazione della memoria agli astri:

«Per prima cosa: non è necessario che quanto uno vede sia conservato in lui; infatti, quando ciò che è percepito non fa differenza, o la sensazione non è per nulla rivolta al soggetto, essendo stata

242 Si veda Porfirio, VP, V, 22 e XXV, 17.

243 Mi riferisco alla fine dello scritto precedente IV, 3 (27) 26-31.

244 Il trattato presenta cinquantaquattro occorrenze del nostro termine, in particolar modo: IV, 4 (28), 5, 23;

5, 29; 8, 11; 8, 22; 8, 27; 8, 28; 8, 43; 8, 45; 8, 46; 8, 56; 8, 57; 16, 25; 16, 25; 16, 29; 17, 3; 17, 10; 17, 11; 17, 16; 20, 6; 21, 20; 22, 26; 22, 26; 26, 9; 26, 11; 28, 20; 28, 39; 28, 40; 28, 53; 28, 58; 29, 7; 29, 41; 29, 42; 31, 10; 32, 52; 33, 8; 33, 28; 33, 31; 33, 39; 35, 56; 35, 57; 33, 58; 36, 18; 36, 21; 36, 23; 38, 1; 38, 3; 41, 3; 41, 4; 41, 4; 41, 6; 43, 19; 44, 9; 45, 37; 45, 39.

245 Come aveva già annunciato IV, 3 (27), 30; la coscienza è una funzione che dipende dalla facoltà

involontariamente causata dagli oggetti della visione, l'esperienza resta della sensazione soltanto, ma l'anima non l'accoglie al suo interno dal momento che quella differenza non ha per lei alcun interesse, né di utilità né di altro genere. Quando poi anche la sua attività sia rivolta ad altro, e totalmente, l'anima non potrà conservare il ricordo di cose simili, una volta che siano passate, poiché neppure quando sono presenti ha cognizione della sensazione».

«πρῶτον μὲν τὸ μὴ ἀναγκαῖον εἶναι, ἅ τις ὁρᾷ, παρατίθεσθαι παρ' αὐτῷ. ὅταν γὰρ μηδὲν διαφέρῃ, ἢ μὴ πρὸς αὐτὸν ᾖ ὅλως ἡ αἴσθησις ἀπροαιρέτως τῇ διαφορᾷ τῶν ὁρωμένων κινηθεῖσα, τοῦτο αὐτὴ ἔπαθε μόνη τῆς ψυχῆς οὐ δεξαμένης εἰς τὸ εἴσω, ἅτε μήτε πρὸς χρείαν μήτε πρὸς ἄλλην ὠφέλειαν αὐτῆς τῆς διαφορᾶς μέλον. ὅταν δὲ καὶ ἡ ἐνέργεια αὐτὴ πρὸς ἄλλοις ᾖ καὶ παντελῶς, οὐκ ἂν ἀνάσχοιτο τῶν τοιούτων παρελθόντων τὴν μνήμην, ὅπου μηδὲ παρόντων γινώσκει τὴν αἴσθησιν» ( IV 4, 8, 8-16).

Osserviamo all'interno del nostro passo una nuova occorrenza del termine κίνησις: i. alla l. 8, 11 il verbo κινέω è utilizzato in riferimento alla sensazione, per indicare

la sollecitazione della αἴσθησις ad opera della differenza degli oggetti nella visione, τῇ διαφορᾷ τῶν ὁρωμένων κινηθεῖσα (8, 9-10); il verificarsi di questa sensazione è caratterizzato dall'avverbio, ἀπροαιρέτως (8, 10), si tratta cioè di una sollecitazione involontaria che non è destinata al soggetto246.

Il nostro passo ci sottopone il caso del movimento della facoltà sensitiva, provocata involontariamente da una certa peculiarità dell'oggetto visto: per questo motivo l'anima non la riceve dentro di sé: infatti, quella diversità che spicca fra gli oggetti visti non è per lei fonte di alcun interesse, né di qualche utilità. In questo caso solo il senso risulta coinvolto da questa sensazione ma non l'anima; pertanto ciò che la sensazione scorge nella visione non viene conservato (8, 9).

