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7.1 Sul movimento del corpo intermedio (1, 1-6, 40).

Le prime due occorrenze di κίνησις che analizzeremo trovano il proprio utilizzo all'interno di una trattazione precedentemente rinviata e ora presa in esame309: in

riferimento al processo sensitivo è necessario considerare e stabilire se si esplichi o meno in virtù del concorso di un corpo intermedio310 (μεταξύ, 1, 2), che espleti una funzione

mediatrice fra il percipiente e il percepito.

Questo problema ha la propria ragion d'essere in un dato che non deve restare implicito: la sensazione coinvolge l'anima, in un certo qual modo, in una relazione con “altro”, ovvero con ciò che è esterno e corporeo; se l'anima dovesse afferrare unicamente ciò che è dentro di sé questo processo non potrebbe che ridursi a pensiero311; si deve, invece, affermare che la

percezione dei sensibili consiste per l'anima nell'apprensione delle qualità insite nei corpi e nell'assunzione delle loro forme312. Tuttavia, non basta sostenere che l'anima nel processo

sensitivo è in relazione ad “altro”: se, infatti, l'anima volgendosi a ciò che è sensibile cercasse di coglierlo da sé sola, non potrebbe che averne una una comprensione intelligibile313. Per questa ragione è necessario che la percezione sensibile avvenga per il

tramite del corpo (διὰ σώματός, 1, 4)314, senza il quale l'anima permane completamente in

una dimensione intelligibile (1, 6).

Inoltre, bisogna tener conto della natura dell'anima, che è quella di un essere impassibile315: pertanto è necessario, affinché si dia percezione di qualcos'altro, la presenza

307 Sul titolo di IV, 5 (29) si veda Porfirio, Vita di Plotino, V, 24 e XXV, 21. 308 In particolar modo: IV, 5 (29) 2, 39; 2, 44; 5, 2; 5, 15; 7, 7.

309 Il riferimento è allo scritto precedente IV, 4 (28) 23.

310 In riferimento ad un uso simile di μεταξύ cfr. Aristotele, De anim., II 419 a 20, 421 b 9; 434 b 28; 435 b 16. 311 L'espressione è quella utilizzata in IV, 4 (28) 23, 5-6: «ἐφ' ἑαυτῆς γὰρ τῶν ἐν αὐτῇ, καὶ μόνον νόησις».

312 Ivi, 23, 1-3: «ὡς τὸ αἰσθάνεσθαι τῶν αἰσθητῶν ἐστι τῇ ψυχῇ ἢ τῷ ζῴῳ ἀντίληψις τὴν προσοῦσαν

τοῖς σώμασι ποιότητα συνιείσης καὶ τὰ εἴδη αὐτῶν ἀποματτομένης».

313 L'espressione a cui faccio riferimento è ancora una volta quella utilizzata nello scritto precedente alla l.

23, 14, «ἀλλὰ μόνη, κἂν εἰ οἷόν τε τῷ αἰσθητῷ ἐπιβάλλειν, τελευτήσει εἰς νοητοῦ σύνεσιν».

314 Identica espressione la troviamo in IV, 4 (28) 23, 49: «ἀλλ' ὅτι ψυχῆς ἐν σώματι καὶ διὰ σώματος ἡ

αἴσθησις» che può essere comparata a quella analoga proferita poche linee addietro, in cui il ruolo del corpo è specificato in riferimento alla funzione degli organi sensibili: 23, 33 «δι' ὀργάνων δεῖ σωματικῶν τὰς αἰσθήσεις γίνεσθαι».

di una terza realtà capace di patire e di accogliere le forme: già nello scritto precedente questa funzione era stata affidata agli organi sensoriali; ora, tuttavia, è intrapresa una ricerca ulteriore per comprendere, in primo luogo, se gli organi sensoriali debbano stabilire un contatto fisico con ciò che è conosciuto316 e, in secondo luogo, se, nel caso la percezione

avvenga a distanza come nella vista, sia indispensabile la presenza di un corpo interposto, un mezzo che ponga in relazione l'organo visivo e il colore317.

