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8.1 Sul movimento circolare come misto (1, 1-51).

8.1.1 Se il moto circolare sia dovuto all'anima o al corpo del cielo.

All'interno di questa prima parte dello scritto (1, 1-51) verranno prese in considerazione le prime undici occorrenze del nostro termine: l'argomentazione procede analizzando il moto che è proprio del corpo e quello che è proprio dell'anima, per comprendere a quali di questi sia corretto attribuire il moto circolare del cielo.

«Per quale ragione il cielo muove con moto circolare? Perché imita l'Intelletto. E a chi appartiene il movimento, all'anima o al corpo? E che cosa significa che l'anima è in se stessa ed è rivolta verso se stessa? O che è ansiosa di andare? O che esiste in se stessa in uno stato di discontinuità? O, ancora, che l'anima, muovendosi, porta il cielo con sé? Ma se l'anima lo porta con sé, non dovrebbe portarlo più, ma cessare di portarlo; cioè dovrebbe piuttosto arrestarlo, invece di muoverlo sempre circolarmente. O meglio, essa rimarrà immobile o, se anche si muove, non si muove certo di moto locale. Come imprime dunque un moto locale se si muove in un altro modo?».

«διὰ τί κύκλῳ κινεῖται; ὅτι νοῦν μιμεῖται. καὶ τίνος ἡ κίνησις, ψυχῆς ἢ σώματος; τί οὖν ὅτι ψυχὴ ἐν αὐτῇ ἐστι καὶ πρὸς αὐτήν; ἢ σπεύδει ἰέναι; ἢ ἔστιν ἐν αὐτῇ οὐ συνεχεῖ οὖσα; ἢ φερομένη συμφέρει; ἀλλ' ἔδει συμφέρουσαν μηκέτι φέρειν, ἀλλ' ἐνηνοχέναι, τουτέστι στῆναι μᾶλλον ποιῆσαι καὶ μὴ ἀεὶ κύκλῳ. ἢ καὶ αὐτὴ στήσεται ἤ, εἰ κινεῖται, οὔτι γε τοπικῶς. πῶς οὖν τοπικῶς κινεῖ αὐτὴ ἄλλον τρόπον κινουμένη;» (II, 2 (14) 1, 1-8)353.

350 Sul titolo si veda Porfirio, VP, IV, 49 e XIV, 42.

351 In particolar modo: II, 2 (14), 1, 1; 1, 2;1, 7; 1,8; 1, 8;1, 14; 1,15; 24; 1, 26; 1, 46; 1, 47; 2, 19; 2, 20; 2, 20; 2,

25;3, 6; 3, 11; 3, 11; 3, 12; 3, 13; 3, 15; 3, 16; 3, 20; 3, 21; 3, 22.

352 Come sarà messo in evidenza dall'analisi di II, 1 (40).

353 Le espressioni alla l. 2-3 «τί οὖν ὅτι ψυχὴ ἐν αὐτῇ ἐστι καὶ πρὸς αὐτήν; ἢ σπεύδει ἰέναι; ἢ ἔστιν ἐν

αὐτῇ οὐ συνεχεῖ οὖσα;» possono assumere un significato differente se le si concepisce, non più in riferimento all'anima, ma a «ἡ κίνησις» della l. 2, in questo senso traduce R. Dufour, Sur le mouvement

Isoliamo nel nostro passo le prime cinque occorrenze del nostro termine:

i. la prima compare alla l. 11: il verbo κινέω compare all'interno della proposizione interrogativa che apre la trattazione: pur essendo il movimento riferito ad un soggetto indeterminato, dal resto della trattazione si evince che ciò del cui moto circolare si fa ricerca è proprio il cielo354, διὰ τί κύκλῳ κινεῖται [scil. οὐρανός l.

41]355;

ii. la seconda compare alla l. 1, 2: il nostro sostantivo compare nuovamente all'interno di una proposizione interrogativa: del movimento ci si domanda l'appartenenza; due sono le possibilità escludentisi: o che sia movimento dell'anima o del corpo, τίνος ἡ κίνησις, ψυχῆς ἢ σώματος;;

iii. la terza la troviamo alla l. 1, 7: il verbo κινέω è riferito all'anima la quale, è immediatamente specificato, non si muove di moto locale, [scil. ψυχή] κινεῖται,