A una conclusione analoga si perviene in un secondo caso: non sono più i contenuti percettivi a non essere riferiti all'anima o a non destare il suo interesse, ma è quest'ultima ad essere assorta e completamente dedita a tutt'altre attività; l'anima non trattiene il ricordo delle cose trascorse (οὐκ ἀνάσχοιτο τῶν τοιούτων παρελθόντων τὴν μνήμην, 8, 15), perché non conosce neppure la sensazione di quelle presenti (μηδὲ παρόντων γινώσκει τὴν

αἴσθησιν, 8, 16).

Quelli appena illustrati sono due casi in cui sensazione e apprensione da parte dell'anima del dato percepito, risultano due processi a sé stanti. Nella prima situazione descritta la sensazione innescata da una certa particolarità delle immagini raccolte dalla vista, non raggiunge l'anima poiché μὴ πρὸς αὐτὸν (8, 10), non la riguarda e non suscita in lei alcuna attenzione; nella seconda condizione, l'anima fortemente coinvolta in attività differenti, non ha alcuna cognizione dei dati percepiti che riguardano sensazioni trascorse o

246 Come esplicito immediatamente dopo il soggetto o il centro in cui le sensazioni confluiscono è l'anima,

presenti.

Queste non risultano certamente considerazioni isolate, ma già in altre occasioni247 si era

messo in evidenza come la stimolazione corporea e la recezione psichica del dato sensoriale possano talvolta risultare come due processi separati uno rispetto all'altro; certo, va considerato il contesto peculiare in cui una tale considerazione è richiamata: le sensazioni che, per una ragione o per l'altra, non giungono ad essere presenti all'anima, non possono essere conservate nella memoria. La frequenza nell'utilizzo dei verbi τίθημι e παρατίθημι in associazione alla μνήμη manifestano che la questione qui esaminata è quella stessa della possibilità di fare memoria248. Ma prima di specificare ulteriormente il problema dibattuto è

utile considerare le due argomentazioni che seguono ai casi di sensazioni non avvertite dall'anima.

Viene fatto riferimento all'intellezione e alla conoscenza dotate di particolare efficacia249

seppur riferite a realtà di natura sensibile: in questo caso non è necessario che si anteponga a questo sapere la produzione di un'intellezione del particolare sensibile (ἐπιβολὴν

ποιεῖσθαι 8, 6), poiché la conoscenza delle parti è data in quella del tutto.

Un terzo argomento può così essere specificato: delle conseguenze (ἐπακολουθούντων, 8, 2-3) e degli eventi che sono κατὰ συμβεβηκὸς (8, 17) non necessariamente si ha rappresentazione perché non vengono accolti nella facoltà immaginativa; ma quand'anche un'immagine di tali accadimenti si generasse, non per questo l'impressione prodotta (τύπος, 8, 19), darebbe necessariamente luogo a coscienza (οὐ δίδωσι συναίσθησιν, 8, 19-20)250.

I tre argomenti trattati possono essere sintetizzati in questo modo:

i. l'anima può non conoscere alcune sensazioni che si sono prodotte (8, 8-16); ii. non per forza l'anima realizza un'apprensione immediata del particolare

sensibile quando esercita la conoscenza e l'intellezione su queste realtà (8, 4);

247 Già precedentemente la trattazione aveva fatto riferimento a situazioni analoghe, in cui affezioni di

lieve intensità, localizzabili in parti isolate di corpi di grandi dimensioni, risultavano incapaci di innescare un vero e proprio processo percettivo; il caso a cui faccio riferimento è quello di Enn. IV 9 [8], 2, 17, ovvero l'esempio del grande animale marino che esemplificava il caso di un'affezione di una parte del corpo a cui non seguiva il giungere della sensazione all'intero. Si veda su questo argomento la trattazione precedente, cap. 3. Su questi argomenti si veda J. Blumenthal, Plotinus..., p. 67 e ss.

