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La definizione ulpianea di possessor pro possessore.

herede nel contesto del diritto romano.

3. Possessor pro herede e possessor pro possessore nella definizione di Ulpiano.

3.2. La definizione ulpianea di possessor pro possessore.

Dopo aver definito il possessor pro herede, Ulpiano passa, poi, a definire l’altro tipo di possessore, ossia quello che gli antichi qualificano come pro

possessore.

D. 5.3.11.1 (Ulp. 15 ad ed.)

Pro possessore vero possidet praedo, [...]

L’incipit del frammento D. 5.3.11.1 è del tutto speculare a quello del brano immediatamente precedente, rispetto al quale si pone in contrapposizione, come dimostra la congiunzione avversativa «vero»26. Attraverso la simmetria «pro herede possidet» del principium e la successiva «pro possessore

possidet» del frammento 1, Ulpiano mette in evidenza le due diverse tipologie

di possesso, così da tracciare una linea di confine ed evitare confusioni concettuali. A tal fine, il «vero» serve proprio a sottolineare l’alterità dei concetti, la loro non sovrapponibilità, come dire che se un soggetto «possidet

pro herede», allora quello stesso soggetto non può «possidere pro possessore»27. E, infatti, Ulpiano afferma che possiede pro possessore il

26 Nel brano il giurista utilizza la parola «vero», che è la più forte tra le congiunzioni di tipo

avversativo latine. Il «vero» è, infatti, il «ma» nella forma più radicale: è il «ma» che segna un’alternativa netta e tranchant con quanto è stato enunciato prima dell’affermazione introdotta dallo stesso «vero».

27 G. BRUNETTI, Il diritto romano nella giurisprudenza: l’erede apparente, p. 126: «Il

possessor pro herede è colui che possiede l’eredità come erede, che si vanta erede, che

manifesta in tutti i modi l’animus heredis, che, interrogato perché possiede l’eredità, risponde: “perché sono l’erede”. Non importa poi che egli possieda in buona o in mala fede, che non abbia nessun titolo effettivo a fondamento del suo vanto di erede, che egli risponda di essere l’erede anche sapendo di mentire: basta che agisca come erede, e che contendat se heredem

esse. Questi è appunto l’erede apparente.». Dopodiché, passando ad occuparsi del possessor pro possessore, l’autore prosegue: «Invece il possessor pro possessore è colui che non

praedo, cioè il predone, il ladro, il brigante, ossia quel soggetto che abbia

ottenuto il possesso del bene in modo illecito, con violenza, o clandestinamente. Si fa, dunque, riferimento a colui che agisce nella totale consapevolezza di ledere la posizione di un altro soggetto, sia essa una situazione di vero e proprio diritto, come nel caso in cui la lesione colpisca il

dominus, ossia il titolare del diritto di proprietà, sia che la sottrazione avvenga

a danno di colui che abbia il bene in virtù di una mera relazione di fatto, e sia perciò possessore, ma legittimo.

Ulpiano, dunque, nel momento stesso in cui afferma che il possessor pro

possessore è il praedo, introduce un elemento di disvalore ed è come se

affermasse, seppur indirettamente, che possiede pro possessore colui che possiede in mala fede.

Ma la definizione ulpianea non si ferma qui: il giurista, infatti, prosegue nel tratteggiare i caratteri del possessor pro possessore portando avanti il parallelismo con il possessor pro herede, come dimostrano i due brani seguenti.

D. 5.3.12 (Ulp. 67 ad ed.)

Qui interrogatus cur possideat, responsurus sit “quia possideo” nec contendet se heredem vel per mendacium,

D. 5.3.13.pr. (Ulp. 15 ad ed.)

Nec ullam causam possessionis possit dicere: et ideo fur et raptor petitione hereditatis tenentur.

