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L’erede apparente nel diritto civile italiano.

MORTIS CAUSA: EREDE APPARENTE, POSSESSOR PRO HEREDE E POSSESSOR PRO POSSESSORE

1. L’erede apparente nel diritto civile italiano.

Come anticipato nel capitolo introduttivo, un primo ambito in cui il fenomeno dell’apparenza del diritto esplica la sua manifestazione è il campo delle successioni mortis causa. In particolare, viene in rilievo l’istituto oggi noto come ‘apparenza ereditaria’, che sotto il profilo soggettivo chiama in causa la figura del cosiddetto ‘erede apparente’1.

Merita fin da subito rilevare che la locuzione ‘erede apparente’ non trova nella legislazione italiana moderna una propria definizione: non esiste, infatti, nel nostro codice civile una disposizione ad esso dedicata, né tale terminologia compare nella rubrica di alcuno degli articoli.

1 Per alcuni riferimenti bibliografici essenziali in tema di erede apparente, si vedano: G.

BRUNETTI, Il diritto romano nella giurisprudenza: l’erede apparente (art. 933 Cod. civ. it.),

Bologna: Tipografia Alfonso Garagnani e figli, 1895; G.BRUNETTI, L’erede apparente: (art. 933 cod. civ. it.), in AG, 55 (1895), pp. 1160-1600.; F.D.BUSNELLI, s.v. Erede apparente, in

ED, 15, Milano: Giuffrè, 1966, pp. 198-208; M.COLOMBATTO, s.v. Erede apparente, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino: UTET, 1982, pp. 508-510; A. DE BERARDINIS, La concezione

giuridica dell’erede apparente nel codice civile italiano (contributo all’interpretazione dell’art. 933), in AG, 73 (1904), pp. 247-304; G.GALLI, Il problema dell’erede apparente,

Milano: Giuffrè, 1971; R. TARDIVO, L’erede apparente, Padova: CEDAM, 1932; A. TARTUFARI, Del possesso qual titolo di diritti, 2. Del possesso qual titolo apparente universale, rubr. I, Qual sia l’erede apparente, Torino: Fratelli Bocca, 1878.

Nonostante ciò, l’esistenza di tale figura viene, per così dire, supposta e data quasi per scontata, in quanto compare in maniera fugace in due articoli, i quali citano l’erede apparente, pur senza preoccuparsi di definirne la sostanza.

Tale atteggiamento non può interpretarsi o intendersi come una mera svista del legislatore, scarsamente verosimile e difficilmente giustificabile. Piuttosto può ritenersi, come evidenziato dalla dottrina, che tale omissione sia del tutto consapevole e che si giustifichi col fatto che ‘erede apparente’ è espressione in sé sintomatica del fenomeno, che pertanto non necessiterebbe di ulteriori spiegazioni. Volendo comunque sforzarsi di trovare una definizione che, per quanto semplice, consenta quantomeno di inquadrare il fenomeno, può dirsi che ‘erede apparente’ è colui che circostanze obiettive indicano come successore del de cuius mentre in realtà tale non è: per utilizzare una formula sintetica, si può dire che è colui che, pur non essendo erede, si atteggia come tale. Ciò in quanto l’erede apparente è un soggetto che, alla morte di una persona, si comporta come se fosse il successore universale, pur senza rivestire tale qualifica: agisce, cioè, come se l’eredità gli fosse stata devoluta e fosse stata da lui acquistata, ingenerando così nei terzi la convinzione di essere il legittimo erede del de cuius2.

2 In questa sede ci limitiamo a ricordare che l’apparenza può riguardare non solo la posizione

di erede, ma anche quella di legatario. Posto che l’art. 534 c.c. contempla soltanto gli acquisti dall’erede apparente e, stante la diversità ontologica tra le due figure di successioni (a titolo universale, l’erede, a titolo particolare il legatario) occorre chiedersi quale sia la sorte dei diritti acquistati dai terzi dal legatario apparente, ossia colui che, pur non ricoprendo tale qualifica, sia apparso agli occhi esterni come legatario. A riguardo si rileva che, secondo un orientamento dottrinale [F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano: Giuffrè, 1972, p.

