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Il fenomeno rappresentativo nel mondo antico: le principali forme di rappresentanza note al diritto

L’APPARENZA DEL DIRITTO NELLA RAPPRESENTANZA E NEL MANDATO:

3. Il fenomeno rappresentativo nel mondo antico: le principali forme di rappresentanza note al diritto

romano.

Dovendo affrontare dunque il tema del falsus procurator nel diritto romano, diviene imprescindibile premettere qualche fondamentale nozione in ordine alla rappresentanza così come era configurata nel sistema giuridico di Roma antica, tenuto conto delle significative differenze intercorrenti rispetto all’istituto come a noi noto.

11 Per l’analisi manualistica dei concetti di procurator e di falsus procurator nel diritto romano,

si vedano: V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 351 ss.; P.BONFANTE, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 400 ss.; A.BURDESE, Manuale di diritto privato romano

cit., pp. 209 ss.; A.GUARINO, Diritto privato romano cit., pp. 213 ss. e 413 ss.; M.MARRONE, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 185 ss., 501; G. NICOSIA, Nuovi profili istituzionali di

diritto privato romano cit., pp. 268, 393 ss.; G.PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano cit., p.

272, 640; G.PUGLIESE –F.SITZIA –L.VACCA, Istituzioni di diritto romano cit., p. 162, 342; G.

SCHERILLO – F. GNOLI, Diritto romano: lezioni istituzionali cit., p. 326 e 431; M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 268 ss., 343, 604; E.VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano cit., pp. 149 ss., 529 ss.

Volendo brevemente inquadrare il fenomeno della rappresentanza nell’ambito del diritto romano12, occorre anzitutto ricordare che quest’ultimo non concepiva il fenomeno rappresentativo come siamo abituati a pensarlo oggi. Com’è noto, il nostro ordinamento distingue all’interno del fenomeno rappresentativo complessivamente inteso, due principali forme di rappresentanza, tradizionalmente qualificate come diretta o indiretta, che differiscono in virtù della diversa posizione assunta dal rappresentante rispetto al rappresentato e, conseguentemente degli effetti giuridici discendenti dai negozi da questo conclusi. In particolare, si ha rappresentanza diretta allorquando il rappresentante agisca in nome e per conto del rappresentato, spendendo il nome di quest’ultimo (cosiddetta contemplatio domini) nel compimento dei diversi atti giuridici, che produrranno dunque direttamente effetti in capo al rappresentante. Nel caso in cui la rappresentanza sia, invece, indiretta, il rappresentato agirà per conto altrui ma in nome proprio: non si avrà, perciò, in questo caso spendita del nome del rappresentato, la cui presenza non figurerà nei rapporti con i terzi instaurati dal rappresentante. Di conseguenza gli effetti si produrranno nella sfera giuridica di quest’ultimo, che sarà poi tenuto a ritrasferirli in capo al rappresentato, nell’interesse del quale ha agito. Sarà dunque in questo caso necessario un ulteriore negozio – o più negozi – perché gli effetti giuridici sorti nella sfera giuridica del rappresentante ricadano in quella del rappresentato.

In ogni caso, l’elemento fondamentale della rappresentanza, quale essa sia, è il medesimo, e consiste nello sdoppiamento di una delle parti del negozio giuridico: quest’ultimo, infatti, invece di essere posto in essere dal reale titolare del diritto, viene concluso da un soggetto diverso, che è però legittimato,

12 Per un inquadramento generale della rappresentanza nell’ambito del diritto romano si

vedano, ancora una volta, i principali manuali istituzionali: V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 93 ss.; E.BETTI, Istituzioni di diritto romano, 1, Padova: CEDAM,

1942, pp. 222 ss.; P. BONFANTE, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 331 ss.; A.BURDESE, Manuale di diritto privato romano cit., pp. 208 ss.; A.GUARINO, Diritto privato romano cit.,

pp. 60 ss. e 403 ss.; M.MARRONE, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 182 ss.; G.NICOSIA,

Nuovi profili istituzionali di diritto privato romano cit., pp. 267 ss.; G.PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 271 ss.; G.PUGLIESE –F. SITZIA –L. VACCA, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 162 ss.; G. SCHERILLO – F.GNOLI, Diritto romano: lezioni istituzionali cit., pp. 210 ss.; M.TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 264 ss.; E.VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano cit., pp. 146 ss.

proprio in virtù del potere ricevuto – in via unilaterale, mediante procura, o, bilaterale, in esecuzione di un contratto di mandato – a sostituirsi a lui.

