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6.4 Sul movimento delle facoltà psichiche (17, 1 21, 21 e 28, 1-29, 55)

L'indagine si muove ora alla volta delle anime dei viventi particolari: queste, infatti, per

279 Su questo argomento rimando alle considerazioni di E. K. Emilsson, Plotinus on Sense-Perceprion..., pp.

quell'anima che condividono col tutto sono soggette alle medesime affezioni che interessano quel vivente unitario. Tuttavia, alcuni esseri sono parti di questo tutto in un senso speciale, perché partecipano anche di un'altra anima oltre a questa:

«Ma come mai non sono così anche in noi i pensieri e i ragionamenti dell'anima, ma quaggiù sono nel tempo, connessi al dopo e alla ricerca? Forse perché molte sono le parti dell'anima che ci governano e si muovono, e non un unico principio dominante? Si ma anche perché una parte succede all'altra a seconda del bisogno e dell'occasione presente, e non è definita in sé ma sempre in relazione ad altro, a qualcosa di esterno; di conseguenza la nostra decisione è sempre diversa e relativa all'occasione, quando si presenta il bisogno e all'esterno accade ora quello ora questo».

«ἀλλὰ πῶς οὐ καὶ ἐν ἡμῖν οὕτως αἱ νοήσεις αἱ τῆς ψυχῆς καὶ οἱ λόγοι, ἀλλ' ἐνταῦθα ἐν χρόνῳ καὶ τὸ ὕστερον καὶ αἱ ζητήσεις ὡδί; ἀρ' ὅτι πολλὰ ἃ ἄρχει καὶ κινεῖται, καὶ οὐχ ἓν κρατεῖ; ἢ καὶ ὅτι ἄλλο καὶ ἄλλο πρὸς τὴν χρείαν καὶ πρὸς τὸ παρὸν οὐχ ὡρισμένον ἐν αὐτῷ, ἀλλὰ πρὸς τὸ ἄλλο ἀεὶ καὶ ἄλλο ἔξω· ὅθεν ἄλλο τὸ βούλευμα καὶ πρὸς καιρόν, ὅτε ἡ χρεία πάρεστι καὶ συμβέβηκεν ἔξωθεν τουτί, εἶτα τουτί» (17, 1-8).

i. Il verbo κινέω compare alla l. 3 in riferimento all'anima umana, per distinguere le molte cose che la dominano e che la muovono, πολλὰ ἃ ἄρχει καὶ κινεῖται (17, 3).

L'anima, una volta scesa quaggiù è soggetta a numerose vicissitudini: un primo segno di questa discesa lo si può scorgere nella relazione di quest'anima al tempo e alla successione in cui i suoi ragionamenti e i suoi pensieri sono disposti: mentre lassù l'anima è rivolta eternamente al suo principio, quaggiù i ragionamenti dell'anima si svolgono in una dimensione temporale, non più nel modo della compiutezza e dell'eternità, ma nel modo della successione e della ricerca280. Questa temporalizzazione dei pensieri dell'anima è

accompagnata dal marchio della molteplicità: qui, infatti, non è più un unico principio a dirigerla e orientarla, ma sono molte le cose che la muovono e che la dominano. Successione temporale e molteplicità si manifestano anche nelle parti dell'anima, la cui operatività si alterna secondo i bisogni e ciò che di volta in volta è presente; quelle facoltà che fronteggiano queste necessità sono definite in se stesse ma sempre in relazione ad altro (πρὸς τὸ ἄλλο ἀεὶ, 17, 6). La volontà umana, dunque, è in continuo cambiamento, relativa a ciò che è presente e al bisogno, mentre all'esterno accade ora questo ora quello:

«infatti, poiché la molteplicità ci governa, necessariamente molteplici sono anche le immagini, acquisite dall'esterno, sempre nuove in una parte rispetto all'altra, e tali da impedire i movimenti e le attività di