673; L.FERRI –P.ZANELLI, Della trascrizione immobiliare (art. 2643-2682), in Comm. Cod.

civ., SCIALOJA A.–BRANCA G.(a cura di), Bologna: Zanichelli – Roma: Soc. ed. del Foro

italiano, 1995 (3a ed.), p. 227] sarebbe possibile estendere in via analogica l’art. 534 c.c. anche

all’acquisto dal legatario apparente: ciò in quanto, da un lato, sussisterebbe un’evidente analogia rispetto all’ipotesi dell’acquisto dall’erede apparente e, dall’altro, perché l’art. 2652 n. 7 c.c. detta una disciplina analoga per ambedue i casi. In particolare, l’art. 2652 c.c. prevede al n. 7 che si debbano trascrivere – qualora riferite ai diritti menzionati nell’articolo 2643 – le domande giudiziali «con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte. Salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell’articolo 534, se la trascrizione della domanda è eseguita dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell’acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno a qualunque titolo acquistato diritti da chi appare erede o legatario». Tuttavia, i requisiti richiesti per l’operatività di quest’ultimo articolo sono in verità diversi rispetto ai presupposti dell’art. 534 c.c. e, dunque, non consentono di assimilare e parificare completamente le due fattispecie, che occorre invece mantenere distinte. Infatti, tra l’art. 534 e l’art. 2652 n. 7 si differenziano sotto più profili: anzitutto, rispetto all’ambito di tutela, in quanto, il secondo introduce, rispetto al primo, una protezione aggiuntiva: esso, infatti, riguarda anche gli acquisti effettuati a titolo gratuito, laddove invece l’art. 534 c.c. richiede per la sua applicazione che si tratti di atti

Occorre fin d’ora precisare che l’erede apparente non è necessariamente il possessore della massa ereditaria. La veste di erede, infatti, se il più delle volte è conseguenza del possesso dei beni del de cuius da parte dell’erede apparente, tuttavia non presuppone necessariamente tale disponibilità. L’apparenza ereditaria, infatti, non postula il possesso di tali beni, ma si fonda, più genericamente, su una situazione idonea ad ingenerare nei terzi la ragionevole opinione di essere di fronte all’erede effettivo. Ciò che conta, dunque, non è tanto la situazione di materiale disponibilità delle res formanti oggetto dell’asse ereditario, quanto il contegno concretamente assunto dal sedicente erede e il suo manifestarsi come tale agli occhi dei terzi.

Naturalmente un comportamento dell’erede apparente, singolarmente e isolatamente considerato, non incontra alcun interesse giuridico, se non in quanto esso coinvolga altri soggetti. In questo caso, infatti, allorquando si pongano in essere negozi giuridici che coinvolgano i diritti di terzi o che siano anche indirettamente idonei a lederne gli interessi, è chiaro che l’ordinamento non può più disinteressarsi del fenomeno, ma dovrà preoccuparsi di individuarne il trattamento giuridico e disciplinarne gli effetti. E, infatti, in quest’ordine di idee si pone il nostro codice, il quale prende in considerazione non la figura dell’erede apparente in quanto tale, ma gli atti che lo stesso possa aver posto in essere e che coinvolgano ulteriori soggetti. Così, da un lato e in

primis, esso prende in considerazione la posizione dell’erede vero, che si trovi

davanti ad un soggetto che, senza esserlo, vanti a sua volta il titolo di erede, consentendogli di esperire anche nei suoi confronti gli ordinari mezzi a tutela dell’eredità. In particolare, l’art. 534 del codice civile consente all’erede di esercitare l’azione di petizione dell’eredità anche nei confronti di colui che possiede a titolo di erede o senza titolo. Dall’altro lato, contempla la posizione dei terzi che abbiano concluso negozi con l’erede apparente, i quali potrebbero subire un danno nel momento in cui, con tali negozi, siano stati trasferiti diritti di cui l’alienante non era titolato a disporre. Ciò in particolare nelle ipotesi di

compiuti a titolo oneroso. Tale tutela è però subordinata al rispetto del termine quinquennale tra la trascrizione del titolo e la trascrizione della domanda giudiziale con cui viene contestato il titolo stesso e l’acquisto del terzo. Dall’altro, l’ulteriore distinzione riguarda il requisito della buona fede del terzo avente causa, che nel caso del 2652 n. 7 c.c. segue il principio generale dell’art 1147 c.c. e dunque è presunta, mentre nel caso del 534 c.c. se ne discosta, incombendo il relativo onere della prova in capo al terzo medesimo.

