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7.2 Sul movimento della luce (7, 1-8, 39)

Alcune considerazioni in merito alla luce sono intercorse nella trattazione sulla visione, vale quindi la pena ricordarne i punti salienti che si ricollegano all'esame che riguarda le modalità in cui va concepita la trasmissione della luce.

In riferimento alla teoria di coloro che spiegano la visione attraverso il raccordo fra la luce dell'occhio e quella circostante fino al raggiungimento dell'oggetto visto343, vengono

enucleate alcune puntualizzazioni degne di nota: nell'ipotesi ammessa da questi pensatori il corpo intermedio, l'aria, non giocherebbe alcun ruolo nella percezione visiva, in quanto la vera funzione d'intermedio spetterebbe alla luce, mentre l'aria solo in quanto illuminata, quindi accidentalmente, potrebbe avere la funzione d'intermedio; inoltre la luce è definita come incapace di qualunque affezione (φῶς ἂν εἴη μεταξὺ οὐ πάσχον, 4, 5) e incorporea (οὐ

σώματος, 4, 7).

Tralasciando il ruolo e il peso che la dottrina sopra illustrata può o meno esercitare nella concezione della dinamica visiva del nostro pensatore344, mi limito a rilevare l'importanza

343 Ancora una volta il riferimento sembra essere Platone, Tim., 45 b-d; L. Brisson, Le même et l'autre dans la

structure ontologique du Timée de Platon, Un commentaire systématique du Timée de Platon, Academia Verlag, Sankt Augustin 1994, p. 440 nota che «toute chose sensible […] est en mouvement. De ce fait elle a la puissance d'agir e de pâtir. De la chose sensible, considérée comme objet, émane une effluence qualitative; et de la chose sensible, cnsidérée comme sujet, vient un flux sensitif. Les deux rayons se rencontrent dans un espace intermédiaire, entre leur source d'origine. La rencontre et la fusion de ces deux énergies engendre un faisceau unique et continu d'énergie qui va de la surface de l'organe sentant à la surface de l'objet perçu».

344 Per un ampio dibattito sulla questione rimando a: K. Reinhardt, Kosmos und Sympathie: Neue

che la luce ricopre nel processo visivo, quale vero intermedio, un μεταξὺ di tipo speciale. Il carattere sostanziale della luce è messo in evidenza in primo luogo mostrano come la luce non dipenda, nel suo essere e nel suo profondersi, dall'aria. La luce non è πάθημα dell'aria, perché non ha bisogno di un sostrato a cui essere attribuita e in cui diffondersi (6, 6)345; non è neppure un attributo dell'aria (οὐδ' ᾗ αὐτός, 6, 8), e ciò è comprovato dal fatto

che la luce può appartenere a esseri totalmente diversi dall'aria, come corpi incandescenti o luminosi, o addirittura a certi materiali litici; la luce, inoltre, non è qualità (ποιότης, 6, 11), di alcun corpo, ad esempio di quelli incandescenti e luminosi: anche in questo caso, infatti, il suo essere verrebbe a dipendere da un sostrato; e non è né un accidente (οὐδὲ

συμβεβηκός, 6, 20) né alterazione dell'aria, perché altrimenti l'aria dovrebbe cambiare il suo

stato, e la stessa oscurità che talvolta la caratterizza dovrebbe tramutarsi in luce.

Tutte queste considerazioni esprimono la natura sostanziale della luce, il suo sussistere per sé: ciò spiega come anche la luce solare raggiunga i nostri occhi e si espanda ancor prima di raggiungere l'aria (4, 33-35). La luce è attività, ἐνέργεια (6, 14), che pur provenendo da un sostrato non si esaurisce in altro: per questo è paragonabile alla vita che è attività dell'anima e che resta tale pur comunicandosi a qualcos'altro, ad esempio al corpo346.

