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2.3 Critica delle teorie individuate (3,1-7, 20)

2.3.1 Sul movimento degli atomi (3, 1- 34)

Viene ripresa e discussa nel dettaglio la teoria menzionata ai capitolo 1-2; vediamo in che modo il movimento venga richiamato all'intendo di questo excursus confutatorio:

«Poniamo, per cominciare, che gli atomi esistano. Essi saranno mossi, alcuni verso il basso ‒ ammettiamo pure che ci sia un basso ‒, altri obliquamente, come capita, altri in altre direzioni. Nulla avverrà certo con ordine, dal momento che l'ordine non esiste; però questo mondo, una volta generato, sarà del tutto ordinato. Di conseguenza non vi potrebbe essere assolutamente predizione o divinazione, né quella che è frutto di arte ‒ come potrebbe un arte applicarsi a realtà prive di ordine? ‒ né quella che proviene dalla possessione divina e dall'ispirazione; anche in questo caso occorre infatti che il futuro sia determinato. E i corpi, urtati dagli atomi, dovranno di necessità patire qualunque cosa gli atomi apportino. Ma a quali movimenti degli atomi saranno attribuite le azioni e le passioni dell'anima? Per quale sorta di urto l'anima, spinta in basso o in una qualsiasi altra direzione, sarà indotta a ragionamenti o impulsi di un determinato tipo, oppure in generale a ragionamenti, impulsi e movimenti, necessari o non necessari che siano?».

«φέρε γὰρ πρῶτον τὰς ἀτόμους εἶναι. αὗται τοίνυν κινήσονται τὴν μὲν εἰς τὸ κάτω - ἔστω γάρ τι κάτω - τὴν δ' ἐκ πλαγίων, ὅπῃ ἔτυχεν, ἄλλαι κατ' ἄλλα. οὐδὲν δὴ τακτῶς τάξεώς γε οὐκ οὔσης, τὸ δὲ γενόμενον τοῦτο, ὅτε γέγονε, πάντως. ὥστε οὔτε πρόρρησις οὔτε μαντικὴ τὸ παράπαν ἂν εἴη, οὔτε ἥτις ἐκ τέχνης; - πῶς γὰρ ἐπὶ τοῖς ἀτάκτοις τέχνη οὔτε ἥτις ἐξ ἐνθουσιασμοῦ καὶ ἐπιπνοίας· δεῖ γὰρ καὶ ἐνταῦθα ὡρισμένον τὸ μέλλον εἶναι. καὶ σώμασι μὲν ἔσται παρὰ τῶν ἀτόμων πάσχειν πληττομένοις, ἅπερ ἂν ἐκεῖναι φέρωσιν, ἐξ ἀνάγκης· τὰ δὲ δὴ ψυχῆς ἔργα καὶ πάθη τίσι κινήσεσι τῶν ἀτόμων ἀναθήσει τις; ποίᾳ γὰρ πληγῇ ἢ κάτω φερομένης ἢ ὁπουοῦν προσκρουούσης ἐν λογισμοῖς τοιοῖσδε ἢ ὁρμαῖς τοιαῖσδε ἢ ὅλως ἐν λογισμοῖς ἢ ὁρμαῖς ἢ κινήσεσιν ἀναγκαίαις εἶναι ἢ ὅλως εἶναι;» (3, 9-23).

Osserviamo all'interno del nostro passo tre nuove occorrenze del nostro termine:

i. la prima alla l. 3, 10 è riferita al movimento degli atomi, movimento che sembra essere contraddistinto da una particolare direzione, o verso il basso, obliquo, casuale o secondo altre direzioni, ἀτόμους [...] κινήσονται μὲν εἰς τὸ

κάτω […] τὴν δ' ἐκ πλαγίων, ὅπῃ ἔτυχεν, ἄλλαι κατ' ἄλλα;

ii. la seconda compare alla l. 3, 20: il riferimento è nuovamente ai movimenti degli atomi, movimenti a cui dovrebbero potersi ricondurre azioni e passioni dell'anima, ψυχῆς ἔργα καὶ πάθη τίσι κινήσεσι τῶν ἀτόμων ἀναθήσει;

iii. la terza alla l.3, 23: il riferimento è sia a dei movimenti necessari, sia a dei movimenti intesi in senso generale, ἢ κινήσεσιν ἀναγκαίαις ἢ ὅλως: questi compaiono insieme a impulsi e ragionamenti: la domanda verte sulla possibilità di spiegare in che modo queste differenti capacità psichiche possano essere ricondotte all'urto o ai movimenti verso il basso69.

