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1.3 Anche l'anima individuale è principio di movimento (12, 1 14, 13)

L'ultima occorrenza di κίνησις compare a sottolineare il legame sostanziale delle anime individuali e di quella universale; il riferimento polemico è ancora una volta contro coloro che, senza fornire spiegazione in merito (12, 3-4), asseriscono che solo la seconda sia

46 D. O'Brien, Immortal and Necessary Being in Plato and in Plotinus, in: J. Cleary (ed.), The Perennial Tradition

of Neoplatonism, Leuven University Press, Leuven 1997, pp. 39-103.

47 Considero, quindi la correzione che A. Longo, Plotin..., p. 93, sulla scia di Ph. Hoffman, apporta alla l. 11,

9, correggendo ἀποδεῖξαι con ἀποδέξασθαι, in quanto mi sembra che rispecchi maggiormente il contesto filosofico e argomentativo trattato (cfr. le ll.: 11, 3; 11, 9; 11, 14).

immortale48:

«Ancora, se diranno che ogni anima è corruttibile, tutto avrebbe dovuto già da tempo essere andato distrutto; se poi dicono che un'anima muore e un'altra no, per esempio l'anima dell'universo è immortale ma la nostra non lo è, devono fornirci la ragione. L'una e l'altra infatti sono principio di movimento, l'una e l'altra hanno vita per se stesse, e mediante la stessa facoltà sono unite alle stesse cose, pensando ciò che è in cielo al di là del cielo, indagando su tutto ciò che esiste secondo l'essenza e risalendo fino al principio primo».

«ἔτι εἰ πᾶσαν ψυχὴν φήσουσι φθαρτήν, πάλαι ἂν ἔδει πάντα ἀπολωλέναι· εἰ δὲ τὴν μέν, τὴν δ' οὔ, οἷον τὴν τοῦ παντὸς ἀθάνατον εἶναι, τὴν δ' ἡμετέραν μή, λεκτέον αὐτοῖς τὴν αἰτίαν. ἀρχή τε γὰρ κινήσεως ἑκατέρα, καὶ ζῇ παρ' αὑτῆς ἑκατέρα, καὶ τῶν αὐτῶν τῷ αὐτῷ ἐφάπτεται νοοῦσα τά τε ἐν τῷ οὐρανῷ τά τε οὐρανοῦ ἐπέκεινα καὶ πᾶν ὅ ἐστι κατ' οὐσίαν ζητοῦσα καὶ μέχρι τῆς πρώτης ἀρχῆς ἀναβαίνουσα» (12, 1-8).

Isoliamo l'ultima occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 12, 4 è ribadita la formula del Fedro utilizzata in 9, 6: in questo caso risulta riferita non solo all'anima del tutto ma anche alla nostra, ἀρχή τε γὰρ κινήσεως

ἑκατέρα [scil. ψυχὴν τοῦ παντὸς [...] ἡμετέραν].

Le anime particolari, come quelle dei demoni, degli dèi e degli uomini, sono principio di movimento e di vita, e quindi immortali; la consustanzialità fra anima individuale e anima cosmica è dimostrata, inoltre, dalla loro attività cognitiva: entrambe pensano l'essere sostanziale e ciò che sta ancora al di sopra. Nel caso dell'uomo un'ulteriore prova di ciò è data dalla reminiscenza, grazie a cui l'anima si risveglia alle realtà intelligibili eterne, di cui è essa stessa dimora. A ciò si aggiunge quanto è stato dimostrato in precedenza: l'anima non è né un composto né una massa, non può quindi essere sottoposta a frammentazione, scomposizione o distrutta. L'anima pur essendo una realtà intelligibile discende nel sensibile spinta da impulso e da desiderio, seguendo i quali avanza nella produzione di una realtà ulteriore; questa è dunque per un verso rivolta verso il sensibile, e per un altro si mantiene in contatto con l'anima del tutto, tenendosi fuori e al di sopra di ciò che governa e di cui si prende cura. Le anime particolari rispetto a quella cosmica sono sprofondate maggiormente nei corpi, ma anche in questo caso una parte di esse permane impassibile lassù: la loro intelligenza non è suscettibile di affezioni: «in tal modo l'immortale opera attraverso l'immortale, se è vero che l'Intelligenza sarà sempre in virtù di una inesauribile attività» (13, 19-21)49.

Anche la nostra anima è semplice e unitaria, immune da ogni corruzione50: la sua

48 Cfr. SVF II, fr. 89.

49 Affiora qui il tema della permanenza dell'anima nell'intelligibile; cfr. supra n. 38.

tripartizione non ne intacca l'immortalità delle componenti: «e se ci verranno a dire che anche l'anima dell'uomo, siccome è tripartita, è destinata a disgregarsi per la sua natura composita, anche noi converremo che quelle anime che si separano dopo essersi purificate abbandoneranno ogni concrezione che si era aggiunta al momento della nascita, mentre le altre continueranno a rimanere con essa per chissà quanto tempo» (14, 9-13).

Fra le anime particolari, poi, quelle che per colpe commesse si sono incarnate in bestie selvatiche, anch'esse sono comunque immortali, così come le anime delle piante, «tutte infatti hanno preso l'avvio dallo stesso principio: godono di una vita propria, sono incorporee, autonome e prive di parti e sostanze» (14, 7-8).

1.4 Conclusioni

All'interno del secondo scritto il movimento compare in prima istanza all'interno del lungo scontro dialettico che mira a difendere la natura corporea dell'anima: obbiettivo polemico sono quelle concezioni, soprattutto di matrice stoica, che relegano l'anima alla natura del corpo, e che arrivano a legare il destino dell'anima individuale alla morte.

La dimostrazione che l'anima sia ἀθάνατος - tanto la nostra quanto quella che è presente al tutto – richiede una ricerca che proceda con un metodo secondo natura, κατὰ φύσιν (1, 5), che arrivi a distinguere l'essere dell'anima dall'essere del corpo; la loro eterogeneità è velata sotto gli strati di concrezioni e aggiunte successive; e tuttavia questa eterogeneità non può essere colta se non nella relazione delle due nature: relazione di anteriorità ontologica dell'anima rispetto al corpo.

Tutto ciò è esemplificato a più riprese lungo tutta la trattazione nella distinzione fra ciò che è ἐπακτὸν e ciò che è ἐξ ἑαυτοῦ: il corpo riceve il proprio essere da altro: l'analisi della sua composizione non trova in se stessa la sua ragion d'essere; allo stesso modo il suo movimento unico, non è in grado di spiegare la varietà di movimenti che hanno luogo in esso: alterazione, crescita, sensazione sono esempi di movimenti in cui il corpo è coinvolto, ma soltanto alla maniera in cui un utensile prende parte alla realizzazione dell'opera dell'artigiano. Allo stesso modo, la qualità di cui un corpo dispone, non spiega l'esserci di molteplici qualità sia in vari corpi, sia nello stesso corpo addirittura contrarie.

Il ricorso in entrambi i casi è a una natura produttiva in grado di fornire il corpo del suo essere, di qualità, di movimento e vita; e tutto ciò rendendo partecipe il corpo del riverbero delle potenze dell'anima, i λόγοι.

In questo senso l'anima è principio del corpo, è infatti capace di donargli ciò che essa possiede in senso proprio, da se stessa: l'essere il movimento e la vita; l'anima dona movimento e vita al corpo, proprio perché questi coincidono con la sua stessa sostanza, l'essere autentico e assoluto; per questo la sua natura è semplice, incorporea, intelligibile e immortale.

L'anima è altra dal corpo, ne è causa e principio tramite quelle ragioni formali, anch'esse incorporee, che traducono la sua trascendenza in una presenza alla realtà inferiore; la complessa elaborazione esegetica plotiniana emerge proprio nella capacità produttiva

cui invece è soggetto ciò che è σύνθετον; il riferimento è alla concezione platonica dell'anima che troviamo in Platone, Phaed., 78 c 1-9.

dell'anima e dei λόγοι, interpretata, contrariamente all'orizzonte stoico, in chiave platonica: la capacità produttiva di tali realtà è infatti ancorata alla loro natura incorporea, intelligibile nonché al rapporto col proprio principio.

2 Il destino

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Il secondo trattato preso in considerazione nella nostra ricerca è il terzo secondo l'ordine cronologico stabilito da Porfirio52. Il titolo restringe al destino l'argomentazione del trattato che si rivela ben più

ampia essendo un'indagine dedicata alla causalità; il movimento, come avremo modo di mostrare, occupa in questo senso una delle sezioni privilegiate di questa ricerca; il tentativo principale sarà quello di chiarire il ruolo e l'attività dell'anima di ciascuno all'interno dello scenario della causalità.