248 Mi riferisco a numerose espressioni che compaiono in questa sezione del testo, ad esempio ll. 8, 1-2 «τις

θεωρεῖ ἐν μνήμῃ τίθεσθαι»; ll. 8, 8-9: «ἅ τις ὁρᾷ, παρατίθεσθαι παρ' αὐτῷ»; l. 8, 15: «οὐκ ἂν ἀνάσχοιτο τῶν τοιούτων παρελθόντων τὴν μνήμην».

249 La formula utilizzata è «νόησις καὶ ἡ γνῶσις ἐνεργεστέρα» (8, 3-4) sulla quale vi sono numerosi

problemi testuali; qui adotto la versione riportata in H. S., ad loc.; su questo problema J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., p. 344.

250 In riferimento al termine τύπος rimando allo scritto III, 6 (26), 2 e alle considerazioni svolte nel capitolo

dedicato a questo scritto. Nello studio di E. W. Warren, Consciousness in Plotinus, «Phronesis» 9 (1964) pp. 83-97, in particolare p. 91 per il significato del termine συναίσθησιν che può essere reso con “coscienza, conoscenza simpatetica”: «in IV, 4, 8 it means “consciousness”». Sempre in riferimento a questo termine si veda: H.-R. Schwyzer, “Bewusst” und “Unbewusst” bei Plotin, in: E. R. Dodds, Les sources de Plotin, Dix exposés et discussions, «Entretiens sur l’Antiquité Classique», tome V, Fondation Hardt, Vandoeuvres- Genève 1960, pp. 343-390; Ivi, E. R. Dodds, Numenius and Ammonius, pp. 3-61; cfr. J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., p. 344-345; A. Greaser, Plotinus and the Stoics, pp. 126-137; A. Smith, Unconsciousness and Quasiconsciousness in Plotinus, «Pronesis» 23 (1978), pp. 293-301.

iii. da ciò che si verifica accidentalmente o in modo concomitante rispetto ad un altro accadimento, può non conseguire alcuna immagine nella facoltà rappresentativa; e quand'anche si producesse, non necessariamente l'impronta che si genera è capace di dare luogo a coscienza.

A queste argomentazioni estremamente complesse vengono in soccorso alcuni esempi a cui è affidato il compito di esplicitare i contenuti appena esposti, esempi che portano alla considerazione di tre nuove occorrenze del nostro termine di riferimento251:

«se non ci capita mai di spostarci da un luogo all'altro guidati dall'idea di tagliare l'aria parte dopo parte, e neppure di attraversarla, non presteremo attenzione a ciò, né vi penseremo mentre camminiamo. Poiché anche riguardo al nostro cammino, se non ci fossimo prefissi di percorrere una certa distanza, ma procedessimo liberamente, non c'importerebbe di sapere a quale stadio siamo arrivati, e quanto siamo avanzati. E se non dovessimo muoverci in un certo tempo, ma soltanto muoverci, né riferissimo alcun'altra attività al tempo, non accoglieremo nella memoria un tempo e poi un altro».

« εἰ μηδέποτε προηγούμενον γίνεται τὸν ἀέρα τόνδε εἶτα τόνδε τεμεῖν ἐν τῷ κατὰ τόπον κινεῖσθαι ἢ καὶ ἔτι μᾶλλον διελθεῖν, οὔτ' ἂν τήρησις αὐτοῦ οὔτ' ἂν ἔννοια βαδίζουσι γένοιτο. ἐπεὶ καὶ τῆς ὁδοῦ εἰ μὴ ἐγίνετο τὸ τόδε διανύσαι προηγούμενον, δι' ἀέρος δὲ ἦν τὴν διέξοδον ποιήσασθαι, οὐκ ἂν ἐγένετο ἡμῖν μέλειν τὸ ἐν ὅτῳ σταδίῳ γῆς ἐσμεν, ἢ ὅσον ἠνύσαμεν· καὶ εἰ κινεῖσθαι δὲ ἔδει μὴ τοσόνδε χρόνον, ἀλλὰ μόνον κινεῖσθαι, μηδ' ἄλλην τινὰ πρᾶξιν εἰς χρόνον ἀνήγομεν, οὐκ ἂν ἐν μνήμῃ ἄλλον ἂν καὶ ἄλλον χρόνον ἐποιησάμεθα» (8, 22-30).

