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4.1 I movimenti e le passioni dell'anima Impassibilità dell'anima (1, 1-5, 29)

Il primo passo che affrontiamo ci trasporta nel vivo del tema discusso: si tratta di comprendere in che modo l'ampia e variegata gamma di stati psichici permetta di concepire l'anima come impassibile; cerchiamo di comprendere a che titolo il nostro termine compare in questa indagine:

«Come può, in effetti, essere immutabile la parte anteriore a quella che subisce affezioni, la parte anteriore alla percezione e in generale qualsiasi parte dell'anima dal momento che è nell'anima che si generano il vizio, false opinioni e stoltezza? E l'anima prova attrazioni o repulsioni quando avverte piacere o dolore, quando monta in collera quando prova invidia, gelosia, desiderio, quando in generale non è per nulla tranquilla, ma mossa e modificata da ogni accadimento»

«πῶς γὰρ ἄτρεπτον καὶ τὸ πρὸ τοῦ παθητικοῦ καὶ τὸ πρὸ αἰσθήσεως καὶ ὅλως ψυχῆς ὁτιοῦν κακίας περὶ αὐτὴν ἐγγινομένης καὶ δοξῶν ψευδῶν καὶ ἀνοίας; οἰκειώσεις δὲ καὶ ἀλλοτριώσεις ἡδομένης καὶ λυπουμένης, ὀργιζομένης, φθονούσης, ζηλούσης, ἐπιθυμούσης, ὅλως οὐδαμῇ ἡσυχίαν ἀγούσης, ἀλλ' ἐφ' ἑκάστῳ τῶν προσπιπτόντων κινουμένης καὶ μεταβαλλούσης» (III, 6 (26) 1, 18-24).

Isoliamo all'interno del nostro testo la prima occorrenza di κίνησις:

i. alla l. 1, 24 il verbo κινέω è associato a un altro participio, ed entrambi sono riferiti all'anima, [scil. ψυχῆς] κινουμένης καὶ μεταβαλλούσης.

Nella sua prima occorrenza il termine κίνησις caratterizza la condizione dell'anima, quando questa, in balia di ogni evento, risulta mossa e modificata ([scil. ψυχῆς]

κινουμένης καὶ μεταβαλλούσης, 1, 24-25), e ciò in particolar modo quando si trova in tutti

quegli stati psichici che la determinano all'attrazione o alla repulsione: quando prova piacere o dolore (ἡδομένης καὶ λυπουμένης, 1, 21-22), quando è eccitata (ὀργιζομένης, 1, 22), invidiosa (φθονούσης, 1, 22), quando desidera o brama (ζηλούσης ἐπιθυμούσης, 1, 23); viene menzionata un'ampia lista di πάθη che si rifà, per certi versi, ad attestazioni simili

110 Cfr. Porfirio, VP, IV, 22 e ss.; all'interno dello scritto sono state isolate ventisette occorrenze del nostro

termine: III, 6 (26), 1, 24; 2, 58; 3, 3; 3, 15; 3, 22; 3, 24; 3, 25; 3, 31; 4, 11; 4, 37; 4, 39; 4, 39; 4, 40; 4, 40; 4, 41; 4, 43; 4, 45; 4, 48; 4, 50; 6, 40; 6, 49; 7, 12; 17, 6; 18, 33; 18, 34; 18, 35.

della tradizione aristotelica e stoica111; tutte queste situazioni strappano l'anima alla

tranquillità (οὐδαμῇ ἡσυχίαν, 1, 23)112, e la sottopongono al cambiamento. L'indagine su ciò

che modifica l'anima non si limita unicamente alla sfera affettiva, ma investe anche quella razionale: sono, infatti, nominati il vizio (κακίας, 1, 20), le false opinioni (δοξῶν ψευδῶν, 1, 20-21), e l'ignoranza (ἀνοίας, 1, 21). Quella qui descritta è un'anima continuamente trascinata da emozioni contrastanti, che cede al vizio ed erra dietro a false opinioni: di fronte a tutto ciò si può veramente considerare l'anima immutabile, ἄτρεπτον (1, 19-18)?