Nella visione di un oggetto posto a grande distanza, anche se ciò che sopraggiunge è una forma, ciò che l'anima vede fuori di sé non è altro che il colore e la figura318: bisogna,

quindi, chiarire se la vista, o l'organo preposto, colga le qualità del sensibile per il tramite di un corpo intermedio.

I primi tre capitoli dello scritto sono dedicati all'esame della percezione visiva: la tesi dell'indispensabilità di un corpo intermedio al fine della visione viene esclusa prendendo in considerazione e confutando le dottrine di coloro che invece l'ammettono319: l'obbiettivo è

quello mettere in evidenza come a questo non spetti alcun ruolo causale in un tale processo.

7.1.1 Sul ruolo del corpo intermedio nella vista (1, 1-3, 38)

Sintetizzo per chiarezza le posizioni di alcuni pensatori richiamate nel corso della trattazione a motivo dello spazio e del ruolo che concedono alla presenza di un corpo intermedio nella percezione visiva:

(a) l'affermazione che apre il trattato include nell'analisi tutti coloro che hanno ritenuto necessario il riferimento ad un corpo intermedio per spiegare il processo percettivo: fra questi, in particolare, coloro che hanno individuato il

μεταξύ nell'aria o in un qualsiasi corpo diafano320;

316 Il contatto fisico fra organo preposto e oggetto conosciuto è un dato assodato per quanto concerne il

tatto, come mostrano le ll. 1, 13-15, mentre il problema si pone per la vista e l'udito in cui il contatto con l'oggetto percepito non è previsto: in che modo allora l'organo di senso arriva a cogliere suoni, colori e figure? Forse tramite un corpo intermedio? È proprio questo il terreno di scontro che verrà affrontato nei prossimi due paragrafi. Vale la pena ricordare le considerazioni di G. H. Clark, Plotinus' Theory of Sensation, «The Philosophical Review», 51 (1942) pp. 357-382, in part. pp. 359-360, secondo cui è proprio l'esame della visione a distanza l'argomento con cui è rigettata ogni possibilità che l'anima accolga nella sensazione un'impressione stampata in se stessa.

317 Sono le due questioni lasciate in sospeso alla fine di IV, 4 (28) 23 che qui vengono analizzate; qui il

termine colore costituisce un esempio di qualità del corpo, ed è quindi sinonimo di quella forma che l'anima coglie nella dinamica sensitiva; questo legame fra colore, qualità e forma è anticipato nella definizione riportata supra n. 251, mentre numerosi esempi sono forniti nelle nostre considerazioni su IV, 7 (2) 4, 30-34; IV, 4 (28) 29, 33-40; si veda inoltre II, 4 (12) 9, 7-12.

318 IV, 4 (28) 23, 15-18: «ἐπεὶ καὶ τὸ ὁρατὸν ὅταν ψυχὴ πόρρωθεν ὁρᾷ, κἂν ὅτι μάλιστα εἶδος εἰς αὐτὴν

ἥκῃ, ἀρχόμενον τὸ πρὸς αὐτὴν οἷον ἀμερὲς ὂν λήγει εἰς τὸ ὑποκείμενον χρῶμα καὶ σχῆμα, ὅσον ἐστὶν ἐκεῖ ὁρώσης».

319 E. Bréhier, Plotin. Ennéades, IV, p. 57-58 suggerisce che il nostro pensatore faccia riferimento ad un

materiale dossografico compatibile con quello di Aezio, Plac. IV 13, 2 Dox. Graec. p. 403 b 8 ss., Diels.