i. Rileviamo il primo utilizzo del nostro termine alla l. 8, 22, come un movimento secondo il luogo, κατὰ τόπον κινεῖσθαι (8, 22), come è il caso del camminare,

βαδίζω (8, 24);

ii. la seconda e la terza le troviamo rispettivamente alla l. 8, 27 e 8, 28: il nostro verbo è utilizzato nuovamente per indicare uno spostamento secondo il luogo che non deve essere considerato in riferimento ad un certo tempo, ma in quanto tale, κινεῖσθαι δὲ ἔδει μὴ τοσόνδε χρόνον, ἀλλὰ μόνον κινεῖσθαι.

Il passo propone tre casi analoghi: durante uno spostamento, ad esempio nel camminare, si produce un evento concomitante, il tagliare l'aria da parte a parte mentre si

251 Mi domando in riferimento ai tre esempi che verranno illustrati se esemplifichino solo alcune, o una o

tutte le “situazioni in cui non si ha memoria”: certamente mi sembrano tre esempi che mostrano come alcune circostanze che si verificano in concomitanza ad un altro accadimento, rimangano irrilevanti e dunque prive d'interesse per l'anima che non ne ha ricordo; tuttavia non mi sembra di scorgere in questi tre esempi nulla di accidentale (es. 1, si taglia sempre l'aria nel camminare anche se nessuno ci fa caso; es. 2, si percorre sempre una certa distanza anche se ci si sposta in linea d'aria o senza alcun riferimento; es. 3, si percorre sempre un moto locale in un dato tempo. Mi sono più volte interrogata su questa questione, senza tuttavia essere riuscita ad approdare ad una conclusione ferma.

cammina; l'attraversamento dell'aria rimane completamente in secondo piano rispetto all'intento che ci si prefigge, quello di intraprendere un certo percorso. In questo senso, mentre camminiamo, certamente fendiamo l'aria, ma senza che questo fatto desti in noi alcuna considerazione o attenzione (οὔτ' ἂν τήρησις αὐτοῦ οὔτ' ἂν ἔννοια γένοιτο, 8, 24-23). Si può concludere, integrando le argomentazioni sopra esplicitate, che dell'aria attraversata nel camminare non si produce alcuna rappresentazione, né alcuna coscienza che una tale circostanza si sia verificata.

Ma consideriamo il secondo esempio menzionato: anche quando s'intraprenda uno spostamento che non avviene in relazione a una precisa destinazione sarebbe completamente irrilevante conoscere il punto in cui ci si trova ad un dato momento o la strada percorsa. Anche in questo caso, per colui che è intento nel suo girovagare non è di alcuna importanza (οὐκ ἡμῖν μέλειν, 8, 26) la stima della distanza percorsa o del punto preciso in cui ci si trova; potremmo ancora una volta concludere tirando le fila del ragionamento, che tutti questi sono elementi di cui il girovago non ha alcuna rappresentazione o coscienza.

