• Non ci sono risultati.

3.3 Il movimento e la natura dell'anima (2, 20-5, 25)

Analizziamo un altro passo in cui viene dimostrata la compatibilità fra la differenza nei caratteri morali e l'assunto dell'unicità dell'anima:

«Non è assurdo, dunque, che in me sia la virtù, in un altro la malvagità se non è possibile che la stessa natura sia in movimento in un individuo e in quiete in un altro. Né diciamo che questa natura è una così da non essere per nulla parte del molteplice, -questo infatti dobbiamo attribuirlo a una natura superiore- ma diciamo piuttosto che è una e molteplice, e che partecipa della natura che diviene divisibile nei corpi e dall'altra parte dell'indivisibile, così che di nuovo è una soltanto». «ἀλλὰ συμπάσχειν μὲν οὐκ ἄτοπον οὐδὲ ἀπογνωστέον, τύπωσιν δὲ αἰσθητικὴν οὐκ ἀναγκαῖον γίγνεσθαι. ἀρετὴν δὲ ἐν ἐμοὶ ἔχειν, κακίαν δὲ ἐν ἑτέρῳ οὐκ ἄτοπον, εἴπερ καὶ κινεῖσθαι ἐν ἄλλῳ καὶ ἐν ἄλλῳ ἑστάναι ταὐτὸν οὐκ ἀδύνατον. οὐδὲ γὰρ οὕτως μίαν λέγομεν ὡς πάντη πλήθους ἄμοιρον - τοῦτο γὰρ τῇ κρείττονι φύσει δοτέον - ἀλλὰ μίαν καὶ πλῆθος λέγομεν, καὶ μετέχειν τῆς φύσεως τῆς περὶ τὰ σώματα μεριστῆς γινομένης καὶ τῆς ἀμερίστου αὖ, ὥστε πάλιν εἶναι μίαν» (2, 20-28).

Siamo difronte all'ultima occorrenza del termine in oggetto alla nostra ricerca: il richiamo letterale ci riporta al primo passo analizzato:

i. ancora una volta l'esortazione è quella a non considerare impossibile, οὐκ

ἀδύνατον (2, 23-24) che qualcosa di ταὐτὸν (2, 23) possa essere presente in due

individui diversi: ciò che è identico è in movimento nell'individuo che si muove,

κινεῖσθαι ἐν ἄλλῳ (2, 23), e immobile in quello che non si muove, ἐν ἄλλῳ ἑστάναι (2, 23).

È necessario sottolineare come nel passo analizzato in precedenza il movimento e l'assenza di movimento apparivano tanto in relazione ai singoli individui quanto a ciò che permaneva in essi; qui, invece, appare direttamente il secondo tipo di riferimento: bisogna considerare l'anima come ciò che è ταὐτὸν nei due individui, nonostante questa sia in un caso in movimento e nell'altro immobile, nonostante in un caso sia in essa presente il vizio e nell'altro la virtù (ἀρετὴν δὲ ἐν ἐμοὶ ἔχειν, κακίαν δὲ ἐν ἑτέρῳ, 2, 22-23)99.

99 Sulla concezione plotiniana di virtù rimando allo scritto I, 2 (19); per uno studio su questo argomento si

vedano gli studi di: J. M. Rist, Plotinus and virtue, in: Id. Eros and Psychè. Studies on Plato,Plotinus and Origen, Univ. of Toronto Press, Toronto 1964, p. 169-191; J. Dillon, Plotinus, Philo and Origen on the Grades of Virtue,

La trattazione sembra nuovamente insistere sulle considerazioni elaborate in precedenza: il richiamo al vizio e alla virtù sembra voler accentuare ulteriormente come una differenza nei caratteri morali, nei desideri e nelle sensazioni possa andare di pari passo con l'assunto che tutte le anime non siano che una.

Come questo sia possibile è ora chiarito mediante la caratterizzazione puntuale della natura dell'anima e su come debba intendersi la sua unità: è precisato, infatti, che il suo essere una, μία, non va in alcun modo confuso con quell'unità assoluta che appartiene alla natura superiore: la sua è un'unità che implica pluralità (μίαν καὶ πλῆθος, 2, 26).

Per spiegare la natura una e molteplice dell'anima il ricorso esegetico è alla celebre formula del Timeo: unità e molteplicità dell'anima sarebbero il risultato della sua partecipazione, μετέχειν (2, 26) a due nature: una che diviene divisibile nei corpi (φύσεως

τῆς περὶ τὰ σώματα μεριστῆς, 2, 26-27), e l'altra che permane indivisibile (τῆς ἀμερίστου,

2, 28) e che rende l'anima nuovamente una (ὥστε πάλιν εἶναι μίαν, 2, 28)100. Nel dialogo

platonico si legge che le due nature erano adoperate dal Demiurgo nella costituzione dell'anima del tutto: la loro mescolanza, assai complessa, era capace di rendere conto della struttura dell'anima e della sua articolazione, nonché del suo ruolo intermedio fra i due piani dell'essere.

La ripresa plotiniana di questa formula spiega la composizione dell'anima, la sua capacità di rimanere incorporea e indivisibile e tuttavia di essere presente al corpo: l'anima è in questo senso divisa, ma non quantitativamente come lo sono i corpi, ovvero è tutta intera in tutte le parti del corpo. Ed è proprio in ragione di questa natura che l'anima vivifica e si prende cura dei singoli viventi, addirittura espletando in diverse parti del corpo funzioni specifiche, funzioni che non potrebbero neanche darsi se non mantenesse nello stesso tempo la propria unità e indivisibilità rispetto al corpo101.

Così, ciò che è indivisibile in lei, ἀμέριστον (3, 11) occupa il rango della ragione, mentre ciò che si divide nel corpo, pur essendo uno e identico, è dovunque diviso e dà luogo alla potenza nutritiva e sensitiva (3, 15-16)102.

in: H. D. Blume, F. Mann (éd.) Platonismus und Christentum (Festschrift für Heinrich Dörrie), Münster, pp. 92-104; P. Kalligas, Living Body, Soul, and Virtue in the Philosophy of Plotinus, «Dionysius», 18 (2000), pp. 25- 37.

100 Il richiamo è a Platone, Tim. 35 A; sul significato di questo passaggio all'interno del dialogo rimando il

lettore interessato a: F. M. Conford, Plato Cosmology. The Timaeus of Plato translated with a running commentary, London 1937; questa formula platonica è già citata quasi letteralmente nello scritto prcedente, IV, 2 (4), 2, 49-52; la sua ripresa risulta frequente nell'opera plotiniana come dimostra P. Henry, H.-R. Schwyzer, Plotini..., Index Fontium, p. 361-364; per uno studio sulla rielaborazione plotiniana di questo passo rimando a: H.-R. Schwyzer, Plotins Interpretation von Timaios 35 A, «Rheinisches Museum» LXXIV, 1935, 360-368; J.M. Charrue, Plotin lecteur de Platon, Les Belles Lettres, Paris 1978, pp.141-155; T. Leinkauf, C. Steel (a cura di), Plato's Timaeus and the Foundations of Cosmology in Late Antiquity, the Middle Age and Renaissance, Leuven University Press, Leuven 2005; E. K. Emilsson, Soul and μερισμός, in: R. Chiaradonna, Studi sull'anima in Plotino, Bibliopolis, Napoli 2002, pp. 79-94.

101 Così la natura dell'anima assicura la sua unità rispetto al corpo -ovvero la possibilità che l'anima non si

divida in esso-, e rispetto ai dati che le giungono dal corpo: infatti perché si dia la sensazione è necessario che l'entità che riceve le affezioni sia unica, come si è visto in IV, 7 (2), 6, 8-15.

102 Questa formulazione è ripresa e ampliata nello scritto IV, 3 (27), 19, 27-30: «sono dunque due cose

La natura divisibile e indivisibile dell'anima è dunque ciò che rende ragione della sua unità e molteplicità. Per comprendere come tutto ciò possa darsi è necessario il riferimento all'unità del fondamento, riferimento espresso ancora una volta attraverso l'insegnamento del Timeo103: tutte le anime provengono dall'anima universale (ἐκ τῆς τοῦ παντὸς καὶ ἡ ἐμὴ

καὶ ἡ σή, 1, 10-11); queste sono ricondotte tutte quante a quell'anima che è una (ἐκ ψυχῆς μιᾶς, 1, 11), e che restando nella sua interezza (μενούσης μὲν ὅλης, 4, 4), è capace da se

stessa (παρ' αὐτῆς, 4, 4-5), di produrre molteplici anime (μένουσα οὐσία πολλὰς ποιοῖ ἐξ

αὐτῆς, 4, 6): questo è il principio unico delle anime (μία ἀρχὴ ψυχῶν, 1, 22-23), e ciò che

rende l'universo uno (πᾶν ἓν, 1, 22).

