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3.1 Il movimento e l'unità dell'anima (1, 1 2, 12)

Il passo che stiamo per analizzare ci trasporta immediatamente al nodo centrale della trattazione: la formulazione complessa e per molti versi aporetica dell'unità di tutte le anime:

«Innanzitutto, se la mia anima e quella di un altro fossero un'unica anima, non per questo il composto sarebbe lo stesso che l'altro composto. Ciò che è identico nell'uno e nell'altro individuo non avrà perciò le stesse affezioni nell'uno e nell'altro, com'è nel caso dell'uomo che è in me che mi muovo: l'uomo infatti sarà in me che mi muovo come in te che non ti muovi, e sarà in movimento in me e in quiete in te; non è assurdo né paradossale che esista qualcosa di identico in me e in te, e non è affatto necessario che quando io ho una sensazione anche l'altro provi esattamente la stessa affezione».

«πρῶτον μὲν οὖν οὐκ, εἰ ἡ ψυχὴ μία ἡ ἐμὴ καὶ ἡ ἄλλου, ἤδη καὶ τὸ συναμφότερον τῷ συναμφοτέρῳ ταὐτόν. ἐν ἄλλῳ γὰρ καὶ ἐν ἄλλῳ ταὐτὸν ὂν οὐ τὰ αὐτὰ πάθη ἕξει ἐν ἑκατέρῳ, ὡς ἄνθρωπος ὁ ἐν ἐμοὶ κινουμένῳ· ἐν ἐμοὶ γὰρ κινουμένῳ καὶ ἐν σοὶ μὴ κινουμένῳ ἐν ἐμοὶ μὲν κινούμενος, ἐν σοὶ δὲ ἑστὼς ἔσται· καὶ οὐκ ἄτοπον οὐδὲ παραδοξότερον

83 Cfr. Porfirio, VP, IV, 37 e XXV 29-30. Sul titolo rimando alla pagina di P. Henry, Études plotiniennes, Tome I

: Les États du texte de Plotin, Desclée de Brower, Paris et Bruxelles, p. 19 e ss.

84 Sono sei le occorrenze che analizzeremo in questo scritto, in particolare: Enn. IV, 9 (8) 2, 4; 2, 5; 2, 5; 2, 6;

2, 17-18; 2, 23.

85 In merito a questi argomenti rimando a: A. H. Armstrong, The Architecture of the Intelligible Universe in the

Philosophy of Plotinus, Cambridge 1940, Amsterdam 1967², p. 76 e ss.; H. J. Blumenthal, Nous and Soul in Plotinus: Some Problems of Demarcation, in: M. P. Schuhl, P. Hadot (a cura di), Le Néoplatonisme..., pp. 55-66; id., Plotinus' Psychology, His Doctrine of the Embodied Soul, Martinus Nijhoff, The Hague 1971, pp. 8-30; H. Dorrie, La doctrine de l'âme dans le Néoplatonisme de Plotin à Proclus, in «Revue de Théologie et de Philosophie», 23, 1973, pp. 116-134; W. R. Inge, The Philosophy of Plotinus, London New-York Toronto, 1929 p. 200 e ss.

τὸ ἐν ἐμοὶ καὶ σοὶ ταὐτὸν εἶναι· οὐ δὴ ἀνάγκη αἰσθανομένου ἐμοῦ καὶ ἄλλον πάντη τὸ αὐτὸ πάθος ἔχειν» (IV, 9 (8) 2, 1-8).

All'interno della prima sezione riportata è possibile isolare le prime quattro occorrenze del termine κίνησις; il carattere personale della narrazione e l'espressione dichiarativa introducono il lettore all'interno di un breve excursus di natura esplicativa86:

i. in colui che parla e che è in movimento è presente un uomo, ὡς ἄνθρωπος ὁ ἐν

ἐμοὶ κινουμένῳ (2, 4);

ii. tale ἄνθρωπος si trova sia in colui che è in movimento, ἐν ἐμοὶ γὰρ κινουμένῳ (2, 4-5), sia in colui che non lo è, καὶ ἐν σοὶ μὴ κινουμένῳ (2, 5);

iii. nel primo caso tale uomo si trova in movimento, ἐν ἐμοὶ μὲν κινούμενος (2, 5-6), mentre nel secondo risulta fermo, ἐν σοὶ δὲ ἑστὼς ἔσται (2, 6)87.