οὔτι γε τοπικῶς;

iv. la quarta e la quinta occorrenza le troviamo all'interno di dell'ultima proposizione interrogativa, l. 1, 8: il primo utilizzo del verbo κινέω è riferito all'anima e alla sua capacità di muovere localmente; il secondo utilizzo del verbo costituisce la premessa della domanda, in quanto considera il movimento proprio dell'anima come un moto di tipo diverso, πῶς οὖν τοπικῶς κινεῖ αὐτὴ [scil. ψυχή] ἄλλον τρόπον κινουμένη;;

La linea con cui si apre lo scritto presenta la prima occorrenza del nostro termine che conduce al fulcro e al nodo concettuale di tutta la trattazione successiva: la domanda è quella che riguarda il moto circolare del cielo (1, 1).

L'indagine da intraprendere può essere concepita tanto nei termini della domanda che riguarda, tout court, il movimento del cielo, quanto sul modo in cui si esplica questo movimento, appunto la sua circolarità. Per quanto le due questioni possano apparire scontate, qui è in gioco proprio il tentativo di ridefinire questi concetti assegnandogli un solido fondamento, come traspare dalla risposta fornita immediatamente: il movimento circolare trova il suo perché nel fatto che il cielo imita l'Intelligenza (ὅτι νοῦν μιμεῖται, 1, 1)356. Il motivo dell'assimilazione all'Intelligenza è lo stesso con cui si chiuderà la trattazione,

elemento che fa presagire che il movimento celeste, lungi dall'essere semplicemente il movimento di un corpo, esige un piano esplicativo di natura differente. L'eco più importante è certamente quello che proviene dalle argomentazioni del Timeo platonico in

circulaire, in: L. Brisson, J.-F. Pradeau, Plotin..., vol. II, p. 315; ugualmente A. H. Armstrong, Plotinus..., vol. II p. 41; E. Bréhier, Ennéades..., p. 20 rende invece in questo modo il testo greco: «Τί οὖν ; Ὅτι ψυχὴ ἐν αὐτῇ ἐστι καὶ πρὸς αὐτήν ἀεὶ σπεύδει ἰέναι ; Ἢ ἔστιν ἐν αὐτῇ οὐ συνεχεῖ οὖσα ; »; secondo la traduzione di S. Mackenna, B. S. Page, Plotinu's Enneads, p. 84 : «Can we account for it on the ground that the Soul has itself at once for the centre and for the goal to which it must be ceaselessly moving; or that being self-centred it is not of unlimited extension [and consequently must move ceaselessly to be omnipresent], and that its revolution carries the material mass with it?»

354 H. S.² vol. I p. 142 rimanda a: Platone, Tim. 34 a 4; Aristotele, De anim., I, 3 407 a 6-407 b 12.

355 Come sottolinea R. Dufour, in: L. Brisson, J. Pradeau, Plotin..., vol. II, p. 320 n. 2, il soggetto della frase

non è espresso nel testo greco: la parola cielo appare per la prima volta alla l. 41.

cui il movimento di traslazione del cielo è ricondotto a quell'anima distesa in esso da parte a parte, capace di quel movimento che soprattutto conviene all'intelligenza e alla saggezza357.

La domanda che segue a queste indaga la paternità di un tale movimento, che può essere ricondotto o all'anima o al corpo (1, 1-2); posto, infatti, che il cielo sia corpo dotato di un'anima divina358, per poter far fronte a questa questione è necessario interrogarsi

innanzitutto sul ruolo dell'anima rispetto al movimento del cielo.

A proposito, quindi, del movimento celeste è necessario domandarsi quale significato assegnare alle seguenti espressioni:

i. l'anima è in se stessa e verso se stessa, τί οὖν ὅτι ψυχὴ ἐν αὐτῇ ἐστι καὶ πρὸς

αὐτήν; (1, 2-3)359;

ii. che l'anima è desiderosa di fuggire, ἢ σπεύδει ἰέναι; (1, 3);

iii. che l'anima è in se stessa ma non in modo continuo, ἢ ἔστιν ἐν αὐτῇ οὐ συνεχεῖ

οὖσα; (1, 3).

Se si riconducesse il moto celeste a quello locale dell'anima (φερομένη συμφέρει; 1, 4) si dovrebbe far fronte a questa difficoltà: infatti, è peculiarità del moto psichico implicare tanto il movimento quanto la stasi; in questo senso, il corpo del cielo, una volta mosso non dovrebbe muoversi più (ἀλλ' ἔδει συμφέρουσαν μηκέτι φέρειν, ἀλλ' ἐνηνοχέναι, τουτέστι

στῆναι, 1, 4-6)360. Tuttavia questa condizione di movimento e arresto, come potrebbe rendere

ragione del movimento circolare eterno (1, 6)?