280La natura non conosce ma si limita a creare, οὐδὲ οἶδε, μόνον δὲ ποιεῖ (13, 7-8); l'anima che governa tutte

le cose conosce tutte le cose in virtù della sua saggezza (12, 17); sono invece le anime che si spingono ancora oltre ad esercitare il ragionamento e l'acquisizione della conoscenza.

ogni altra parte. Quando infatti la parte desiderativa è eccitata, sopraggiunge l'immagine relativa, una specie di sensazione che annuncia e dichiara l'affezione, pretendendo che noi inseguiamo e ci procuriamo l'oggetto desiderato. Ma necessariamente un'altra parte dell'anima cade nel dubbio e non sa decidere se inseguire e procurarsi l'oggetto del desiderio oppure resistere. Anche la facoltà dell'impeto, incitandoci alla vendetta, si comporta allo stesso modo quando è eccitata, e in generale i bisogni del corpo e le passioni sono causa delle opinioni più diverse».

«καὶ γὰρ τῷ πολλὰ ἄρχειν ἀνάγκη πολλὰς καὶ τὰς φαντασίας εἶναι καὶ ἐπικτήτους καὶ καινὰς ἄλλου ἄλλῳ καὶ ἐμποδίους τοῖς αὐτοῦ ἑκάστου κινήμασι καὶ ἐνεργήμασιν. ὅταν γὰρ τὸ ἐπιθυμητικὸν κινηθῇ, ἦλθεν ἡ φαντασία τούτου οἷον αἴσθησις ἀπαγγελτικὴ καὶ μηνυτικὴ τοῦ πάθους ἀπαιτοῦσα συνέπεσθαι καὶ ἐκπορίζειν τὸ ἐπιθυμούμενον· τὸ δὲ ἐξ ἀνάγκης ἐν ἀπόρῳ συνεπόμενον καὶ πορίζον ἢ καὶ ἀντιτεῖνον γίνεται. καὶ ὁ θυμὸς δὲ εἰς ἄμυναν παρακαλῶν τὰ αὐτὰ ποιεῖ κινηθείς, καὶ αἱ τοῦ σώματος χρεῖαι καὶ τὰ πάθη ἄλλα ποιεῖ καὶ ἄλλα δοξάζειν » (17, 8-17).

Isoliamo nel nostro passo tre nuove occorrenze del nostro termine:

i. alla l. 10 il termine κινήμασι compare insieme a ἐνεργήμασιν (17, 10-11) per designare lo stato di quei movimenti e di quelle attività delle varie parti dell'anima che rimangono impedite, ἐμποδίους (17, 10)281;

ii. alla l. 17, 11 il verbo κινέω designa il movimento della parte appetitiva dell'anima, ἐπιθυμητικὸν κινηθῇ; da questo movimento deriva una rappresentazione comunicativa della passione, ἦλθεν ἡ φαντασία τούτου οἷον

αἴσθησις ἀπαγγελτικὴ καὶ μηνυτικὴ τοῦ πάθους;

iii. alla l. 17, 16 il verbo κινέω designa il movimento della facoltà irascibile, quando questa sia accesa da un monito di vendetta, ὁ θυμὸς δὲ εἰς ἄμυναν παρακαλῶν

τὰ αὐτὰ ποιεῖ κινηθείς.

La causa dell'impedimento dei movimenti dell'anima sta nella molteplicità che, una volta giunta qui, la governa: si tratta di una molteplicità che, per così dire, filtra dall'esterno per il tramite di numerose immagini acquisite (φαντασίας ἐπικτήτους, 17, 9). Alla l. 17, 11 il nostro termine designa l'operato della facoltà concupiscibile: quando questa è sollecitata si produce un'immagine dell'oggetto desiderato; oltre la facoltà sensitiva altre parti dell'anima rimangono coinvolte nei processi desiderativi, come ad esempio quelle che decidono se acconsentire o meno all'esigenza del desiderio. Quando è la facoltà irascibile ad essere mossa si verifica un processo analogo, esigendo non più l'ottenimento dell'oggetto desiderato ma la rivalsa.