Così, prima di quell'anima unica e identica che si trova in molti corpi, ve n'è una che è unica anteriormente (μίαν πρότερον, 4, 7-8), e che non si trova divisa nei corpi; e le molteplici anime non si generano da questa per partizione: ciò si verificherebbe solo se quest'anima fosse corpo: infatti, in questo caso sarebbe necessario che le molteplici anime si generassero come parti di questo corpo (ἀνάγκη μεριζομένου τούτου τὰς πολλὰς

γίγνεσθαι, 4, 9-10), ciascuna risultando così diversa da ogni altra (ἄλλην πάντη οὐσίαν, 4,

10).

Al contrario: la natura di quest'anima è ἀσώματόν (4, 25), e tutte le anime si generano da questa secondo un unica forma, κατὰ τὸ εἶδος (4, 14-15), e tutte quante sono una rispetto al genere (μίαν τῷ εἴδει ψυχὰς εἶναι, 4, 15); è come un'immagine ovunque ripetuta di un'anima unica che resta nella sua unità (εἴδωλον οὖσα πολλαχοῦ φερόμενον τῆς ἐν ἑνὶ

μιᾶς, 4, 18-19), o come l'impronta di un unico sigillo in molti pezzi di cera (4, 20).

In questo senso, quella dell'anima è una sostanza che inerisce alle altre sostanze (οὐσία

μία ἐν πολλαῖς, 5, 1); è una realtà unica capace di donarsi alle altre cose senza donarsi (μίαν δοῦσαν ἑαυτὴν εἰς πλῆθος καὶ οὐ δοῦσαν, 5, 4), cioè di offrire se stessa restando una (ἱκανὴ γὰρ πᾶσι παρασχεῖν ἑαυτὴν καὶ μένειν μία, 5, 4-5)104, di estendersi a tutte le cose restando

coem un intero composto di parti, ognuna delle quali è pura e separata nel suo potere»; la parte razionale e indivisibile dell'anima è eternamente rivolta all'Intelligenza, mentre un'altra parte preocede da questa, e vanza verso il sensibile per dargli forma e vita; su questo argomento rimando all'analisi di W. Helleman- Elgersma, Soul-sisters. A Commentary on «Enneads» IV, 3 (27) (27), 1-8 Plotinus, Amsterdam 1980.

103 Cfr. Platone, Tim. 41 D-42 A, cfr. supra n. 17. Sul problema di come si debba intendere il rapporto fra le

singole anime, l'anima del mondo e l'anima ipostasi, rimando il lettore interessato a un'ampia e variegata bibliografia: A. H. Armstrong, Plotinus. From Intellect to Matter: The Return to the One. A) Soul and the material world, in: Id. (ed by), The Cambridge History of Later Greek and Early Medieval Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 1967, pp. 250-258; W. Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen Philosophie und ihrer Wirkunggeschichte, V. Klostermann, Frankfurt 1985, trad. it.: Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, introduzione di G. Reale, trad. di M.L. Gatti, Vita e Pensiero, Milano 1991, pp. 81 ss.; H. J. Blumenthal, Soul, World-Soul and Individual Soul in Plotinus, in: P. M. Schuhl et. P. Hadot (éd.), Le Néoplatonisme. Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique, Royaumont, 9-13 juin 1969 Paris 1971, pp. 55-66; M. L. Gatti, Plotino e la metafisica della contemplazione, Cusl, Milano 1982; A. Pazzi, Alcuni aspetti dell'Anima in Plotino, in «Rivista di Filosofia neo-scolastica», 71 (1979), pp. 290-305; H.-Ch. Puech, Position spirituelle et signification de Plotin, in «Bullettin de l'Association Guillame Baudé», 61, (1938), pp. 3-36; si veda inoltre: J. Trouillard, La procession plotinienne, Presses Universitaires de France, Paris 1955; É. Bréhier, La philosophie de Plotin, PUF, Paris 1928.

