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5.1 Il movimento nella discesa delle anime nei corpi (1, 1-17, 31)

«Quando è il momento l'anima discende spontaneamente, per così dire, ed entra in ciò in cui deve entrare ‒ diverso è il tempo per ogni anima, e quando è venuto, come alla chiamata di un araldo, essa discende ‒ e penetra nel corpo giusto, così che quando succede è paragonabile all'essere mossi e trasportati sotto la spinta di forze magiche e di potenti attrazioni; simile è anche il governo che si realizza in un singolo essere vivente, in cui ogni cosa avviene a tempo debito, sotto l'azione e il potere generativo dell'anima: la nascita della barba, lo spuntare delle corna, gli impulsi che da loro derivano, ad un certo punto oppure ‒ anche nella coltivazione di piante che crescono secondo periodi stabiliti ‒ le infiorescenze che prima non c'erano».

«ἀλλὰ καὶ τοῦ ποτὲ ἐνστάντος οἷον αὐτομάτως κάτεισι καὶ εἴσεισιν εἰς ὃ δεῖ - καὶ ἄλλος ἄλλῃ χρόνος, οὗ παραγενομένου οἷον κήρυκος καλοῦντος κατίασι καὶ εἰσέδυ εἰς τὸ πρόσφορον σῶμα, ὡς εἰκάσαι τὰ γιγνόμενα οἷον δυνάμεσι μάγων καὶ ὁλκαῖς τισιν ἰσχυραῖς κινεῖσθαί τε καὶ φέρεσθαι· οἷον καὶ ἐφ' ἑνὸς ἑκάστου τελεῖται ἡ τοῦ ζῴου διοίκησις, ἐν χρόνῳ ἕκαστον κινούσης καὶ γεννώσης, οἷον γενειάσεις καὶ [ἐκ]φύσεις κεράτων καὶ νῦν πρὸς τάδε ὁρμὰς καὶ ἐπανθήσεις πρότερον οὐκ οὔσας, καὶ περιττάς τῶν δένδρων διοίκησις ἐν προθεσμίαις τακταῖς γιγνομένων» (IV, 3 (27), 13, 7-17).

Isoliamo in questo passo due occorrenze del termine κίνησις:

i. alla l. 13, 12 il verbo κινέω compare insieme al verbo φέρω nella descrizione della discesa dell'anima nel corpo; il riferimento è alle anime particolari che si calano nei corpi per vivificarli; la loro venuta quaggiù è paragonata ad un movimento che risponde all'influsso di poteri magici e forze potenti, οἷον

δυνάμεσι μάγων καὶ ὁλκαῖς τισιν ἰσχυραῖς κινεῖσθαί τε καὶ φέρεσθαι [scil. ψυχή];

171 Sul titolo dello scritto rimando il lettore a Porfirio, Vita di Plotino, V, 20 e XXV, 16. In particolar modo

sono tredici le occorrenze analizzate: IV, 3 (27), 13, 12; 13, 13; 13, 20; 15, 17; 20, 44; 21, 13; 21, 17; 23, 10; 23, 17; 26, 34; 28, 5; 28, 10; 30, 13.

ii. alla l. 13, 13 il verbo κινέω si accompagna ad un altro participio del verbo

γεννάω, entrambi volti a esemplificare il potere esercitato dall'anima nel governo

del vivente; l'anima avrebbe la capacità di muovere e generare ogni cosa nel tempo giusto, ἐν χρόνῳ ἕκαστον κινούσης καὶ γεννώσης [scil. διοίκησις ψυχῆς]. Sul modo in cui le anime prendono dimora nel corpo vengono fornite tre modalità esemplificative:

i. l'anima è come se discendesse nel corpo senza che venga in alcun modo spinta o indirizzata a ciò, poiché nulla le impone di recarsi in un corpo piuttosto che in un altro e in un dato momento piuttosto che in un altro, ma è come se operasse la sua discesa spontaneamente (οἷον αὐτομάτως κάτεισι, 13, 7-8);

ii. tale discesa può essere intesa come se l'anima rispondesse all'appello di un araldo (οἷον κήρυκος καλοῦντος κατίασι, 13, 9);

iii. l'anima discende nel corpo come se subisse un movimento e un trascinamento ad opera di un potere magico e di forze irresistibili che la spingono a ciò (οἷον δυνάμεσι

μάγων καὶ ὁλκαῖς τισιν ἰσχυραῖς κινεῖσθαί τε καὶ φέρεσθαι, 13, 11-12).