La descrizione del processo desiderativo, così come quello dell'impeto, mostrano come l'anima risulti coinvolta in essi con varie facoltà; in questi casi rimangono dunque impedite quelle potenze dell'anima non necessarie all'espletamento del meccanismo desiderativo o

dell'ira. Vi sono poi i bisogni e le affezioni del corpo che suscitano continuamente nuovi stati nell'anima e nuove opinioni; l'ignoranza del bene fa si che l'anima sia trascinata dappertutto; dal mischiarsi di tutte queste condizioni nascono ulteriori opinioni. Non è tuttavia la parte migliore dell'anima quella da cui scaturiscono opinioni differenti: queste interessano quella parte che è comune al corpo, caratterizzata dal dubbio e dall'instabilità, (17, 21).

«sarà dunque conseguente pensare che anche i desideri corporei abbiano origine da questa natura comune e da si fatta natura corporea. Infatti non è al corpo in qualsiasi condizione si trovi che deve essere attribuita l'origine dell'appetito e dell'impulso, né all'anima per se stessa deve essere attribuita la ricerca dell'amaro e del dolce; piuttosto questo appartiene a ciò che è corpo e però non vuole essere soltanto corpo, ma ha acquisito movimenti più dell'anima stessa e per via di questa acquisizione è costretto a volgersi in più direzioni: perciò in uno stato desidera l'amaro, in un altro il dolce, e desidera inoltre essere raffreddato o riscaldato, mentre non gli importerebbe nulla se fosse una natura sola».

«καὶ τῶν σωματικῶν δὲ ἐπιθυμιῶν τὴν ἀρχὴν ἐκ τοῦ οὕτω κοινοῦ καὶ τῆς τοιαύτης σωματικῆς φύσεως ἀκόλουθον τίθεσθαι γίνεσθαι. οὔτε γὰρ τῷ ὁπωσοῦν ἔχοντι σώματι δοτέον τὴν ἀρχὴν τῆς ὀρέξεως καὶ προθυμίας, οὔτε τῇ ψυχῇ αὐτῇ ἁλμυρῶν ἢ γλυκέων ζήτησιν, ἀλλὰ ὃ σῶμα μέν ἐστιν, ἐθέλει δὲ μὴ μόνον σῶμα εἶναι, ἀλλὰ καὶ κινήσεις ἐκτήσατο πλέον ἢ αὐτή, καὶ ἐπὶ πολλὰ διὰ τὴν ἐπίκτησιν ἠνάγκασται τρέπεσθαι· διὸ οὑτωσὶ μὲν ἔχον ἁλμυρῶν, οὑτωσὶ δὲ γλυκέων, καὶ ὑγραίνεσθαι καὶ θερμαίνεσθαι οὐδὲν αὐτῷ μελῆσαν, εἰ μόνον ἦν » (20, 1-10).

All'interno di questo passo troviamo una nuova occorrenza del termine κινήσις:

i. alla l. 20, 6 il nostro sostantivo designa i numerosi movimenti che acquisisce il corpo: un corpo che non rimane soltanto corpo, ma acquisisce una certa natura (20, 2), μὴ μόνον σῶμα εἶναι, ἀλλὰ καὶ κινήσεις ἐκτήσατο πλέον.

Qui il riferimento è ai movimenti del corpo, definiti come πλέον (20, 8) rispetto a quelli dell'anima. A tal proposito vanno menzionate alcune precisazioni fondamentali: il corpo che possiede tali movimenti presenta la caratteristica di non voler essere soltanto corpo (20, 6): infatti, poiché l'anima e il corpo considerato in sé, cioè privo di vita, sono due nature eterogenee e la loro unione non si realizza perfettamente, e nonostante la natura peggiore cerchi di estorcere qualcosa da quella migliore, non vi riesce totalmente, (18, 30); il risultato è così una terza natura, quella del composto o del corpo animato.