Alla l. 7 il verbo κινέω è utilizzato insieme al verbo ἵστημι per descrivere le due condizioni che appartengono all'anima e che mettono in luce quanto appena descritto: sia che l'anima sia ferma o in movimento (στήσεται ἤ κινεῖται, 1, 7), in entrambi i casi di stasi e movimento, non si deve intendere ciò in una dimensione spaziale (οὔτι τοπικῶς, 1, 7). La riconduzione del moto celeste a uno di natura eterogenea, appunto psichica, porta a un'ulteriore complicazione: bisogna, in questo caso, poter spiegare come un movimento che non avviene nello spazio dia, invece, origine a un moto locale.

Questa prima parte della trattazione traccia, dunque, l'ordine di problemi che si devono affrontare per poter comprendere la natura del moto celeste; è interessante notare come la problematica del moto celeste venga immediatamente riportata, certo nei termini delle difficoltà da dirimere, al ruolo esercitato dall'anima.

Per tentare di sciogliere questi problemi l'argomentazione si rivolge, quindi, all'esame della peculiarità del moto celeste: la circolarità, infatti, potrebbe rappresentare la chiave concettuale che permette di spiegarne la natura.

357 Mi riferisco in particolar modo a Platone, Tim., 34 A 1- B 9; ma anche id., Leg., X 897 C-898 B. 358 Si veda a questo proposito II, 1 (40).

359 Su questa espressione si veda quanto riportato supra, n. 347.

360 A mio parere viene qui fatto cenno a quella caratteristica dell'anima di essere al contempo in movimento

e in quiete, caratterista che le deriva dal suo rapporto con l'Intelligenza; a questo argomento dedico la terza parte del presente lavoro.

8.1.2 Il moto del cielo è un misto.

La trattazione prosegue quindi ad analizzare il moto circolare del cielo per comprendere se le sue caratteristiche possano ricondurre al suo fondamento; da queste, come si vedrà fra poco, traspare come sia proprio l'anima ad avere un ruolo centrale nel movimento del corpo del cielo:

«Forse il moto circolare non è un moto locale, ma, se lo è, lo è solo in modo accidentale. E allora, quale specie di moto è? È un movimento autocosciente, autointellettivo e vitale, che in nessuna parte è al di fuori o altrove, per cui c'è la necessità di abbracciare tutto. È, in effetti, la parte dominante dell'essere vivente quella che lo abbraccia e lo unifica. Ma se rimanesse ferma non lo abbraccerebbe così da infondergli la vita, né se avesse un corpo conserverebbe ciò che è dentro di lei: infatti la vita del corpo è movimento. Se dunque il moto è anche locale, allora si muoverà come potrà e non come anima soltanto, ma come corpo dotato di anima e come un essere vivente».

«ἢ ἴσως οὐδὲ τοπικὴ κύκλῳ, ἀλλ' εἰ ἄρα, κατὰ συμβεβηκός. ποία οὖν τις; εἰς ὑτὴν συναισθητικὴ καὶ συννοητικὴ καὶ ζωτικὴ καὶ οὐδαμοῦ ἔξω οὐδ' ἄλλοθι. καὶ τὸ πάντα δεῖν περιλαμβάνειν; τοῦ γὰρ ζῴου τὸ κύριον περιληπτικὸν καὶ ποιοῦν ἕν. οὐ περιλήψεται δὲ ζωτικῶς, εἰ μένοι, οὐδὲ σώσει τὰ ἔνδον σῶμα ἔχον· καὶ γὰρ σώματος ζωὴ κίνησις. εἰ οὖν καὶ τοπική, ὡς δυνήσεται κινήσεται καὶ οὐχ ὡς ψυχὴ μόνον, ἀλλ' ὡς σῶμα ἔμψυχον καὶ ὡς ζῷον» (1, 8-16).

Isoliamo nel nostro passo due nuove occorrenze del nostro termine:

i. alla l. 1, 14 il sostantivo κίνησις viene impiegato per denotare la vita del corpo:

σώματος ζωὴ κίνησις (1, 14)361;

ii. alla l. 1, 15 il verbo κινέω designa il moto del cielo, un movimento che avviene come possibile, cioè non solo un movimento psichico, ma il movimento di un corpo animato e di un vivente, ὡς δυνήσεται κινήσεται καὶ οὐχ ὡς ψυχὴ μόνον,

ἀλλ' ὡς σῶμα ἔμψυχον καὶ ὡς ζῷον [scil. οὐρανός l. 41].