Il nostro termine di riferimento è utilizzato all'interno del terzo esempio, c): il movimento dell'anima che discende nel corpo, più che rispondere a un'esigenza spontanea, come in a), o all'adempimento a un intimo richiamo, b), sembra a prima vista mettere in luce il soggiogamento dell'anima a un potere che la strega fino a muoverla e a trascinarla nel corpo172; come avremo modo di vedere, a), b) e c) risultano fra loro articolati,

integrandosi reciprocamente come aspetti o risposte differenti capaci di rendere ragione della discesa dell'anima nei corpi. Sia la discesa delle anime nei corpi, sia il potere dell'anima che dimora nel corpo, che muove, genera e porta a compimento in esso alcuni effetti – come lo spuntare della barba, il crescere delle corna etc. – risultano accomunati dal loro accadere secondo un tempo, quindi un ordine, prestabilito (cfr. il riferimento a χρόνος di l. 13, 8-9 e 11, 13, 13).

Preliminare alla comprensione di questi argomenti è la considerazione della natura di quelle anime che discendono, il loro rapporto con l'anima del tutto e col principio da cui traggono origine; la questione è introdotta in forma mitica: le anime, una volta riflesse nello

172 L'argomento è stato trattato in maniera approfondita all'interno dello scritto IV, 8 (6) dedicato alla

discesa dell'anima nei corpi: qui la presenza dell'anima nel corpo è presentata nella sua profonda aporia: da un lato la discesa nel sensibile è concepita come un male per l'anima, che è costretta alle sofferenze che l'essere quaggiù comporta; dall'altro, invece tale discesa è un bene, conformemente all'esigenza di un ordine di cui il cosmo sensibile di per sé non sarebbe in alcun modo in grado di darsi; qui i termini dell'aporia si condensano pertanto nella contrapposizione fra “colpa” e “necessità”, contrapposizione che cercherà di essere spiegata e conciliata. Sull'analisi di questo aspetto aspetto rimando a: C. D’ancona Costa, (a cura di) La discesa dell'anima nei corpi: Enn. 4. 8 [6]; Plotiniana arabica: pseudo-teologia di Aristotele, capitoli 1 e 7; Detti del sapiente greco/ Plotino, il Poligrafo, Padova 2003, pp. 29 e ss.; sull'aporia della discesa rimando agli studi di: P.-M. Schuhl, Descente métaphysique et ascension de l’âme dans la philosophie de Plotin, «Filosofia», 5 (1973), p. 71-84; N. C. Banacou-Caragouni, Observations sur la descente des âmes dans les corps chez Plotin, « Diotima», 4 (1976), p. 58-64; P.-M. Schul, La descente de l’âme chez Plotin, «Diotima» 4, 1976, p. 65-68; D. O’Brien, Le volontaire et la nécessité: réflexions sur la descente de l’âme dans la philosophie de Plotin, «Revue Philosophique de la France et de l'étranger» 167, (1977), p. 401-422.

specchio di Dioniso173, si precipitano dalle altezze in cui erano originariamente: le catene a

cui s'imbrigliano una volta quaggiù, ovvero il legame che intrattengono col sensibile, sono labili o per meglio dire mortali, come lo sono i corpi; una volta liberate di essi tornano lassù, accanto all'anima del tutto che non rivolge mai il suo sguardo verso il basso. In questo senso si può affermare che le anime appartengono al corpo solo accidentalmente e a partire da un dato momento (1, 9).

Qual'è la natura di tali anime se è vero che soltanto alle anime particolari tocca intraprendere un tale cammino?