Il nostro passo si riferisce proprio al corpo così determinato (τὸ τοιόνδε σῶμα, 18, 20)282,

quello animato dalla natura ovvero dalla parte inferiore dell'anima. È il corpo che non vuole

282 Termine che abbiamo già riscontrato in III, 6 (26), 1; cfr. Aristotele, Metaph., Z, 10 1035 b 14-16; cfr. H. J.

Blumenthal, Plotinus..., p. 61 e ss.; cfr. C. I. Noble, How Plotinus'Soul Animate his Body: The Argument for the Soul-Trace at Ennead 4.4.18.1-9, «Phronesis» 58 (2013), 249-279.

rimanere soltanto corpo che acquisisce questa molteplicità di movimenti ed è proprio a causa di questa acquisizione che si rivolge a più direzioni: queste direzioni sono quelle del desiderio dell'amaro e del dolce dell'essere scaldato e raffreddato. Di tutte queste cose il corpo non avrebbe alcun interesse se fosse considerato semplicemente come una sola natura, soltanto come corpo; infatti, l'origine dell'appetito e dell'impulso, quindi dei movimenti che via via possiede o che lo interessano, non va ricondotta né all'anima per se stessa né al corpo, ma alla natura comune.

Anche ciò che riguarda piacere e godimento rientra, non nella proprietà esclusiva di un'anima o di un corpo, ma nella composizione dei due (συναμφοτέρου, 18, 21). Certo bisogna specificare come nel provare dolore o piacere sia il corpo così determinato a subire un'affezione (19, 5) mentre è l'anima sensitiva ad avere una conoscenza priva di qualunque affezione (γνῶσιν ἀπαθῆ, 18, 10). E tuttavia il corpo da solo non potrebbe subire nessuna affezione.

Bisogna invece porre questa natura intermedia e comune perché il nostro “noi” coincide certamente con la nostra anima, ma anche il corpo non ci è estraneo ed è in qualche modo nostro a tal punto che ce ne prendiamo cura e non rimaniamo affatto indifferenti ai suoi piaceri e alla sue pene. Tutto ciò è chiaramente esemplificato nel riferimento al caso del dolore al dito: se il dito è dolente anche l'uomo prova questo dolore, perché quel dito gli appartiene. Questo esempio, tuttavia, non è importante solo per il fatto che testimonia del legame col corpo che è nostro e di cui condividiamo, nel senso suddetto, alcuni stati; ma testimonia anche dei ruoli distinti giocati dall'anima e dal corpo nel caso del sentire. Infatti è necessario che il patire attenga il corpo, mentre l'anima pur avvertendo e recependo il dolore non ne rimane affetta: se fosse l'anima a patire, poiché è tutta in tutto il corpo (ἐν

παντὶ ὅλη τῷ σώματι οὖσα, 19, 15) non sarebbe in grado di localizzare e determinare quel

dato dolore. Così nel caso del desiderio, la parte vegetativa dell'anima apprende il desiderio chiaro che ha, tuttavia, la sua origine nel corpo; la sensazione invece apprende l'immagine in base alla quale ricerca o fugge l'oggetto desiderato. Pertanto l'origine del desiderio bisogna collocarla nel corpo così determinato che patisce: questo soffre e desidera il contrario di ciò che patisce; la natura invece si comporta come una madre, indovina i desideri del corpo, cerca di correggerli quindi si unisce al desiderio del corpo condividendolo. Che il corpo sia all'origine del desiderio è inoltre dimostrato dalla varietà dei desideri corporei in relazione alle diverse età che si attraversano o agli astati di malattia e di saluta che si alternano, mentre la facoltà concupiscibile rimane sempre identica. Perché il desiderio che è nel corpo si realizzi è necessario che si aggiunga la volontà di quel desiderio per il tramite del ragionamento. Anche la facoltà concupiscibile allo stesso modo non è immediatamente coinvolta e trascinata in tutto ciò che desidera il corpo, infatti lei non trae nessun vantaggio dal raggiungimento dell'oggetto del desiderio:

«certamente, infatti, non spettano ad essa il cibo, oppure il caldo e l'umido, né il sollievo dell'essere vuoto o la soddisfazione dell'essere pieno, ma tutto questo appartiene al corpo».