Nel frammento 12 emerge con evidenza l’andamento speculare rispetto ai due frammenti precedenti. Se, da un lato, il possessor pro herede era colui che «se heredem esse putat», il possessor pro possessore, al contrario, è colui che «se heredem non contendet». Quindi la prima contrapposizione di Ulpiano è quella legata alla consapevolezza circa la propria qualifica di successore e, dunque, circa la relativa spendita del titolo di erede. Infatti, il possessor pro

herede sarà colui che nell’eventuale processo di petizione dell’eredità, a fronte

menzogna (non contendit se heredem vel per mendacium), colui che, interrogato perché possieda, senza vantare affatto la qualità ereditaria, risponde semplicemente: «perché possiedo» (qui interrogatus cur possideat, respodurus sit: quia possideo). Ora questi, che non possiede come erede, non può apparire erede, e perciò non può essere un erede apparente.».

della domanda «perché possiedi?», risponderà semplicemente – e tautologicamente – «perché possiedo», senza addurre alcuna giustificazione o alcun titolo legittimante a sostegno della propria signoria di fatto sui beni oggetto di contesa. E ciò è quanto vale a distinguerlo dal possessor pro herede, che nell’ambito del medesimo processo, a fronte della medesima domanda volta ad indagare la ragione del possesso, afferma invece la propria qualità di erede. E questo sia nell’ipotesi in cui effettivamente ritenga di essere il legittimo successore rispetto ai beni in questione, sia nella diversa ipotesi in cui di tale convinzione sia privo e, dunque, affermi la propria qualità di erede per menzogna. Di nuovo, l’esempio è quello anzidetto del bonorum possessor, che, convenuto in giudizio dall’heres civilis, affermi la propria qualifica di erede, pur nella consapevolezza di non essere erede per il diritto civile, ma di essere semmai un mero erede pretorio, che può vantare semplicemente la bonorum

possessio, ma non certo il titolo di heres ex iure civili.

Ed ecco che viene in rilievo il secondo parallelismo di Ulpiano, che infatti nel giustificare la risposta resa dal bonorum possessor di fronte alla domanda «perché possiedi?», ritiene che tale soggetto non adduca alcuna motivazione al proprio possesso, neppure frutto di una menzogna. In altre parole, il possessor

pro possessore non si preoccupa affatto di giustificare il proprio possesso, né

affermando la sussistenza di un falso titolo, né adducendo una qualsivoglia altra causa («nec contendet se heredem vel per mendacium [...] nec ullam

causam possessionis possit dicere»). Quindi, non solo non afferma di essere

erede nella convinzione di esserlo, ma non lo afferma neppure mentendo, ossia nel tentativo di giustificare la propria posizione dichiarando una situazione che sa inesistente. In quest’ultimo caso, infatti, si ricadrebbe nell’ipotesi precedente e il soggetto non sarebbe un possessor pro possessore, che afferma di possedere perché possiede, ma un possessor pro herede, che dichiara di possedere perché è erede, a prescindere dal fatto che una simile affermazione sia resa in buona o in mala fede, poiché frutto di un erroneo ma incolpevole convincimento o, viceversa, di una menzogna.

Ciò posto, dunque, Ulpiano conclude che sia il ladro che il rapinatore («fur

et raptor») – entrambi rientranti nella categoria dei praedones, ossia dei

cosiddetti briganti, dei soggetti dediti ad attività illecite – sono obbligati in base all’azione di petizione dell’eredità («petitione hereditatis tenentur»).

Dopodiché, a conferma e a rafforzamento di quanto appena detto, nei successivi brani Ulpiano porta ulteriori esempi di acquisto sulla base di titoli consapevolmente invalidi, che attribuiscono al soggetto acquirente la qualifica di mero possessore. Ulpiano individua, infatti, una stretta connessone fra il titolo di possessor pro possessore e gli altri titoli in virtù dei quali può determinarsi un acquisto, fra i quali cita a titolo esemplificativo, la compravendita, la donazione, la dazione di dote e il legato avente una causa falsa.

D. 5.3.13.1 (Ulp. 15 ad ed.)

Omnibus etiam titulis hic pro possessore haeret et quasi iniunctus est. Denique et pro emptore titulo haeret: nam si a furioso emero sciens, pro possessore possideo. Item in titulo pro donato quaeritur, an quis pro possessore possideat, ut puta uxor vel maritus: et placet nobis Iuliani sententia pro possessore possidere eum, et ideo petitione hereditatis tenebitur. Item pro dote titulus recipit pro possessore possessionem, ut puta si a minore duodecim annis nupta mihi quasi dotem sciens accepi. Et si legatum mihi solutum est ex falsa causa scienti, utique pro possessore possidebo.

