• Non ci sono risultati.

5.2 Movimento, memoria, immaginazione (25, 1-32, 27)

Viene ora indagato un ulteriore problema connesso al tema della discesa dell'anima nel corpo, quindi all'occasione dell'abbandono dello stesso: la memoria226. Una volta messo in

luce in che modo l'anima, attraverso la parte preposta, si prende cura del corpo, si passa a considerare se l'abbandono delle realtà di quaggiù comporti o meno la cessazione del ricordo: il tentativo è quello di stabilire se soltanto alcune anime abbiano memoria mentre altre no, se vengano trattenuti dati particolari mentre altri no, se i ricordi siano piuttosto

222 Come sostiene J. M. Dillon, H. J. Blumenthal, Ennead..., p. 272-273, intravvedendo l'origine di una tale

teoria sul sistema nervoso «none of this, of course, was known to Plato, but was a discovery of the Hellenistic physicians Herophilis of Chalcedon and Erasistratus of Ceos in Alexandria in the first half of the third century B. C. Plotinus probably derived his knowledge of the nervous system from the works of Galen».

223 Ivi, p. 273 indica il riferimento a Platone, Tim., 44 d e.

224 Sullo stesso argomento: III, 6 (26), 4, 43-52; cfr. Aristotele, De anim., II 12 427 a 4-6. 225 Cfr. III, 6 (26), 3, 12-16.

226 In riferimento alla memoria nella trattazione plotiniana rimando a: E. Warren, Memory in Plotinus,

«Classical Quarterly», 15 (1965), pp. 252 260; H. J. Blumenthal, Plotinus'..., p. 80-88; C. Guidelli, Note sul tema della memoria nelle “Enneadi” di Plotino, «Elenchos», 9 (1988) pp. 75-94.

fugaci o permangano per sempre.

«Ma poi l'anima avrà anche necessariamente il ricordo dei suoi propri movimenti, per esempio di ciò che ha desiderato e non ha goduto quando l'oggetto del desiderio non ha neppure raggiunto il corpo. Come potrebbe parlare il corpo di ciò che non lo ha raggiunto? O come potrebbe l'anima ricordare con l'aiuto del corpo ciò che il corpo naturalmente non è affatto in grado di conoscere?».

«ἀλλὰ μὴν καὶ τῶν αὐτῆς κινημάτων ἀνάγκη μνήμην αὐτῇ γίγνεσθαι, οἷον ὧν ἐπεθύμησε καὶ ὧν οὐκ ἀπέλαυσεν οὐδὲ ἦλθεν εἰς σῶμα τὸ ἐπιθυμητόν. πῶς γὰρ ἂν εἴποι τὸ σῶμα περὶ ὧν οὐκ ἦλθεν εἰς αὐτό; ἢ πῶς μετὰ σώματος μνημονεύσει, ὃ μὴ πέφυκε γινώσκειν ὅλως τὸ σῶμα; » (26, 34-39).

Osserviamo una nuova occorrenza di κίνησις:

i. alla l. 26, 34 il nostro sostantivo si riferisce ai movimenti dell'anima, in particolar modo al movimento di desiderio, αὐτῆς κινημάτων [...] οἷον ὧν ἐπεθύμησε227.

I movimenti dell'anima, in particolar modo il desiderio, sono qui menzionati in riferimento alla possibilità di attribuire all'anima che si separa dal corpo una qualche forma di ricordo della sua vita terrestre.

La premessa di una tale indagine è costituita dalla specificazione di “memoria” e “reminiscenza”, che costituiscano due attività completamente distinte per due ragioni ben precise; l'ἀνάμνησις228 non ha nulla a che vedere col tempo (25, 33-34) e nell'esercitarla le

anime mettono in atto ciò di cui sono dotate (25, 31-32); la memoria, invece, sembra esplicarsi in una dimensione temporale: la prima connotazione che le viene attribuita è quella di somigliare a un qualcosa di acquisito (ἐπικτήτου τινὸς, 25, 11), come lo sono l'apprendimento e l'affezione (μαθήματος ἢ παθήματος, 25, 11). Per queste ragioni la memoria non appartiene al novero dei τοῖς ἀπαθέσι, né a quelle realtà che sono fuori dal tempo229: infatti, quelle realtà divine come l'Intelligenza, poiché sono perfette e complete,

non necessitano che nulla le si aggiunga; per di più, la loro dimensione è quella dell'eterno e pertanto non partecipano del “prima” e del “poi”. Se non sono in alcun modo nel tempo non hanno neppure memoria.