L'affermazione di l. 1, 14, certamente di carattere generale, è qui riferita al corpo del tutto, cioè al vivente che abbraccia tutte le cose e non ha nulla fuori di sé362; è il corpo

dell'universo racchiuso dalla sfera celeste che possiede movimento e vita; è la proprio la parte dominante del vivente ad avvolgerlo e a rendere uno il tutto (περιληπτικὸν καὶ

ποιοῦν ἕν, 1, 12); di modo che il moto circolare del cielo può essere considerato un moto

spaziale e di tipo fisico solo in un senso improprio e accidentale (κατὰ συμβεβηκός, 1, 9)363. 361 Sul movimento come vita del corpo: III, 6 (26) 6, 36-41 e 49-53; IV, 3 (27) 20, 41-46.

362 A questo vivente totale è stata dedicata un'ampia trattazione in IV, 4 (28) 32 e ss.

363 Il parallelo di queste espressioni potrebbe essere rinvenuto in Aristotele, De anim., I, 406 b 6-15, in cui

viene prefigurata l'ipotesi, per rigettarla, che l'anima si muova o accidentalmente (κατὰ συμβεβηκὸς) o da se stessa (καθ' αὐτὸ).

Soffermiamoci su questa caratterizzazione del moto celeste come un moto accidentale di tipo fisico: già in IV, 4 (28) 8, 36-37 era stata impiegata la medesima espressione per descrivere il moto celeste; lì il problema discusso era quello della possibilità di assegnare o meno memoria agli astri in virtù della considerazione dei loro spazi di percorrenza, delle orbite tracciate, quale segno del giorno e della notte, del prima e del poi. Ebbene, proprio queste orbite tracciate dagli astri erano definite come “κατὰ συμβεβηκός”; il loro moto, – vale la pena di ricordarlo per quanto seguirà –, era descritto come un movimento attorno a un unico punto (8, 42-43), non di tipo locale, bensì vitale (8, 43). Qui allo stesso modo il moto fisico del cielo è relegato ad un piano accidentale e improprio, mentre propriamente è definito come un movimento autocosciente, autointellettivo e vitale (συναισθητικὴ καὶ

συννοητικὴ καὶ ζωτικὴ [scil. κίνησις], 1, 10); un movimento che non risulta esteriore o

altrove, ma racchiude in sé tutte le cose (πάντα δεῖν περιλαμβάνειν, 1, 11)364. Ora, per

quanto improprio e accidentale anche il moto locale del cielo assume una certa funzione e una certa valenza: se il cielo stesse fermo (εἰ μένοι, 1, 13), ovvero se possedesse un moto soltanto vitale ma non locale, non potrebbe avvolgere il tutto per infondergli la vita: infatti, come si è detto, la vita del corpo è movimento, e il cielo, che pure è dotato di un corpo, se stesse fermo non potrebbe conservare ciò che racchiude.

Per questo è necessario che il cielo si muova secondo il movimento che è possibile (δυνήσεται κινήσεται, 1, 16): non di un moto esclusivamente vitale, ma anche locale (τοπική, 1, 15), come un corpo animato e vivo (ὡς σῶμα ἔμψυχον καὶ ὡς ζῷον, 1, 16).

In questo senso il suo movimento è un misto (ὥστε εἶναι μικτὴν, 1, 16) risultante tanto dal corpo quanto dall'anima; il movimento circolare del cielo è ciò in cui si condensano entrambe le sue componenti: il corpo, infatti, per sua natura si muove spazialmente in linea retta (σώματος εὐθὺ φερομένου, 1, 17)365, mentre all'anima spetta il ruolo di arrestarlo

(ψυχῆς κατεχούσης, 1, 18); è interessante notare come la forza psichica assolva alla funzione di “arresto in senso spaziale”, quasi a evidenziare che la dimensione psichica è altra da quella spaziale e corporea: rispetto al movimento nella dimensione sensibile e al fluire di tutte le cose, l'anima può essere concepita come immobile, perché il suo è un movimento di tipo diverso, un movimento che richiede piuttosto la stabilità366.