104 È permanendo in sé stessa che l'anima si fa molteplice; su questo argomento rinvio a: A. H. Armstrong,

Emanation in Plotinus, «Mind», 46 (1937), pp. 61-66; C. Rutten, La doctrine des deux actes dans la philosophie de Plotin, «Revue philosophique de la France et de l'étranger», 146 (1956), pp. 100-106; J. Y. Blandin, Penser

nello stesso tempo indivisa (δύναται εἰς πάντα ἅμα καὶ ἑκάστου οὐκ ἀποτέτμηται πάντη, 5, 5-6); è l'identico nel molteplice (τὸ αὐτὸ οὖν ἐν πολλοῖς, 5, 6-7). L'immagine più esemplificativa è quella del seme: in questo, che pure è uno vi sono molteplici potenze (ἐν

τῷ σπέρματι πλείους αἱ δυνάμεις καὶ ἕν, 3, 17-18); ed è proprio da un'unità siffatta che

proviene il molteplice (ἐξ ἑνὸς τούτου πολλὰ ἕν, 3, 18); il seme infatti è un tutto (σπέρμα

ὅλον, 5, 9) che non si divide nelle sue parti: queste, infatti, sono ciascuna a loro volta un

tutto (ἕκαστον ὅλον, 5, 10), che contribuisce a mantenere l'intero; ed è soltanto nella materia che interviene la divisione allorché si attua la generazione del corpo e del vivente che al seme consegue105.

Allo stesso modo l'anima è una e insieme molteplici potenze (πλείους δυνάμεις, 3, 16- 17): la facoltà nutritiva, θρεπτικόν (3, 23) è quella dà forma a tutte le cose (ἔδει πλάττειν, 3, 27): a livello cosmico è la stessa che subisce la sensazione, mentre nel singolo adempie alle funzioni biologiche primarie, e sono invece la sensazione e l'intelligenza a mettere in atto la capacità di giudicare (αἴσθησις ἡ κρίνουσα μετὰ νοῦ ἑκάστου, 3, 26-27)106; a riprova di una

tale natura la sua capacità di tornare all'unità e abbandonare il corpo una volta che venga meno la necessità delle funzioni che in esso espleta (ὅμως εἰς ἓν ἀνατρέχει ἀποστάντα τοῦ

σώματος, 3, 22-23).

In questo modo è possibile spiegare come il principio rimane unico pur essendo molteplice, adempiendo a funzioni particolari nei singoli viventi, i quali risultano in questo modo dotati di movimenti e percezioni, e caratteri morali specifici.

Ma per comprendere come una tale unità sia all'origine e comprenda in sé il molteplice è necessario fare appello a un'altra immagine, analoga per molti versi a quella della semenza: il paragone con la scienza; anche questa infatti è un tutto (ἐπιστήμη ὅλη, 5, 7-8), e sono le sue parti, non certamente a dividerla, ma anzi a mantenerne l'integrità (μέρη αὐτῆς ὡς

μένειν τὴν ὅλην, 5, 8). Infatti è solo quando è presente la materia che si ha divisione, mentre

nelle realtà di lassù le parti sono in atto tutte e nello stesso tempo (ἐνεργείᾳ ἅμα πάντα, 5, 16-17), e tutte sono l'intero: così, ogni parte della scienza che si vuole impiegare è immediatamente disponibile, e ha il potere di rendere presente il tutto (ἐνδυναμοῦται δὲ

οἷον πλησιάσαν τῷ ὅλῳ, 5, 18-19). Insomma, nella scienza intelligibile ogni parte è in atto e

contiene in potenza tutte le altre parti e l'insieme della scienza107.

Certo, a noi potrebbe sembrare che le singole parti e la totalità della scienza non siano la stessa cosa, che il singolo teorema non equivalga in alcun modo l'intero; ma ciò è dovuto al fatto che qui, è in atto solo la parte di cui s'intende disporre (κἀκεῖ ἐνεργείᾳ μὲν μέρος τὸ

προχειρισθὲν οὗ χρεία, 5, 13), ed è dunque questa che s'impone (τοῦτο προτέτακται, 5, 14),

c'est regarder en direction du Premier, in: M. Fattal (a cura di), Études sur Plotin, L'Harmattan, Paris 2000, pp. 129-148; G. Aubry, Puissance, trace et désir. L'équivocité de la dunamis et la réciprocité procession-conversion chez Plotin, in: P. Capelle, Expérience philosophique et expérience mystique, Cerf, Paris 2005, pp. 115-132.