Nel segno di questa domanda prende forma e si snoda tutta la trattazione successiva: il tentativo è quello di comprendere e spiegare due aspetti che si profilano come apparentemente inconciliabili: quello che riguarda l'attestazione di una molteplicità di manifestazioni psichiche, e il monito della volontà e della ragione a non relegare l'anima al cambiamento e all'alterazione; il rischio, infatti, è quello di accordarle ciò che è proprio del corpo, di sostenere che ciò che le accade quando tiene dietro a sentimenti, vizi o opinioni, in nulla è differente da ciò che accade ai corpi quando sono soggetti a raffreddamento e riscaldamento113. Affrancare l'anima da questo tipo di mutamenti, significa rivendicare la

profonda alterità della sua natura: come è stato messo in luce negli scritti precedenti, se l'anima fosse σῶμα, il suo mutamento potrebbe protrarsi fino alla distruzione: infatti, come i corpi, dovrebbe possedere grandezza, ed essere quindi strutturalmente divisibile, scomponibile fino alla dissoluzione. Per queste ragioni, contro il pericolo della deriva stoica114, è ribadita l'esigenza di definire ancora una volta la sostanza dell'anima come οὐσία

ἀμεγέθης (1, 28), ἀριθμὸς, e λόγος (1, 31)115, e di dimostrare come in tutte le manifestazioni

in cui l'abbiamo descritta si mantenga ἀπαθῆ καὶ ἄτρεπτον (1, 26-27).

Se accordare all'anima una sostanza inestesa significa attribuirle una natura incorrotta,

111 H.-S.² p. 307, indica come riferimento Aristotele, De anim., I, 4, 408 b 2 e ss.; J. Laurent, Traité 26 (III, 6)

Sur l'impassibilité des incorporels, dans: L. Brisson, Plotin..., III p. 215 n. 11, sottolinea come la coppia piacere/dolore sia fondamentale nella canonica epicurea e nella psicologia stoica; B. Fleet, Plotinus Ennead III.6, On the Impassivity of the Bodiless, Claredon Press, Oxford 1995, p. 79, rimanda in merito alle espressioni verbali utilizzate a Platone, Leg., 879 a 1, Resp. 437 a 1.

112 J. Laurent, Traité 26..., p. 216 n. 12, indica come il termine greco utilizzato, ἡσυχίαν, sia proprio alla

trattazione sull'intelligenza e del mondo intelligibile.

113 Qui il riferimento è al riscaldarsi e al raffreddarsi dei corpi, θερμάνσεις καὶ ψύξεις σωμάτων (1, 14);

cfr. IV, 7 (2), 4, 23-25, in cui caldo e freddo comparivano insieme a pesantezza e leggerezza, bianchezza e nerezza quali esempi di ποιότητες σωμάτων (4, 24-25): obbiettivo polemico erano gli Stoici, (SVF I, fr. 234 e III, fr. 459); L. Brisson, Plotin..., p. 215 n. 8, sottolinea come caldo e freddo, secco e umido siano qualità prime dei corpi secondo Aristotele, De generatione et corruptione, II 2, 329 b 17-32; E. Bréhier, Ennéades, vol. III, p. 89: «Plotin se range ici du côté d’Aristote, qui affirme que l’âme est une forme, et que, comme telle, elle est immobile; il utilise l’argumentation péripatéticienne contre les stoïciens qui, eux, attribuent à l’ âme qui est un corps, des passions vèritables et des mouvements de même espèces que ceux des corps. Chez Plotin comme chez Aristote, l’incorporéité entraine nécessariement l’impassibilité; un état passif ne peut être que quelque chose comme un refroidissement ou un échauffement, et par conséquent, il ne peut appartenir qu’à un corps».

114 Anche nei trattati precedentemente analizzati quello della eterogeneità dell'anima rispetto al corpo

risulta un terreno di scontro decisivo rispetto alle posizioni stoiche prese di mira, su questo argomento rimando alla p. 5 n. 12.