La nostra prima occorrenza, in special modo col riferimento al movimento degli atomi verso il basso, τὸ κάτω70 ci introduce al cuore dell'argomentazione plotiniana: dopo l'elenco

di quelle teorie che hanno considerato nel loro ordine di spiegazione le cause remote, si passa ora ad un confronto ravvicinato e dettagliato con esse.

Vengono dapprima considerati coloro che pongono a spiegazione della realtà una pluralità di principi corporei; sia che questi principi vengano chiamati atomi o elementi (3, 1-2), l'accusa di presentare al proprio interno qualcosa di ἄτοπον καὶ ἀδύνατον (3, 4) è comune: come potrebbe, infatti, dal movimento disordinato di questi corpi, (ἀτάκτως

φορᾷ, 3, 3), derivare ciò che essi pretendono, e cioè ordine, τάξις, ragione λόγος, e l'anima

direttrice, (ψυχὴν τὴν ἡγουμένην, 3, 3)71?

69 In riferimento alla l. 3, 23 cfr. H.-S.¹; così anche nel testo di E. Bréhier, Ennéades..., III, p. 9; M. Chappuis,

Plotin..., p. 38.

70 Cfr. Epicuro, Lettera a Erodoto, nell'edizione di F. Verde (a cura di), Epicuro, Lettera a Erodoto, Carocci,

Milano 2010, p. 61.

71 Come sottolinea M. Chappuis, Plotin..., p. 83, sono propriamente Leucippo e Democrito ad aver fatto

Se si considera il pensiero di coloro che pongono la generazione a partire dagli atomi, (ἐξ ἀτόμων, 3, 5) si noterà che essi propongono qualcosa di ancora più azzardato e privo di senso, ἀδυνατώτερον (3, 4): la prima reticenza emerge dalla difficoltà del porre l'esistenza degli atomi a fondamento dei corpi72, e se se ne considera il movimento, quello che gli è

connaturato in virtù del loro peso, la questione si complica ulteriormente: come concepire la loro traiettoria verso il basso piuttosto che verso l'alto quando si tratta del vuoto infinito? Se anche la caduta, la collisione e la deviazione degli atomi dovessero dare luogo a quelle aggregazioni da cui origina tutta la realtà, ciò accadrebbe all'insegna del massimo disordine: infatti, del loro moto non è neppure possibile tracciare una coordinata spaziale; dal disordine non deriverebbe alcun ordine, (οὐδὲν τακτῶς τάξεώς γε οὐκ οὔσης, 3, 11-12), né necessità alcuna, né destino. Anzi, tutto rimarrebbe ad un livello di completa inintelligibilità: il potere della mantica e della previsione sarebbe destituito del suo valore e del suo fondamento, se dovesse esercitarsi su un futuro a tal punto indeterminato.

Le ultime due occorrenze di κίνησις rintracciate nel nostro passo mettono in luce le conseguenze di una simile concezione quando trasposta all'ambito psichico. Se, infatti, è l'urto degli atomi a determinare il patire di un corpo, orientandolo e influenzandolo, quale movimento degli atomi, (κινήσεσι τῶν ἀτόμων, 3, 19) è adatto a spiegare la vita psichica nella sua complessità e varietà? Si dovrebbero, infatti, poter distinguere varie tipologie di urti: alcuni adatti a rispondere dei ψυχῆς ἔργα (3, 19), altri dei πάθη (3, 19) dell'anima; altri ancora dovrebbero spiegarne il ragionamento, le tendenze e i movimenti, (λογισμοῖς ἢ

ὁρμαῖς ἢ κινήσεσιν, 3, 20), non solo in quanto tali, ma all'occorrenza nella loro specificità e

necessità.