In tutti questi casi, infatti, secondo il giurista – avvenga l’acquisto a titolo oneroso, come nella compravendita, a titolo di gratuito, come nella donazione, o in vista di un’unione coniugale – l’acquisto del possesso richiede una serie di presupposti in assenza dei quali non potrà dirsi perfezionato. Perciò, in tutte le ipotesi in cui manchino i requisiti richiesti, il soggetto acquirente che abbia ottenuto il possesso nella consapevolezza di tale carenza, non potrà dirsi proprietario dei beni posseduti, rispetto ai quali sarà un semplice possessore. Su di essi, infatti, non potrà esercitare una signoria di diritto uti dominus, ma una mera signoria di fatto. In altre parole, sarà rispetto ad essi un possessor pro

possessore. Così chi abbia acquistato un bene ereditario da un soggetto che

sappia essere insano di mente (furiosus), così la moglie che abbia ricevuto una donazione («pro donato») dal proprio marito – o viceversa – nonostante il noto divieto di donazioni fra coniugi; o, ancora, il marito che abbia ricevuto beni in dote («pro dote») dalla moglie infradodicenne («minor duodecim annis

nupta»)28, pur essendo perfettamente al corrente dell’età della medesima. Infine, anche nel caso in cui il soggetto legatario sia stato destinatario di un legato fondato su di una causa che egli sapeva essere falsa29, dovrà ugualmente considerarsi un mero possessore, avendo ugualmente acquistato il bene sulla base di un titolo della cui invalidità era al corrente. In tutti questi casi, secondo Ulpiano – il quale accetta e conferma il parere reso da Giuliano sulla questione («placet nobis Iuliani sententia») – il soggetto che abbia acquistato il bene sulla base di un titolo che egli sapeva essere invalido sarà tenuto a rispondere in base all’azione di petizione dell’eredità («petitione hereditatis tenebitur»).

Diversamente, tale azione non potrà venire in rilievo nell’ipotesi in cui il soggetto abbia restituito l’eredità, purché abbia fatto ciò in uno stato di buona fede. Laddove, invece, la dazione sia avvenuta con dolo, il soggetto sarà tenuto in base alla medesima azione di petizione, rispetto alla quale, come precisa il giurista, viene in rilievo anche il «dolus praeteritus», ossia il cosiddetto «dolo del tempo passato». In tale ipotesi, infatti, è come se il soggetto avesse dolosamente cessato di possedere i beni («quasi dolo desierit possidere»), in quanto egli li ha ceduti con la consapevolezza di non doverli dare: ha, perciò, agito con dolo, ossia con uno stato soggettivo che, di nuovo, implica la consapevolezza di porre in essere un atto che in realtà non dovrebbe essere compiuto.

D. 5.3.13.2 (Ulp. 15 ad ed.)

Is autem qui restituit hereditatem teneri hereditatis petitione non potest, nisi dolo fecit, id est si scit et restituit: nam et dolus praeteritus venit in hereditatis petitione, quasi dolo desierit possidere.

28 L’età richiesta per contrarre un valido matrimonio a Roma era di quattordici anni per gli

uomini e dodici anni per le donne. Sul punto, si rinvia alle osservazioni contenute nel cap. 5, par. 4.1.3.

29 Ulpiano non specifica il tipo di legato, ma l’esempio immaginato fa verosimilmente

riferimento ad un legato per damnationem, disposizione a titolo particolare ad effetti obbligatori, in cui l’erede o in generale l’onerato è tenuto al compimento di una determinata obbligazione di dare o di facere a favore del soggetto onorato (legatario). In tal caso, laddove il titolo da cui scaturisce tale obbligazione sia falso, è chiaro che non potrà prodursi l’effetto giuridico cui era volto. Perciò, nell’ipotesi di legato avente ad oggetto l’obbligo per l’erede di trasferire la proprietà di un singolo bene dell’asse ereditario in favore del soggetto legatario, laddove il legato sia falso e il legatario sia a conoscenza di tale falsità, non si produrrà l’acquisto e il legatario non diverrà proprietario del bene trasferito, ma semplicemente un mero possessore (possessor pro possessore).

4. L’estensione della petitio hereditatis nelle ipotesi di

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