Il moto circolare del cielo risulta allora da queste due forze, una dinamica che appartiene alla componente corporea, l'altra, soltanto localmente ferma (ἐκ δ' ἀμφοῖν

γενομένου φερομένου τε καὶ μένοντος, 1, 18-19)367.

364 Cfr. Platone, Tim., 32 c-33a; Aristotele, De caelo, I, 9, 279 A 5-17.

365 Sul movimento in linea retta dei corpi, cfr. Aristotele, De caelo, I, 2, 268 b 20-269 a 7.

366 Su questo particolare aspetto della stabilità psichica in riferimento a una dimensione spaziale si esprime

anche IV, 4 (28) 8, 41-45, in cui sempre a proposito degli astri il loro moto vitale risulta esteriormente in quiete: «ζωήν τε τὴν αὐτὴν ἔχοντα, ὅπου καὶ τὸ τοπικὸν αὐτοῖς περὶ ταὐτόν, ὡς μὴ τοπικόν, ἀλλὰ ζωτικὸν τὸ κίνημα εἶναι ζῴου ἑνὸς εἰς αὐτὸ ἐνεργοῦντος ἐν στάσει μὲν ὡς πρὸς τὸ ἔξω, κινήσει δὲ τῇ ἐν αὐτῷ ζωῇ ἀιδίῳ οὔσῃ».

367 Sul fatto che il moto rotatorio combini il movimento con la quiete concordano sia Platone, Resp., IV 436

d-e, che Aristotele, Phys., VIII 9, 265 B 1-8. G. Reale, Enneadi..., ad. Loc., rimanda a Platone, Tim., 34 a 1-7; R. Dufour, Plotin..., ad loc., sostiene che l'anima come essere immobile è presente in V, 1 (10), 4, 11-12.

8.1.3 Il movimento locale come risultato della forza attrattiva dell'anima

Una volta esplicitato come il moto del cielo possa essere ricondotto, da un lato, ad una componente corporea che esplica una traslazione rettilinea, dall'altro ad una forza psichica che ne determina l'arresto, una volta raggiunto questo guadagno argomentativo bisogna ancora spiegare come questo carattere misto del moto del cielo si concretizzi in un moto di tipo circolare.

Per rendere ragione di come ciò accada l'argomentazione procede al vaglio critico di tre possibili posizioni esplicative; nella prima di queste compare il nostro termine:

«In realtà il fuoco si muove in modo rettilineo finché giunge al posto destinatogli. Perché come è giunto al luogo del suo destino così sembra arrestarsi naturalmente, o procedere fino a quel luogo destinatogli. Perché allora non rimane fermo una volta giunto al cielo? Non è forse perché la natura del fuoco è quella di essere in movimento? Certo, se non si muovesse circolarmente si disperderebbe in una traiettoria rettilinea; perciò deve muoversi circolarmente. Questo però è opera della Provvidenza. Ma c'è qualcosa nel fuoco che deriva dalla Provvidenza, cosicché se esso giunge lassù, si muove da se stesso circolarmene». «ἢ εὐθυπορεῖ, ως ἂν ἥκῃ εἰς τὸ οὗ τέτακται· ὡς γὰρ ἂν ταχθῇ, οὕτω δοκεῖ καὶ ἑστάναι κατὰ φύσιν καὶ φέρεσθαι εἰς ὃ ἐτάχθη. διὰ τί οὖν οὐ μένει ἐλθόν; ἆρα ὅτι ἡ φύσις τῷ πυρὶ ἐν κινήσει; εἰ οὖν μὴ κύκλῳ, σκεδασθήσεται ἐπ' εὐθύ· δεῖ ἄρα κύκλῳ. ἀἈλλὰ τοῦτο προνοίας· ἀλλ' ἐν αὐτῷ παρὰ τῆς προνοίας· ὥστε, εἰ ἐκεῖ γένοιτο, κύκλῳ κινεῖσθαι ἐξ αὐτοῦ» (1, 20-27).