Ma seguiamo il terzo esempio, che aggiunge il tassello conclusivo alla nostra analisi; ancora una volta il riferimento è a un movimento che va considerato, non in relazione ad un dato tempo (κινεῖσθαι δὲ ἔδει μὴ τοσόνδε χρόνον, 8, 27-28), ma soltanto come un movimento (ἀλλὰ μόνον κινεῖσθαι, 8, 28); e insieme al movimento anche alcune azioni (τινὰ πρᾶξιν, 8, 29), possono essere concepite senza il riferimento ad una precisa collocazione temporale. Le conclusioni sono quelle a cui giunge la trattazione stessa: del movimento e di certe azioni considerate per se stesse e non in riferimento alla durata cronologica in cui si compiono, non si produce nella memoria il trascorrere del tempo (οὐκ

ἂν ἐν μνήμῃ ἄλλον ἂν καὶ ἄλλον χρόνον ἐποιησάμεθα, 8, 29-30).

Questo terzo esempio rende esplicito ciò che in quelli precedenti rimaneva latente, il riferimento alla memoria. Se questi tre esempi riguardanti il moto locale sono esplicativi delle considerazioni svolte precedentemente, allora si può dedurre quel criterio in base al quale alcuni processi possono essere conservati nella memoria mentre altri no. L'anima non serba memoria di ciò che non conosce – siano queste sensazioni a cui non è rivolta o che non la riguardano –, di ciò che non trova posto nella facoltà rappresentativa, come le conseguenze casuali di alcuni eventi; di ciò di cui l'anima non ha alcun interesse e alcun pensiero: l'attraversare l'aria nel camminare, lo spostarsi in un determinato spazio o tempo quando non è interessata che al movimento; inoltre, la facoltà dianoetica può non interessarsi agli aspetti particolari di quelle azioni che conosce nella loro interezza e nella loro capacità di realizzarsi, o di quelle che si ripetono sempre identiche; neppure ciò che si contempla trova necessariamente spazio nel ricordo252.

Si ha invece memoria di ciò a cui l'anima è rivolta, si rappresenta e coglie attivamente. Tutta questa serie di considerazioni che stiamo analizzando ha la propria ragion d'essere in riferimento ad una problematica bene precisa, a cui si è fatto cenno, e cioè il tentativo di

252 Leggo le righe 8, 1-2 «ἢ οὐκ ἀνάγκη οὔτε ὅσα τις θεωρεῖ ἐν μνήμῃ τίθεσθαι» in relazione con quanto

si afferma in IV, 3 (27), 30, 15-16, dove si afferma la differenza fra quell'attività di pensiero che opera eternamente in noi e la coscienza di questa stessa attività che lontano dall'essere sempre, è soltanto quando il pensiero trova la propria esteriorizzazione ad un piano immaginativo; ed è su questo piano che si attua anche la memoria.

stabilire se le anime degli astri possiedano memoria (6, 4); a far propendere per questa attribuzione la possibilità di misurare il movimento dei cieli secondo il giorno e la notte, affermazione che porta a credere che il loro movimento avvenga nel tempo, e che, come l'uomo conta i giorni e gli anni, così anche gli astri hanno coscienza dello spazio e del tempo trascorso e ne serbano ricordo.

La necessità di elaborare tale questione non è del tutto secondaria se si pensa al potere di cui gli astri vengono comunemente investiti, quello di conoscere e influire sulle vicende umane e terrestri.

In realtà non vi è nessuna necessità che gli astri abbiano memoria del percorso, né del tempo impiegato a compierlo: infatti nel loro movimento l'intento non è in alcun modo di percorrere ciò che percorrono; inoltre il loro spostamento (πάροδος, 8, 38) è κατὰ

συμβεβηκός (8, 37-38), mentre loro sono sempre rivolti alle realtà divine di lassù; gli spazi

percorsi sono sempre gli stessi, e i tempi impiegati, anche se divisibili, non sono né calcolabili né determinabili (8, 39-40): il loro infatti è un movimento unico (μία φορά, 7, 9), mentre siamo noi a misurarlo e farlo molteplice secondo i giorni (7, 9-10)253.

Questo tentativo di misurare il movimento unico dei cieli è paragonato all'operazione di voler suddividere il passo di un piede, e da quell'uno che è volerne fare un altro e un altro e molti (7, 8): come di un'unica giornata volerla rendere molte (7, 11-12)254.