acquisto a titolo oneroso, in quanto tali soggetti, a fronte di un esborso economico, rischierebbero di vedersi privati in un secondo momento anche del bene rivendicato dal reale proprietario, ossia l’erede vero. Per questo motivo, in presenza di determinati presupposti, primo fra tutti la buona fede dei terzi contraenti, i quali abbiano dunque creduto senza colpa di aver intrattenuto rapporti con un soggetto che era – e non semplicemente appariva – erede, il codice accorda la possibilità agli acquirenti dall’erede apparente di salvare il proprio acquisto3.

Evidentemente la scelta del nostro legislatore di tutelare, al ricorrere di precise condizioni, l’apparenza ereditaria, è espressione di un regime eccezionale e trova giustificazione nella oggettiva difficoltà di verificare ex

ante la effettiva qualità di erede di un soggetto che si presenti e agisca come

tale. L’obiettivo è, dunque, quello di apprestare tutela in una serie di situazioni in cui sarebbe estremamente difficile procedere all’accertamento del titolo ereditario, il quale può dipendere da aspetti di gran lunga più complessi rispetto a quanto avvenga per gli acquisti a titolo derivativo, che sono la conseguenza di atti inter vivos.

Nel nostro ordinamento, la disciplina relativa all’erede apparente emerge in particolare con riferimento all’eventualità in cui l’erede vero eserciti l’azione di petizione dell’eredità, ossia il mezzo processuale attraverso cui colui che afferma di essere erede può domandare l’accertamento del proprio status al fine di vedersi riconosciuti i diritti che da esso conseguono, paralizzando le pretese altrui. Si tratta di un’azione di natura reale che, in ossequio al principio «semel heres semper heres», è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni. In particolare, una volta accettata l’eredità, l’erede, attraverso l’azione di petizione ereditaria, può chiedere il riconoscimento della sua qualità contro chiunque possieda, anche solo in parte, i beni ereditari a titolo di erede (possessio pro herede) o senza titolo alcuno (possessio pro

possessore), ovvero contro i loro aventi causa (art. 534 c.c.), allo scopo di

ottenere la restituzione dei beni medesimi.

3 Per completezza è solo il caso di accennare che, allorquando l’acquisto abbia avuto ad

oggetto beni immobili o beni mobili registrati, tale disciplina deve naturalmente essere coordinata e completata con la normativa in tema di trascrizione.

Per quanto concerne gli effetti derivanti dall’azione di petizione ereditaria, la relativa sentenza produce effetti sia dichiarativi che di condanna. In particolare, qualora la petitio hereditatis venga accolta, da un lato all’attore è riconosciuta la qualità di erede vantata e, dall’altro, il convenuto è condannato alla restituzione dei beni ereditari illegittimamente trattenuti. Tale effetto, peraltro, si produce a prescindere dal suo stato di buona o di mala fede, la quale rileverà unicamente con riferimento alla disciplina relativa a frutti, spese, miglioramenti e addizioni4.

Quanto ai presupposti dell’azione di petizione ereditaria, questa può, quindi, essere esercitata dal soggetto che si ritiene5 erede e che abbia accettato l’eredità, al fine di recuperare beni appartenenti all’asse ereditario6. Ciò, in base al nostro codice, può avvenire quando tali beni siano posseduti da un soggetto che affermi, in buona o in mala fede, di essere erede; o, in alternativa, quando un soggetto li possieda senza alcun titolo (cosiddetto ‘usurpatore di beni ereditari’).

Al fine di meglio tutelare la posizione dell’erede, che potrebbe essere pregiudicata da successivi trasferimenti dei beni ereditari, il nostro codice consente, inoltre, di esperire l’azione di petizione dell’eredità anche contro i terzi aventi causa da chi possiede a titolo di erede, o senza titolo, i beni ereditari o parte di essi (articolo 534 comma 1 c.c.).

4 In tal caso si applicano le disposizioni dettate in tema di possesso per quanto attiene alla

restituzione dei frutti, alle spese, ai miglioramenti e addizioni a norma dell’articolo 535 comma 1 c.c., tenuto conto della buona o mala fede del possessore.

5 Si è utilizzata l’espressione «ritenersi erede» e non «essere erede», in quanto l’azione di

petizione ereditaria è originata proprio da una contestazione intorno allo status di erede. La qualità di erede deve costituire res litigiosa tra le parti e, in quanto tale, formerà oggetto di accertamento da parte del giudice: solo in esito a tale accertamento, il giudice dichiarerà con sentenza chi è erede e chi dunque è titolato ad acquistare l’eredità.

6 Evidenti risultano essere le assonanze tra l’azione di petizione ereditaria e l’azione di

rivendicazione, diretta alla restituzione del bene in forza dell’accertamento del diritto di proprietà del rivendicante. L’azione di petizione ereditaria, però, non mira all’accertamento del diritto di proprietà dell’erede sui beni di cui si richieda la restituzione, ma mira ad accertare la qualità di erede in capo all’attore e l’appartenenza dei beni all’asse ereditario. L’azione, pertanto, come autorevolmente sostenuto (Schlesinger), mira ad assicurare all’erede il ripristino della stessa situazione in cui de facto si trovava il de cuius rispetto a tutti beni che al momento della morte erano nella sua disponibilità. Ne deriva che se il possessore allega un titolo particolare non implicante l’attribuzione della sua qualità di erede, affermando ad esempio di aver acquistato il bene dal de cuius per atto inter vivos, non essendo in alcun modo in contestazione la qualità di erede, si dovrà agire al fine di contestare il diritto del possessore con la normale azione di rivendicazione.

Tale estensione, peraltro, subisce un temperamento volto a salvaguardare i diritti dei terzi che abbiano acquistato appunto dall’erede apparente. In particolare, la legge appresta una particolare tutela nei confronti dell’avente causa che, a titolo oneroso abbia, in buona fede, acquistato beni dal cosiddetto ‘erede apparente’.

In tal caso l’ordinamento – il secondo comma dell’art. 534 del codice civile – fa salvo l’acquisto del terzo, che altrimenti risulterebbe ingiustamente pregiudicato7. La salvezza dell’acquisto dall’erede apparente è, tuttavia, subordinata al ricorrere di determinate condizioni: una oggettiva, che riguarda il tipo di negozio posto in essere, ed una soggettiva, che concerne la condizione del terzo.

In primo luogo, sul piano oggettivo, deve essere intervenuto un sacrificio economico da parte del terzo acquirente: il codice richiede, infatti, che l’acquisto sia avvenuto sulla base di una convenzione a titolo oneroso8, con conseguente esclusione di ogni acquisto effettuato gratuitamente, cioè senza un corrispondente esborso da parte del terzo. Ciò si spiega in quanto, nell’individuare il bilanciamento tra i contrapposti interessi dell’erede vero e del terzo avente causa dall’erede apparente, l’ordinamento decide che la tutela del primo, debba essere subordinata esclusivamente all’interesse di chi, dall’eventuale inopponibilità dell’acquisto, riceverebbe un danno, e non anche a quello di un soggetto – quale sarebbe il terzo avente causa dall’erede apparente che acquisti a titolo gratuito – che ne riceverebbe soltanto un mancato arricchimento.

In secondo luogo, sotto il profilo soggettivo, il terzo acquirente dall’erede apparente deve aver contratto in buona fede. In questo caso la buona fede,

7 A tali condizioni, poi, si aggiunge, quale presupposto di base, la natura mobiliare dei beni. La

regola citata, infatti, vale solo quando oggetto dell’acquisto siano beni mobili non iscritti in pubblici registri. Ove l’acquisto del terzo abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati esso sarà, invece, soggetto al regime generale di opponibilità derivante dalla trascrizione: così, per i beni immobili e i mobili registrati, invece, affinché l’acquisto del terzo in buona fede sia fatto salvo, è necessario che sia trascritto anteriormente all’acquisto del vero erede (articolo 2648 c.c.) o alla domanda giudiziale (eventualmente anche la petizione di eredità proposta da questo contro l’erede apparente). Al contrario, se l’acquisto dall’erede apparente non è trascritto anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente, l’acquisto del vero erede dovrà necessariamente prevalere.

8 Rientrano tra le convenzioni a titolo oneroso sia i negozi traslativi del diritto di proprietà dei

peraltro, a differenza di quanto avviene normalmente, non è presunta, ma deve essere provata dal terzo: infatti, in deroga alla regola generale dell’art. 1147 comma 3 c.c.9, in base alla quale la buona fede si presume, l’articolo 534 c.c.10 pone in capo al terzo l’onere di dimostrare il proprio stato soggettivo.

Alla luce di tale disciplina, può risolversi anche la questione relativa alla natura giuridica dell’acquisto dall’erede apparente. In particolare, secondo l’impostazione dottrinale prevalente, si tratterebbe di un’ipotesi di acquisto a

non domino, che, in quanto espressione del principio dell’apparentia iuris,

sarebbe in grado di derogare al principio secondo il quale un soggetto non può legittimamente trasferire un bene di cui non sia proprietario11.

Per quanto concerne, invece, la posizione dell’erede apparente, questi, qualora sia di buona fede – la quale, tuttavia, non giova se l’errore dipende da colpa grave – è tenuto a restituire all’erede effettivo il prezzo o il corrispettivo

9 Il possesso di buona fede è così definito dall’art. 1147 c.c.: «È possessore di buona fede chi

possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. / La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.».

10 Cfr. anche l’analoga regola di cui all’articolo 1189 c.c. con riferimento al pagamento al

creditore apparente, per il quale si rinvia al cap. 3, ad esso dedicato.

11 Si veda il noto brocardo: «Nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet».

Questo enuncia uno dei più importanti principi del nostro ordinamento civilistico, stabilendo che non è possibile trasferire ad altri un diritto che non si ha o un diritto più ampio rispetto a quello di cui si è titolari. Il principio, come spesso accade, è stato ereditato dal diritto romano: la sua paternità è infatti da attribuire al giurista Ulpiano, il quale lo enuncia in un brano del suo commentario all’editto, riportato dai compilatori giustinianei nel cinquantesimo ed ultimo libro del Digesto, che raccoglie i frammenti afferenti alle regulae iuris [D. 50.17.54 (Ulp. 46 ad

ed.)]. In base a tale regula, vigente anche negli ordinamenti moderni, in caso di acquisto della

proprietà o di altro diritto soggettivo a titolo derivativo, il dante causa può trasferire al suo avente causa soltanto un diritto pari a quello di cui è attualmente titolare. Una cessione che violasse tale limite sarebbe al contrario del tutto invalida, non potendo il tradens disporre di ciò che non gli spetta. Posto il principio, è necessario tuttavia precisare che esso, come ogni regola generale, incontra alcune eccezioni: questo non è applicabile, per esempio, in caso di acquisto a titolo originario, mancando la trasmissione del diritto da un soggetto all’altro. Inoltre, anche nel caso di acquisto a titolo derivativo sono possibili delle deroghe, laddove necessarie al fine di tutelare e dare preferenza ad ulteriori principi che, nel bilanciamento con quello in esame, devono essere preferiti, come avviene per il legittimo affidamento dell’acquirente. È quanto avviene, per esempio, per i casi che rientrano nella regola del cosiddetto possesso vale titolo, ossia i casi in cui un soggetto in buona fede può acquistare la proprietà per effetto della trasmissione del possesso a soggetto in buona fede, in base ad un titolo astrattamente idoneo, anche se il tradens non era l’effettivo proprietario del bene trasferito (acquisto a non domino). Per approfondimenti in merito al principio citato, si veda lo scritto, ad esso specificamente dedicato, di A.SALOMONE, Intorno alla regula ‘nemo plus iuris’ (D. 50.17.54 Ulp. 46 ad ed.),

in TSDP 10 (2017); si confrontino, inoltre, U.ALBANESE, Massime, enunciazioni e formule

giuridiche latine, Milano: Hoepli, 1993, p. 246; L.DE MAURI, Regulae iuris, Milano: Hoepli,

ricevuto dal terzo; mentre, se di mala fede, è obbligato a recuperare la cosa alienata per restituirla in natura o a pagarne il relativo valore12.

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