La meccanica atomica può certamente spiegare il movimento locale dell'anima, ma in che modo può spiegare pensiero e riflessione, e quelle attività come l'essere geometra e matematico, astronomo o saggio?

2.3.2 Sul movimento dell'anima del mondo (4, 1-29)

Si passa quindi alla considerazione e alla esplicitazione di un'altra tesi, precedentemente introdotta alle ll. 2, 17 e ss:

«Sarà vero allora, che compie tutto un'unica anima che pervade l'universo, essendo mossa ciascuna cosa, in quanto parte, nella direzione in cui l'universo la conduce? E sarà vero che, muovendosi le cause successive a partire dall'anima, il loro intreccio ordinato e continuo costituisce necessariamente un destino, come se qualcuno dicesse che, traendo la pianta il suo principio dalla radice, l'intreccio di azioni e reazioni che muovendo dalla radice si propaga a tutte le parti della pianta, connettendole insieme, costituisce un regime unitario e una sorta di destino della pianta?».

D. Sedley, La Philosophie..., 54 M; si veda inoltre P.-M. Morel, Atome et nécessité, Démocrite, Épicure Lucrèce, Presses Universitaires de France, Paris 2000.

«ἀλλ' ἆρα μία τις ψυχὴ διὰ παντὸς διήκουσα περαίνει τὰ πάντα ἑκάστου ταύτῃ κινουμένου ὡς μέρους, ᾗ τὸ ὅλον ἄγει, φερομένων δὲ ἐκεῖθεν τῶν αἰτίων ἀκολούθων ἀνάγκη τὴν τούτων ἐφεξῆς συνέχειαν καὶ συμπλοκὴν εἱμαρμένην, οἷον εἰ φυτοῦ ἐκ ῥίζης τὴν ἀρχὴν ἔχοντος τὴν ἐντεῦθεν ἐπὶ πάντα διοίκησιν αὐτοῦ τὰ μέρη καὶ πρὸς ἄλληλα συμπλοκήν, ποίησίν τε καὶ πεῖσιν, διοίκησιν μίαν καὶ οἷον εἱμαρμένην τοῦ φυτοῦ τις εἶναι λέγοι;» (4, 1-9).

Osserviamo all'interno del passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. questa compare alla l. 4, 2: il verbo

κινέω

è riferito a ogni singolo ente presente nell'universo: un movimento delle parti, dipendente, quindi, da quello del tutto, τὰ πάντα ἑκάστου ταύτῃ κινουμένου ὡς μέρους;

Ci troviamo difronte a un differente ordine esplicativo, che non riguarda più una molteplicità di principi, ma un principio unico: è, infatti, immediatamente menzionata una

μία ψυχὴ (4, 1), un'anima universale, causa produttrice e motrice del tutto: si tratta del

principio attivo di cui hanno parlato alcuni Stoici73, che come un soffio divino permea la

materia e si diffonde dovunque, dando origine a tutti i corpi. La prima critica mossa a questi pensatori è basata proprio su questa caratteristica di intrinsecità e onnipresenza del principio a tutte le cose: tutto sarebbe avvolto e trascinato in questo movimento, (ἑκάστου

κινουμένου, 4, 2), esattamente alla maniera in cui una parte, ὡς μέρους (4, 3), è soggetta al

movimento dell'intero; posta così la causa prima, una concatenazione di cause successive ne discende inesorabilmente, e ciò altro non è che il destino74; l'esemplificazione è quella della

pianta: seppure il principio è confinato nella radice, estende la sua azione organizzativa a tutte le parti, pervadendo loro e la loro interrelazione, l'agire e patire reciproco, privandole così della propria autonomia75.