115 Cfr. VI, 5 (23), 9, 13; VI, 6 (36), 16; su questa considerazione rimando alle pagine di B. Fleet, Plotinus...,

ἄφθαρτον (1, 29), allora è necessario interrogarsi scrupolosamente prima di concederle con

troppa facilità le affezioni e i mutamenti che si crede di scorgere in lei: non bisogna, infatti, cadere nell'errore di assegnarle quegli stati passivi che comportano le affezioni perché inconsapevolmente le si accorderebbe anche anche l'essere corruttibile (φθαρτὴν εἶναι

διδόντες, 1, 30).

La questione dell'impassibilità dell'anima sembra assumere, in questo senso, un peso decisivo, proprio perché in essa è implicita la corrispondenza a una natura imperitura: in quest'ottica va concepito l'appello continuo all'attenzione e alla prudenza nella considerazione delle passioni all'anima, imponendo una vera e propria riconsiderazione dei movimenti e dei cambiamenti che la coinvolgono.

Bisogna, pertanto, esaminare se le facoltà dell'anima possano dirsi ἄτρεπτον, non soltanto quella che precede la sensazione e la recezione (πρὸ τοῦ παθητικοῦ καὶ τὸ πρὸ

αἰσθήσεως, 1, 19)116, ma tutte in generale.

4.1.1 L'assenza del movimento come vizio della parte irascibile dell'anima (2, 1-67)

Il primo ambito che viene indagato è il dominio della sensazione: infatti, contrariamente a quanto alcuni affermano, le sensazioni non risultano in alcun modo affezioni (αἰσθήσεις

οὐ πάθη εἶναι, 1, 1), ma sono invece atti e giudizi che si esplicano in riferimento ad un dato

affettivo (ἐνεργείας περὶ παθήματα καὶ κρίσεις, 1, 1-2)117; l'affezione si genera in relazione

al corpo118, mentre i giudizi sono propri dell'anima119; anche questi ultimi non risultano in

alcun modo avere la natura dei πάθη, perché non consistono nel subire l'impressione dell'oggetto giudicato (1, 8). In realtà anche le impressioni, (τυπώσεων, 1, 9), andrebbero considerate in maniera totalmente differente rispetto a come le considerano alcuni120, poiché

neppure queste implicano un patire, ma sono piuttosto simili agli atti di pensiero, i quali realizzano una conoscenza (ἄνευ τοῦ παθεῖν, 1, 11).

Si passa ora all'analisi dei vizi e delle virtù, per vedere che cosa significa quel detto comune secondo cui essi sarebbero presenti nell'anima (3, 2)121: infatti, si dice che il vizio

debba essere sradicato per mettervi la virtù; espressioni come questa potrebbero indurre a

116 Mi sembra interessante sottolineare come qui sia fatto uso lo schema aristotelico tripartito delle facoltà,

mentre a partire dal § 2 la terminologia tornerà quella platonica; su questo argomento rimando all'analisi di: H. J. Blumenthal, Plotinus' Psychology..., pp. 8-44.

117 Considero, quindi, atti e giudizi riferiti ai παθήματα; sui vari modi di interpretare questo passo e le

differenze da attribuire a πάθος e παθήματα, rimano alle analisi di B. Fleet, Plotinus..., pp. 72-73.

118 L'espressione utilizzata è τὸ σῶμα τὸ τοιόνδε (1, 3) per cui rimando alle analisi di IV, 4 (28), 18.

119 Sulla sensazione come giudizio cfr. Platone, Teeteto, 186 b e ss. Sono sintetizzati in questa formula

plotiniana due aspetti, per così dire, della percezione: uno riguarda ciò che si produce nel corpo, l'affezione e l'impronta prodotta da altri corpi, e l'altro fa invece riferimento all'atto conoscitivo dell'anima che opera giudicando il dato affettivo le impronte; su questo argomento cfr. gli scritti IV, 3 (27), 11; I, 1 (53) 1, 7 e alle rispettive considerazioni; su questo argomento si veda lo studio di E. K. Emilsson, Plotinus on Sense-Perceprion, A Philosophical Study, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 63 e ss.; G. H. Clark, Plotinus Theory of Sensation, «The Philosophical Review», 51, 4, (1942), pp. 357-382.