Il loro movimento va concepito in realtà come la loro vita: eterna, una e identica (ζῶσιν

ἀεί· τὸ δὲ ἀεὶ ταὐτὸν ἕν, 7, 5-6):

«essi conducono una vita sempre uguale poiché anche il loro movimento locale si svolge sempre intorno a un unico centro, così da essere un movimento vitale piuttosto che locale, proprio di un essere animato che rivolge la sua attività a se stesso, immobile rispetto all'esterno, ma in movimento per la vita che è in lui, eterna; se poi qualcuno volesse paragonare il loro movimento ad una danza, se si pensa ad una danza che ogni tanto si arresta essa sarà assolutamente perfetta quando sarà compiuta e si sarà svolta dall'inizio alla fine ma ogni figura che la compone è imperfetta; se invece si pensa ad una danza tale da non arrestarsi mai, allora è perfetta».

«ζωήν τε τὴν αὐτὴν ἔχοντα, ὅπου καὶ τὸ τοπικὸν αὐτοῖς περὶ ταὐτόν, ὡς μὴ τοπικόν, ἀλλὰ ζωτικὸν τὸ κίνημα εἶναι ζῴου ἑνὸς εἰς αὐτὸ ἐνεργοῦντος ἐν στάσει μὲν ὡς πρὸς τὸ ἔξω, κινήσει δὲ τῇ ἐν αὐτῷ ζωῇ ἀιδίῳ οὔσῃ-καὶ μὴν

253 Sul movimento degli astri rimando agli scritti II, 1 (40) e II, 2 (14); in modo ancor più evidente il secondo

scritto attribuisce la perfezione e l'unità del movimento del cielo al movimento vitale dell'anima con l'avvolge e lo vivifica.

254 Periodo interessato da numerosi problemi testuali «τὸ δὲ χθὲς τῆς φορᾶς καὶ τὸ πέρυσι τοιοῦτον ἂν

εἴη, οἷον ἂν εἴ τις τὴν ὁρμὴν τὴν κατὰ πόδα ἕνα γενομένην μερίζοι εἰς πολλά»; su questo punto rimando all'analisi di J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., p. 342 che sottolinea «[...] horomên (fem.), here translated “mouvement” rather than to the masculine poda, “foot”. A solution proposed by Theiler, is to emend to the neuter hen, which can acceptably refer back to horomên, while balancing the neuter plural polla. We accept this, and translate “made many of the one thing.” Note hormê here used in the sense of initiation of an individual motion».

εἰ καὶ χορείᾳ ἀπεικάσειέ τις τὴν κίνησιν αὐτῶν, εἰ μὲν ἱσταμένῃ ποτέ, ἡ πᾶσα ἂν εἴη τελεία ἡ συντελεσθεῖσα ἐξ ἀρχῆς εἰς τέλος, ἀτελὴς δὲ ἡ ἐν μέρει ἑκάστη· εἰ δὲ τοιαύτῃ οἵα ἀεί, τελεία ἀεί» (8, 41-49).

Isoliamo all'interno del nostro passo tre nuove occorrenze del nostro termine:

i. la prima la troviamo alla l. 8, 43: il nostro sostantivo è caratterizzato nei termini di un movimento vitale, ζωτικὸν τὸ κίνημα, in contrapposizione ad un moto locale, τὸ τοπικὸν (8, 42 e 8, 43); si tratta della caratterizzazione del movimento astrale;

ii. la seconda la troviamo alla l. 8, 45: il nostro sostantivo designa la condizione di quel vivente unico, il cielo: associata al movimento, la vita e nella fattispecie una vita perpetua255: questa è la condizione del cielo, che considerato in se stesso è nel

movimento e in una vita incessante, κινήσει δὲ τῇ ἐν αὐτῷ ζωῇ ἀιδίῳ οὔσῃ; come esprime la particella “δὲ” si tratta di una proposizione correlativa: il cielo può essere considerato anche da una prospettiva esterna, nel qual caso risulterà nella condizione opposta, ἐν στάσει μὲν ὡς πρὸς τὸ ἔξω (8, 44-45)256;

iii. la terza occorrenza compare alla l. 8, 46: il nostro sostantivo designa ancora una volta il movimento celeste, questa volta attraverso l'immagine esemplificativa della danza, χορείᾳ ἀπεικάσειέ τὴν κίνησιν αὐτῶν [scil. ἄστρων].