5.1.1.1 In che modo si dicono particolari le anime che discendono.

La questione qui trattata assume tutta la sua importanza se si considera che deve rispondere del modo in cui le realtà intelligibili si trovano nel sensibile, problema che investe direttamente la natura dell'anima, la sua funzione mediatrice, nonché la sua articolazione interna. Insomma, la ricerca che qui s'intraprende, poiché riguarda l'anima, inerisce tanto quelle realtà da cui essa ha principio, quanto quelle che da essa hanno origine (1, 8); ricerca che non manifesta un taglio meramente speculativo, ma al contrario coinvolge ciascuno direttamente, realizzando quel comandamento divino che impone di conoscere se stessi, indagine sull'essenza stessa di colui che intraprende la ricerca174.

Sono, infatti, proprio le nostre anime a discendere, anime particolari che si trovano a vivificare corpi particolari. Ora, per poter spiegare in che modo la nostra anima è discesa ed è nel corpo, è necessario distinguere accuratamente i termini in gioco: infatti, le anime che prendono dimora nei singoli corpi non possono considerarsi “parti” nello stesso modo in cui lo sono i corpi.

Certamente si può fare riferimento ad anime “particolari” se si pensa che già a livello noetico è insita la differenza, e che, se lassù vi è una forma di duplicità, è logico presupporre che anche a livello psichico si diano realtà particolari.

Ma in che modo si può parlare di μέρος?

L'argomentazione distingue due modi differenti; in un primo caso, il termine “parte” può essere assunto con la medesima accezione con cui lo si utilizza in riferimento alle unità e alle figure (ἐπὶ τῶν μονάδων καὶ τῶν σχημάτων, 2, 24), ai corpi (ἐπὶ τῶν σωμάτων, 2, 25), quindi in relazione a ciò che è dotato di ποσὰ (2, 27)175: infatti, in questi casi si tratta di realtà

soggette ad aumento e diminuzione, e pertanto nella relazione fra l'intero e le parti, l'intero risulterà ridotto per effetto della partizione, e la parte considerata in se stessa, minore

173 Su questo argomento: J. Pepin, Plotin et le miroir de Dionysos (Enn. IV, 3 (27) [27], 12.1-2), «Revue

Internazionale de Philosophie», 92 (1970), pp. 304-320; Id. Plotin et le mythes, «Revue Philosophique de Louvain», 53, (1955), pp. 5-27; M. Ghidini-Tortorelli, Un mito orfico in Plotino (Enn. IV, 3 (27), 12), «Parola del passato», 30, (1975), pp.356-360.

174 Sul comandamento divino cfr. Platone, Protagora, 343 B; come suggerisce L. Brisson, p. 212 n. 6,

l'espressione compare ‒ a riprova dell'influenza esercitata sul nostro pensatore ‒, anche in Alessandro d'Afrodisia, De anima, 1, 4 – 2, 3; per uno studio sulla storia del precetto delfico rimando a: P. Courcelle, Connais toi-même. De socrate à saint Bernard, Les études augustiniennes, Paris 1974-1975.

175 Su questo punto si veda: W. Helleman-Elgersma, Soul Sosters. A commentary on Enneads IV, 3 (27), 1-8 of

Plotinus, Rodopi, Amsterdam 1980, p. 232 ss., il quale sul rapporto “parte-intero” che qui si discute rimanda a Platone, Resp., IV, 434 d-445b; Prot., 329 c ss.

dell'intero; analogamente in relazione alle realtà continue (ἐπὶ τοῦ συνεχοῦς, 2, 35), le parti non sono necessariamente identiche all'intero: una parte del cerchio o del quadrato non per forza risulta cerchio o quadrato; e se anche si considerano quelle figure che si possono suddividere in parti simili, come il triangolo scomposto in altri triangoli, anche in questo caso la parte è παραλλάσσοντα (2, 38) rispetto all'intero; e ancora, anche se la retta è divisibile in rette, non per questo le si può considerare della stessa specie perché il riferimento è pur sempre a realtà che differiscono per grandezza (ἀλλὰ τῷ μεγέθει, 2, 41).