120 Il riferimento è ancora una volta agli Stoici, SVF I, frr. 141 e 484, II, frr. 55-56; ma anche ad Aristotele, De

anim., II, 12, 424 a 17-b 19.

credere che l'anima virtuosa o viziosa subisca un'alterazione ad opera di un'aggiunta o di una sottrazione. Per intraprendere questo esame è subito invocata l'opinione di quegli antichi che identificavano ἀρετή e κακία, rispettivamente, nell'armonia reciproca e secondo natura delle parti dell'anima (κατὰ φύσιν τὰ μέρη τῆς ψυχῆς πρὸς ἄλληλα, 2, 9-8) e nella disarmonia intesa in senso contrario122. Nel caso in cui la virtù consista in un accordo fra le

parti, ciò non implica che sopraggiunga nell'anima qualcosa di acquisito (ἐπακτὸν οὐδὲν, 2, 10)123: nulla di diverso si genera in essa ma ciascuna parte così com'è si armonizza con le

altre; è come lo spettacolo dei coreuti, capaci di danzare e cantare in accordo pur essendo ciascuno un'entità differente: ognuno canta la propria parte quando è il momento, e nessuno si sovrappone all'altro, ciascuno intonando la propria melodia al meglio e secondo il proprio talento musicale. Questa immagine esemplificativa ci dice, tuttavia, qualcosa di più sulla realizzazione dell'armonia che qui viene concepita: infatti, perché questa si dia, è prima necessario che ciascuna parte dell'anima svolga la funzione che le è propria (ἑκάστου

μέρους τὸ αὐτῷ προσῆκον ποιοῦντος, 2, 17-18). È necessario sottolineare come la virtù per

l'anima non possa ridursi, come credono alcuni, ad un accordo interno fra le parti: perché tale accordo sia possibile, in ciascuna facoltà deve prima essere presente la virtù che le è propria (πρὸ τῆς ἁρμονίας ταύτης ἄλλην ἑκάστου εἶναι ἀρετήν, 2, 19)124. E la presenza di

tale virtù si traduce nell'assolvimento a due compiti specifici e analoghi per ciascuna parte dell'anima: l'agire secondo la sostanza (ἐνεργεῖν κατὰ τὴν οὐσίαν, 2, 30) e il prestare ascolto alla ragione (ἕκαστον ἐπαίον λόγου, 2, 30-31); in alcun caso, nell'adempimento a queste operazioni, si produce un patire o un'alterazione (οὔκουν ἀλλοιωθεῖσά, 2, 46): infatti, mettersi in ascolto della ragione non consiste nel disporsi passivamente verso di essa; al contrario è come un vedere in cui non si subiscono le figure viste, ma piuttosto si colgono tramite l'esercizio attivo della vista (ἀλλ' ὁρῶν καὶ ἐνεργείᾳ ὄν, 2, 33): è un “afferrare” il proprio oggetto, avvicinarsi simultaneamente ad esso, essere l'oggetto stesso nel momento in cui lo si conosce. Neppure quest'atto si può concepire come un'alterazione (ἐνέργειά

ἐστιν οὐκ ἀλλοίωσις, 2, 35) poiché non si può chiamare alterazione il passaggio dalla

potenza all'atto (μή τις τὸ ἐκ δυνάμεως εἰς ἐνέργειαν ἐλθεῖν ἀλλοίωσιν λέγοι, 2, 47-48), ma nella sostanza sono la stessa cosa la visione in potenza e la visione in atto (2, 36)125; ciò,

ancora una volta, è dovuto alla natura incorporea dell'anima: infatti, gli atti delle realtà prive di materia non producono alterazione (ἐνέργειαι τῶν ἀύλων οὐ συναλλοιουμένων

γίνονται, 2, 49-50): al contrario queste realtà permangono stabilmente in se stesse.

Così la facoltà razionale (λογιζόμενον, 2, 37), si dispone verso l'Intelligenza, la vede, o

122 H.-S.² rimanda a Platone, Phaed. 93 c 8-9; dedicato al tema della virtù: I, 2 (19).

123 B. Fleet, Plotinus..., p. 91 ricollega questa espressione alle considerazioni di Aristotele, Phys. VII 246 b 5 e

ss. in cui le alterazioni vengono distinte da quei cambiamenti che ricadono nella categoria del relativo e che non comportano un cambiamento qualitativo.