L'errore intravisto nella posizione di costoro è presto esplicitato: portare necessità e destino all'eccesso ha come unico risultato il renderli vani. Riportiamo un esempio decisivo in questo senso, e in cui ancora una volta viene evidenziato l'aspetto cinetico di questa causa:

«Come infatti nel caso delle parti dell'uomo mosse dal principio direttivo, sarebbe irragionevole dire che sono mosse per destino – perché la cosa che ha impartito il movimento non è distinta da quella che lo ha ricevuto e da essa ha tratto l'impulso, ma quest'ultima coincide immediatamente con quella che ha mosso l'arto ‒; allo stesso modo, se nel tutto sarà unico il tutto che agisce e subisce, se nessuna cosa dipenderà da un'altra in virtù di cause che costantemente risalgono a qualcos'altro, di sicuro non sarà vero che tutto avviene in virtù di cause, ma bensì che tutto è uno».

73 Cfr. SVF, I, fr. 495; II 1027. 74 Cfr. Ivi, II, frr. 928 e ss; 945 e ss. 75 Cfr. Ivi, II, frr. 708, e 913-14.

«ὡς γὰρ ἐν τοῖς ἡμετέροις μέρεσι κατὰ τὸ ἡγεμονοῦν κινουμένοις ἄλογον τὸ καθ' εἱμαρμένην λέγειν κινεῖσθαι - οὐ γὰρ ἄλλο μὲν τὸ ἐνδεδωκὸς τὴν κίνησιν, ἄλλο δὲ τὸ παραδεξάμενον καὶ παρ' αὐτοῦ τῇ ὁρμῇ κεχρημένον, ἀλλ' ἐκεῖνό ἐστι πρῶτον τὸ κινῆσαν τὸ σκέλος - τὸν αὐτὸν τρόπον εἰ καὶ ἐπὶ τοῦ παντὸς ἓν ἔσται τὸ πᾶν ποιοῦν καὶ πάσχον καὶ οὐκ ἄλλο παρ' ἄλλου κατ' αἰτίας τὴν ἀναγωγὴν ἀεὶ ἐφ' ἕτερον ἐχούσας, οὐ δὴ ἀληθὲς κατ' αἰτίας τὰ πάντα γίγνεσθαι, ἀλλ' ἓν ἔσται τὰ πάντα» (4, 12-20).

Isoliamo all'interno del nostro passo quattro nuove occorrenze di κίνησις:

i. la prima alla l. 4, 13: il verbo κινέω designa il movimento delle parti di cui è composto ciascun individuo, ἐν τοῖς ἡμετέροις μέρεσι [...] κινουμένοις; un movimento descritto come κατὰ τὸ ἡγεμονοῦν (4, 13), che dipende da un principio direttivo;

ii. la seconda occorrenza la troviamo alla l. 4, 13: il verbo κινέω compare nuovamente in riferimento alle parti del nostro corpo: questa volta il movimento che risponde al principio direttivo viene indicato come un καθ' εἱμαρμένην

κινεῖσθαι; si tratta di un ἄλογον immediatamente rifiutato;

iii. la terza la troviamo alla l. 4, 14: il riferimento è a ciò che impartisce il movimento, il quale risulta identico a ciò che lo riceve, οὐ γὰρ ἄλλο μὲν τὸ ἐνδεδωκὸς τὴν

κίνησιν, ἄλλο δὲ τὸ παραδεξάμενον;

iv. alla l. 4, 16 il riferimento è al movimento dell'arto, τὸ κινῆσαν τὸ σκέλος; si tratta di una esemplificazione di quanto detto precedentemente.

La prima presenza di κίνησις ci introduce ad un'analogia efficace, che rivela l'insensatezza delle conseguenze a cui condurrebbero le tesi di questi pensatori: il riferimento è al movimento delle parti del nostro corpo, (ἡμετέροις μέρεσι κινουμένοις, 4, 12-13), – ad esempio il movimento di una gamba, (τὸ κινῆσαν τὸ σκέλος, 4, 16) – disposto da un principio direttivo; il parallelo ci trasporta dal macrocosmo al microcosmo: esattamente come nel movimeto dell'anima totale sono compresi i movimenti delle singole parti, o meglio ancora, come a partire dall'unico principio è posta tutta la serie di cause successive, così ogni nostro movimento diretto dall'egemonico sarebbe il mero risultato del destino.