320 Cfr. Aristotele, De anima, II, 7, 418 b 1-2: «πᾶν δὲ χρῶμα κινητικόν ἐστι τοῦ κατ' ἐνέργειαν διαφανοῦς,

καὶ τοῦτ' ἐστὶν αὐτοῦ ἡ φύσις»; in Aristotele, De sensu et sensibili, I 438 b 3-5 e III, 439 a 6 e ss.; in proposito si veda il commento di A. Merker, La vision chez Platon et Aristote, Academia Verlag, Sankt Augustin 2003, pp. 136-166

(b) sono, poi, evocati coloro che hanno identificato nell'azione d'urto del corpo intermedio (νύττοι […] τὸ μεταξὺ σῶμα, 1, 18), ciò che è determinante al fine della visione321;

(c) alle ll. 2, 1-9 è individuata la posizione di coloro che riconducono il vedere a un contatto della luce dell'occhio col mezzo luminoso tramite il quale si realizza il coglimento dell'oggetto visto322; in un certo senso vicini a questi

sono coloro che fanno derivare la vista da raggi visivi (οἱ ἐκχέοντες δὲ τὰς

ὄψεις, 2, 8); sia per i primi che per i secondi non risulterebbe necessaria la

presenza di un corpo intermedio323;

(d) vengono poi individuati coloro che sostengono che sia la resistenza dell'oggetto percepito all'origine della visione e introducono dunque la necessità di un corpo interposto (οἱ δὲ τὴν ἔνστασιν αἰτιώμενοι δέοιντο ἂν

πάντως τοῦ μεταξύ, 2, 11)324;

(e) i difensori della dottrina delle immagini che passano nel vuoto (οἱ δὲ τῶν

εἰδώλων προστάται διὰ τοῦ κενοῦ λέγοντες, 2, 7-8), non ammettono in alcun

modo la presenza di un corpo intermedio325;

(f) vi sono poi coloro che riconducono l'atto del vedere al principio della simpatia (ὅσοι δὲ συμπαθείᾳ τὸ ὁρᾶν λέγουσιν, 2, 15-16), sostengono che la vista diminuisca per l'interposizione di un corpo; questa sembra essere la posizione del nostro pensatore come dimostra il resto dell'argomentazione. Senza pretendere di voler dare un volto ben definito agli autori di queste tesi, è importante notare come la vis polemica del nostro pensatore si sviluppi soprattutto in antitesi a tre punti fondamentali che così possono essere riassunti:

i. la necessità di un corpo intermedio al fine della visione; ii. la capacità di patire da parte del mezzo;

iii. la sua capacità di trasferire l'affezione fino all'organo di senso326.

Sembrerebbe, infatti, che la parte del corpo interposto adiacente all'oggetto sensibile patisca, quindi che agisca sulla porzione successiva di aria che a suo volta patisce e così via fino al raggiungimento dell'organo preposto.

321 Il termine νύττοι sembra essere di estrazione stoica, SVF, II fr. 864, 866, come indica H. S.², vol. II, p. 116;

A. H. Armstrong, Plotinus..., vol. 4, p. 283, n. 1; A. Greaser, Plotinus and..., pp. 46-47; mentre E. K. Emilsson, Plotinus, On Sense- Perception..., p. 39 sottolinea come «But, however Stoic this terme may be, its occurrence here fits badly its occurrencess in Stoic contexts».

322 Sembrerebbe ricalcare la tesi di Platone, Tim., 45 b-d.

323 Su costoro cfr. Alessandro di Afrodisia, Suppl. al De anim., 136-138.

324 Costoro sarebbero gli accademici, cfr. Aezio, Plac. IV 13, 2 Dox. Graec. p. 403 b 8 ss., Diels. 325 Cfr. Epicuro, Lettera a Erodoto, 46-50.

326 Rimangono, dunque, per il momento, esclusi dalla vis polemica del nostro pensatore coloro che avevano

fatto consistere il vedere in un contatto della luce con l'occhio, e i difensori della dottrina delle immagini che passano nel vuoto; mi sembra invece che l'analisi si concentri coloro che hanno fatto riferimento all'affezione del mezzo interposto e alla trasmissione progressiva di questa affezione, Aristotele e gli Stoici.