Vi è poi un secondo modo in cui si considera la parte: in riferimento alle realtà incorporee (2, 20), μέρος è utilizzato nelle seguenti accezioni: con la stessa valenza con cui nell'ambito dei numeri, considerati in se stessi (ἐπὶ ψιλῶν [scil. ἀριθμῶν, l. 21], 2, 23), si dice che il due è parte del dieci; o come quando si fa riferimento a una parte del cerchio o della retta; o come quando si considera un teorema come parte della scienza (2, 24). In questa seconda accezione la relazione fra la parte e l'intero non può essere espressa da un rapporto quantitativo, come efficacemente mostra l'esempio della scienza: infatti, pur se la scienza è divisa in teoremi rimane qual'è nella sua unità in quanto la divisione è in questo caso sinonimo di progressione e di attuazione; così ogni teorema, ovvero ogni parte, possiede in potenza l'intero; e la scienza in questo modo mantiene la sua interezza176.

La distinzione qui compiuta ha la funzione di determinare il modo in cui si deve parlare di “parte” in riferimento alla realtà psichica, sia che con ciò ci si riferisca al rapporto fra anime particolari e l'anima nella sua interezza, sia che con ciò ci si riferisca al rapporto che le anime particolari intrattengono col corpo. Infatti, se si attribuisse all'anima il termine

μέρος concepito quantitativamente si finirebbe col fare di ogni sua parte una realtà non

omogenea rispetto al tutto, assegnandole così una natura distruttibile. Al contrario, l'anima è sostanza, (2, 9), e in quanto tale va considerata in se stessa, come ciò che non appartiene a nulla ma prescinde tanto dal cosmo quanto da quegli esseri particolari che da essa si originano e a cui per un certo verso si rivolge177. L'anima è se stessa e una, e tutte le anime

non sono che una178: in questo senso le parti possono dirsi della stessa specie rispetto al

176 Come si legge alle ll. 2, 49-54: «ἆρ' οὖν οὕτω μέρος ὡς θεώρημα τὸ τῆς ἐπιστήμης λέγεται τῆς ὅλης

ἐπιστήμης, αὐτῆς μὲν μενούσης οὐδὲν ἧττον, τοῦ δὲ μερισμοῦ οἷον προφορᾶς καὶ ἐνεργείας ἑκάστου οὔσης; ἐν δὴ τῷ τοιούτῳ ἕκαστον μὲν δυνάμει ἔχει τὴν ὅλην ἐπιστήμην, ἡ δέ ἐστιν οὐδὲν ἧττον ὅλη». Su questo tema rimando a IV, 9 (8), 5, 7 e ss., si veda, supra, p. 43, n. 101.

177 Se si considera l'anima in se stessa si fa riferimento ad una realtà differente, ἄλλο ἀναρτῶσιν, rispetto

alle anime particolari (anime individuali e anima del tutto): proprio questa sembra essere la risposta contro coloro che sostengono la derivazione di tutte le anime dall'anima del tutto; mi limito qui a segnalare che ancora una volta gran parte dell'argomentazione si sviluppa in contrapposizione a questa tesi e alle sue conseguenze: il riferimento è ancora una volta agli stoici, SVF I, 495, II 774; costoro baserebbero una tale asserzione considerando che : 1) la parte è uguale all'intero (1, 18-22); 2) che, come Platone affermava, Filebo 30 C 1 ss., che come il nostro corpo è parte del corpo del mondo, allo stesso modo la nostra anima è parte di quella del mondo (1, 24); 3) il coinvolgimento delle nostre anime nel τοῦ παντὸς περιφορᾷ da cui riceveremmo caratteri e fortuna (1, 25-30); 4) la nostra partecipazione all'anima del tutto (1, 33-35).