Nonostante il carattere estremamente dinamico della luce, che si manifesta nel suo apparire e scomparire incessante, questa non si estingue perché non si riversa totalmente in ciò a cui si dirige: è infatti un'attività che non scorre dalla sua fonte (ἐστιν ἐνέργεια οὐ

ῥέουσα, 7, 4), nel senso che, pur arrivando alle altre cose, non si disperde e non si estingue

finché la sua fonte permane:

«se poi la sorgente luminosa si sposta, anche la luce cambia luogo, non come una corrente che rifluisce o muta il suo corso, ma come l'attività che è propria di quella sorgente, e perciò le tiene dietro finché nulla glielo impedisce».

«μετακινουμένου δὲ ἐν λλῳ ἐστὶ τόπῳ οὐχ ὡς παλιρροίας ἢ μεταρροίας γενομένης, ἀλλ' ὡς τῆς ἐνεργείας ἐκείνου οὔσης καὶ παραγινομένης,εἰς ὅσον κωλύει οὐδέν» (7, 7-10).

i. Alla l. 7 troviamo l'uso del verbo κινέω in riferimento allo spostamento della fonte luminosa, τοῦ φωτίζοντος μετακινουμένου, che implica un mutamento di luogo anche per la luce che ha in questa fonte la sua origine.

Il mutamento locale della luce al muoversi della fonte non va inteso come se questa rifluisse verso la fonte o come se si verificasse un cambiamento nel suo scorrere; ma poiché la luce è un'attività di quella fonte l'accompagna finché qualcosa non lo impedisce. Ciò dipende dal carattere energico e dinamico della luce, in quanto atto347; a tal proposito

357-382; E. K. Emilsson, Plotinus on Sense-Perceprion..., pp. 36 ss.

345 Al contrario di quanto sostenuto da Aristotele, De anim., 418 b, 9-10. 346 Cfr. IV 4, 29, 9-20.

vengono distinti due tipi di atto: da un lato, vi è l'attività interna all'essenza, come una fonte, una sorta di vita del corpo luminoso che sovrabbonda; dall'altro, vi è una seconda attività che deriva dalla prima e che tuttavia rimane inseparabile da essa (οὐκ ἀφισταμένη, 7, 16). questa seconda attività si costituisce in un rapporto d'immagine con la prima immagine della prima, εἴδωλον (7, 16); ogni essere possiede un'attività che gli somiglia, al punto che quando c'è quello c'è anche quella, e finché quello si mantiene l'attività che ne deriva non smette di diffondersi secondo intensità differenti; alcune attività sono deboli e impercettibili, mentre altre sono più forti e in grado di raggiungere grandi distanze: di queste ultime bisogna credere che siano tanto presso la loro fonte quanto dove sono giunte; nello stesso modo la luce è tanto presso la sua fonte quanto presso ciò che raggiunge. Esiste dunque una luce interna al corpo che è sostanza e che corrisponde alla forma del corpo originariamente luminoso; esiste poi una luce che proviene da questi corpi e che corrisponde ad un'attività che è rivolta all'esterno. La relazione d'immagine, nonché l'inseparabilità dell'atto derivato dalla sua fonte, mette in luce come quest'attività incorporea sia capace di superare i limiti del corpo luminoso348; s'intravvede in questo modo

quel legame dinamico che permette alla luce di proiettarsi a distanza ed esteriormente senza mai abbandonare il suo fondamento, il sole (7, 10-20)349.

Ora, per comprendere come la luce appaia e scompaia senza tuttavia estinguersi, è necessario fare riferimento all'esempio dell'immagine riflessa nello specchio: questa va attribuita all'attività di chi si specchia ed è catturata da ciò che è capace di riceverla. Finché colui che si specchia è presente, è presente anche l'immagine riflessa nello specchio, ma allorché costui si allontana, non è l'attività stessa ad esaurirsi, ma è lo specchio a non avere più ciò che aveva prima. Questo paragone esplicativo si rivela estremamente interessante se trasposto all'anima: infatti, anche l'anima va intesa come un'attività derivata da una prima anima (ἐνέργεια ἄλλης προτέρας [scil. ψυχῆς], 7, 50); fintanto che quella prima anima permane saldamente, allora anche l'attività che proviene si mantiene (μένει ἐφεξῆς