Dalle considerazioni appena svolte risulta evidente che l'indagine sulla memoria deve rivolgersi alla dimensione sensibile: ora, poiché siamo noi a ricordare, è necessario scoprire in quale parte di noi ha sede la memoria, se a questa funzione sia deputata una facoltà della nostra anima o se sia coinvolto il vivente nella sua interezza.

Questa seconda opzione non viene scartata tout court: la sua analisi viene giustificata dalle opinioni di alcuni, che fra i viventi capaci di memoria includerebbero quelli dotati di

227 Cfr. III, 6 (26), 1-4; si veda la nostra analisi, supra, p. 46 e ss. 228 H. S.², vol. II, p. 44 rimanda a Platone, Phaed., 72 e 5-7.

sensibilità230; l'ipotesi che possa essere il vivente ad aver memoria è degna di esame sulla

base di un legame implicito fra memoria e sensazione; e poiché la sensazione è detta κοινὸν (26, 3), cioè si esplica nella relazione che l'anima intrattiene col corpo, appare del tutto fondato il dubbio che spinge a considerare la sede della μνήμη nel vivente.

Una prima distinzione è ribadita già al livello del processo sensitivo: mentre l'anima assume il ruolo di artigiano il corpo ha quello di strumento: mentre è quest'ultimo a patire, l'anima riceve le impronte, quelle che sono τοῦ σώματος, e quelle che sono διὰ τοῦ σώματος (26, 7), e le giudica. Inoltre tali τύπωσις231 sono οὐ μεγέθη (26, 29), non devono essere in

alcun modo paragonate alle impronte dei sigilli sulla cera, o al materiale plasmato; si tratta piuttosto di qualcosa di simile agli atti di pensiero, οἷον νόησις232, anche se atti di pensiero

rivolti alle cose sentite (ἐπὶ τῶν αἰσθητῶν, 26, 32).

A queste considerazioni va aggiunto che la memoria non può essere inquadrata in questa realtà comune, che nel modo suddetto vale per la sensazione: infatti la μνήμη opera esclusivamente in relazione a quelle impronte già assunte, conservate o rigettate, dall'anima nel processo percettivo (ψυχῆς ἤδη παραδεξαμένης τὸν τύπον, 26, 10-11).

Pertanto la memoria è esclusivamente dell'anima, certo pur sempre di quell'anima che si trova nel corpo (26, 26).

Che la memoria risulti una facoltà “sciolta” dal corpo è dimostrato proprio dal fatto che l'anima è capace di trattenere un ricordo anche di quei dati che non giungono tramite il corpo, ma appartengono esclusivamente all'anima, alla specificità della sua natura e delle sue azioni; l'anima ha memoria dei suoi movimenti, del desiderio che ha provato, sia che questo sia stato appagato o meno (26, 42), ma anche della propria coscienza, συναίσθησιν del proprio ragionamento riflessivo, della sua capacità di sintesi, σύνθεσιν e della sua attività intellettiva, οἷον σύνεσιν (26, 45-46)233.

La capacità mnemonica dell'anima di trattenere l'esperienza di certe attività, siano queste concepite nel più ampio spettro che va da quelle legate al sensibile a quelle più astratte, corrisponde a una determinata natura dell'anima che si presenta come φύσις αὐτῆς

οὐ τῶν ῥεόντων (26, 44); mentre il ruolo giocato dal corpo nella sensazione poteva vantare

una qualche dignità, nel caso della memoria risulta addirittura d'impaccio:

«ma per quello che concerne la memoria, anche il corpo le è d'impedimento; anche allo stato attuale, infatti, certe aggiunte provocano l'oblio, mentre da un'attività di eliminazione e purificazione emerge il ricordo. Inoltre poiché il ricordo permane, la natura del corpo necessariamente, in quanto morbida e fluida, è causa di oblio piuttosto che di memoria; così potrebbe essere interpretato il fiume Lete.