L'esempio mostra come un qualcosa di identico, ταὐτὸν (2, 7), possa essere presente in individui distinti, considerati in condizioni differenti, uno in movimento e l'altro no.

Per cogliere la funzione chiarificatrice di queste affermazioni è necessario considerarle in riferimento a ciò che esplicitano, ovvero a ciò che viene asserito poche righe più addietro: se anche si ponesse l'anima di due individui come unica (ἡ ψυχὴ μία ἡ ἐμὴ καὶ ἡ ἄλλου, 2, 1-2) da ciò non risulterebbe l'identità dei due viventi (οὐκ […] τὸ συναμφότερον τῷ

συναμφοτέρῳ ταὐτόν, 2, 2). Seguendo il nostro esempio: qualcosa di identico può essere

presente in due individui, ovvero un'unica anima, mentre diverso è il composto di questa col corpo: il che permette di concepire due viventi distinti, ciascuno con affezioni e movimenti differenti, pur essendo presente in essi un unico principio.

Ogni anima è definita una (ψυχὴν ἑκάστου μίαν, 1, 1) in virtù della sua capacità di essere interamente presente in ogni parte del corpo (πανταχοῦ τοῦ σώματος ὅλη πάρεστι, 1, 2). L'unità dell'anima è, dunque, strettamente legata al suo essere tutta in ogni luogo, potere che sembra inerire alla sua natura: infatti, non soltanto alla nostra anima spetta di essere una, ma allo stesso modo deve dirsi di quell'anima che è presente negli animali (τοῖς

αἰσθητικοῖς, 1, 4), e perfino di quella delle piante (τοῖς φυτοῖς, 1, 5): anche quest'ultima

risulta intera dappertutto e in ciascuna delle parti (ὅλη πανταχοῦ ἐν ἑκάστῳ μέρει, 1, 5-6)88. 86 L'espressione ὡς (2, 4) colloca il lettore all'interno di una sezione esemplificativa; L. Brisson, e J.-F.

Pradeau, Plotin..., II, p. 51 n. 3, sottolineano come questo dialogo fra ''me'' e ''te'' possa essere letto come un richiamo a quell'immaginario scolastico in cui il maestro, nel tenere la lezione, si muove fra i suoi uditori che stanno immobili.

87 Il riferimento a questo ἄνθρωπος che caratterizza la nostra natura compare ripetutamente nell'opera

plotiniana: III, 2 (15), 10; IV, 3 (27), 1-3; IV, 4 (28), 18, 11; I, 1 (53), 10, 7; in VI, 4 (22), 14, 16-20 in cui è discusso l'assunto dell'identità dell'anima: «prima che avvenisse questa generazione noi eravamo lassù ed eravamo uomini differenti ed alcuni perfino dèi, eravamo anime pure e l'intelletto era congiunta a tutta l'essenza, eravamo parti dell'intelligibile, né determinati né scissi ma dell'intero».

88 Sul potere dell'anima di essere tutta in ogni luogo rimando alle interessanti affermazioni dello scritto IV

(4), 1, 2, 62-66, in cui tale capacità è espressamente ricondotta alla natura dell'anima in quanto radicalmente differente dal corpo: quest'ultimo infatti, partecipa semplicemente dell'unità che è propria del continuo, συνεχὲς, mentre: «questa a cui diamo il nome di Anima, è una natura a un tempo divisibile e indivisibile, e non ha l'unità che viene dalla continuità, in quanto in tal caso avrebbe parti differenti. Essa

Queste considerazioni, date per assunto nello sviluppo argomentativo, costituiscono in realtà il guadagno di un intenso dibattito precedente in merito alla sostanziale eterogeneità dell'anima rispetto al corpo89. La capacità dell'anima di essere presente tutta in ogni parte, il

suo essere una, si possono comprendere solo in riferimento alla sua natura radicalmente altra rispetto a quella del corporeo: quest'ultimo è infatti soggetto a scomposizione e distruzione, poiché strutturalmente divisibile, in quanto dotato di grandezza e quantità; in ciò in cui sono presenti massa ed estensione le parti risultano, infatti, separate localmente, ognuna diversa dalle altre e minore rispetto al tutto90. È allora la natura incorporea

dell'anima che le permette di non dividersi nel corpo che vivifica, ovvero di non dividersi quantitativamente e spazialmente, ma di essere interamente presente in ogni parte di esso.