124 Qui il richiamo è a Platone, Resp., IV 441 d.

125 Tutto il passaggio sembra riflettere Aristotele, De anim., II 5, 417 b 5 e ss., in cui, in riferimento alla

facoltà sensitiva vengono distinte (1) la potenza come capacità di acquisire una conoscenza, oppure (2) la potenza come capacità di esercitare una conoscenza; (1.a) atto sarà nel primo caso l'acquisizione della conoscenza, nel secondo (2.a) l'esercizio della conoscenza. Nello ἐνεργεῖν κατὰ τὴν οὐσίαν (2, 30) e nel prestare ascolto alla ragione, ἕκαστον ἐπαίον λόγου (2, 31) Plotino avrebbe in mente 2.a, una attualizzazione che non comporta alterazione; su questo argomento rimando alle pagine di B. Fleet, Plotinus..., p. 94-95.

meglio, la coglie attivamente, e così facendo realizza la propria capacità nel conoscere. Certo tale conoscere non consiste, come vorrebbero alcuni, nella produzione di un sigillo sulla cera126. Così l'esortazione ad attribuire all'anima i caratteri trasposti dal corpo solo in un

senso opposto e analogo (1, 35) si realizza qui pienamente: si deve infatti dire che nella conoscenza l'anima possiede e non possiede ciò che vede (ἔχει ὃ εἶδε καὶ αὖ οὐκ ἔχει, 2, 39- 40): possiede in quanto conosce, e non possiede perché nulla si è depositato in essa (μὴ

ἀποκεῖσθαί, 2, 40-41), come una forma nella cera.

Un ragionamento analogo va fatto per i ricordi: questi non possono essere concepiti come disposizioni (οὐκ ἐναποκειμένων, 2, 42-43)127, ma un qualcosa che l'anima ha il potere

di possedere pur non possedendo (μὴ ἔχει ἔχειν, 2, 44).

Per quanto riguarda l'anima irascibile, per lei il vizio e la virtù consistono, invece, nell'essere codarda o virtuosa:

«ma se un essere materiale subirà affezione, allora vuol dire che non possiede fondamento per permanere. Come nel caso della vista: quando la visione è in atto, ciò che subisce l'affezione è l'occhio; e le opinioni sono come visioni. Ma la parte irascibile, in che modo è paurosa e poi coraggiosa? È paurosa perché non guarda alla ragione o perché guarda a una ragione meschina, o perché le fanno difetto gli strumenti, per mancanza o decadimento, ad esempio, delle armi corporee, o perché impedita nell'azione, oppure non è mossa, in un certo senso provocata, ad essa».

«εἰ δὲ ἄυλον ὂν πείσεται, οὐκ ἔχει ᾧ μένει· ὥσπερ ἐπὶ τῆς ὄψεως τῆς ὁράσεως ἐνεργούσης τὸ πάσχον ὁ ὀφθαλμός ἐστιν, αἱ δὲ δόξαι ὥσπερ ὁράματα. τὸ δὲ θυμοειδὲς πῶς δειλόν; πῶς δὲ καὶ ἀνδρεῖον; ἢ δειλὸν μὲν τῷ ἢ μὴ ὁρᾶν πρὸς τὸν λόγον ἢ πρὸς φαῦλον ὄντα τὸν λόγον ὁρᾶν ἢ ὀργάνων ἐλλείψει, οἷον ἀπορίᾳ ἢ σαθρότητι ὅπλων σωματικῶν, ἢ ἐνεργεῖν κωλυόμενον ἢ μὴ κινηθὲν οἷον ἐρεθισθέν· ἀνδρεῖον δέ, εἰ τὰ ἐναντία» (2, 52-59).