Da quanto detto è possibile allora ricavare quale sia l’essenza della rappresentanza, la sua ragion d’essere e la sua finalità: la sostituzione della volontà del soggetto titolare del diritto (rappresentato) con la volontà di un altro soggetto (rappresentante). Infatti, solamente laddove questo secondo soggetto intervenga nel negozio giuridico con la propria volontà si configura un fenomeno di tipo rappresentativo. Al contrario, qualora il rappresentante, nel corso dell’attività negoziale a lui affidata, si limiti a seguire, potremmo dire, le istruzioni le istruzioni del rappresentato, semplicemente conformandosi alle sue direttive e senza intervenire neppure in minima parte con la propria volontà, non agirà in veste di rappresentante, ma piuttosto di messaggero, mero portavoce o, volendo usare il nome latino, nuncius13. In questo caso, infatti, il soggetto non rilascia una propria dichiarazione di volontà, ma funge da semplice mezzo di comunicazione di quella altrui, al pari di altri strumenti, quali una lettera o in generale un testo scritto: non a caso le fonti lo citano, con formule pressoché identiche, come alternativo alla scrittura per la conclusione dei negozi tra assenti (vel per epistulam vel per nuntium ... et per nuntium et

per litteras ... per litteras eius vel per nuntium). Pertanto, con riferimento al

mero nuncius non potrà applicarsi la disciplina relativa alla rappresentanza, trattandosi di due fenomeni ontologicamente tra loro diversificati.

Naturalmente la scissione sopra prospettata tra rappresentanza diretta e indiretta è interna al fenomeno della rappresentanza cosiddetta ‘volontaria’, e non attiene alla diversa tipologia di rappresentanza ‘legale’. L’elemento distintivo fra le due forme di rappresentanza risiede nella fonte del potere rappresentativo, discendente, com’è intuibile, nel primo caso dalla volontà delle parti e nel secondo dalla legge. Questa seconda tipologia di rappresentanza ricorre, normalmente, quando vi sia la necessità di tutelare un soggetto incapace: non a caso, esempi tipici di rappresentanti legali si

13 D. 2.14.2.pr. (Paul. 3 ad ed.): «Labeo ait convenire posse vel re: vel per epistulam vel per

nuntium inter absentes quoque posse. Sed etiam tacite consensu convenire intellegitur.»; D.

18.1.1.2 (Paul. 33 ad ed.): «Est autem emptio iuris gentium, et ideo consensu peragitur et inter

absentes contrahi potest et per nuntium et per litteras.»; D. 23.2.5 (Pomp. 4 ad Sab.):

«Mulierem absenti per litteras eius vel per nuntium posse nubere placet, si in domum eius

deduceretur: eam vero quae abesset ex litteris vel nuntio suo duci a marito non posse: deductione enim opus esse in mariti, non in uxoris domum, quasi in domicilium matrimonii.»

rinvengono nei confronti dei minori o dei soggetti altrimenti incapaci, ad esempio in virtù di un’infermità psichica o fisica più o meno grave (come avviene negli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, nonché nelle ipotesi, residuali, in cui si rende necessario ricorrere all’amministrazione di sostegno). In questi casi, la legge attribuisce la rappresentanza rispettivamente ai loro genitori, per quanto riguarda i minori, e ai tutori o curatori, per quanto riguarda i soggetti interdetti o inabilitati, dove i primi assumono nei confronti dei secondi la veste di rappresentanti legali.

Il fenomeno della rappresentanza legale, peraltro, non era ignoto neppure al diritto romano, che conosceva sia la figura della tutela che quella della curatela. La prima, in particolare, si rendeva sempre necessaria nei confronti degli impuberi, ossia tutti quei soggetti, di sesso maschile o femminile, che non avessero ancora raggiunto l’età pubere14, alla quale si presumeva conseguito quel livello minimo di maturità psicofisica necessaria per l’attribuzione della capacità di agire, ossia la possibilità di rendersi parte attiva nelle relazioni giuridiche attraverso la conclusione e il compimento di negozi giuridicamente rilevanti. In questo caso, al minore (pupillus) era assegnato da un tutore (tutor

impuberis)15, che lo assisteva nel compimento degli atti che altrimenti questi da solo non avrebbe potuto compiere, sostituendosi ad esso o affiancandolo a seconda dell’età raggiunta. Una diversa forma di tutela era poi quella muliebre, prevista per le donne, quale che fosse la loro età: infatti, i soggetti di sesso femminile nella società di Roma antica necessitavano sempre dell’assistenza di un tutore – tanto che si è parlato in dottrina di «tutela a vita» –, nella veste di

14 Il raggiungimento della pubertà seguiva un diverso regime in base al genere del soggetto

coinvolto: tale soglia, infatti, si presumeva raggiunta ad un’età diversa per i maschi e per le femmine, in particolare quattordici anni per i primi e dodici per le seconde. La questione verrà meglio approfondita nel capitolo V, par. 4.1.3, quando parleremo del requisito dell’età richiesta ai nubendi per la conclusione di un valido matrimonio (matrimonium iustum).