Sono proprio queste considerazioni sull'anima che danno origine al problema centrale della trattazione: se la sua natura è tale per cui non si divide nel corpo che vivifica, allora bisogna ammettere che non si divide in nessuno dei corpi, e da ciò risulta che «la mia anima e la tua e tutte quante non sono che una» (ἡ ἐμὴ καὶ ἡ σὴ μία καὶ πᾶσαι μία, 1, 7-8). Ora, l'unità dell'anima individuale rappresenta il punto di partenza della riflessione che mette in luce un aspetto intrinseco della natura psichica, riflessione che, pertanto, può essere riproposta ad un livello universale: ancora una volta in polemica contro la posizione stoica, anche dell'anima che è in tutte le cose bisogna dire che è una (τοῦ παντὸς ἡ ἐν πᾶσι μία, 1, 7): questa è, infatti, priva di massa e di corpo (οὐ ὄγκος οὐδὲ σῶμα, 1, 9), e pertanto non si divide quantitativamente (οὐχ ὡς ὄγκῳ μεμερισμένη, 1, 7-8), ma è identica dappertutto (ἀλλὰ πανταχοῦ ταὐτόν, 1, 8)91.

I guadagni di questa posizione sono consapevolmente originali, come testimonia la preoccupazione costante di dedicare uno spazio di discussione a una tesi che troppo facilmente può essere considerata assurda e paradossale, ἄτοπον καὶ παραδοξότερον (2, 6- 7); viene presa in considerazione, perché sia sciolta, l'obiezione più semplice e immediata che si potrebbe muovere contro un tale assunto: se tutte le anime non sono che una, si dovrebbe ammettere che due diversi individui sentano ciascuno le stesse cose dell'altro (ἐχρῆν γὰρ ἐμοῦ αἰσθανομένου καὶ ἄλλον αἰσθάνεσθαι, 1, 16), che presentino identici caratteri morali (ἀγαθοῦ ὄντος ἀγαθὸν ἐκεῖνον εἶναι, 1, 17), che siano entrambi guidati dagli stessi desideri (ἐπιθυμοῦντος ἐπιθυμεῖν, 1, 17-18). Questa prima argomentazione ha

piuttosto è divisibile nel senso che è in tutte le parti in cui è presente, ma è anche indivisibile per il fatto di trovarsi tutta intera in ogni qualsiasi parte in cui è»; per uno studio dettagliato su questo trattato rimando alle pagine di M. Chappuis, (sous la traduction de) Plotin, Traité 4, IV, 2, Les Éditions du Cerf, Paris 2006.

89 I principali contendenti in questo dibattito erano sicuramente gli assunti stoici sulla natura corporea

dell'anima come si è ampiamente visto in Enn. IV, 7 (2), in particolare il capitolo 5, 34-37, dedicato alla dimostrazione che l'anima non è, contrariamente al corpo, né grandezza né quantità. Le argomentazioni sembrano anticipare quelle che stiamo analizzando: «se è così, la grandezza non contribuisce per nulla all'essenza dell'anima; e tuttavia dovrebbe, se l'anima è una certa quantità. Inoltre, l'anima è intera in molti luoghi, e questo per il corpo è impossibile: essere lo stesso, intero in molti luoghi ed essere come parte uguale all'intero».

90 Per uno sviluppo su questi argomenti rimando al cap. 1 n. 19.

91 L'assunto stoico a cui si oppone il nostro pensatore è quella secondo cui tutte le anime deriverebbero da

un'anima unica e corporea: tale derivazione è in realtà una divisione quantitativa e una partizione (ὄγκῳ μεμερισμένη). Su questo argomento rimando a L. Brisson, Entre..., pp. 103-104; J.-B. Gourinat, Les stoïciens et l'âme, Presses Universitaires de France, Paris 1996, p. 17 e ss.

certamente gioco facile, poiché rivendica una specificità individuale palesemente riscontrabile in ciascuno e da ciascuno. Tuttavia, la questione si rivela ben più complessa allorché se ne traggano le conseguenze, non più soltanto dal punto di vista del singolo, ma al livello del tutto: infatti, non solo due individui proverebbero le medesime affezioni, ma così ogni individuo, l'un l'altro e tutto l'universo (ὁμοπαθεῖν ἡμᾶς τε πρὸς ἀλλήλους καὶ

πρὸς τὸ πᾶν, 1, 18-19); di modo che il patire di uno sarà simultaneamente avvertito dal tutto

(ὥστε ἐμοῦ παθόντος συναισθάνεσθαι τὸ πᾶν, 1, 18-19).