La non necessità di (1) è dimostrata mediante la confutazione di (2) e (3) nel modo che segue: contro (2) vengono mosse alcune considerazioni in merito alla natura del corpo interposto: non ogni corpo intermedio è adatto a facilitare e rendere possibile il passaggio delle affezioni recepibili dalla vista, com'è il caso di un corpo terroso che, invece, ostacola la visione; inoltre, non è possibile dimostrare che la funzione del corpo intermedio sia necessariamente quella di essere affetta: l'esempio del precipitare della pietra mette in evidenza come l'aria attraversata dal passaggio del corpo non per questo risulti affetta, ma semplicemente “scissa”327.

Contro (3) mi sembra possano intendersi le affermazioni del passo che viene riportato in quanto oggetto della nostra indagine:

«Poiché è irragionevole affermare che la pietra cade per lo spostamento reciproco dei corpi, se il suo movimento è secondo natura; allora anche il fuoco salirebbe in alto per effetto di uno spostamento reciproco: ma questo è assurdo, e il fuoco infatti per la velocità del proprio movimento precede lo spostamento dell'aria. Se poi qualcuno sostenesse che lo spostamento è reso più veloce dalla velocità del fuoco, comunque questo sarebbe un effetto accidentale, e non potrebbe essere la causa del movimento del fuoco verso l'alto. Anche negli alberi lo slancio verso l'alto vine dal tronco, non da urti esterni; e noi quando ci muoviamo tagliamo l'aria senza per questo essere spinti dalla massa che spostiamo: semplicemente l'aria che sta dietro di noi occupa lo spazio che abbiamo lasciato vuoto».

«ἐπεὶ οὐδὲ τῇ ἀντιπεριστάσει εὔλογον κατὰ φύσιν οὔσης τῆς φορᾶς· ἐπεὶ οὕτω καὶ τὸ πῦρ ἄνω τῇ ἀντιπεριστάσει· ἀλλ' ἄτοπον· φθάνει γὰρ τὸ πῦρ τῇ αὐτοῦ κινήσει ταχείᾳ οὔσῃ τὴν ἀντιπερίστασιν τοῦ ἀέρος. εἰ δ' ὑπὸ τοῦ τάχους ταχύνεσθαί τις τὴν ἀντιπερίστασίν φησιν, ἀλλὰ κατὰ συμβεβηκὸς ἂν γίνοιτο, οὐκ εἰς τὸ ἄνωθεν· ἐπεὶ καὶ ἀπὸ τῶν ξύλων ἡ ὁρμὴ πρὸς τὸ ἄνω οὐκ ὠθούντων· καὶ ἡμεῖς δὲ κινούμενοι τέμνομεν τὸν ἀέρα, καὶ οὐχ ἡ ἀντιπερίστασις ὠθεῖ, πληροῖ δὲ μόνον ἐφεπόμενος τὸ παρ' ἡμῶν κενούμενον» (IV, 5 (29) 2, 36-46).

Isoliamo due occorrenze del termine κίνησις:

i. la prima compare alla l. 39, e si riferisce alla velocità di movimento di cui dispone il fuoco, τὸ πῦρ τῇ αὐτοῦ κινήσει ταχείᾳ οὔσῃ;

ii. la seconda si trova, invece, alla l. 44 dove il verbo κινέω designa il movimento con cui ciascuno di noi, ad esempio nel camminare, fende l'aria, ἡμεῖς δὲ

κινούμενοι τέμνομεν τὸν ἀέρα328.

327 Entrambe le affermazioni mi sembrano coerenti con la posizione adottata dal nostro pensatore e che

sarà esplicitata alla fine di questa sezione: infatti l'intermedio può essere d'impedimento e non risultare affetto in quanto non affine (1, 35-40), ma anche essere d'impedimento pur se di natura congenere, perché assorbirebbe l'affezione (2, 15-20).