15 Sulla rappresentanza del tutore nei confronti del pupillo, si vedano i fondamentali studi di

Siro Solazzi, articolati su quattro contributi pubblicati in sequenza sul Bullettino di diritto

romano: S.SOLAZZI, Le azioni del pupillo e contro il pupillo per i negozi conclusi dal tutore (Contributi alla storia della rappresentanza nel diritto romano), in BIDR, 22 (1910), pp. 5-

108; S.SOLAZZI, Le azioni del pupillo e contro il pupillo per i negozi conclusi dal tutore (Contributi alla storia della rappresentanza nel diritto romano) (Continuazione), in BIDR, 23

(1911), pp. 119-185; S.SOLAZZI, Le azioni del pupillo e contro il pupillo per i negozi conclusi dal tutore (Contributi alla storia della rappresentanza nel diritto romano) (Continuazione), in BIDR, 24 (1911), pp. 116-169; S.SOLAZZI, Le azioni del pupillo e contro il pupillo per i negozi

conclusi dal tutore (Contributi alla storia della rappresentanza nel diritto romano) (Continuazione e fine), in BIDR, 25 (1912), pp. 89-129.

tutor impuberis fino al compimento dei dodici anni, e di tutor mulieris per il

tempo successivo16.

Diversa figura di rappresentante legale era invece quella del curatore, che già anticamente era prevista per affiancare il prodigus (cura prodigi), ossia lo «sperperatore», cioè quel soggetto che manifestava una incontrollabile e patologica tendenza a dissipare il patrimonio, o il furiosus (cura furiosi), ossia affetto da pazzia o infermità mentale. A tali diverse ipotesi di curatori si affiancò poi in proseguo di tempo un’ulteriore figura, quella del curator

minorum XXV annorum – introdotto dalla lex Laetoria de circumscriptione adulescentium, probabilmente del 191 a.C. – prevista a tutela dei soggetti

minori di venticinque anni, i quali, proprio a causa della loro giovane età, avrebbero facilmente rischiato di subire raggiri nel compimento dell’attività negoziale. Da notare che, tutti questi casi di rappresentanza legale, pur nelle loro differenti strutture e funzioni, sono accomunati dal fatto che, quantomeno nella configurazione iniziale, sulla finalità protettiva del soggetto debole, che è alla base delle moderne ipotesi di rappresentanza legale, prevale quella

16 La celebre espressione è di Eva Cantarella: cfr. E.CANTARELLA, Passato prossimo: donne

romane da Tacita a Sulpicia, Milano: Feltrinelli, 2012 (8a ed.), pp. 66 ss.; E.CANTARELLA,

L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana,

Milano: Feltrinelli, 2011 (3a ed.), pp. 182 ss.; e già prima: E.CANTARELLA, Tacita Muta. La

donna nella città antica, Roma: Editori Riuniti, 1985. La ragione della necessità di tale tutela

perpetua per le donne veniva tradizionalmente attribuita alla asserita inferiorità fisica e psichica del sesso femminile: Gai. 1.144: «Permissum est itaque parentibus liberis, quos in potestate

sua habent, testamento tutores dare: masculini quidem sexus inpuberibus, feminini vero inpuberibus puberibusque, vel cum nuptae sint. Veteres enim voluerunt feminas, etiamsi perfectae aetatis sint, propter animi levitatem in tutela esse.». Anche se lo stesso Gaio

dimostra, in un successivo passo delle sue Institutiones (da noi già citato, sebbene ad altri fini: cfr. cap. 3 par. 5 e cap. 5 par. 8), di non condividere tale prospettiva, ritenendo che la motivazione addotta dai veteres sia in verità più apparente che reale: Gai. 1.190: «Feminas

vero perfectae aetatis in tutela esse fere nulla pretiosa ratio suasisse videtur: Nam quae vulgo creditur, quin levitate animi plerumque decipiuntur et aequum erat eas tutorum auctoritate regi, magis speciosa videtur quam vera; mulieres enim, quae perfectae aetatis sunt, ipsae sibi negotia tractant, et in quibusdam causis dicis gratia tutor interponit auctoritatem suam; saepe etiam invitus auctor fieri a praetore cogitur.».

potestativa17, come dimostra la celebre endiadi serviana con cui il giurista – stando a quanto ci riporta Paolo – la definisce come «vis ac potestas»18.