«οὐ γὰρ δὴ τῷ ἐπιθυμητικῷ ἡ τροφὴ ἢ θερμότης καὶ ὑγρότης [οὐδὲ κίνησις] οὐδὲ κούφισις κενουμένου οὐδὲ

πλήρωσις μεστουμένου, ἀλλ' ἐκείνου πάντα» (21, 19-22)283.

Lo stesso tenore argomentativo è riservato alle considerazioni in merito alla facoltà irascibile (περὶ τοῦ θυμοειδοῦς, 28, 2). Il tentativo è quello di definire che cosa sia la facoltà irascibile, dove possa collocarsi il principio della sua attività, quale tipo di anima sia coinvolto negli stati d'ira:

«dunque, ammettiamo che la regione intorno al fegato sia l'origine del desiderio in quanto là è più attiva la facoltà vegetativa che imprime la traccia dell'anima al fegato e al resto del corpo: là si trova perché là ha origine la sua attività. Ma riguardo alla facoltà dell'impeto, dobbiamo chiederci che cosa sia in se stessa e da quale anima dipenda, inoltre se sia solo una sua traccia a produrre il movimento attorno al cuore o qualcos'altro appartenente al composto, o se in questo caso non sia una traccia ma la facoltà stessa che causa l'ira».

«ἔστω δὲ ὁ περὶ τὸ ἧπαρ τόπος τῆς ἐπιθυμίας ἀρχή, ὅτι τὸ φυτικὸν ἐκεῖ ἐνεργεῖ μάλιστα, ὃ τὸ ἴχνος τὸ ψυχικὸν τῷ ἥπατι καὶ τῷ σώματι παρέχει· ἐκεῖ δέ, ὅτι ἐκεῖ ἄρχεται ἡ ἐνέργεια. ἀλλὰ περὶ τοῦ θυμικοῦ τί τε αὐτὸ καὶ τίς ψυχή, καὶ εἰ ἀπ' αὐτοῦ ἴχνος περὶ τὴν καρδίαν ἢ ἄλλο τι τὴν κίνησιν εἰς συναμφότερον τελοῦν παρέχεται, ἢ ἐνταῦθα οὐκ ἴχνος, ἀλλ' αὐτὸ τὸ ὀργίζεσθαι παρέχεται» (28, 14-21).

Osserviamo nel passo una nuova occorrenza di κίνησις:

i. alla l. 28, 20 il nostro sostantivo designa il movimento che si verifica intorno al cuore e che confluisce nell'organismo, περὶ τὴν καρδίαν τὴν κίνησιν284.

Del movimento intorno al cuore vengono individuate due possibili cause, o nell'anima irascibile in se stessa o in una sua traccia (ἴχνος l. 28, 19).

Come avremo modo di vedere e come anticipa il nostro passo, ciò che entra in gioco nella definizione della facoltà irascibile riguarda sia il suo modus operandi, sia il centro motore della sua attività; in particolar modo è necessario comprendere se questa facoltà operi autonomamente o se invece – com'è il caso della facoltà concupiscibile ‒ si trovi legata al concorso di altre facoltà. Per dirimere questa difficoltà si getta lo sguardo a quelli che sono gli ambiti a cui si rivolgono gli scatti d'ira: da un lato, questa è sollecitata dal patire del corpo (πάσχῃ τὸ σῶμα μόνον, 28, 23), ma anche dagli oltraggi subiti da un nostro congiunto o, in generale, dalle azioni ingiuste. Gli atti irascibili chiamano dunque in causa il

283 Il movimento (l. 21, 21) insieme a nutrimento, riscaldamento, fluidità, sollievo dall'esser vuoto,

soddisfazione dell'esser pieno, non interessano la facoltà desiderativa bensì la natura corporea; il passo, tuttavia, è oggetto di controversie testuali, in quanto [οὐδὲ κίνησις] è stato espunto da J. Igal, Enéadas, ad loc.; J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., p. 386 indica come fonte del passo Platone, Tim., 64a-65b e sostiene che «the phrase […] excised, no dubt rightly by Igal can be seen as an “intelligent” gloss by a reader acquainted whit this passage of the Timaeus, where some attention is paid to “motion”».