105 Su questa immagine cfr., supra, n. 27.

106 Per un'analisi dettagliata sulle facoltà dell'anima si veda: H. J. Blumenthal, Plotinus..., p. 20-44.

107 In riferimento a questo esempio: V, 9 (5), 6, 2-10; VI, 9 (9), 5, 5-20; III, 9 (13), 2; VI, 4 (22), 16; VI, 2 (43) 20;

il legame fra genere e specie nella scienza è qui esemplificato mediante una particolare accezione del concetto di dunamis, in riferimento al quale rimando a II, 5 (25), e allo studio di J.-M. Narbonne, Plotin. Traité 25 (II, 5), Les éditions du Cerf, Paris, 1998; si veda sempre sul tema: G. Aubry, Dieu sans puissance, Dunamis et Energeia chez Plotin, Vrin, Paris 2006.

mentre le altre sono in potenza (τὰ ἄλλα δυνάμει, 5, 14) nascoste e implicite in lei, (λανθάνοντα καὶ ἔστι πάντα ἐν τῷ μέρει, 5, 15). Per questo non bisogna pensare che un teorema rimanga isolato da tutto il resto, e anzi lo scienziato deve essere in grado di individuare tale connessione profonda, derivando, ἀκολουθίᾳ (5, 23), un elemento dall'altro; a ciò si riduce la differenza fra un'asserzione scientifica e un semplice gioco da ragazzi: la prima contiene in potenza il tutto, ed è per questo che il geometra è capace di concatenare alle proposizioni scientifiche ciò che precede e ciò che consegue.

È tenendo conto dell'immagine esemplificativa della ἐπιστήμη che bisogna immaginare il rapporto fra le parti e il tutto nel caso dell'anima, sia che la si consideri in relazione al corpo che vivifica, sia che la si consideri in se stessa, come una realtà allo stesso tempo una e molteplice. E se l'uomo rimane incredulo difronte a una tale spiegazione riguardo i caratteri dell'anima, ciò è dovuto soltanto alla sua debolezza e a ciò che il corpo rende oscuro.

Lassù, invece, ciascuna cosa è chiara (ἐκεῖ δὲ φανὰ πάντα καὶ ἕκαστον, 5, 25).

3.4 Conclusioni

Il paragone con la scienza ha un'importanza determinante per la sua capacità di condurre il ragionamento a realizzare quel difficile passaggio da ciò che è più oscuro a ciò che è più chiaro, nel nostro caso di afferrare la vera natura psichica a partire da realtà individuali e concrete, calate nell'opacità del corpo e della materia.

Non deve dunque stupire che il punto di partenza di una trattazione a tal punto complessa e aporetica sia costituito dalla riflessione sull'anima di ciascuno: un “io” e un “tu” che costantemente s'interrogano e avanzano nelle argomentazioni servendosi di esempi a portata di mano, tratti, per così dire, dalla realtà circostante, da quel divenire che offusca il ragionamento e che sempre dev'essere superato.

Certo la verità da afferrare è tutt'altro che prossima o di facile coglimento.

L'unicità di tutte le anime, -questo strano assunto che in me e in te possa esserci un identico principio-, è ciò che permette alla nostra anima di essere una, di non dividersi e scomporsi, di non distruggersi, come accade a ciò che è corporeo; e le consente anche di essere molteplice, di farsi presente al corpo esercitando in relazione ad esso funzioni specifiche: sostentamento, sensazione, movimento, desiderio etc. Fra tutte queste, l'attività percettiva è quella che meglio si presta ad affrontare e sciogliere la problematica che suscita l'assunto dell'unicità di tutte le anime. Nell'ambito del sentire devono, infatti, potersi dare tanto l'aspetto specifico – l'individuo che percepisce la realtà esterna tramite i propri sensi – quanto quello universale, del sentire comune, che prevede il legame simpatetico di tette le cose.

Per rendere ragione del primo aspetto è necessario operare una distinzione: infatti la specificità del sentire individuale è data dal patire del corpo che subisce un mutamento in relazione alla realtà circostante; è invece l'anima, divisa nel corpo ma pur sempre una e unica, ad attuare la percezione del dato sensibile.

Tale distinzione fra il patire del corpo (πάθος) e l'attività sensitiva dell'anima, è il riflesso di due domini estremamente eterogenei, quello del corporeo e quello dell'incorporeo, che

non vanno in alcun modo confusi. Infatti, non può in alcun modo accadere che una mano senta il patire dell'altra (2, 9); e due individui non presentano identiche affezioni, perché queste sono sempre relative alla specificità del corpo di ciascuno (2, 2). A sentire è invece l'anima; il problema si rovescia immediatamente nell'aspetto universale: il sentire particolare di ciascuno – se unica è l'anima di tutti e di tutte le cose – dovrebbe allo stesso tempo risultare il sentire di tutti.

Eppure, quella distinzione fra ciò che attiene il corpo, il patire, e ciò che attiene l'anima come realtà ἀσώματόν, il sentire, implica un mutamento radicale della questione della simpatia universale, soprattutto in riferimento alla sua formulazione in ambito stoico. Nell'universo concepito da quest'ultimi tutto è corpo, e la relazione simpatetica di tutte le cose va concepita in senso fisico, come interazione reciproca fra corpi, tutti uniti da un medesimo principio corporeo di coesione, il πνεῦμα.

Ora, la prospettiva plotiniana impone il ripensamento della teoria della simpatia fra tutte le cose, all'interno di un universo in cui tutto è ed è animato da un principio psichico incorporeo: infatti, come si diceva anche in precedenza, non sono i corpi a sentire, ma l'anima.

La portata di tale ripensamento è tutta racchiusa in un esempio elementare e a noi estremamente vicino: nei mastodontici abitanti del mare, così come in noi, può accadere che l'affezione di una parte non sia avvertita dal tutto, ma ciò che dal tutto proviene al singolo risulta più chiaro, σαφέστερα (2, 32), mentre non è per nulla evidente, ἄδηλον (2, 33), se la sensazione che ci riguarda confluisce nell'intero.

Certo, tutto è unito, perché unico è il principio di tutte le cose: come un unico sigillo in innumerevoli pezzi di cera, dalle forme che determinano la materia, a quelle che qualificano i corpi e animano i viventi, tutto è prodotto e ordinato dall'anima108 a immagine di quel

cosmo vivente e perfetto di lassù. La simpatia è frutto proprio di questa affinità fra tutte le cose: così anche la percezione si realizza per una certa somiglianza fra l'organo corporeo e l'oggetto percepito109; una sorta di risonanza di parti simili dell'universo che rispondono:

così formule magiche e incantesimi sono capaci di sortire un certo effetto, gli astri hanno il potere d'influire sul corso degli eventi, e due o più individui sono capaci di provare un'emozione reciproca anche a grande distanza.

108 Qui il riferimento è alla natura concepita come attività produttrice razionale: la materia è logos che

fornisce la materia sensibile di forma; su questo argomento rimando a M. Fattal, Logos et image chez Plotin, L'Harmattan, Paris 1998, pp.25 e ss.; id., Ricerche sul logos da Omero a Plotino, nella traduzione italiana di R. Radice, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. 168 e ss.; J. M. Rist, Plotinus. The Road to Reality, Cambridge university Press, Cambridge 1967, pp. 84-102; M. I. Santa Cruz de Prunes, La genése du monde sensible dans la philosophie de Plotin, Presses Universitaires de France, Paris 1978, pp. 51-88; S. Mattei, Plotino sulla generazione degli enti fisici, dalla necrosis il gennema (Enneadi III 8, 2, 28-32), in «Rivista di cultura classica e medioevale» 2009, 2, pp. 361-372; J. N. Deck, Nature, Contemplation and the One: a study in the philosophy

of Plotinus, University of Toronto Press, Canada 1967.

109 Si veda su questo argomento il trattato IV, 5 (29) in cui vengono analizzate le modalità percettive della

vsione e dell'udito; su questo argomento rimando a: H. J. Blumenthal, Plotinus' Psychology..., pp. 67-79; G. H. Clark, Plotinus Theory of Sensation, «The Philosophical Review», 51, 4, (1942), pp. 357-382; E. K. Emilsson, Plotinus..., pp. 36-82; A. Pigler, Les éléments stoïciens de la doctrine plotinienne de la connaissance (traité 29), in: J.-B. Gourinat (éd.), G. Romery Dherbey (études sous la direction de), Les Stoïciens, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 2005.