Ciò che viene esemplificato è uno dei punti nevralgici della tesi avversaria: non solo movimento e impulsi, ma tutte le funzioni, partendo da quelle vegetative per arrivare alla rappresentazione, non sarebbero altro che il risultato dell'azione strutturante e coesiva di un principio pervasivo, comprensivo di tutte le cose; si perderebbe in questo modo la differenza fra ciò che agisce e ciò che patisce, fra ciò che muove e ciò che è mosso, fra la causa e l'effetto: tutto sarebbe uno (ἓν ἔσται τὰ πάντα, 4, 20).

In un sistema siffatto nessuno di noi sarebbe più se stesso, (οὔτε ἡμεῖς ἡμεῖς, 4, 20)e nessuna delle nostre azioni sarebbe più la nostra, (οὔτε ἡμέτερον ἔργον, 4, 20): la perdita di identità è strettamente ricollegata alla perdita degli atti che sono propri: il ragionamento, , la volontà, e l'azione (4, 20-23); un'ultima conseguenza inammissibile è sottolineata: tutte le azioni private del proprio autore, le buone come le malvagie, finirebbero con l'essere

imputate al principio che essi stessi pongono come divino.

2.3.3 Il movimento degli astri (5, 1-6, 25)

L'anima del tutto concepita nel modo appena considerato si è dimostrata un principio inadeguato a spiegare il compimento di tutte le cose; si passa, quindi, all'esplicitazione di un'altra tesi, già menzionata alle ll. 2, 26-30:

«Ma forse è vero che non si compiono così tutti i singoli eventi, e sono invece la rivoluzione celeste che tutto regge e il moto degli astri a disporre ogni cosa in funzione della posizione relativa degli astri, nei loro aspetti nel loro sorgere, nei tramonti e nelle congiunzioni. È perlomeno un fatto che, traendo da ciò divinazioni, alcuni predicono quello che accadrà nell'universo e al singolo, quale sorte e, in particolare, quali pensieri egli avrà.».

«ἀλλ' ἴσως μὲν οὐχ οὕτως ἕκαστα περαίνεται, ἡ δὲ φορὰ διοικοῦσα πάντα καὶ ἡ τῶν ἄστρων κίνησις οὕτως ἕκαστα τίθησιν, ὡς ἂν πρὸς ἄλληλα στάσεως ἔχῃ μαρτυρίαις καὶ ἀνατολαῖς, δύσεσί τε καὶ παραβολαῖς. ἀπὸ τούτων γοῦν μαντευόμενοι προλέγουσι περί τε τῶν ἐν τῷ παντὶ ἐσομένων περί τε ἑκάστου, ὅπως τε τύχης καὶ διανοίας οὐχ ἥκιστα ἕξει» (5, 1-7).

Isoliamo all'interno del nostro passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 5, 2 il riferimento è al movimento degli astri dai quali dipenderebbe la posizione di ciascuna cosa, ἄστρων κίνησις οὕτως ἕκαστα τίθησιν.

La posizione individuata risulta per certi versi analoga alla precedente: il ruolo prima ricoperto dall'anima unica è adesso attribuito al movimento universale (φορὰ πάντα, 5, 2); ciò a cui si riferiscono questi pensatori − anche in questo caso sembra si possa individuare un gruppo specifico fra gli Stoici76− sembra una vera e propria mappa della cinetica astrale;

principio di tutte le cose è il movimento degli astri (τῶν ἄστρων κίνησις, 5, 2)77, le posizioni

reciproche che essi vanno ad occupare (πρὸς ἄλληλα στάσεως, 5, 3), le loro configurazioni, (μαρτυρίαις, 5, 3-4), nonché il loro sorgere e tramontare (ἀνατολαῖς καὶ παραβολαῖς, 5, 4).