230 Cfr. Aristotele, De Anima, 408 b 28. 231 Cfr. SVF I, fr. 484; Platone, Teet., 191 b-d. 232 Cfr. III, 6 (26), 1, 15.

233 Questo termine compare già in III, 9 (13) 9, 13; qui lo si trova associato alla percezione di sé,

συναίσθησιν, che può essere definita anche coscienza di sé; si veda su questo termine H. J. Blumenthal, Plotinus'..., p. 126 e ss.; R. Violette, Les formes de la conscience chez Plotin, «Revues des études grecques», 107 (1994) pp. 222-237; F. M. Schroeder, Synousia, synaisthesis and synesis. Presence and Dependence in the Plotinian Philosophy of Consciousness, «Aufstieg und Niedergang der römischen Welt» 36, (1987), pp. 677- 699; E. Warren, Consciousness in Plotinus, «Phronesis», 9 (1964), pp. 83-97.

All'anima dunque riserviamo questa esperienza».

«μονῆς δὲ οὔσης αὐτῆς ἀνάγκη τὴν τοῦ σώματος φύσιν κινουμένην καὶ ῥέουσαν λήθης αἰτίαν, ἀλλ' οὐ μνήμης εἶναι: διὸ καὶ ὁ τῆς λήθης ποταμὸς οὗτος ἂν ὑπονοοῖτο. ψυχῆς μὲν δὴ ἔστω τὸ πάθημα τοῦτο» (26, 53-56).

Osserviamo in questo passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 26, 53 il nostro sostantivo è riferito al corpo, ed è associato ad un altro participio sostantivato, ῥέουσαν (26, 54), per indicarne la natura labile e transeunte, σώματος φύσιν κινουμένην καὶ ῥέουσαν (26, 53-54).

Di contro alla natura mobile ed effimera del corpo, la saldezza dell'anima viene rivendicata in termini diametralmente opposti (φύσις αὐτῆς [scil. ψυχῆς] οὐ τῶν ῥεόντων); così, questa natura del corpo causa dimenticanza (λήθης αἰτίαν, 26, 54)234, mentre quella

natura dell'anima è fonte di rimembranza.

Stabilito in questi termini che la memoria appartiene propriamente all'anima, è ora necessario precisare quale sia la facoltà deputata a farne esercizio (τίνι δυνάμει ψυχῆς τὸ

μνημονεύειν παραγίνεται, 27, 24-25). Le difficoltà di questa seconda indagine appaiono da

subito collegate al dominio estremamente ampio e variegato verso cui si rivolge la capacità di far memoria; non solo è possibile trattenere ciò che arriva dal corpo, ma anche l'apprendimento presuppone il ricordo; per non parlare del desiderio che si orienta verso gli oggetti di cui serbiamo memoria, e allo stesso modo l'ira si scaglia alla sola rievocazione di episodi irritanti. Insomma la memoria sembra interessare in vario modo la facoltà che si occupa delle attività conoscitive, quella sensitiva, la potenza desiderativa e irascibile235:

«ciò che gode di una cosa, si dirà infatti, non può essere distinto da ciò che nel desiderio ha il ricordo della cosa goduta. Pertanto, la facoltà del desiderio è eccitata da ciò di cui ha goduto quando l'oggetto del desiderio si ripresenta alla vista, evidentemente grazie alla memoria. Perché altrimenti non è eccitata alla vista di qualcos'altro, o non è ugualmente eccitata?».

«οὐ γὰρ ἄλλο μὲν ἀπολαύσει, φήσει τις, ἄλλο δὲ μνημονεύσει τῶν ἐκείνου. τὸ γοῦν ἐπιθυμητικὸν ὧν ἀπέλαυσε τούτοις κινεῖται πάλιν ὀφθέντος τοῦ ἐπιθυμητοῦ δηλονότι τῇ μνήμῃ» (28, 3-6).

Isoliamo nel nostro passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 28, 5 il verbo κινέω designa il movimento della facoltà desiderativa, movimento che corrisponde al desiderio delle cose di cui ha goduto,

ἐπιθυμητικὸν ὧν ἀπέλαυσε τούτοις κινεῖται; tale movimento è attivato dalla

234 Il riferimento è al fiume Lete, della dimenticanza, a cui fa riferimento Platone in Resp., X. 235 Cfr. H. J. Blumenthal, Plotinus'..., p. 22 e ss.

visione dell'oggetto di appagamento ad opera della memoria (28, 5-6).

Questo passo mette in evidenza il legame della memoria con le altre facoltà, e nello specifico con l'ἐπιθυμητικὸν: questa facoltà è mossa da ciò da cui ha tratto piacere e che le si ripresenta, chiaramente ad opera della memoria; ciò è avvalorato dal fatto che il suo movimento è riconducibile alla presenza di alcuni oggetti, mentre così non è quando ne ricorda altri.