Il movimento veloce del fuoco che sale verso l'alto, quello della pietra che precipita, il nostro camminare, tutti questi sono movimenti che non si espletano in virtù di uno spostamento reciproco dei corpi, o nello specifico dell'aria (οὐχ ἡ ἀντιπερίστασις329 [scil.τοῦ

ἀέρος] ὠθεῖ). Lo spostamento della pietra avviene κατὰ φύσιν (2, 37), e lo stesso si potrebbe

ben dire del fuoco330; la crescita del tronco della pianta verso l'alto non dipende dall'urto

esterno ma da un impulso che viene dal tronco; e nel nostro movimento l'aria spostata non ci spinge ad occupare un'altra posizione: al contrario l'aria che fendiamo va ad occupare lo spazio lasciato vuoto.

Mi sembra che in tutti questi esempi l'obbiettivo comune sia quello di mettere in evidenza come il movimento della pietra o del fuoco non sia il risultato di un fenomeno di compensazione dell'aria: non è il movimento e l'affezione progressiva dell'aria a causare la caduta del masso o lo spostamento del fuoco, al più il primo consegue ai secondi.

L'esempio dell'aria tagliata dal precipitare della pietra nega che la natura del corpo intermedio sia quella di essere affetta, mentre il caso del fuoco, della pianta e del camminare slegano l'affezione del mezzo interposto dalla presunta capacità causale attribuita da coloro che qui vengono combattuti.

Queste argomentazioni stanno a esemplificare come non vi sia alcuna necessità di affermare che nella visione l'aria rimanga affetta dal passaggio delle forme, così come l'aria non rimane affetta dal passaggio della pietra; di conseguenza non vi è neppure nessuna esigenza di concepire una loro trasmissione all'organo sensoriale in virtù di un'affezione iniziale del corpo intermedio (προπαθεῖν, 2, 50)331.

Le argomentazioni precedenti si condensano nella formulazione di una prima obiezione di stampo epistemologico che fa leva sul carattere fisico dell'affezione interposta: infatti, se il nostro sentire dipendesse dalla trasmissione di un'affezione precedente dell'aria, non si avrebbe la visione diretta dell'oggetto, bensì dell'aria; tuttavia ciò è valido solo nel caso della trasmissione per contatto, come quando si è riscaldati dal fuoco per il tramite dell'aria circostante. Ma questo non si verifica nella vista, come lo dimostra il fatto che non è percepito quell'oggetto sensibile posto a diretto contatto con l'occhio332.

È fornita un'altra prova contro coloro che sostengono che la forma dell'oggetto sensibile sia colta dalla vista per il tramite del patire dell'aria e della trasmissione (διαδόσει, 3, 3)333.

Queste considerazioni colpiscono anche coloro che ritengono sia necessaria l'illuminazione del corpo intermedio, come è dimostrato dal fatto che nel buio è comunque possibile vedere il fuoco e gli astri334: se vedessimo la luce degli astri per il tramite dell'aria affetta, ovvero 329 Su questo termine cfr. Aristotele, Phys, VIII, 10, 267 a 15-20.

330 Il fuoco è un elemento dotato di mobilità estrema, di leggerezza, il suo spostamento si attua verso l'alto:

tutti questi aspetti risultano comprovati da numerosi riferimenti: si veda su questi aspetti III, 6 (26) 6, 36- 41.

331 Qui la pre-affezione è quella del corpo intermedio immediatamente prossimo all'oggetto sensibile e che

per primo raccoglie l'affezione o l'impronta, cfr. 1, 23; il termine προπαθεῖν, come suggerisce M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani, Plotino..., ad loc. sembra essere di estrazione stoica.

332 L'esempio è di aristotele De anim., II 7, 419 a 12-13. 333 Cfr. SVF II fr. 882.

334 A mio parere rientrano in queste considerazioni, per un verso, Aristotele, De anima, II 419 a 10 e ss., in

illuminata, allora dovrebbe venire meno il buio ed esservi la luce, mentre noi vediamo questi corpi anche nell'oscurità. Non è neppure la luce delle stelle che illuminando la notte a rendere visibile il fuoco delle torri e quello delle sentinelle: infatti, anche nel buio più fitto del cielo queste sono comunque visibili.

Coloro, inoltre, che sostengono che la visione avviene per il tramite dell'affezione dell'aria vanno incontro ai problemi che derivano dalla stessa natura fisica (3, 28) dell'affezione del corpo interposto: questo, infatti, non consente di spiegare come l'occhio possa cogliere un oggetto nella sua interezza. Infatti, se una parte dell'oggetto visibile s'imprime su ogni singola parte dell'aria, l'occhio dovrebbe ricevere parti dell'oggetto visto della grandezza che la pupilla può accogliere. Ma dal momento che noi vediamo l'oggetto per intero, ogni parte dell'aria dovrebbe possedere la visione dell'oggetto intero; ma questo non rientra in alcun modo in un'affezione corporea, ma è invece indice di necessità ben più elevate relative all'anima e a quel vivente che è in simpatia con se stesso335.

A completamento di queste argomentazioni che negano il ruolo causale del mezzo interposto nella vista, si aggiunge una considerazione semplice quanto essenziale, ovvero: il patire è già realizzato dall'organo naturalmente preposto (ὀφθαλμός τὸ πεφυκὸς πάσχειν, 1, 28); sono, infatti, proprio gli organi di senso a realizzare quel difficile compito di mettere l'anima in contatto coi sensibili (ψυχὴν συναφῆ γενομένην τοῖς αἰσθητοῖς, 1, 8); vale la pena ricordare quel ruolo “proporzionale” e “intermedio” a cui essi sono chiamati: l'affezione di cui sono capaci gli organi recettivi ha la caratteristica di conservare qualcosa di ciò che l'ha prodotta, e nello stesso tempo di non ridursi ad essa. È in questo modo che l'anima può realizzare una comunanza di conoscenza e di affezione (κοινωνίαν τινὰ πρὸς αὐτὰ

γνώσεως ἢ παθήματος ποιεῖσθαι, 1, 9-10); e la causa di ciò è ancora una volta la

somiglianza: gli organi di senso sono capaci di rendersi simili tanto all'oggetto conosciuto in virtù del loro patire, sia con ciò che conosce: infatti, ciò che l'anima riceve è pur sempre una forma.

La somiglianza e l'affinità fra organo percipiente e oggetto conosciuto si realizza in virtù del fatto che tutto è parte del “tutto”, di uno stesso vivente unitario; le parti di un tale vivente sono in grado di esercitare reciprocamente degli influssi in virtù della loro affinità (1, 36), di modo che ciò che è lontano è, a causa di questa simpatia, anche vicino. Se guardiamo alle parti di questo vivente, scorgeremo che, in un certo qual modo, l'unità del tutto si costituisce anche ad un livello corporeo, ovvero nei termini di una cera continuità,

συνεχὲς (2, 29336: se, sul piano fisico, il tutto è unito e continuo, non può essere di certo

negata la “presenza” di un corpo intermedio, e anzi per ciò stesso continua ad essere respinta l'ipotesi di un suo ruolo nel processo percettivo: il corpo interposto non patisce alcuna affezione se non risulta avere alcuna affinità (1, 37), oppure può addirittura risultare d'ostacolo o d'impaccio (ἐμποδίζοι καὶ ἀμυδρὰν, 2, 17), quando di natura affine, perché capace di attenuare l'efficacia della simpatia; bisogna, invece, ammettere che il corpo intermedio può essere interessato accidentalmente dall'affezione in virtù della continuità del tutto: diversamente ogni cosa patirebbe ogni cosa. In questo universo vivente e unitario,

sensorio; e indirettamente la tesi platonica di Tim., 45 b-d.