178 Sulle difficoltà di rendere la formula che si legge alle ll. 2, 3-4: «ἀλλὰ μᾶλλον ἂν τὴν αὐτὴν καὶ μίαν

καὶ ἑκάστην πᾶσαν» rimando il lettore alla pagina di Helleman-Elgersma, Soul-Sisters..., p. 212 e ss.; cfr. E. Bréhier, Ennéades..., p. 65; R. Beutler W. Theiler, Plotins Schriften, 6 voll. Hamborg Mainer 1956-1971, ad loc.

tutto179, cioè appartengono a un genere comune (γένος κοινὸν, 2, 3); per questo motivo in

principio tutte le anime erano insieme e costituivano un'unica natura stabile in se stessa e non soggetta alla caduta nei corpi (4, 14-15): solo a partire da un certo momento giunsero quaggiù, pur restando aggrappate lassù per un'estremità, si protesero fin nel sensibile distribuendosi qui e là, come la luce che si rifrange fra casa e casa, cioè dividendosi senza dividersi (4, 20)180.

Quell'unica realtà originaria è l'anima che è di per sé (ἀφ' ἑαυτῆς, 2, 56) che è unica e permane stabilmente in se stessa, ragione formale dell'Intelligenza (λόγος εἷς τοῦ νοῦ ἡ

μένουσα, 5, 17)181; ed è da quest'anima che derivano le molteplici anime (5, 15), tanto l'anima

universale quanto le altre (4, 16), le ragioni formali particolari e immateriali (5, 18). Per esprimere come questa unità originaria si costituisca come un'unità articolata il riferimento è all'archetipo da cui l'anima stessa origina: infatti anche nell'Intelligenza universale le singole intelligenze non svaniscono (οὐκ ἀπολοῦνται, 5, 6) nell'unità – non essendo divise come è diviso il corpo –, ma permangono (ἀλλὰ μένει, 5, 6), ciascuna nella propria alterità poiché possiedono il proprio essere essenziale (5, 8); allo stesso modo si deve pensare in relazione alle anime che sono secondo ciascuna intelligenza (καθ' ἕκαστον νοῦν, 5, 9): queste sono λόγοι νῶν οὖσαι (5, 9-10) e sviluppi di quelle182. Così queste parti dell'anima

non si sono divise, ma ciascuna possiede tanto d'identità quanto di differenza (5, 13)183 e

pertanto ciascuna di esse permane nella sua unità e tutte non sono che una (μένει τε

ἑκάστη ἓν καὶ ὁμοῦ ἓν πᾶσαι, 5, 14).

In questo senso il rapporto fra le anime particolari e l'anima nella sua interezza non può che intendersi come simile a quello che i singoli teoremi intrattengono con l'intero della scienza (2, 50-55)184.

179 Le parti possono dirsi ὁμοειδῆ rispetto al tutto solo in quanto il rapporto che fonda tale identità di

specie si basa sull'unità del principio di queste anime, un'anima che non è quella di tutte le cose o solo di alcune in particolare, ma quell'anima una in se stessa a cui fa riferimento la l. 2, 56.

180 Seguo qui la traduzione di M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani, Plotino..., ad loc., cfr. L.

Brisson, J. F. Pradeau, Plotin..., vol. 3, p. 219 n. 91 che accoglie invece il suggerimento di H.S., ad loc.

181 Cfr. IV 9, 5, 1-2; nel capitolo 8 suggella la natura psichica come eterna ἀίδιον (8, 34) e stabile στήσεται

(8, 36), caratteri intimamente connessi alla sua natura, ἤ τῇ δυνάμει τὸ ἄπειρον (8, 36).