Isoliamo all'interno del nostro passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 2, 58 il verbo κινέω è associato al verbo ἐρεθίζω: l'assenza di un movimento in presenza di uno stimolo costituirebbe una delle definizioni del vizio del θυμοειδὲς; mi sembra importante segnalare un altro caso elencato immediatamente precedente, quello della impossibilità ad agire, ἢ ἐνεργεῖν

126 Sull'immagine del sigillo sulla cera cfr. Platone, Teet., 191 C 8-9; qui la polemica è rivolta agli Stoici,

secondo cui la conoscenza si realizzava nell'anima come un'impronta di un sigillo nella cera, SVF, II, fr. 56; su questo argomento si veda: LJ.-B. Gourinat (éd.), G. Romery Dherbey (études sous la direction de), Les Stoïciens, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 2005, pp. 55-174; LJ.-B. Gourinat, Les Stoïciens et l'âme, Puf, Paris 1995, pp. 36-62.

127 Come spiega anche IV, 7 (2), 6, 37-49, se si ipotizzasse la memoria come un accumulo di dati e le

impressioni fossero come sigilli nella cera, non potrebbe darsi la memoria proprio perché le diverse impressioni dovrebbero sovrapporsi le une alle altre perdendo la propria specificità: anche qui l'obbiettivo polemico è la concezione di anima come corpo, cfr. SVF, II, fr. 847. In riferimento al tema della memoria rimando a IV, 3 (27), 26-31.

κωλυόμενον ἢ μὴ κινηθὲν οἷον ἐρεθισθέν.

In questa seconda occorrenza il termine κίνησις illustra una delle accezioni in cui la parte irascibile dell'anima si dice codarda, δειλὸν (2, 55): ciò si verifica quando questa non segue la ragione, o se segue una ragione viziata, se vi è un'insufficienza nella capacità organiche, e in assenza di azioni e movimenti in corrispondenza a determinati stimoli128; il

coraggio, ἀνδρεῖον (2, 55), invece, si manifesta nei casi opposti.

Per quanto riguarda l'anima desiderativa, (ἐπιθυμοῦν, 2, 61), nel suo caso la virtù e il vizio vengono definiti nei termini di morigeratezza e incontinenza (σωφρονοῦν, 2, 28;

ἀκολασίαν, 2, 61): questa risulta intemperante quando esclude le altre funzioni che

dovrebbero orientarla e frenarla e invece agisce isolatamente.

La realizzazione della propria funzione, ovvero la presenza della virtù propria in ciascuna parte dell'anima non comporta l'aggiunta di qualcosa ma ciò avviene naturalmente129; e non sono gli esseri immateriali a patire ma quelli che sono misti a materia

(πάσχειν τὸ τῶν μεθ' ὕλης, (2, 53); così, riprendendo l'esempio della vista: quando la facoltà di vedere esercita la propria funzione è in atto (ὄψεως τῆς ὁράσεως ἐνεργούσης, 2, 53), mentre è l'organo corporeo a patire (πάσχον ὁ ὀφθαλμός, 2, 53- 54); e le opinioni che si formano naturalmente nell'anima non costituiscono un'alterazione, ma sono come gli oggetti che la vista coglie e che si fanno identici alla visione stessa.

In nessuna di queste condizioni, di presenza di vizio o di virtù nelle parti dell'anima, si produce una qualche alterazione o affezione (οὐδεμία ἀλλοίωσις οὐδὲ πάθος, 2, 59-60), che se così non fosse gli esseri immateriali non potrebbero mantenersi quali sono e diverrebbero, così, realtà corruttibili (φθαρεῖεν, 2, 50).

4.1.2 Il vero soggetto dei πάθη (3, 1-21)

Bisogna ora rivolgersi a quelle manifestazioni dell'anima, che fin dall'inizio e più di tutte, mostravano l'anima soggetta alle passioni:

«come avviene però che l'anima provi per alcune cose attrazione e per altre repulsione? E come negare che i dolori, collere, piaceri e desideri e paure siano modificazioni e affezioni situate nell'anima e li in movimento? Anche riguardo a queste bisogna fare senz'altro una distinzione: sostenere che nell'anima non si generino alterazioni e vivacissime percezioni di esse vuol dire negare l'evidenza; ma una volta accordatici su questo punto, dobbiamo cercare che cosa sia quello che si modifica».