Osserviamo due nuove occorrenze di κίνησις:

i. la prima alla l. 1, 24: il nostro sostantivo è impiegato all'interno di una proposizione interrogativa che verte sulla condizione naturale del fuoco, appunto quella di essere in movimento, ἆρα, ὅτι ἡ φύσις τῷ πυρὶ ἐν κινήσει;368;

ii. la seconda alla l. 1, 26: il verbo κινέω è riferito al movimento del fuoco, il quale da se stesso si muove di moto circolare, [scil. πῦρ] κύκλῳ κινεῖσθαι ἐξ αὐτοῦ. Il passo riportato fa trasparire una prima difficoltà strettamente connessa alla necessità di comprendere come il moto celeste, risultante dal misto di due forze differenti, abbia come esito un moto circolare. Infatti, se del fuoco, il corpo del cielo369, si sostiene che

parimenti a ogni altro corpo si sposta localmente in linea retta (παντὸς εὐθυποροῦντος, 1, 20)370, una volta giunto lassù nella sua sede prestabilita dovrebbe arrestarsi.

368 Sul movimento del fuoco abbiamo già notato l'espressione di III, 6 (26) 6, 36-41: la sua estrema

leggerezza e mobilità lo allontanavano in misura maggiore rispetto agli altri elementi dalla natura corporea.

369 Sul fuoco come corpo del cielo il riferimento è a Platone, Tim. 40 a e ss. 370 È una ripresa di Aristotele, De caelo, I 2, 268 b 20-269 a 7.

La prima occorrenza del nostro termine ha proprio la funzione di spiegare come ciò non accada: infatti, la condizione naturale del fuoco è quella di essere in movimento; ciò fa sì che una volta lassù il fuoco non si arresti, e per evitare di disperdersi in linea retta – giacché prosegue nel suo movimento – è costretto a ruotare (δεῖ ἄρα κύκλῳ, 1, 25).

Si tratta dunque di rendere ragione di come il fuoco possa passare da un movimento rettilineo per natura a un movimento circolare; a questo scopo sono dunque fornite tre modalità esplicative.

La prima è quella che spiega il passaggio al movimento circolare del fuoco una volta che sia giunto lassù, come un movimento spontaneo del fuoco stesso (κύκλῳ κινεῖσθαι ἐξ

αὐτοῦ, 1, 26-27). Il fuoco passerebbe, da se stesso, a una condizione di movimento circolare,

e ciò in virtù di quella Provvidenza che ha inscritta in se stesso371.

La seconda ipotesi considera il passaggio dal movimento rettilineo del fuoco ad un movimento circolare in relazione al fatto che quest'ultimo giunge nell'ultimo luogo possibile, oltre il quale non è dato avanzare, ed è per questo che ripiega circolarmente. Il cielo, infatti, è l'estremità che cinge il cosmo, e poiché il fuoco non può né arrestarsi (1, 23) né proseguire oltre perché non vi è nulla in cui proseguire, non gli rimane che correre in questo luogo in cui è. Ora, poiché il fuoco è giunto quassù, nella corsa che intraprende per deviazione al suo andamento rettilineo, non occupa un luogo che prima non occupava, perché il luogo in cui è non è altro che se stesso, e dunque non è destinato a star fermo ma in movimento (οὐχ ἵνα μένῃ γεγενημένος, ἀλλ' ἵνα φέροιτο, 1, 30-31). Il fuoco, dunque, una volta giunto lassù, in se stesso, inizierebbe a ruotare circolarmente. Ora, se il centro di un cerchio è immobile per natura, ciò che è esterno al centro ed è alle estremità, deve ruotare attorno al centro (περὶ τὸ κέντρον, 1, 33-34); in caso contrario si avrebbe un unico grande cerchio immobile372. La disposizione di una rotazione attorno al centro vale tanto per

il vivente quanto per i corpi naturali; così il fuoco, una volta in se stesso tenderebbe verso il proprio centro, senza collassare su di esso, soddisfa il suo desiderio ruotandogli attorno.

Secondo la terza ipotesi, invece, è l'anima a imprimere al fuoco una rotazione (ψυχὴ

περιάγοι, 1, 37-38):

«l'anima lo attrae eternamente verso se stessa e attraendolo sempre lo muove continuamente, e non lo muove in direzione di un altro luogo ma verso se stessa, nello stesso luogo: e lo conduce non in modo rettilineo ma circolarmente: così gli permette di possederla là dove esso giunge. Ora, se l'anima rimanesse immobile come se fosse soltanto in

371 Il termine utilizzato è προνοίας (1, 26), termine di estrazione certamente stoica. È possibile che qui il

nostro pensatore strappi al contesto stoico questo termine per intenderlo, invece, in un'accezione trasfigurata e in una dimensione spiritualistica, intendendolo cioé come quell'anima che provvede ed è regola e ragione di tutte le cose? A questo proposito cfr. III, 2 (47) e III, 3 (48). Oppure potrebbe trattarsi di una critica interna allo stoicismo, dal momento che sembra che questa opzione venga lasciata cadere nel seguito della trattazione; cfr. su questo punto E. Bréhier, Ennéades..., p. 18. Sul rapporto fra causa fisica e causa psichica in relazione al moto celeste, nonché il ruolo giocato dalla Provvidenza rimando all'analisi di A. Linguiti, Il cielo di Plotino, in: M. Bonazzi, F. Trabattoni, Platone e la tradizione platonica, Cisalpino, Milano 2003, pp. 251-264.