284 Rilevo la presenza di numerose traduzioni differenti del passo, cfr. la presente traduzione con A. H.

corpo ma anche la sensazione e una certa comprensione (28, 25-26). Il coinvolgimento del corpo nei processi d'impeto è riferito a una sua certa disposizione (σωματικαῖς διαθέσεσιν, 28, 28-29), e in particolar modo allo stato del sangue e della bile, che ingenerano comportamenti irascibili in alcuni individui o negli animali.

Proprio dalla regione intorno al cuore si originerebbe quel tipo di sangue che ha a che vedere con l'attività irascibile:

«E se uno stesso uomo è più irascibile quando è ammalato che quando è sano, o quando non ha toccato cibo che quando l'ha avuto, ciò rivela che l'ira o l'origine dell'ira appartiene ad un corpo determinato, e la bile o il sangue, come fossero principi animati, producono determinati movimenti, cosicché quando quel corpo è affetto, subito il sangue o la bile si agitano, quindi si produce una sensazione, l'immagine mette in contatto l'anima con la disposizione di quel determinato corpo, e l'anima si slancia contro la causa del dolore».

«καὶ ὅταν οἱ αὐτοὶ νοσοῦντες μὲν ὀργιλώτεροι ἢ ὑγιαίνοντες, ἄγευστοι δὲ σιτίων ἢ λαβόντες, σώματος τοιοῦδε μηνύουσι τὰς ὀργὰς ἢ τὰς ἀρχὰς τῆς ὀργῆς εἶναι, καὶ τὴν χολὴν ἢ τὸ αἷμα οἷον ψυχοῦντα παρέχεσθαι τὰς τοιάσδε κινήσεις, ὥστε παθόντος τοῦ τοιοῦδε σώματος εὐθέως κινεῖσθαι τὸ αἷμα ἢ τὴν χολήν, αἰσθήσεως δὲ γενομένης τὴν φαντασίαν κοινώσασαν τὴν ψυχὴν τῇ τοιοῦδε σώματος διαθέσει ἤδη πρὸς τὸ ποιοῦν τὴν ἀλγηδόνα ἵεσθαι» (28, 35-43).

Isoliamo all'interno del nostro passo due nuove occorrenze del termine κίνησις:

i. la prima alla l. 28, 39: il nostro sostantivo è impiegato per indicare un certo tipo di movimenti prodotti dalla bile e dal sangue, χολὴν ἢ αἷμα παρέχεσθαι τὰς

τοιάσδε κινήσεις; è interessante notare come questi movimenti siano, ancora una

volta, associati alla caratteristica di essere οἷον ψυχοῦντα, in questo caso, da parte del sangue e alla bile285;

ii. la seconda la troviamo alla l. 28, 40: il verbo κινέω indica i movimenti del sangue e della bile al patire del corpo così determinato, παθόντος τοῦ τοιοῦδε σώματος

εὐθέως κινεῖσθαι τὸ αἷμα ἢ τὴν χολήν.

I movimenti che si producono nell'impeto hanno la propria origine nel sangue e nella bile che si comportano come se fossero animati: questi si mettono in moto quando il corpo subisce un'affezione; s'ingenera in questo modo un processo percettivo che culmina nella comunicazione all'anima, per il tramite della facoltà immaginativa, di questa disposizione corporea (σώματος διαθέσει, 28, 42); l'anima, quindi, si può scagliare contro la causa del dolore. Questo passo sancisce il ruolo dell'organismo negli stati d'irascibilità: questa ha, per così dire, una matrice che è ἀλόγως (28, 47) e che infine, tramite la rappresentazione, giunge alla ragione. Ma c'è anche l'impeto provocato dall'assistere a un'ingiustizia286: in questo caso

285 Analogamente IV, 3 (27), 20, 41-46. 286 Cfr. III, 6 (26), 4, 6-13.

il punto d'avvio sembrano essere le funzioni più alte dell'anima (ἄνωθεν δὲ αὖ τὴν ψυχὴν

τὴν λογισμῷ, 28, 43), ovvero, ἀπὸ λόγου (28, 48), per poi ridiscendere alla facoltà irascibile,

in quelle parti predisposte agli attacchi di furore287. Entrambi questi tipi d'ira dipendono

dalla facoltà vegetativa (φυτικοῦ καὶ γεννητικοῦ, 28, 49-50), perché preparano il corpo come ad apprendere piacere e dolore rendendolo bilioso oppure aspro.

«Trovandosi in un siffatto corpo la traccia dell'anima è mossa in questo modo dal dispiacere e dall'ira, e poiché ha subito un male cerca in qualche modo, a sua volta, di fare del male, e di rendere gli altri simili a sé. Una prova della consustanzialità di questa facoltà con quella traccia dell'anima è data dal fatto che, chi meno desidera i piaceri corporei e in generale disprezza il corpo è anche meno mosso dall'ira». «καὶ [τῷ] ἐν τοιούτῳ [εἶναι] ψυχῆς ἴχνος [τῷ ἐν τοιούτῳ εἶναι] τοιάδε κινεῖσθαι δυσχεραντικὰ καὶ ὀργίλα καὶ τῷ κεκακῶσθαι πρῶτον αὐτὸ κακοῦν πως ζητεῖν καὶ τὰ ἄλλα καὶ οἷον ὁμοιοῦν ἑαυτῷ. μαρτύριον δὲ τοῦ ὁμοούσιον εἶναι τοῦτο τῷ ἑτέρῳ ἴχνει ψυχῆς τὸ τοὺς ἧττον τῶν σωματικῶν ἡδέων ἐφιεμένους καὶ ὅλως σώματος καταφρονοῦντας ἧττον κινεῖσθαι πρὸς ὀργὰς [καὶ ἀλόγῳ ἀπαθείᾳ]» (28, 52-59).

Isoliamo nel nostro passo due nuove occorrenze del nostro termine:

i. la prima alla l. 28, 53: il verbo κινέω è riferito alla traccia dell'anima e indica il suo essere mossa in un certo modo da parte dell'ira e dell'irritazione, ψυχῆς

ἴχνος τοιάδε κινεῖσθαι δυσχεραντικὰ καὶ ὀργίλα;

ii. la seconda la troviamo alla l. 28, 58: il nostro verbo compare nuovamente in relazione all'ira, per mettere in evidenza la relazione fra il corpo così determinato e facoltà irascibile: tanto più ci si allontana dal corpo e dai suoi piaceri, tanto meno si è mossi dall'ira, ἧττον τῶν σωματικῶν ἡδέων ἐφιεμένους καὶ ὅλως

σώματος καταφρονοῦντας ἧττον κινεῖσθαι πρὸς ὀργὰς.

Qui il movimento è quello della traccia dell'anima, che reagisce alle cose spiacevoli e a quelle irritanti. Questa traccia dell'anima, cioè la facoltà vegetativa, condivide la medesima sostanza288 della facoltà irascibile in ragione del fatto che là dove non si è avvezzi ai piaceri

del corpo, e anzi quest'ultimo è tenuto in spregio, si è meno soggetti all'irascibilità. Il fatto che quegli esseri che dispongono unicamente della facoltà vegetativa, come le piante, non siano irascibili è dovuto, non al fatto che la facoltà vegetativa non abbia parte nei processi d'impeto, bensì alla mancanza del sangue e della bile e della facoltà sensitiva: se infatti la sensazione ci fosse si verrebbe a generare quell'impulso (ὁρμή, 28, 63), diretto contro ciò che causa il danno. In merito alla divisione della parte irrazionale dell'anima nelle specie concupiscibile e irascibile, dove la prima è concepita come potenza vegetativa e la seconda

287 J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., sottolinea che «however thymos needs a sense-datum, and/or a

mental image, to provoke it, and, as remarked above, the latter can just as well be provided by the reason (logismos), on the basis of its cognition of an insult or an outrage» p. 411.

come una traccia di questa, nel sangue, nella bile o nel composto, una tale distinzione va riferita ai loro ὀρεκτικά (28, 71) e non alla loro sostanza289.