Si delineano in questo modo le due dimensioni complementari e problematiche di cui l'assunto dell'unità dell'anima deve essere capace di rispondere, evitando un indebito assorbimento dell'una nell'altra: quella individuale, che per essere mantenuta esige che la specificità di ciascuno sia data e garantita; e quella universale, che impone una riflessione sul legame che tiene insieme tutte le cose.

Il passo considerato costituisce un tentativo proprio in questa direzione: ammesso che unico e identico sia il principio psichico, da ciò non consegue che due individui siano identici, come lo dimostra la diversità nei movimenti e nelle affezioni di ciascuno (οὐ τὰ

αὐτὰ πάθη ἕξει ἐν ἑκατέρῳ, 2, 3-4); diversità di movimenti e affezioni che deve essere

ricondotta a quella relazione singolare che l'anima intrattiene col corpo, e attribuita in ultima istanza proprio a quest'ultimo: il corpo, infatti, risulta specifico in ciascun vivente92.

Certo, con ciò non si vuole sostenere che sia il corpo a sentire: questo è, infatti, soggetto al patire e al mutamento, ma in alcun modo si potrebbe asserire che, anche in relazione ad uno stesso corpo, sia una mano a sentire le affezioni dell'altra (οὐδὲἐπὶ τοῦ ἑνὸς σώματος

τὸ τῆς ἑτέρας χειρὸς πάθημα ἡ ἑτέρα ᾔσθετο, 2, 9); ma è, invece, l'anima che è in tutto il

corpo a sentire (ἀλλ' ἡ ἐν τῷ ὅλῳ, 2, 9-10)93. Così, ciò che si origina e proviene dal corpo

costituisce, per così dire, un dato specifico pur se ad avvertirlo è un principio unico; come lo testimonia il fatto che solo nel caso due anime facessero riferimento a un corpo unito (συνημμένον σῶμα, 2, 11), sentirebbero entrambe la stessa cosa (συναφθεῖσαι ἑκατέρα

ᾔσθετο ταὐτόν, 2, 12).

Pur se si considera l'unità di tutte le anime, è soltanto in virtù di quella relazione speciale che la natura psichica ha col corpo che può essere spiegata quella specificità che consente alla nostra trattazione di esprimersi secondo un ''io'' e un ''tu''.

Va comunque rilevato che il riferimento al legame dell'anima col corpo è capace di rispondere solo al primo aspetto della questione, cioè la necessità che i viventi particolari possano considerarsi nella loro specificità; rimane ancora da capire in che modo si può ammettere che sia un'unica e sola anima a sentire ciò che, per così dire, si produce in corpi diversi, e quali siano le conseguenze di quest'unico sentire: il problema non può dunque che essere affrontato secondo quella dimensione universale che impone l'indagine sul

92 Potremmo aggiungere che anche nel caso del corpo la sua specificità è da ascrivere alla differenza delle

ragioni formali di cui partecipa; si veda su questo argomento: L. Brisson, Entre..., pp. 87-111.

93 Si può parlare infatti di sensazione facendo riferimento a due aspetti distinti: da un lato l'affezione e

l'impronta che il corpo subisce per l'azione di altri corpi; dall'altro il sentire vero e proprio quale attività dell'anima che coglie l'affezione corporea; senza una realtà psichica incorporea il processo percettivo, nell'ottica del nostro pensatore, non può avere luogo, cfr. IV, 2 (7), 5; su questo argomento si veda lo studio di E. K. Emilsson, Plotinus on Sense-Perceprion, A Philosophical Study, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 63 e ss.

legame simpatetico che mette in relazione tutte le cose.