372 Questa argomentazione data per scontato nel testo deve essere concepita alla luce della concezione

un punto dove ciascuna cosa è ferma, allora anche il cielo rimarrebbe fermo. Se dunque l'anima non sarà soltanto lì, in un punto qualsiasi, il cielo si muoverà dappertutto, e non fuori dall'anima, quindi si muoverà circolarmente». «μᾶλλον δὲ αὐτὴ πρὸς αὑτὴν ἄγουσα ἀεὶ ἐν τῷ ἀεὶ ἄγειν ἀεὶ κινεῖ, καὶ οὐκ ἀλλαχοῦ κινοῦσα ἀλλὰ πρὸς αὑτὴν ἐν τῷ αὐτῷ, οὐκ ἐπ' εὐθὺ ἀλλὰ κύκλῳ ἄγουσα δίδωσιν αὐτῷ οὗ ἐὰν ἥκῃ ἐκεῖ ἔχειν αὐτήν. εἰ δὲ μένοι, ὡς ἐκεῖ οὔσης μόνον, οὗ ἕκαστον μένει, στήσεται. εἰ οὖν μὴ ἐκεῖ μόνον ὁπουοῦν, πανταχοῦ οἰσθήσεται καὶ οὐκ ἔξω· κύκλῳ ἄρα» (1, 45-51).

Osserviamo due nuove occorrenze del nostro termine:

i. alla l. 1, 46 il verbo κινέω compare insieme al verbo ἄγω per indicare il potere che l'anima esercita sul cielo; ci troviamo difronte a un medesimo costrutto: [scil.

ψυχή] ἀεὶ ἄγειν ἀεὶ κινεῖ, l'anima attrae sempre e muove sempre il corpo del

cielo;

ii. alla l. 1, 47 il verbo κινέω compare nuovamente, questa volta riferito all'anima movente: questa mette in atto la sua forza motrice, non verso un altro luogo, bensì verso se stessa e nello stesso luogo, [scil. ψυχή] οὐκ ἀλλαχοῦ κινοῦσα

ἀλλὰ πρὸς αὑτὴν ἐν τῷ αὐτῷ.

La prima occorrenza del nostro termine mette in luce il potere esercitato dall'anima sul cielo: si tratta di un potere insieme attrattivo e cinetico, per cui l'anima sempre attrae e sempre muove il corpo del cielo; interessante il parallelo fra le ll. 1, 46 e 47: l'anima attrae il cielo verso se stessa (πρὸς αὑτὴν ἄγουσα ἀεὶ, 1, 46) e muove verso se stessa (κινοῦσα πρὸς

αὑτὴν, 1, 47); è in virtù di questa forza dinamico-attrattiva dell'anima, rivolta a se stessa, che

può essere spiegato il movimento del cielo, non diretto altrove, ma ἐν τῷ αὐτῷ (1, 47); un'identica espressione era stata impiegata nelle battute iniziali dello scritto, in cui in relazione al problema della paternità del moto celeste, l'anima veniva descritta come ψυχὴ

ἐν αὐτῇ ἐστι καὶ πρὸς αὐτήν (1, 2-3): allora è l'essere dell'anima in se stessa e rivolta a se

stessa, la sua tensione attrattiva verso se stessa, il suo movimento rivolto a se, sono la chiave di volta per comprendere il moto del corpo del cielo che si muove in se stesso, si muove verso l'anima, quindi in circolo. Infatti, l'anima universale è ovunque diffusa (πανταχοῦ

οὖσα ἡ ψυχὴ ὅλη, 1, 39-40)373, ed è nel tutto senza essere divisa in parti, e dona questa

caratteristica al cielo pervadendolo e attraversandolo completamente. Il fuoco, mosso e attratto da una simile natura, potrebbe continuare ad espletare un moto rettilineo solo se,