«come mai dunque il corpo se è simile ad un oggetto riscaldato piuttosto che a uno illuminato, quando l'altra anima se ne va non conserva nulla di vitale? In effetti qualcosa resta per un po di tempo ma poi scompare rapidamente, come succede agli oggetti riscaldati che si allontanano dal fuoco. Lo testimoniano i capelli e le unghie che crescono sui corpi dei cadaveri, o gli animali che, anche divisi, continuano a muoversi per molto tempo: questo è probabilmente tutto ciò che resta della vita in loro».

«πῶς οὖν, εἴπερ τῷ θερμανθέντι τὸ σῶμα ἔοικεν ἀλλ' οὐ τῷ φωτισθέντι, ἐξελθούσης τῆς ἄλλης ψυχῆς οὐδέν τι ζωτικὸν ἔχει; ἢ ἔχει ἐπ' ὀλίγον, ἀπομαραίνεται δὲ θᾶττον, ὥσπερ καὶ ἐπὶ τῶν θερμανθέντων ἀποστάντων τοῦ πυρός. μαρτυροῦσι δὲ καὶ τρίχες φυόμεναι ἐπὶ τῶν νεκρῶν σωμάτων καὶ ὄνυχες αὐξόμενοι καὶ ζῷα διαιρούμενα ἐπὶ πολὺ κινούμενα· τοῦτο γὰρ τὸ ἔτι ἐγκείμενον ἴσως» (29, 1-7).

Osserviamo nel passo una nuova occorrenza di κίνησις:

i. alla l. 29, 7 il verbo κινέω è riferito a quegli animali che hanno subito una decisiva menomazione e che, tuttavia continuano a muoversi a lungo, ζῷα

διαιρούμενα ἐπὶ πολὺ κινούμενα290.

Il nostro termine si riferisce in questo passo alla capacità di muoversi di alcuni animali che hanno subito una divisione del loro corpo: ebbene in questi viventi il movimento può protrarsi ancora per lungo tempo. Il nostro esempio è accompagnato da altri simili, come quello della crescita di unghie e dei capelli nei corpi morti.

Movimenti e crescita di alcune parti del corpo allorché sopraggiunta la morte, persistono come segno di una certa vita che permane in loro: il riferimento è a quel corpo così determinato, τοιόνδε σῶμα: questo piuttosto che essere simile a qualcosa d'illuminato e che si spegne non appena la luce lo abbandona, è simile ad un corpo riscaldato: infatti, riceve il calore e si riscalda, cioè trattiene in sé per un certo tempo la forma del calore; in questo senso il corpo continua a conservare una traccia di vita, come lo testimoniano movimento e crescita di alcune parti del cadavere. Allorché l'anima si separa dal corpo – quell'anima che è destinata a ricongiungersi con le realtà di lassù – anche l'anima vegetativa l'abbandona, nonostante una sua certa azione continui a manifestarsi per un certo tempo.

Il seguito della trattazione prosegue a domandarsi se quella vita che appartiene propriamente al corpo, una volta che l'abbandoni, cessi completamente di essere oppure

289 J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., sottolinea che «a division can only be made between two

coordinate entities. In fact, both are “posterior” (hystera), as the correct division is between two varieties of appetition (orexis), each being a “trace” emananting from that substance which is the soul proper, and which is logically and ontologically prior to them both»; si veda inoltre H. J. Blumental, Plotinus'..., p. 38-