Chi detiene la conoscenza tecnica ed è in grado di tracciare le rotte di questi moti celesti è capace di prevedere, sia eventi legati al cosmo (τῷ παντὶ, 5, 6), sia quanto attiene la fortuna e il pensiero degli uomini, (περί τε ἑκάστου ὅπως τε τύχης καὶ διανοίας, 5, 6)78. 76 Questo argomento sembra essere ricavato dalle pagine di Tolomeo, Tetrabiblos, I 1, 1-2, come suggerisce il

raffronto lessicale di I. Hanneman-Haller, Plotin Schrift III, 1, über das Schiksal. Quuellen und Entwicklung seiner Schicksalsleher, Bern 1977. Sul riferimento a questo gruppo di astrologi rimando alla nota di M. Chappuis, Plotin..., p. 96, n. 1.

77 Il movimento degli astri nell'opera del nostro pensatore cfr. Enn. II, 1 (40); II, 2 (14); sull'influsso

esercitato dagli astri cfr. Enn. II, 3 (52).

78 In riferimento alla predizione del destino e del pensiero dei singoli individui M. Chappuis, Plotin..., p. 99

sottolinea che: «ils se baisent généralment sur l'horoscope en partant de la naissance d'une personne (généthlialogie) pour prédire la durée de son existence, le genre de mort qui l'attendait, la forme de son

La valenza di tali previsioni si baserebbe sul legame di simpatia cosmica, (συμπαθείας, 5, 8), che intreccia ogni singolo elemento del tutto a ogni altro; la variazione nella crescita e nella diminuzione di piante e animali in relazione agli astri costituirebbe una prima attestazione empirica di questo nesso universale; altro esempio sono i luoghi che si differenziano in virtù della loro posizione rispetto al sole e a tutte le altre cose: così in relazione ad ogni zona terrestre si troveranno, non solo piante e animali, ma anche uomini con caratteristiche di volta in volta peculiari: non solo tratti somatici specifici, ma anche desideri, occupazioni e caratteri morali particolari.

È proprio in questo senso che viene sottolineato il peso dell'influenza astrale, capace di condizionare l'ambiente e i viventi, nonché l'uomo nella totalità della sua sfera psicofisica: il movimento universale domina tutte le cose (κυρία ἄρα ἡ τοῦ παντὸς πάντων φορά, 5, 15), le determina tutte senza alcuna distinzione.

Anche in questo caso come nei precedenti, ciò che è rivendicato è un'istanza personale, uno spazio identitario in cui può essere esercitato ciò che ci appartiene, τὰ ἡμέτερα: le nostre volontà e le nostre passioni (βουλὰς καὶ πάθη, 5, 17), ma anche i vizi e le tendenze, (κακίας τε καὶ ὁρμάς, 5, 17-18); l'uomo, spogliato totalmente di questa dimensione personale, è lasciato all'immagine esemplificativa delle pietre che rotolano (λίθοις

φερομένοις καταλείπει, 5, 19), privato «della possibilità di agire da sé e secondo la propria

natura» (5, 20).

Tuttavia una distinzione s'impone: la critica plotiniana sembra voler lasciare un margine di operatività alla teoria degli astronomi, certo a patto di distinguere ciò che è compiuto da noi (ἡμεῖς ἐργαζόμεθα, 5, 23), rispetto a ciò che subiamo per effetto della necessità (πάσχομεν ἐξ ἀνάγκης, 5, 23); ciò che viene contestato è il potere illimitato assegnato a queste influenze. Tradotto in altri termini, il movimento astrale non può assurgere a principio assoluto di tutte le cose: ne è ammessa tuttavia una certa causalità. Così gli influssi ambientali possono condizionare in certa misura il temperamento; i fattori ereditari incidono sui tratti esteriori e su alcune affezioni dell'anima; i luoghi a cui gli uomini appartengono si riflettono in una somiglianza di vari aspetti; e tuttavia, tutto ciò non è in grado di rendere ragione della differenza nei caratteri e nel pensiero, che invece vanno spiegati secondo un principio differente.