Il termine κίνησις sembra proprio mettere in luce il trasporto dell'anima, tale connessione che si stabilisce fra il ricordo di un oggetto che è stato fonte di piacere e il suo ripresentarsi, sia esso inteso come un ripresentarsi tramite i sensi o tramite il ricordo.

Tuttavia non bisogna rischiare di confondere ciò che è proprio della facoltà sensitiva con ciò che è proprio della facoltà desiderativa, nonostante il legame che è emerso fra queste facoltà; in questo caso si cadrebbe nell'errore di assegnare a ciascuna facoltà ciò che è proprio di tutte le altre, e di definire ciascuna di esse semplicemente sulla base di ciò che è dominante. Bisogna invece stabilire certo dei legami ma anche delle distinzioni fra queste facoltà:

«In realtà la sensazione spetta ad ogni facoltà diversamente. Per esempio, vede la vista, e non la parte che desidera, e tuttavia la parte che desidera è mossa dalla sensazione, come a causa di una trasmissione, non così da saper dire di quale sensazione si tratti, ma così da esserne affetta inconsapevolmente. E riguardo all'impeto, la vista vede chi compie l'offesa, ma l'impeto già si è levato, come quando il pastore vede il lupo avvicinarsi al suo gregge e il cane, solo all'odore o al rumore, senza aver visto nulla coi propri occhi si agita».

«ἢ αἴσθησιν ἄλλως ἑκάστῳ· οἷον εἶδε μὲν ἡ ὅρασις, οὐ τὸ ἐπιθυμοῦν, ἐκινήθη δὲ παρὰ τῆς αἰσθήσεως τὸ ἐπιθυμοῦν οἷον διαδόσει, οὐχ ὥστε εἰπεῖν τὴν αἴσθησιν οἵα, ἀλλ' ὥστε ἀπαρακολουθήτως παθεῖν. καὶ ἐπὶ τοῦ θυμοῦ εἶδε τὸν ἀδικήσαντα, ὁ δὲ θυμὸς ἀνέστη, οἷον εἰ ποιμένος ἰδόντος ἐπὶ ποίμνῃ λύκον ὁ σκύλαξ τῇ ὀδμῇ ἢ τῷ κτύπῳ αὐτὸς οὐκ ἰδὼν ὄμμασιν ὀρίνοιτο» (28, 9-16).

Osserviamo una ulteriore occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 28, 10 il verbo κινέω designa il movimento della facoltà desiderativa a causa di quella sensitiva, παρὰ τῆς αἰσθήσεως τὸ ἐπιθυμοῦν.

È sottolineato il legame fra la parte concupiscibile dell'anima e quella sensitiva: la prima infatti si muove παρὰ τῆς αἰσθήσεως (28, 11), ed è come se tale movimento rispondesse alla trasmissione della sensazione; tuttavia la facoltà desiderativa, coinvolta nel modo suddetto dalla sensazione, non è in grado di “discernere” la sensazione, me ne risulta affetta inconsapevolmente (ὥστε ἀπαρακολουθήτως παθεῖν, 28, 12-13)236. Allo stesso modo vale

per la parte irascibile, che alla vista di ciò che le ha arrecato offesa si sprigiona; anche in

236 Il termine ἀπαρακολουθήτως va inteso in opposizione a παρακολούθησιν di ll. 26, 45. Si veda su questo

questo caso non è necessario che il θυμὸς sappia identificare la sensazione trasmessa per poter insorgere. Così anche nel caso del cane la cui reazione rispetto alla presenza del lupo non è suscitata dal riconoscimento (visivo) del pericolo: quest'ultimo infatti è avvertito per il tramite dell'odorato o dell'udito. La facoltà desiderativa, implicitamente anche quella irascibile, conservano una traccia di tali esperienze, ma non in termini di memoria ma nella forma, potremmo dire inconsapevole, di una disposizione e di un patire (διάθεσιν καὶ

πάθος, 28, 18).

Così è necessario distinguere fra quella parte dell'anima che prova piacere e quell'altra che lo constata e che ne conserva il ricordo (ἑωρακὸς τὴν ἀπόλαυσιν καὶ παρ' αὐτοῦ ἔχον

τὴν μνήμην τοῦ γεγενημένου, 28, 19-18): la prima, infatti, è sempre collegata a un

godimento, mentre la seconda può trattenere e ricordare anche a ciò che di spiacevole è accaduto.