Al di là di tali figure di rappresentanza legale, quella che qui interessa è l’altra figura di rappresentanza, ossia quella che abbiamo già definito come volontaria. Tuttavia, occorre avvisare che rispetto alla distinzione prospettata in apertura di questo paragrafo, il diritto romano conosce soltanto una delle due figure di rappresentanza e, in particolare, unicamente quella indiretta. Il sistema di ius civile non giunse mai, invece, a riconoscere espressamente una forma diretta di rappresentanza, essendo principio di ius civile – sancito sia con riferimento ai negozi reali («per extraneam personam nobis adquiri non

posse») che con riferimento a quelli obbligatori («alteri stipulari nemo potest»)

– quello che escludeva a possibilità di obbligarsi o acquistare tramite terzi19. Anche se, in concreto, effetti analoghi a quelli scaturente dalla rappresentanza diretta furono in parte raggiunti grazie all’attività giurisdizionale-creativa del pretore, il quale, attraverso una serie di deroghe e temperamenti, rese possibile in certi casi che il negozio potesse produrre effetti immediati nella sfera giuridica di un soggetto diverso da quello che lo aveva posto in essere. Fra gli

17 S.SOLAZZI, s.v. Tutela e curatela (diritto romano), 1: Tutela, in Noviss. Dig. It., 19, Torino:

UTET, 1973, pp. 915-918[seguito da:F.SITZIA, s.v. Tutela e curatela (diritto romano), 2: Curatela, in Noviss. Dig. It., 19, Torino: UTET, 1973, pp. 918-919]: «La tutela è stata prima

un diritto ed un potere del tutore, una privata funzione in rapporto con la famiglia romana». Sulla definizione di tutela come «vis ac potestas» si vedano, inoltre, le recenti osservazioni di F.BRIGUGLIO, Servio Sulpicio e la definizione di tutela: vis ac potestas o ius ac potestas?, in Studi in onore di Antonino Metro, 1, C.RUSSO RUGGERI (a cura di), Milano: Giuffrè, pp. 163-

179, a cui si rinvia per ulteriore bibliografia.

18 D. 26.1.1.pr. (Paul. 38 ad ed.): «Tutela est, ut Servius definit, vis ac potestas in capite libero

ad tuendum eum, qui propter aetatem sua sponte se defendere nequit, iure civili data ac permissa.».

19 L’assenza di rappresentanza diretta nel diritto romano viene normalmente argomentata in

dottrina sulla base dei principi, desumibili rispettivamente dalle parole di Ulpiano e di Gaio, per cui «alteri stipulari nemo potest» e «per extraneam personam nobis adquiri non posse». Cfr. D. 45.1.38.17 (Ulp. 49 ad Sab.): «Alteri stipulari nemo potest, praeterquam si servus

domino, filius patri stipuletur: inventae sunt enim huiusmodi obligationes ad hoc, ut unusquisque sibi adquirat quod sua interest; ceterum ut alii detur, nihil interest mea. [...]».

Gai. 2.95: «Ex his apparet per liberos homines, quos neque iuri nostro subiectos habemus

neque bona fide possidemus, item per alienos servos, in quibus neque usumfructum habemus neque iustam possessionem, nulla ex causa nobis adquiri posse. Et hoc est, quod vulgo dicitur per extraneam personam nobis adquiri non posse; [...]». Dell’acquisto per extraneam personam e delle diverse categorie di soggetti attraverso cui è possibile acquistare per mezzo di

altri si occupa anche Gaio (Gai 2.86-2.94), su cui cfr. F.BRIGUGLIO, Studi sul procurator, 1,

cit., in particolare cap. 2 («L’acquisto del possesso per mezzo del procurator»), pp. 45 ss. Una ricognizione riassuntiva circa lo stato della dottrina romanistica sul tema della rappresentanza è stata, infine, recentemente offerta da P.P.ONIDA,Agire per altri o agire per mezzo di altri: appunti romanistici sulla rappresentanza, Napoli: Jovene, 2018, alle cui osservazioni si rinvia.

strumenti all’uopo utilizzati rientra la particolare categoria delle actiones

adiecticiae qualitatis e le relative formule con trasposizione di soggetti20, grazie a cui fu di fatto resa possibile la produzione in capo al paterfamilias degli effetti giuridici scaturenti da negozi conclusi dai soggetti sottoposti alla sua potestas, figli o schiavi che fossero21.

Chiarito che quando parliamo di rappresentanza nell’ambito del diritto romano facciamo riferimento alla sua forma indiretta, occorre vagliare quali fossero le figure di rappresentanti indiretti conosciuti dal diritto di Roma antica. Ed ecco che, a tale proposito, incontriamo finalmente la figura del

procurator, del quale occorrerà dunque chiarire il significato, la portata e

l’ampiezza, cercando di valutarne i rapporti rispetto alla figura del mandatario e, in generale, agli altri soggetti destinatari di un iussum domini, ossia che abbiano ricevuto un’apposita autorizzazione da parte di un altro soggetto (dominus), interessato all’affare nel quale desidera essere rappresentato.

4. La nozione di procurator: il suo significato e le principali

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