Questa vita sempre identica degli astri viene spiegata mettendo in scena e al contempo svelando un doppio apparente paradosso: infatti, lo spostamento locale dei cieli in quanto si svolge περὶ ταὐτόν (8, 42-43), come una sfera che si muove intorno al proprio centro, è in realtà un μὴ τοπικόν (8, 43), un moto che non avviene localmente: i cieli considerati in questa prospettiva sono privi di movimento locale257.

Il nostro termine di riferimento ci aiuta a comprendere quale sia il vero movimento del cielo: infatti, ciò che non si muove nello spazio non è detto che sia realmente immobile, ma il suo è uno ζωτικὸν κίνημα (8, 43), cioè un movimento vitale che spiega questa sua immobilità esteriore apparente perché la sua attività è riversa in se stesso (ζῴου ἑνὸς εἰς

αὐτὸ ἐνεργοῦντος, 8, 44) ed è pieno di movimento per la vita eterna che ha in sé.

Questo movimento immobile esteriormente, incessante interiormente, non è in alcun modo un movimento imperfetto, al contrario. Per comprendere quale sia la perfezione e la compiutezza di questo moto è necessario fare riferimento ad un paragone, quello dell'immagine della danza. Sono distinte due tipi di danze diverse: una che ha come delle battute d'arresto e che si può cogliere nella sua perfezione solo guardandola nella sua completezza, cioè considerandola dall'inizio alla fine; tuttavia, se ci si sofferma su ogni sua singola parte in se stessa, questa danza risulta imperfetta (8, 49). Ve ne è poi un altro tipo,

255 Sull'associazione di movimento e vita: IV, 2 (7) 9-11; III, 6 (26), 4; IV, 3 (27), 18-24 – e come avremo modo

di vedere – II, 2 (14); II, 1 (40); III, 7 (45) VI, 1 (42); VI, 2 (43); VI, 3 (44); I, 1 (53)

256 Su movimento e stasi in riferimento al moto celeste si veda II, 2 (14); II, 1 (40).

257 Si veda a questo proposito l'espressione di II, 2 (14), 1, 8-9, in cui il movimento circolare è definito come

cioè quella danza che è sempre e che sempre è perfetta (τοιαύτῃ οἵα ἀεί, τελεία ἀεί, 8, 49)258:

proprio in virtù di questa eterna perfezione questa danza non necessita di un tempo e di un luogo in cui compiersi (οὐκ ἔχει χρόνον ἐν ᾧ τελεσθήσεται οὐδὲ τόπον, 8, 49-40), né per lo stesso motivo di un'aspirazione (οὐδὲ ἔφεσιν, 8, 50), a realizzarsi.

Una realtà di siffatta perfezione non ha bisogno di misurare gli spazi e i tempi percorsi: pertanto neppure avrà ricordi di tal genere.

Gli astri vivono una vita santa, con le loro anime rivolte a contemplare la loro stessa vita, orientate all'unità, irradiano il loro splendore da sé verso tutto il cielo.

«come corde di una lira che toccate secondo un accordo producono suoni in naturale armonia ‒ se così si muovono il cielo intero e le sue parti, il cielo volo verso se stesso e le diverse parti diversamente rivolte verso lo stesso punto, dal momento che la loro posizione è diversa, ancor più giusto sarà il nostro discorso, poiché ancora più unitaria e