«τὰς δ' οἰκειώσεις καὶ ἀλλοτριώσεις πῶς; καὶ λῦπαι καὶ ὀργαὶ καὶ ἡδοναὶ ἐπιθυμίαι τε καὶ φόβοι πῶς οὐ τροπαὶ καὶ πάθη ἐνόντα καὶ κινούμενα; δεῖ δὴ καὶ περὶ τούτων

128 Qui non è specificato se questi stimoli a cui l'anima irascibile è capace di rispondere quando in essa sia

presente la virtù, siano stimoli che provengono dal rapporto che corpo il θυμοειδὲς ha rapporto col corpo o dalle altre facoltà psichiche.

ὧδε διαλαβεῖν. ὅτι γὰρ ἐγγίγνονται ἀλλοιώσεις καὶ σφοδραὶ τούτων αἰσθήσεις μὴ οὐ λέγειν ἐναντία λέγοντός ἐστι τοῖς ἐναργέσιν. ἀλλὰ χρὴ συγχωροῦντας ζητεῖν ὅ τι ἐστὶ τὸ τρεπόμενον» (3, 1, 1-7).

Evidenziamo all'interno del nostro passo una nuova occorrenza di κίνησις:

i. il verbo κινέω è riferito a “dolori”, “collere”, “piaceri” e “desideri”: tutti questi stati affettivi si muovono e corrispondono ad alterazioni e passioni dell'anima,

λῦπαι καὶ ὀργαὶ καὶ ἡδοναὶ ἐπιθυμίαι τε καὶ φόβοι πῶς οὐ τροπαὶ καὶ πάθη ἐνόντα καὶ κινούμενα; si tratta della questione che sarà presto indagata.

È ripreso nella terminologia e nei contenuti il passo iniziale in cui compariva la prima occorrenza di κίνησις; dopo aver chiarito come sensazioni, memoria, opinioni, vizio e virtù non costituiscano per l'anima un'alterazione, la trattazione ritorna ora ai cosiddetti stati psichici emotivi, per comprendere se in questi casi l'anima subisca alterazione: attrazione e repulsione130, ma soprattutto collera, piacere, desiderio e paure131, di queste si dovrà dire che

sono modificazioni, τροπαὶ (3, 2), passioni intime, πάθη ἐνόντα (3, 3), e movimenti dell'anima, (κινούμενα, 3, 3)132?

Per comprendere quale sia realmente lo statuto di queste manifestazioni psichiche è necessario operare una distinzione: infatti, voler negare il generarsi di alterazioni e violente percezioni è negare l'evidenza (3, 5-6)133; tuttavia, ciò su cui bisogna indirizzare la ricerca è il

vero soggetto di tali alterazioni e di tali cambiamenti (τι ἐστὶ τὸ τρεπόμενον, 3, 6-7).

L'argomentazione sembra suggerire con un'immagine efficace che pur se una modificazione e un cambiamento avvengono, il soggetto di tale modificazione e di tale cambiamento non è l'anima: infatti, sarebbe come asserire che questa arrossisce o impallidisce! Certo, queste affezioni sono a causa dell'anima (διὰ ψυχὴν μὲν ταῦτα τὰ

πάθη, 3, 10), ma si producono in un'altra struttura (περὶ δὲ τὴν ἄλλην σύστασίν ἐστι γιγνόμενα, 3, 11). Così bisogna dire che a causa di un'opinione turpe nell'anima si genera la

vergogna, ma è il corpo che è in suo possesso e che le soggetto (ὑπὸ τῇ ψυχῇ, 3, 13-14) a subire il cambiamento, per il tramite del sangue e della sua grande mobilità:

«la vergogna, è vero, si trova nell'anima per la comparsa di un pensiero vergognoso, è però il corpo – il quale per così dire è posseduto dell'anima, o meglio, per non farci sviare dalle parole, è sottoposto all'anima e distinto dall'inanimato – che si modifica a causa del sangue che dotato di grande mobilità»

130 B. Fleet, Plotinus..., p. 105 mette in evidenza un interessante parallelo fra le “attrazioni e repulsioni”

richiamate in questo passo e il legame che Aristotele istituisce fra οἰκειώσεις/ἀλλοτριώσεις e affezioni in De anim. III, 7, 1-3 e Retorica II.