Il movimento del tutto e quello degli astri sono capaci di una certa azione corporea sui tratti somatici e sui temperamenti dei viventi, che dipendono in prima istanza da un principio di generazione, la natura, φύσις (6, 2); è dunque accreditato un potere a cause differenti che agiscono in modo sinergico relativamente alla costituzione corporea; tuttavia è conservato un margine di orientamento personale nel carattere e nelle occupazioni (ἤθη

καὶ ἐπιτηδεύματα, 6, 7-8) e in tutti quegli ambiti in cui è notevole l'affrancamento dal

corporeo: la scelta di diventare grammatico o geometra, giocatore di dadi o inventore.

2.3.4 I movimenti e disposizioni nella catena causale del tutto (7, 1-10, 15)

L'ultima comparsa del temine chiave della nostra ricerca contraddistingue il passaggio all'esame di una nuova teoria, intravista alle ll. 2, 30-35:

«Resta solo da considerare la teoria del principio che intreccia e concatena, per così dire, tutte le cose tra loro e assegna ad ogni singolo individuo il suo modo di essere; un principio posto come unico, dal quale ogni cosa è compiuta in virtù di ragioni seminali. Ebbene anche questa opinione seppure vuole concederci, in quanto individui, una certa libertà d'azione, è vicina a quella per cui ogni nostro stato e movimento, come ogni stato e in movimento in generale, deriva dall'anima dell'universo». «λοιπὸν δὲ ἰδεῖν τὴν ἐπιπλέκουσαν καὶ οἷον συνείρουσαν ἀλλήλοις πάντα καὶ τὸ πὼς ἐφ' ἑκάστου ἐπιφέρουσαν ἀρχὴν τιθεμένην μίαν, ἀφ' ἧς πάντα κατὰ λόγους σπερματικοὺς περαίνεται. ἔστι μὲν οὖν καὶ αὕτη ἡ δόξα ἐγγὺς ἐκείνης τῆς πᾶσαν καὶ σχέσιν καὶ κίνησιν ἡμετέραν τε καὶ πᾶσαν ἐκ τῆς τῶν ὅλων ψυχῆς ἥκειν λεγούσης, εἰ καὶ βούλεταί τι ἡμῖν καὶ ἑκάστοις χαρίζεσθαι εἰς τὸ παρ' ἡμῶν ποιεῖν τι» (7, 1-8).

Isoliamo all'interno del nostro passo l'ultima occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 7, 5 sono evocati i movimenti insieme alle disposizioni, κίνησιν καὶ σχέσιν (7, 5), sia nostri che del tutto, ἡμετέραν καὶ πᾶσαν (7, 5-6), che originano dall'anima universale.

La dottrina che sta per essere esaminata riprende per certi aspetti quella considerata precedentemente alle ll. 4, 1-29, che poneva come principio di tutte le cose un'unica anima; l'ambito è, come sarà esplicito fra poco, ancora una volta quello del pensiero stoico79:

nonostante la somiglianza fra le due posizioni, una prima differenza emerge dal presunto spazio che questa nuova concezione accorda a noi individui nel produrre le azioni che sono in nostro possesso (παρ' ἡμῶν ποιεῖν τι, 7, 7-8). Anche questa volta si tratta di un principio unico, (ἀρχὴν μίαν, 7, 2), da cui dipendono la combinazione (ἐπιπλέκουσαν, 7, 1), la connessione, e il modo di essere di tutte le cose (πὼς ἐφ' ἑκάστου, 7, 2); tutto è portato a compimento da questo principio secondo le ragioni seminali (λόγους σπερματικοὺς

περαίνεται, 7, 4-5)80.