182 Il legame fra anima individuale e intelletto particolare è stato trattato in IV (6), 8, 4, 33; V 1, 3, 8; si veda

inoltre III 2, 2, 17; il problema che si pone a partire da queste affermazioni è quello della possibilità che a livello noetico si diano delle forme di individui, possibilità su cui il nostro pensatore non sembra assumere una posizione definitiva, cfr. V (5), 9 e VI (23), 5; la questione, infatti, risulta fonte di dibattito: H. J. Blumenthal, Did Plotinus belive in Ideas of Individuals?, «Phronesis», 11, (1996), pp.61-80; A. H. Armstrong, Form, individual and person in Plotinus?, «Dionysius», 1, (1977), p. 49-68; M. P. Morel, Individualité et identité de l'âme humaine chez Plotin, «Les cahiers philosophiques de Strasbourg», 8, (1999), pp. 53-66; A. Petit, Forme et individualité dans le sistème plotinien, ivi, pp. 109-122; F. Ferrari, Esistono forme di Kath'ekasta? Il problema dell'individualità in Plotino e nella tradizione platonica antica?, «Accademia scientifica Torino – Atti scientifici morali», 131 (1997), pp. 23-63.

183 Il riferimento è ai generi del Sofista platonico nella loro reinterpretazione nella struttura noetica

designata dal nostro pensatore; cfr. anche con Platone, Timeo, 35 A.

184 Con anime particolari qui intendo sia le singole anime che discendono sia l'anima cosmica che non

discende completamente nel sensibile; è il rapporto di queste anime con l'anima contemplativa che permette alle anime particolari di mantenere la propria natura pur nella dimensione parziale e molteplice e a fronte del loro rapporto con la natura corporea; su questo punto si veda, supra, p. 42 n. 97.

Quest'unità che appartiene originariamente alla natura dell'anima si riflette nelle modalità con cui questa si rende presente alle realtà particolari, sia che con ciò ci si riferisca all'operato dell'anima del tutto o alle cure che le anime particolari concedono ai singoli corpi; allora, una volta che l'anima, per così dire, si divide offrendosi ai viventi, in realtà non si dona: infatti, permane dappertutto l'intero (αὐτὴ πανταχοῦ ἔσται ἡ ὅλη, 3, 9-10), una e identica nel molteplice (μία καὶ ἡ αὐτὴ ἐν πολλοῖς ἅμα οὖσα, 3, 10).

Solo in virtù della natura unica dell'anima, ogni parte è l'intero: in questo senso l'anima è presente al corpo senza risultare divisa spazialmente in esso, ma esplicando e attuando molteplici δυνάμεις (3, 12); così, dati disparati confluiscono tramite organi corporei differenti, ad esempio per mezzo del tatto o della vista, ma unico è il principio a cui fanno capo e che ne giudica185.

L'anima, insomma, è una sola pur nella varietà delle sue azioni (ἕν [...] ἐν τοῖς διαφόροις

τῶν ἔργων, 3, 26)186 ed è solo in virtù di una tale unità che s'istituisce la differenza: in

riferimento all'aspetto unitario non si dovrebbero considerare distinte l'anima universale e quella individuale (3, 11): infatti, esercitano funzioni equivalenti (3, 12), e soprattutto sono entrambe razionali, (λογικὴ, 3, 28), ed è proprio questo il carattere che ne suggella l'intima ed eterna appartenenza a quel principio che è fonte della loro stessa unità e interezza. Tuttavia, proprio all'interno di questa unità può cogliersi una certa specificità: infatti si può sostenere che, mentre un'anima produce e si occupa dell'universo (2, 60) le altre anime sovraintendono parti di esso (6, 10). L'anima del tutto infatti occupa una posizione più elevata (τὴν μὲν τοῦ παντὸς ἀεὶ ὑπερέχειν, 4, 22) e né discende, né si rivolge alle realtà di quaggiù (4, 23); ora, è proprio in virtù di questa tensione verso quelle realtà superiori187 che

a quest'anima deriva una maggiore forza che la rende capace di produrre con grande facilità perché totalmente estranea alle affezioni insite in ciò che genera188. Quest'anima

presenta un potere maggiore perché non si è staccata dall'intero (6, 16)189. Alle nostre anime

invece è riservato un dominio estremamente più limitato: e ciò dipende dal fatto che queste non si volgono più all'intero ma alle loro intelligenze parziali (6, 16-17); così si spartiscono