335 Un'argomentazione simile, soprattutto per il richiamo all'immagine del volto, è svolta in IV, 7 (2) 6, 20 e

ss.

invece, una parte influisce su un'altra ma non su un'altra ancora: e ciò per il fatto che tutte le cose sono interrelate, non semplicemente nell'affinità e nella somiglianza, ma in virtù di ciò che è responsabile di una tale affinità e somiglianza: tutte le cose hanno la ragione del loro patire comune in un principio di natura superiore, eterogeneo rispetto al corpo e impassibile, ovvero in quell'anima che dà forma e vivifica tutte le cose337; è in questo

fondamento che la somiglianza e la differenza fra le parti del tutto trovano un unico principio che le genera e le sorregge338. Pertanto, è proprio facendo appello a questo tipo di

simpatia del tutto che si può rendere conto di quella somiglianza che lega oggetto percepito e organo percipiente (αἰσθάνεσθαι ὁπωσοῦν εἶναι, ὅτι συμπαθὲς τὸ ζῷον – τόδε τὸ πᾶν –

ἑαυτῷ, 3, 19-20). Infatti, in questo vivente unitario percezione e sensazione sono κατὰ τὸ ζῷον (8, 20), cioè partecipano della sua omogeneità (ὁμοίου μετέχει, 8, 21), omogeneità che

caratterizza anche gli organi sensori (ὄργανον ὅμοιον αὐτοῦ, 8, 21-22); di modo che la percezione risulterà dalla somiglianza di questi ultimi con l'oggetto colto; e ciò, in ultima istanza, è possibile solo grazie a quel principio di tutt'altra natura, che ha prodotto una tale somiglianza (αὕτη [scil. ψυχή] αὐτὰ ὅμοια πεποίηκεν, 8, 28).

7.1.2 Il movimento dell'aria nella percezione uditiva (5, 1-6, 40).

Un'indagine simile a quella che è stata elaborata per la visione viene ora rivolta allo studio del processo uditivo; ci troviamo, dunque, difronte all'enunciazione delle teorie di altri pensatori in merito allo svolgimento della percezione uditiva. Il passo riportato sintetizza la prima di queste:

«Quanto all'udito, in questo caso dobbiamo forse ammettere che l'aria è affetta e la parte vicino alla fonte sonora riceve da questa il primo movimento, quindi, poiché l'aria estesa fino all'orecchio è affetta sempre allo stesso modo, quel movimento raggiunge la percezione?». «περὶ δὲ τοῦ ἀκούειν ἆρα ἐνταῦθα συγχωρητέον, πάσχοντος τοῦ ἀέρος τὴν κίνησιν τὴν πρώτην τοῦ παρακειμένου ὑπὸ τοῦ τὸν ψόφον ποιοῦντος, τῷ τὸν μέχρι ἀκοῆς ἀέρα πάσχειν τὸ αὐτό οὕτως εἰς αἴσθησιν ἀφικνεῖσθαι;» (5, 1-4).

i. L'occorrenza di κίνησις rinvenuta compare alla l. 5, 2: il nostro sostantivo è riferito al movimento della parte d'aria affetta prospiciente alla fonte sonora, quest'ultima produttrice di un tale movimento, πάςχοντος τοῦ ἀέρος τὴν

κίνησιν τὴν πρώτην τοῦ παρακειμένου ὑπὸ τοῦ τὸν ψόφον ποιοῦντος.

Il contesto in cui compare il nostro termine è quello dell'illustrazione di una prima modalità esplicativa del processo uditivo; il primo movimento è responsabile del patire

337 Su questo punto L. Brisson, Plotin..., vol. IV, notice p. 59 sottolinea che «l'âme qui fabrique le monde, qui

anime et met en mouvement les choses ici-bas, reste soustraite aux affections des corps et ne déchoit jamais de son rang incorporel. Plotin n'entendait pas en effet concéder aux stoïciens que l'âme pût être en aucune façon corporelle ou immédiatement affectée par les corps».

dell'aria circostante; la comunicazione progressiva dell'affezione dell'aria si propaga identicamente fino al raggiungimento dell'organo percettivo; ed è questo il modo in cui un'affezione giunge ad essere percepita339.

La seconda modalità esplicativa a cui si fa riferimento è quella che attribuisce al corpo intermedio un ruolo del tutto accidentale (κατὰ συμβεβηκὸς, 5, 5): una volta che il rumore si