• Non ci sono risultati.

4 «Apparenza di apparenza»: apparenza del diritto e istituti «apparentemente» affini.

4.3. Apparenza del diritto e possesso.

Infine, per circoscrivere ulteriormente l’ambito applicativo della figura dell’apparenza, occorre considerare un’ultima fondamentale distinzione, che, pur affrontata all’esito della nostra breve ricognizione, rappresenta un tassello fondamentale della struttura che abbiamo cercato di costruire111, avendo in passato originato non poche questioni e criticità. L’istituto al quale ci riferiamo, che più di tutti ha posto il problema della sua distinzione rispetto all’apparenza, essendo spesso anzi ad essa assimilato e sovrapposto, è il possesso. Non può, infatti, disconoscersi la sussistenza di una certa assonanza e vicinanza, quantomeno esteriore, fra i due istituti, tanto che non sono mancate voci che hanno fatto riferimento a tali concetti pressoché indistintamente, o addirittura utilizzato l’uno come elemento definitorio dell’altro112.

111 ...last but not least... direbbero gli anglofoni!

112 Fra questi, basti citare l’autorevole voce di F.CARNELUTTI, Teoria generale del diritto,

Roma: Società editrice del Foro italiano, 1951 (3a ed.), p. 182, il quale utilizza il concetto di

apparenza proprio per definire il possesso, quale «situazione di fatto, che ha l’apparenza della situazione di diritto». Parzialmente diversa e maggiormente precisa, invece, la posizione di R. SACCO –R. CATERINA, Il possesso, in Trattato dir. civ. e comm., A. CICU – F.MESSINEO

(diretto da), 7, Milano: Giuffrè, 2000, pp. 41 ss., laddove precisano che il possesso è apparenza nel senso che la situazione di apparenza è determinata dall’apparente esercizio del diritto.

In generale, possiamo rilevare che la sovrapposizione concettuale e la difficoltà di definire il possesso senza fare riferimento all’idea di apparenza si spiega anche in ragione del fatto che il termine apparenza non necessariamente, laddove utilizzato nell’ambito della definizione di possesso, come di altri istituti, deve essere inteso nel suo significato tecnico-giuridico, di apparentia

iuris come abbiamo cercato di delinearla, trattandosi infatti di termine proprio

anche del linguaggio comune113. Il che evidentemente pone il problema e alimenta la difficoltà di riuscire a distinguere, nei diversi casi, quando lo stesso sia usato in maniera atecnica, senza dunque doversene necessariamente dedurre una volontà da parte di chi lo utilizza di accostare due fenomeni giuridici differenti, e quando, invece, lo stesso sia da intendersi quale tecnicismo giuridico, in quanto tale indicativo del principio dell’apparenza del diritto che qui ci occupa.

Tuttavia, nonostante un’iniziale confusione concettuale tra possesso e apparenza, la dottrina ha progressivamente ritenuto di dover procedere ad un’opportuna distinzione, la quale può ormai oggi ritenersi pressoché unanimemente riconosciuta114. La motivazione che spinge i più ad affermare tale differenza è dovuta alla circostanza che il possesso è riconosciuto e tutelato in sé e per sé115, e non in quanto espressione di un principio superiore. In altre parole, se un domani il legislatore o anche soltanto la giurisprudenza

113 La diffusione e l’utilizzo del termine «apparenza» anche in contesti ulteriori e diversi

rispetto a quello giuridico è un’evidenza segnalata anche da N.IMARISIO, L’apparenza del diritto cit., p. 3, allorquando riporta e fa riferimento alla definizione di apparenza «nella

prospettiva metagiuridica».

114 Questo il pensiero anche di N.IMARISIO, L’apparenza del diritto cit., p. 12, secondo la

quale oggi «si è pressoché pacificamente escluso che il rilievo giuridico attribuito dal legislatore al possesso valga a configurare una fattispecie di apparenza».