Queste considerazioni valgono a mettere in luce come la memoria, pur interessandole, non appartenga né alla facoltà desiderativa né a quella irascibile, ma neppure a ciò che è preposto alla sensazione o al ragionamento. La memoria deve però essere propria ad una facoltà che sia in grado di conservare tanto ciò che ha a che veder con la sensazione, quanto ciò che riguarda apprendimento e ragionamento (τῶν μαθημάτων ἔσται καὶ τῶν

διανοημάτων, 29, 6)237.

Ora, ciò che la capacità mnemonica trattiene nell'esercizio di queste funzioni, ovvero il materiale con cui essa opera, altro non è che φάντασμα (29, 23), ed è per questo che proprio l'immaginazione238 risulta la facoltà adatta alla fissazione dei contenuti della memoria; da

un lato l'immaginazione è legata alla sensazione, poiché è in grado di aver presente una visione (πάρεστι τὸ ὅραμα, 29, 26) anche quando la corrispettiva sensazione è cessata: e questo altro non è che una forma di memoria.

Ma l'immaginazione ha anche a che fare col pensiero: infatti ogni atto di pensiero è percepito coscientemente come immagine, al permanere di questa come un'immagine del pensiero e in questo modo si ha memoria di ciò che si è conosciuto (30, 5). Tuttavia, finché il pensiero rimane interiore e nascosto non è divisibile in parti; è necessario invece che venga dispiegato, che si riveli come fosse un'immagine in uno specchio; la facoltà immaginativa opera nella percezione del discorso che accompagna i pensieri (τοῦ λόγου τοῦ τῷ νοήματι

παρακολουθοῦντος, 30, 6): è solo il linguaggio a compiere una tale esteriorizzazione,

traducendo il pensiero da un piano puramente intellettuale a quello immaginativo, rendendone così possibile la percezione, ἀντίληψις (31, 11) e la fissazione.

«Perciò inoltre benché l'anima sia sempre mossa verso l'attività del pensiero, solo quando quest'ultima giunge alla facoltà immaginativa è possibile per noi apprenderla. Una cosa infatti è l'atto del pensiero, un'altra è l'apprensione di quest'atto, e se noi pensiamo sempre, non

237 Come è sottolineato alle ll. 26, 40-45.

238 In riferimento al tema dell'immaginazione si veda: E. W. Warren, Imagination in Plotinus, «Classical

Quarterly», 16 (1966), pp. 277-285; H. J. Blumenthal, Plotinus'..., pp. 89-99; id. Plotinus' Adaptation of Aristotle's Psychology: Sensation, Imagination and Memory, in: R. Baine Harris (ed.), The Significance of Neoplatonism, International Society for Neoplatonic Studies, Norfolk, Virginia 1976, pp. 41-58; E. K. Emilsson, Plotinus..., pp. 107-112; M. Di Pasquale Barbanti, Ochema-pneuma e phantasia nel neoplatonismo. Aspetti psicologici e prospettive religiose, CUECM, Catania 1998.

sempre apprendiamo questa attività. La ragione è che ciò che la riceve accoglie non solo atti del pensiero ma d'altra parte anche sensazioni». «διὸ καὶ ἀεὶ κινουμένης πρὸς νόησιν τῆς ψυχῆς, ὅταν ἐν τούτῳ γένηται, ἡμῖν ἡ ἀντίληψις. ἄλλο γὰρ ἡ νόησις, καὶ ἄλλο ἡ τῆς νοήσεως ἀντίληψις, καὶ νοοῦμεν μὲν ἀεί, ἀντιλαμβανόμεθα δὲ οὐκ ἀεί· τοῦτο δέ, ὅτι τὸ δεχόμενον οὐ μόνον δέχεται νοήσεις, ἀλλὰ καὶ αἰσθήσεις κατὰ θάτερα» (30, 11-16).