185 Identifico questo unico principio, τὸ εἰς ἓν ἀναγκαῖον εἶναι πάντα ἰέναι (3, 19-20) con quello a cui si fa

riferimento in Enn. IV 7, 6 e IV 5, 1; ciò che confluisce in questo centro sono i dati percettivi, παθήματα, filtrati dagli organi corporei; su questo punto si veda Helleman-Elgersma, Soul-Sisters..., ad loc. cfr. L. Brisson, J. F. Pradeau, Plotin..., p.218 n. 68 e 69. Come nel trattato analizzato in precedenza anche qui il riferimento è all'azione psichica rispetto al patire del corpo: ora l'affezione si genera in relazione al corpo, mentre il giudizio è proprio dell'anima ed è simile all'atto di pensiero; questo permette di concepire che sia la stessa anima che ha a che fare con dati affettivi differenti, come è messo in evidenza nel capitolo dedicato a Enn. III, 6 (26) n. 10.

186 Cfr. IV, 7 (2), 5, 1-7.

187 Sulla relazione fra contemplazione e produzione rimando allo scritto III (30), 8.

188 Il potere di quest'anima è più volte espresso nel modo con cui genera e conduce il corpo del mondo, e

cioè silenziosamente e senza sforzo, «ἀπόνως τὸ φυτὸν καὶ ἀψόφως» (4, 25-26), e senza alcun impedimento, «ἀνεμποδίστως» (10, 26-27).

189 La formula utilizzata è quella delle linee 6, 23-24: «ἡ δὲ δύναμις ἐκ τοῦ ἄνω μένειν»; adotto le

modifiche suggerite da H.-S, ad loc. e seguo la traduzione di M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani, Plotino..., ad loc.: «il potere deriva dal restare in alto», affermazione che leggo nell'ottica di quella doppia attività che costituisce il potere produttivo di ogni realtà; cfr. Brhèhier, Ennéades..., p. 71; L. Brisson, J. F. Pradeau, Plotin..., vol. 3, p. 72 e 222 n. 135.

ciò che già c'era ad opera di quell'anima sorella e dirigendosi proprio verso queste cose (6, 25) discendono verso ciò che si rivolge ad esse bisognoso di cure, e così facendo si perdono nell'abisso. Ora, anche fra queste anime che sono discese si possono riscontrare quelle che anche Platone aveva definito di secondo e di terzo rango190, in base alla differenza nella

propensione verso le realtà di lassù; alcune di queste anime sono capaci di raggiungere quelle altezze, mentre altre si avvicinano spinte dal desiderio, e tutte risultano più o meno capaci secondo le potenze con cui agiscono191 ‒ siano queste di prima grandezza, di seconda

o di terza ‒ e di cui tutte dispongono indistintamente (6, 35).

5.1.2 Sul modo in cui l'anima compie la sua discesa.

Così alcune anime si distinguono κατὰ τὸ ἐνεργῆσαν ἐν αὐτῇ ἑκάστη (8, 13), e alcune si realizzano in un atto di unificazione con l'intelligibile, altre nella conoscenza, altre ancora nel desiderio: infatti, ogni anima è e diviene ciò verso cui si rivolge (8, 15-16). Insomma, ancora prima che per il rapporto che intrattengono col corpo, ancor prima che per gli influssi che subiscono dal movimento del tutto (τῇ τοῦ παντὸς περιφορᾷ, 7, 20), o per i luoghi differenti192 in cui conducono il loro soggiorno sensibile, le anime si distinguono in se

stesse: ovvero nei caratteri, nell'esercizio della ragione, e per ciò che hanno vissuto nelle vite precedenti193.

Non deve stupire che il complesso psichico, nonché la struttura di ogni anima, presenti una tale articolazione; d'altra parte, al λόγος (8, 18) stesso appartiene una struttura unitaria e al contempo molteplice e varia; e in un modo in un certo senso analogo, anche un essere vivente appare in tutte le sue numerose sfaccettature.

È importante a questo punto comprendere che cosa accade a quelle anime che, partendo