115 N.IMARISIO, L’apparenza del diritto cit., p. 12: «è la situazione di possesso in sé ad essere

tutelata, non la situazione in quanto considerata normale manifestazione esterna del diritto di proprietà»; «la tutela giuridica è infatti accordata al possessore di per sé, ovvero all’individuo che pone in essere la situazione che “corrisponde” all’esercizio del diritto di proprietà». Particolare, invece, la motivazione addotta da Angelo Falzea a sostegno della tesi della necessaria distinzione tra possesso e apparenza. L’autore in particolare ritiene che l’apparenza, per la sua natura (che con una metafora ci piace definire di «specchio» della realtà) richiede necessariamente e «non può ricorrere se non quando si abbia una situazione capace di spiegare forza segnalatrice di realtà». Di conseguenza, secondo Falzea, non potrebbero certo «dar luogo ad ipotesi di apparenza quei fatti che sono caratterizzati da una struttura opaca e che perciò non sono in grado di segnalare alcunché, al di fuori della propria esistenza» (A. FALZEA, s.v. Apparenza cit., pp. 687 ss.). Infatti, è chiaro che così come uno specchio per poter restituire

un’immagine limpida e definita richiede una certa definizione e nitidezza dell’oggetto che vi si riflette, analogamente il principio dell’apparenta iuris difficilmente potrà operare a fronte di istituti già in sé connotati da una certa opacità e duttilità.

dovesse decidere di privare di rilevanza il principio di apparenza, il possesso non sarebbe evidentemente travolto da tale revirement, poiché, pur trattandosi di uno stato di fatto che ha al suo interno, quale elemento costitutivo intrinseco, una situazione di apparenza – nello specifico l’apparenza del diritto di proprietà – tuttavia non si identifica con essa.

Da quanto appena affermato risulta chiaro, dunque, che la questione della distinzione tra apparenza e possesso è strettamente connessa con quella sopra analizzata, della portata del principio di apparenza e della sua caratterizzazione quale principio generale del diritto o quale dizione riferibile ad una serie tassativa di istituti che della stessa costituiscono le concrete manifestazioni.

È evidente, infatti, che finché ci si limiti a considerare le diverse fattispecie che dell’apparenza sono espressione, prese uti singulae, non potrà tra le stesse ricomprendersi il possesso, che rispetto ad esse si colloca evidentemente su di un livello superiore. Nel senso che, mentre nelle ipotesi appena citate l’ordinamento si limita a riconoscere determinati diritti o facoltà ai terzi coinvolti nell’apparenza, al fine di evitare loro un pregiudizio, finendo così per assimilare dal punto di vista del trattamento giuridico la situazione apparente a quella fattuale, nel caso del possesso le cose stanno diversamente. In quest’ultima ipotesi, infatti, l’ordinamento sceglie di attribuire rilievo giuridico e conseguentemente di predisporre una tutela per una situazione, sì fattuale, ma connotata da una tale rilevanza sul piano sociale ed economico da non poter essere relegata al mondo del mero fatto e abbandonata all’autogoverno dei privati. Questo, però, senza che siano disconosciute o eleminate le differenze tra l’istituto fattuale – possesso – e quello giuridico – proprietà – la cui alterità116 anzi viene ribadita, oltre che attraverso una diversa

116 Chiara è infatti, almeno in astratto, la linea di confine che il nostro sistema di diritto privato

individua fra proprietà, come titolarità del diritto reale, e possesso, come esercizio di fatto della signoria sul bene. Non del tutto analoga pare, invece, la distinzione all’interno del diritto romano, dove, come ha osservato la dottrina, «non si può intendere il concetto di possessio come esercizio di fatto del diritto di proprietà, perché ancora in epoca classica non era stato elaborato un concetto di diritto di proprietà separato dalla cosa: la proprietà non era considerata propriamente un diritto, ma era vista coincidere con la stessa res». Così si esprime, in particolare, P.LAMBRINI, La natura del possesso nel diritto romano classico, in Studi in onore di Maurizio Pedrazza Gorlero, 1: I diritti fondamentali fra concetti e tutele, Napoli: ESI, 2014,