131 H.-S.² rimanda a: Platone, Resp., 429 c-d; 430 a-b; Phaed. 83 b; Aristotele, De anim. I 4, 408 b 2.

132 B. Fleet, Plotinus..., p. 106 nota che: «κινούμενα: “moving”. Either middle or passive; if the former, than

the affections present in us move us; if the latter the affections have become part of us, and so in being moved they in turn move us»; propendo nella mia analisi per il secondo caso.

«ἀλλ' ἡ μὲν αἰσχύνη ἐν ψυχῇ δόξης αἰσχροῦ γενομένης· τὸ δὲ σῶμα ἐκείνης τοῦτο οἷον σχούσης, ἵνα μὴ τοῖς ὀνόμασι πλανώμεθα, ὑπὸ τῇ ψυχῇ ὂν καὶ οὐ ταὐτὸν ἀψύχῳ ἐτράπη κατὰ τὸ αἷμα εὐκίνητον ὄν. τά τε τοῦ λεγομένου φόβου ἐν μὲν τῇ ψυχῇ ἡ ἀρχή, τὸ δ' ὠχρὸν ἀναχωρήσαντος τοῦ αἵματος εἴσω» (3, 12-16).

Isoliamo all'interno del nostro passo una nuova occorrenza del nostro termine:

i. alla l. 3, 15 l'aggettivo εὐκίνητον è riferito al sangue134: la vergogna è descritta nei

termini di un'alterazione del corpo “animato” che avviene secondo la mobilità sanguigna, ἐτράπη [scil. τὸ σῶμα […] οὐ ἀψύχῳ135] κατὰ τὸ αἷμα εὐκίνητον ὄν.

Qui il termine κίνησις è riferito al sangue quale responsabile col suo movimento della manifestazione esteriore, il rossore, dello stato psichico corrispondente, la vergogna; è, ancora, la mobilità del sangue a tradurre nel suo aspetto somatico la paura: infatti, pur se il suo principio è nell'anima, il pallore si manifesta nel volto ed è dovuto ad una sorta di riflusso interno del sangue. Il piacere, poi, è un'affezione del corpo che giunge ad essere percepita: tuttavia ciò che giunge all'anima non è più affezione. E allo stesso modo vale per il dolore. In riferimento al desiderio bisogna dire che quando questo ha origine nell'anima rimane celato, mentre è conosciuto se deriva dalle sensazioni (3, 10-20).

Vengono così descritti quegli stati emotivi che certamente possono essere attribuiti all'anima, ma non in quanto passioni o cambiamenti a cui essa è soggetta.

4.1.3 Movimenti, vita dell'anima (3, 22-35)

Cerchiamo, dunque, di comprendere in che modo l'anima desidera, sente o ragiona:

«quando, infatti, diciamo che l'anima si muove tra desideri, ragionamenti e opinioni, non vogliamo dire che li produce sollecitata dall'esterno, ma che i movimenti si generano da essa. Quando perciò diciamo che la sua vita è movimento non intendiamo dire che l'anima si altera; vogliamo invece dire che l'attività di ciascuna parte dell'anima è la sua vita naturale, che non esce da se stessa.

«καὶ γὰρ ὅταν λέγωμεν κινεῖσθαι αὐτὴν ἐν ἐπιθυμίαις ἐν λογισμοῖς, ἐν δόξαις, οὐ σαλευομένην αὐτὴν λέγομεν ταῦτα ποιεῖν, ἀλλ' ἐξ αὐτῆς γίγνεσθαι τὰς κινήσεις. ἐπεὶ καὶ τὸ ζῆν κίνησιν λέγοντες οὐκ ἀλλοίου μέν, ἑκάστου δὲ μορίου ἡ ἐνέργεια ἡ κατὰ φύσιν ζωὴ οὐκ ἐξιστᾶσα» (3, 22-26).

Isoliamo all'interno del nostro passo tre nuove occorrenze del nostro termine: