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8.3 Il moto del cielo imita l'Intelligenza (3, 1-22)

L'attrazione del cielo verso l'anima, da cui dipende il suo eterno movimento di rotazione attorno al centro dell'universo riceve, all'interno di quest'ultima parte della trattazione, una vera e propria giustificazione sulla base delle potenze psichiche che avvolgono e ordinano il tutto:

«C'è un'ultima potenza dell'anima che proviene dalla terra ed è intrecciata per intero con l'universo; c'è poi una potenza che ha per natura propria la percezione ed è provvista di ragione opinante, si mantiene in alto nelle sfere celesti, è in contatto con la prima e le conferisce da se stessa la potenza capace di renderla più viva. La potenza inferiore viene quindi mossa da quella superiore, che la avvolge circolarmente e si appoggia su tutto quanto si innalza verso le sfere. Dunque, mentre la potenza superiore avvolge circolarmente quella inferiore, questa s'inclina e si volge verso essa, e volgendosi fa ruotare il corpo a cui è intrecciata».

«ἔστω δὲ καὶ ὧδε· τῆς ψυχῆς ἡ μέν τις δύναμις ἡ ἐσχάτη ἀπὸ γῆς ἀρξαμένη καὶ δι' ὅλου διαπλεκεῖσά ἐστιν, ἡ δὲ αἰσθάνεσθαι πεφυκυῖα καὶ ἡ λόγον δοξαστικὸν δεχομένη πρὸς τὸ ἄνω ἐν ταῖς σφαίραις ἑαυτὴν ἔχει ἐποχουμένη καὶ τῇ προτέρᾳ καὶ δύναμιν διδοῦσα παρ' αὐτῆς εἰς τὸ ποιεῖν ζωτικωτέραν. κινεῖται οὖν ὑπ' αὐτῆς κύκλῳ περιεχούσης καὶ ἐφιδρυμένης παντὶ ὅσον αὐτῆς εἰς τὰς σφαίρας ἀνέδραμε. κύκλῳ οὖν ἐκείνης περιεχούσης συννεύουσα ἐπιστρέφεται πρὸς αὐτήν, ἡ δὲ ἐπιστροφὴ αὐτῆς περιάγει τὸ σῶμα, ἐν ᾧ ἐμπέπλεκται» (3, 1-10).

i. Alla l. 6 del passo riportato troviamo una nuova occorrenza del nostro termine: il verbo κινέω è riferito ad una specifica potenza psichica: si tratta di quell'anima che viene per ultima, che origina dalla terra, ἐσχάτη ἀπὸ γῆς ἀρξαμένη (3, 2), e che è intrecciata attraverso il tutto, δι' ὅλου διαπλεκεῖσά ἐστιν (3, 2-3)378; questa

potenza è mossa da un'altra, κινεῖται οὖν ὑπ' αὐτῆς, che la avvolge circolarmente, κύκλῳ περιεχούσης (3, 7).

È la potenza vegetativa ad essere mossa ad opera di un'altra potenza psichica, la cui natura è auto-sensitiva e capace di opinione ragionevole: questa potenza si mantiene in alto, nelle sfere celesti, domina la prima anima e le conferisce la capacità di renderla più viva. È quest'anima sensitiva, appoggiata su quell'altra che giunge fino alle sfere celesti, ad abbracciare il tutto circolarmente (κύκλῳ περιεχούσης, 3, 7), e in questo modo a muovere la prima; la potenza vegetativa, attratta da questo avvolgimento rotatorio, si volge a quell'anima, e in questo suo rivolgimento trascina con sé il corpo a cui è intrecciata (περιάγει τὸ σῶμα, ἐν ᾧ ἐμπέπλεκται, 3, 10).

378 Sull'anima vegetativa si faccia riferimento a quanto emerso nei trattati IV, 3 (27), e IV, 4 (28). Inoltre l'espressione «διαπλέκειν» è una ripresa di Platone, Tim. 36 e 3, dove è usata per semplificare il modo in cui l'anima è intrecciata all'intero universo.

È solo in virtù del legame della potenza vegetativa con quella superiore, legame che è conversione dell'anima verso se stessa, movimento di avvolgimento dell'anima, che l'anima trascina con sé il corpo in questo movimento attrattivo verso se stessa.

Così come illustra l'esempio del movimento delle parti della sfera:

«infatti in una sfera, se una specifica parte si muove in un qualunque modo, qualora essa soltanto sia mossa, scuote il corpo di cui è parte e imprime il movimento alla sfera».

«ἑκάστου γὰρ μορίου κἂν ὁπωσοῦν κινηθέντος ἐν σφαίρᾳ, εἰ μόνον κινοῖτο, ἔσεισεν ἐν ᾧ ἐστι καὶ τῇ σφαίρᾳ κίνησις γίνεται» (3, 10-12).

Tutte e tre le occorrenze che rileviamo in questo passo sono impiegate nel paragone esplicativo del movimento della sfera:

i. alla l. 3, 11 il verbo κινέω designa il movimento di una parte, non importa quale, di una sfera, μορίου κἂν ὁπωσοῦν κινηθέντος ἐν σφαίρᾳ (3, 10-11);

ii. alla l. 3, 12 il nostro verbo è impiegato per designare il movimento di una parte della sfera, nel caso specifico il solo movimento di questa parte, [scil. μόριος] εἰ

μόνον κινοῖτο;

iii. la terza alla l. 3, 12: il nostro sostantivo è utilizzato per designare il movimento che si genera in tutta la sfera ad opera del movimento di quell'unica parte,

ἔσεισεν ἐν ᾧ ἐστι καὶ τῇ σφαίρᾳ κίνησις γίνεται.

L'esempio della sfera mette in evidenza come sia sufficiente il movimento, non importa di che natura, di una parte perché la sfera nella sua interezza prenda a muoversi. Allo stesso modo, preso un unico essere vivente – com'è il nostro cosmo – il movimento di una sua “parte” – l'anima – ha il potere di ingenerare il movimento dell'animale nella sua interezza379.

Rimane ancora da spiegare come il movimento dell'anima, che certamente è un movimento di altro tipo (1, 8), possa ingenerare il movimento del tutto che è anche corporeo; a questo proposito è fornito un ulteriore esempio che integra quello del movimento della sfera e che riguarda il modo in cui l'anima, che pure è dotata di un movimento diverso da quello del corpo, è capace di produrre in esso dei movimenti fisici e locali:

«perché anche nei nostri corpi, quando l'anima si muove in modo diverso dal corpo, come nei momenti di gioia e alla vista di un bene, si produce un moto del corpo che è anche un moto locale».

379 L'esempio della sfera, ma ancor più quello del cielo, richiedono, per poter essere spiegati che nessuna

delle parti sia separata dall'altra nel tutto. Vale però la pena di ricordare che la stessa continuità che è presente nel tutti (IV, 5 (29) 2) dipende da un'unità di altro tipo, ovvero quella che l'anima conferisce all'intero universo.

«καὶ γὰρ ἐπὶ τῶν σωμάτων τῶν ἡμετέρων τῆς ψυχῆς ἄλλως κινουμένης, οἷον ἐν χαραῖς καὶ τῷ φανέντι ἀγαθῷ, τοῦ σώματος ἡ κίνησις καὶ τοπικὴ γίνεται» (3, 12-15).

All'interno di questo passo isoliamo due nuove occorrenze del nostro termine:

i. la prima compare alla l. 3, 13 a indicare il movimento dell'anima, ψυχῆς

κινουμένης (3, 13-14), caratterizzato dall'avverbio ἄλλως (3, 14), come un

movimento di altro tipo;

ii. la seconda compare alla l. 3, 15: il nostro sostantivo designa il movimento del corpo di tipo locale, σώματος ἡ κίνησις καὶ τοπικὴ, movimento che si genera in corrispondenza di alcuni stati psichici emotivi.

Il nostro passo è esemplificativo del modo in cui nel nostro corpo si producono dei movimenti di tipo fisico in corrispondenza dei movimenti dell'anima, movimenti di tutt'altro tipo: la menzione degli stati di gioia o l'annunciarsi di un bene ci riconducono a quei moti dell'anima, in questo caso particolare di natura emotiva, che hanno ricevuto larga attenzione in III, 6 (26) 1-5380 in cui era contraddistinti da un'espressione analoga a quella

sopra menzionata “ἄλλος τρόπος κινήσεως ἢ ἐνεργείας”381: sono movimenti che l'anima

compie da se stessa, corrispondono alla sua stessa attività: movimenti capaci, poi, di tradursi nel movimento locale che ha luogo nel corpo (τοῦ σώματος ἡ κίνησις καὶ τοπικὴ

γίνεται, 3, 14-15).

Pertanto, anche la spiegazione del movimento celeste in relazione a quello psichico deve essere compreso guardando a ciò che accade anche nei nostri corpi, i quali presentano dei movimenti di tipo fisico e locale che originano da un movimento che è tutt'altro che fisico e locale.

«Perciò l'anima nel cielo si trova nel bene e manifesta una maggiore sensibilità, si muove verso il bene e scuote il corpo spazialmente, com'è naturale che avvenga lassù. La potenza sensitiva poi una volta che ha ricevuto il bene dall'alto ed ha goduto della propria gioia, persegue il bene che è dappertutto ed è portata dappertutto».

«ἐκεῖ δὴ ἐν ἀγαθῷ γινομένη ψυχὴ καὶ αἰσθητικωτέρα γενομένη κινεῖται πρὸς τὸ ἀγαθὸν καὶ σείει ὡς πέφυκεν ἐκεῖ τοπικῶς τὸ σῶμα. ἥ τε αἰσθητικὴ ἀπὸ τοῦ ἄνω αὖ καὶ αὐτὴ τὸ ἀγαθὸν λαβοῦσα καὶ τὰ αὐτῆς ἡσθεῖσα διώκουσα αὐτὸ ὂν πανταχοῦ πρὸς τὸ πανταχοῦ συμφέρεται» (3, 15-20).

Isoliamo nel nostro passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 16 il verbo κινέω compare in riferimento a quell'anima che è maggiormente sensitiva ψυχὴ αἰσθητικωτέρα (3, 16 cfr. 3, 3): il suo è un movimento verso il bene, ψυχὴ κινεῖται πρὸς τὸ ἀγαθὸν;

380 Ma anche, in special modo, IV, 3 (27) 20-28 e IV, 4 (28) 28. 381 III, 6 (26) 4, 41.

L'anima lassù nel cielo è presso il bene e si muove verso di esso: si tratta dell'anima sensitiva che si volge a se stessa verso il proprio centro (il bene), e compiendo questo movimento avvolge quell'anima inferiore, che proviene dalla terra ed è intrecciata all'intero universo; di modo che proprio in virtù di questo legame fra l'anima superiore la potenza vegetativa, il corpo del cielo che avvolge il tutto è scosso e trascinato naturalmente in un moto di tipo locale (σείει ὡς πέφυκεν ἐκεῖ τοπικῶς τὸ σῶμα, 3, 17). In questo senso, il movimento dell'anima sensitiva è un movimento “di altro tipo”, un movimento vitale e desiderativo, di tensione verso il proprio centro: e poiché il bene è dovunque diffuso quell'anima è costretta a muoversi dovunque ([scil. ἀγαθὸν] αὐτὸ ὂν πανταχοῦ πρὸς τὸ

πανταχοῦ συμφέρεται); questo si traduce, per il tramite della potenza vegetativa nel

movimento di tipo fisico e spaziale del cielo.

«è questo il modo in cui si muove l'intelletto, infatti si muove e insieme sta fermo, poiché si muove intorno a se stesso. Così dunque anche l'universo si muove circolarmente e insieme sta fermo».

«ὁ δὲ νοῦς οὕτω κινεῖται·ἕστηκε ὰρ καὶ κινεῖται· περὶ αὐτὸν γάρ. οὕτως οὖν καὶ τὸ πᾶντῷ κύκλῳ κινεῖται ἅμα καὶ ἕστηκεν» (3, 20-23).

Osserviamo le ultime tre occorrenze del termine che compaiono nello scritto:

i. la prima alla l. 3, 20: il verbo κινέω è impiegato per descrivere il movimento dell'intelligenza, νοῦς κινεῖται;

ii. alla l. 3, 21 il verbo κινέω è nuovamente impiegato per descrivere il movimento dell'intelligenza che, tuttavia è insieme anche un permanere, [scil. νοῦς] ἕστηκε

καὶ κινεῖται;

iii. alla l. 3, 22 il verbo κινέω è utilizzato in riferimento al movimento del tutto, il quale si muove circolarmente e insieme sta fermo, τὸ πᾶν τῷ κύκλῳ κινεῖται

ἅμα καὶ ἕστηκεν.

Il disporsi dell'anima intorno al proprio centro è concepito, da un lato, come un movimento che risponde alla ricerca e al desiderio del bene che si trova dovunque e spinge l'anima in questo avvolgimento; dall'altro lato, l'anima è detta essere già presso il bene, per cui il suo movimento è al contempo un permanere e una stabilità.

Alla l. 20 del passo riportato il nostro termine sancisce che questo stesso movimento dell'anima è quello che appartiene all'Intelligenza (νοῦς οὕτω κινεῖται, 3, 20): anche l'Intelligenza, infatti, si muove e sta ferma (ἕστηκε καὶ κινεῖται, 3, 20-21)382, e ciò in virtù del

fatto che anche questa è disposta attorno al proprio centro (περὶ αὐτὸν, 3, 21), desiderandolo e possedendolo eternamente.

Analogamente all'Intelligenza e all'anima si muove anche l'universo (οὕτως τὸ πᾶν, 3, 21), che a quest'ultima risulta intrecciato: il suo è in questo senso un movimento che imita quello dell'Intelligenza (1, 1 e 3, 22), un movimento che è anche una stasi, appunto un

382 Su questa caratterizzazione dell'Intelligenza rimando all'analisi dei trattati “Sui generi dell'essere” VI, 1

movimento circolare eterno.

8.4 Conclusioni

L'immagine che meglio potrebbe esprimere l'argomentazione con cui si conclude lo scritto è sicuramente quella dei cerchi concentrici che abbiamo avuto modo di analizzare nella considerazione del ventottesimo scritto, IV, 4 (28); in quell'occasione l'Intelligenza veniva rappresentata come un cerchio immobile disposto intorno al proprio centro, possedendolo; l'anima, quindi, come un cerchio mosso, si disponeva attorno a quella, aspirando al bene che è al di là dell'Intelligenza; la sfera del tutto che conteneva un un'anima così desiderante, si muoveva anch'essa spinta da un desiderio naturale (πέφυκεν

ἐφίεσθαι κινεῖται, IV, 4 (28), 16, 28-29), abbracciando e girando tutt'intorno al proprio

centro, che nel caso del corpo è come il centro di una sfera, un centro quindi che è interno all'universo e intorno al quale quest'ultimo espleta un moto circolare.

Certo, in quel luogo si trattava di mostrare il legame fra le realtà, esemplificandolo in quel nesso di affinità e differenza rispetto al principio; ciò spiega come l'Intelligenza, realtà più prossima all'origine venga rappresentata come un cerchio immobile, mentre l'anima aspiri a quella col proprio movimento e per il tramite dell'Intelligenza.

Nel nostro scritto la prospettiva adottata è quella della possibilità di rendere ragione del moto circolare ed eterno del cielo; ed è proprio in questo movimento che va cercato il legame fondamentale col proprio principio. Il moto circolare, infatti, è quell'unico movimento locale che manifesta come la parte più divina del cosmo sensibile sia in grado di aspirare e tendere a quel dio che lo anima e lo rende vivo, consentendogli non solo il movimento, ma questo particolare tipo di movimento: la rotazione celeste eterna è il riflesso di quel movimento psichico, vitale e intellettivo, con cui l'anima cerca e possiede il proprio centro o il proprio principio.

Il moto circolare eterno del cielo deve essere concepito considerando, e soprattutto ridefinendo, queste due prospettive: da un lato è il moto di un corpo, del fuoco celeste, che una volta giunto lassù, superata la “gravità” terrestre, manifesta ancor più spiccatamente le sue qualità di essere un corpo estremamente mobile e sottile. D'altra parte, senza l'intervento della forza psichica questo moto del corpo da sé solo non può rendere ragione della peculiarità del moto celeste, ovvero delle sua circolarità. Infatti il fuoco naturalmente procede di moto rettilineo.

Tre sono i tentativi di esplicitare come questo passaggio dal moto rettilineo e naturale a quello circolare possa avvenire: o il fuoco è da se stesso – per il tramite di quella Provvidenza che inscrive in esso le regole del suo agire – capace di muoversi circolarmente; o giunto lassù in quel luogo oltre il quale non ve ne è un altro giunge in se stesso, quindi rivolto a sé e al proprio centro intraprende la rotazione del tutto; oppure è l'anima a muoverlo, non trascinandolo in un moto meccanico e spaziale, che in alcun modo appartiene alla sua natura, ma attraendolo eternamente.

Se si fa riferimento alla definizione iniziale dello scritto in cui il moto celeste è concepito come il movimento di un corpo animato e vivo, sarà evidente la necessità di considerare questi tre tentativi di esplicazione del moto celeste in relazione al principio psichico. La rotazione del fuoco celeste lungi dall'essere il risultato di una forza progettuale e

calcolatrice, è invece il risultato di quella necessità naturale (2, 27), che alberga nel fuoco stesso; infatti, è in virtù di quell'anima che proviene dalla terra, che il cielo acquisisce il proprio movimento: questa potenza psichica è intrecciata al tutto, lo rende uno e lo avvolge nel proprio movimento; a sua volta quest'anima riceve il proprio movimento grazie a quell'anima sensitiva, che sta più in alto e che l'avvolge nel proprio movimento che è al contempo forza attrattiva verso se stessa, desiderio e tensione verso il proprio centro; desiderio verso il bene. Certo nel caso del grande vivente animato il centro può essere tracciato come in relazione al corpo geometrico di una sfera, mentre nel caso dell'anima il centro è la fonte e l'origine di tutte le cose, che è ancora al di là dell'Intelligenza. Anche l'anima avvolge il proprio centro, un centro che è tutt'altro che collocabile spazialmente, che anzi è dovunque; l'anima mossa dal desiderio del proprio principio, tenta di raggiungerlo dappertutto; e tuttavia, è già sempre presso di esso, immobile. Si comprende in questo modo come l'anima sia un'estensione inestesa (IV, 4 (28), 16): estesa dovunque in cerca del proprio centro, inestesa perché da sempre presso di esso.

Anche il fuoco si pone in cerca del proprio oggetto di desiderio, si muove, quindi, e raggiunge l'anima eternamente.

Rispetto a questo movimento circolare eterno di natura vitale, autoconoscitiva e sensitiva (συναισθητικὴ καὶ συννοητικὴ καὶ ζωτικὴ, 2, 10), lo spostamento spaziale del cielo risulta di natura accidentale e concomitante: come quando non ci si prefigge di fendere l'aria allorché si cammina (IV, 4 (28), 8), così il cielo non si prefigge una traslazione quando il desiderio lo trascina alla volta dell'anima.

Se si considera il movimento dell'anima in relazione a una prospettiva spaziale, la sua è piuttosto un'immobilità e una stasi, perché il suo è un movimento di natura vitale; ed ecco che localmente la forza espressa dall'anima è piuttosto quella dell'arresto rispetto al procedere in linea retta dal fuoco; l'anima, invece, muove il fuoco eternamente come quella realtà di cui il desiderio si mette in cerca.

Il fuoco celeste attratto da quell'anima che avvolge il tutto, si volge a questa, imitando in una dimensione spaziale, il suo movimento e la sua immobilità: il suo moto è una tensione verso l'anima che è dappertutto, ma poiché la possiede sempre il suo è un moto e un raggiungimento eterno.