ἐνέργεια, 7, 51); ora, ciò che deriva da questa attività (ἐξ ἐνεργείας, 7, 52) è una certa vita

del corpo (σώματος οἰκείαν ἤδη ζωήν, 7, 53), una vita che il corpo mantiene solo fintanto che gli è prossima un'altra anima (7, 56). Un corpo perisce quando l'anima non è più parte o in prossimità di esso (οὐκ ἐπαρκούσης, αὐτῷ οὔτε τῆς δούσης οὔτ' εἴ τις παράκειται, 7, 59). tuttavia, in questo caso non è la vita a estinguersi, ma è come nel caso dell'oggetto riflesso che, semplicemente, si allontana e non è più in quel luogo.

7.3 Conclusioni

Le argomentazioni del nostro scritto mettono in evidenza il carattere fortemente problematico dell'attribuzione al corpo intermedio di una qualche funzione all'interno del

Plotin, J. B. Wolters, Groningen 1965; J. Y. Blandin, Plotin ou l'image de la lumière. La dynamisation d'une métaphore traditionelle, in: M. Fattal (éd), Logos et langage chez plotin et avant Plotin, L'Harmattan, Paris 2003, pp. 271-299.

348 Il fondamento della natura sostanziale della luce fa ricorso alla dottrina della doppia attività che

caratterizza ogni livello dell'essere; si veda su questo punto IV, 3 (27), 10, 30-37; V 1, 3, 6.

349 Sulla luce legata alla teoria dei due atti si veda II, 1 (40) 7, 26-30 e V, 4 (7); in riferimento alla teoria dei

due atti rimando a C. Rutten, La doctrine des deux actes dans la philosophie de Plotin, «Revue Philosophique» 146, 1 (1956) pp. 100-106.

processo percettivo, e in particolar modo quello che interessa la vista e l'udito.

L'esempio della antiperistasi dell'aria colloca il nostro contesto argomentativo all'interno di una prospettiva dinamica, dimensione in cui già il Timeo platonico si collocava, considerando l processo percettivo all'insegna del movimento di agire e patire.

Allo spostamento dell'aria (2, 36-46) non può essere attribuita alcuna causalità in relazione al movimento della pietra o del fuoco, risultandone al più una conseguenza; allo stesso modo, non è causa della vista né l'affezione dell'aria né il passaggio progressivo di tale affezione fino al raggiungimento dell'organo recettivo (5, 1-16). Nel caso dell'udito non è il primo movimento dell'aria, in maniera analoga a quanto è emerso nel caso della pre-

affezione, a propagarsi in maniera costante fino alla facoltà sensibile.

La dinamica percettiva può essere spiegata unicamente in relazione alla simpatia del tutto basata su una somiglianza della parti – quindi anche dell'organo sensoriale e del suo oggetto – somiglianza che trova il proprio fondamento nell'operato psichico: in un principio incorporeo, di natura intelligibile; è l'anima, in ultima istanza a garantire quella omogeneità fra organo sensorio e oggetto percepito, quindi a spiegare il fenomeno della percezione sensibile. E se è vero che il vivente universale è un tutto unico anche dal punto di vista corporeo – tant'è che è un continuo – i corpi che s'interpongono nel processo percettivo possono fungere addirittura d'intralcio alla sensazione. In effetti, di intermedio si può parlare, a patto che non ci si riferisca in alcun modo a un corpo: la luce non è né qualità né affezione di qualcosa, né modificazione dell'aria, né il suo colore; la luce, impassibile, incorporea e imperitura, è attività dell'anima; in particolar modo è quell'attività che l'anima comunica al corpo: la luce, in questo senso, è come la vita e come un'attività che deriva dal sostrato, in grado di proiettarsi altrove, tuttavia essendo sempre dipendente dalla sua fonte, ovvero l'attività da cui proviene: si muove, infatti con essa (7, 7-10) e quando l'anima abbandona il corpo alla morte, anche la luce la segue: non si esaurisce col corpo ma semplicemente non si trova più dov'era prima.