Isoliamo l'ultima occorrenza del nostro termine:

i. alla. l. 30, 12 il verbo κινέω è riferito all'anima e al suo movimento con cui è etarnamente protesa all'intellezione, ἀεὶ κινουμένης πρὸς νόησιν τῆς ψυχῆς. Così l'anima è eternamente implicata in un movimento intellettivo, il quale tuttavia è percepito solo quando tradotto al livello immaginativo, appunto del discorso e dell'immagine. Infatti è necessario distinguere fra la νόησις e la sua percezione (νοήσεως

ἀντίληψις, 30, 14), dal momento che l'attività di pensiero è esercitata eternamente in virtù

di quella parte dell'anima che non è mai discesa239, mentre non sempre se ne ha coscienza240

(ἀντιλαμβανόμεθα δὲ οὐκ ἀεί, 30, 15-16); questa sorta di “intermittenza” della coscienza del pensiero è dovuta al fatto che la facoltà immaginativa talvolta è rivolta ai νοήσεις, talaltra agli αἰσθήσεις241.

5.3 Conclusioni

Nella prima parte del nostro scritto (cc. 10-18) l'impiego del termine κίνησις compare in relazione al tema della discesa dell'anima nel corpo; il movimento di discesa che le anime particolari intraprendono risulta al contempo tanto spontaneo quanto necessitato, in quanto corrisponde a quel λόγος che ordina tutte le cose e che ogni anima custodisce intimamente (10, 10; 12, 13). Si tratta di una concordanza fra esteriore e interiore, fra necessità che governa il tutto e propensione naturale: un unico principio che regola i cicli di salita e discesa, l'inclinazione verso un dato corpo piuttosto che un altro, ma anche tutto ciò che regola lo sviluppo del vivente e quei movimenti “spontanei” che attengono la sua natura (es. maturazione sessuale etc.). Questa prima parte dello scritto riecheggia fortemente le affermazioni di III (3) 1, in cui viene messo in luce come nella “necessità” trovano posto tanto le cause esteriori quanto quelle interiori, il caso, il movimento universale e lo spazio d'azione individuale; in questo modo va inteso l'assunto secondo cui «quella legislazione è l'intreccio dei principi razionali che governano questo mondo, di tutte le cause, dei

239 Cfr. supra, p. 13, n. 19.

240 Come dimostrato dalle pagine che riguardano la dimenticanza.

241 In riferimento alla coscienza: E. Warren, Consciousness in Plotinus, «Phronesis», 9 (1964), pp. 83-97; P.

Merlan, Monopsychism, Mysticism, Metaconsciousness. Problems of the Soul in the Neoaristotelian and Neoplatonic Tradition, Martinus Nijhoff, The Hague 1963; F. M. Schroeder, Synousia, Synaisthesis and syneis: Presence and Dependence in the Plotinian Philosophy of Consciusness, in: W. Haase, H. Temporini, Aufstieg und Niedergand der Römischen Welt 36.1, de Gruyter, Berlin-New York 1987; A. Smith, Unconsciousness and Quasiconsciousness in Plotinus, «Phronesis», 23 (1978), pp. 292-301.

movimenti dell'anima e delle leggi di lassù in accordo con quelle leggi, prendendo da là i principi e ricavando la trama di quanto da loro deriva» (15, 15, 17).

La seconda parte dello scritto (cc. 18-24) è dedicata al modo in cui bisogna intendere che l'anima è “nel” corpo; si tratta di comprendere in che modo “l'arte muove il suo strumento”, ovvero di spiegare, alla luce di una corretta concezione del rapporto fra anima e corpo, quale sia la corrispondenza fra movimenti dell'anima e movimenti del corpo. Si tratta del problema posto anche in III, 6 (26), e tuttavia lì affrontato all'insegna dell'assunto dell'impassibilità dell'anima. Tenuto conto della natura indivisibile dell'anima, divisibile soltanto rispetto al corpo, è possibile comprendere come questa sia ovunque presente nell'intero corpo, pur servendosi di specifiche localizzazioni corporee per l'espletamento di alcune attività; così il principio del movimento dell'organo, corrisponde al principio di attività della facoltà; ecco spiegato in che modo il pensiero di una imminente sciagura possa tradursi in un impulso ad opera della facoltà sensitiva o immaginativa, innescando così un movimento nei primi nervi e poi del sangue, il cui ritrarsi genera il pallore del volto (cfr. III, 6 (26), 4, 6-13).

Ciò è confermato anche dall'ultima parte dello scritto dedicata al tema della memoria (cc. 25-32) in cui è spiegato il movimento di alcune parti dell'anima ad opera del ricordo e dell'immaginazione, che spingono, ad esempio, il desiderio a muoversi verso ciò di cui ha già precedentemente goduto.