Tuttavia, anche in questo caso il principio divino che intreccia il tutto non può che immobilizzare ogni cosa ad una necessità assoluta (τὴν πάντως πάντων ἀνάγκην, 7, 8-9): ogni causa è presente in esso, e così ogni singolo evento che consegue necessariamente; tutto è compreso nel destino (πάντα ἐν τῇ εἱμαρμένῃ, 7, 11), nulla può sfuggirgli, essergli d'impedimento o d'opposizione: nulla, neppure ciò che è παρ' ἡμῶν: infatti, se tutti gli eventi derivano da questo principio, a noi non sarà lasciata alcuna alternativa se non di compiere ciò che siamo determinati a compiere. Ancora una volta l'uomo, il microcosmo, diventa la cartina di tornasole delle obiezioni plotiniane: da cause antecedenti deriverebbero le nostre rappresentazioni, da queste ultime dipendono le nostre tendenze, e le tendenze determinano l'agire; ecco implacabile la catena delle cause che si ripercuote ad

79 SVF, II fr. 1000; cfr. Cicerone, De fato, 14; sulla concatenazione causale cfr. i frr. 917-920. 80 Cfr., supra, n. 7.

ogni livello della realtà, cosmico e individuale: così, il fatto che si presentino in noi percezioni e impulsi a cui addirittura seguono le nostre azioni, non ci rende in alcun modo i loro autori.

Se l'agire è semplicemente il risultato di questa concatenazione irreversibile di cause ed effetti corrispondenti, ciò che è in nostro potere non avrebbe che la consistenza dell'illusione, come accade ai bambini o ai folli; un modo di agire siffatto in nulla differisce da quello di tutti quei corpi – affatto casuale è il richiamo al fuoco, (7, 17) –, capaci di movimento e asserviti alla propria natura.

L'argomentazione plotiniana si congeda così da questi pensatori, quasi a voler proseguire soltanto insieme a quella ristretta cerchia di coloro che hanno la capacità di vedere, (ὁρῶντες, 7, 22) che non c'è altra possibilità se non abbandonare queste soluzioni; l'esortazione è a non fermarsi ad un principio unico e alle ragioni seminali, ma a riportare i nostri impulsi ad altre cause (ἀλλὰ τῆς ὁρμῆς ταύτης ἄλλας αἰτίας, 7, 22-23).

S'inaugura così una nuova ricerca volta a individuare una causa ulteriore rispetto a quelle precedenti (ἄλλη αἰτία, 8, 1), che sia capace di rispondere a quei criteri ben precisi rispetto a cui le altre, in una maniera o nell'altra, si sono dimostrate inadeguate; fra le cose che questa causa deve essere capace di salvaguardare si annovera: l'esigenza che nulla rimanga incausato; che la connessione e l'ordine degli eventi sia conservata; che ci sia permesso di essere qualche cosa, che il nostro essere non sia vanificato nella perdita di qualunque capacità di agire, di essere noi stessi fautori di una certa causalità81; e in ultima

istanza, che preservi la possibilità per chi la esercita, di predizione e divinazione.

Capace di soddisfare tutte queste condizioni è l'anima, subito indicata come un diverso principio, (ἀρχὴν ἄλλην, 8, 4); le ragioni di tale differenza sono immediatamente chiarite: la sua natura appartiene al rango delle cose che sono (τὰ ὄντα, 8, 5), non è corporea, né è soggetta al divenire o alla generazione tramite principi seminali: è, invece, causa primigenia (πρωτουργοῦ αἰτίας, 8, 8); neppure si può sostenere che sia un principio unico, dato che il riferimento risulta tanto all'anima del tutto quanto a quelle particolari (οὐ μόνον τὴν τοῦ

παντός, ἀλλὰ καὶ τὴν ἑκάστου μετὰ ταύτης ὡς ἀρχῆς, 8, 5-6): a questo principio spetta

l'intreccio di tutte le cose, (8, 7)82.

L'anima è considerata in due situazioni differenti: quando è priva del corpo (ἂνευ

σώματος, 8, 9), risulta padrona di se stessa (κυριωτάτη τε αὐτῆς, 8, 9), libera (ἐλευθέρα, 8,

9), ed esterna alla causalità cosmica (κοσμικῆς αἰτίας ἔξω, 8, 10); quando invece è l'anima di un corpo perde il suo dominio assoluto (8, 11), relegata all'ordine di tutte le altre cose; in questa seconda situazione sono le sorti, τύχαι (8, 12), a dirigere l'anima e tutto ciò che le sta attorno: per lo più è diretta dall'influenza di queste cose, solo raramente riuscendo a