pp. 415-424 (cfr. in particolare p. 417), la quale al tema della possessio ha dedicato ampi studi, fra cui: P.LAMBRINI, L’elemento soggettivo nelle situazioni possessorie del diritto romano classico, Padova: CEDAM, 1998; ID., Capacità naturale e acquisto del possesso, in Index, 27 (1999), pp. 317- 332; ID., La teoria dei rapporti possessori nella riflessione di Giorgio La Pira, in Index, 34 (2006), pp. 191-200. L’autrice, inoltre, sottolinea come per i giuristi romani

individuazione definitoria sul piano sostanziale, soprattutto attraverso la predisposizione di strumenti processuali differenti a protezione dell’uno e dell’altra117. I rispettivi mezzi, infatti, si differenziano sia quanto agli effetti conseguenti al loro accoglimento118, sia quanto ai presupposti richiesti ai fini dell’esperimento, non richiedendo la tutela del possesso, a differenza di quella della proprietà e degli altri diritti reali, alcun accertamento in ordine alla titolarità della situazione di diritto in capo all’agente, il quale infatti invoca protezione non per uno status giuridico, bensì fattuale.

Quanto appena osservato segna una differenza importante rispetto alle fattispecie individuate come espressione del principio di apparenza giuridica, nelle quali – come avremo modo di vedere in dettaglio – la tutela viene apprestata e concepita dall’ordinamento attraverso un’estensione ad esse del regime ordinariamente previsto per l’istituto di cui manifestano le sembianze.

Tale essenziale differenza è elemento sufficiente, secondo l’impostazione seguita dalla dottrina maggioritaria, per «escludere che il possesso, nell’ambito del nostro diritto, possa essere definito come fenomeno di apparenza»119: tanto che, recentemente è stato rilevato come la teoria dell’apparenza, pur avendo risentito in passato in maniera significativa, soprattutto in Germania, della tematica del possesso, che ne ha indiscutibilmente segnato l’origine e

il possesso non fosse «l’immagine esteriore di un diritto, ma piuttosto un semplice rapporto materiale con una cosa» (P.LAMBRINI, La natura del possesso nel diritto romano classico, cit., p. 420). Il che, ai nostri fini, consente di escludere che il possesso per l’esperienza giuridica antica – e, peraltro, a fortiori rispetto a quanto già illustrato per quella moderna – fosse considerato espressione di un fenomeno di apparenza giuridica.

117 È noto, infatti, che le azioni individuate a tutela del possesso sono diverse rispetto a quelle

poste a tutela del diritto di proprietà. A fronte delle classiche azioni petitorie (fra le quali, accanto alla fondamentale azione di rivendicazione si pongono anche l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini e l’azione di apposizione di termini: artt. 948-951 c.c.), il possesso riceve protezione attraverso rimedi, maggiormente snelli e duttili, proprio in quanto non presuppongono la prova della titolarità del diritto reale. Tali rimedi, normalmente qualificati complessivamente come azioni possessorie, sono individuati dal legislatore in base al tipo di lesione subita. Così, in caso spoglio violento e clandestino potrà essere esperita l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.), mentre in caso di spoglio cosiddetto semplice, ossia non connotato da violenza e clandestinità, nonché nel caso in cui il pacifico esercizio del possesso sia minacciato da turbative e molestie, potrà farsi luogo all’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.).

118 È ancora A.FALZEA, s.v. Apparenza cit., p. 688 ad osservare che: «la tutela del possesso si

estrinseca in effetti giuridici diversi da quelli del correlativo diritto reale».

condizionato la genesi, si sia ormai oggi definitivamente da essa «emancipata»120.

5. Osservazioni conclusive sull’apparentia come preludio

Outline

Documenti correlati