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Il principio di apparenza nel diritto delle obbligazioni: adempimento e pagamento.

FALSUS CREDITOR E ADIECTUS SOLUTIONIS CAUSA

1. Il creditore apparente e l’adiectus solutionis causa nel diritto civile italiano.

1.1. Il principio di apparenza nel diritto delle obbligazioni: adempimento e pagamento.

Oltre al campo del diritto ereditario – di cui abbiamo appena trattato dedicandoci alla figura dell’erede apparente – il principio dell’apparentia iuris trova, poi, importanti applicazioni nell’ambito del diritto contrattuale e delle obbligazioni. La nostra attenzione si sposta, dunque, dal settore ereditario e delle successioni mortis causa – in cui alberga l’istituto dell’erede apparente – a quello delle relazioni tra privati instaurate mediante negozi inter vivos, quali i contratti o gli altri atti che siano fonte di obbligazioni per le parti, nell’ambito dei quali si colloca la disciplina del ‘pagamento al creditore apparente’.

Muta, dunque, il contesto di riferimento, ma l’aggettivo che accompagna i due sostantivi, erede e creditore, è sempre il medesimo: «apparente». In questo secondo caso, però, la figura del creditore apparente non rileva in sé e per sé, ma interessa al nostro legislatore con riferimento all’atto del pagamento.

Ciò in quanto è giuridicamente irrilevante che un soggetto possa manifestare all’esterno le vesti del creditore, ossia del titolare del diritto di credito finché ciò non si traduca in un atto negoziale in grado di incedere sulle sorti del credito stesso e dunque, in ultima analisi, sugli interessi del creditore effettivo. Al contrario, l’ordinamento dovrà preoccuparsi di disciplinare quelle situazioni in cui l’apparenza di creditore provochi la reazione altrui e, in particolare, quella del debitore, che, confidando nelle apparenti vesti creditorie dell’accipiens, esegua la prestazione cui è tenuto nelle mani di costui.

Da quanto osservato, dunque, emerge che l’apparentia iuris applicata alla figura del creditore interessa con riferimento al fenomeno del pagamento o, più in generale, dell’adempimento, assumendo infatti rilievo giuridico allorquando la prestazione sia eseguita a favore di un soggetto che abbia solo l’apparenza, ma non l’essenza di creditore.

Volendo nuovamente seguire l’impostazione adottata nel capitolo precedente, anche questa volta è opportuno premettere un breve inquadramento dell’istituto nell’ambito del diritto moderno: ciò sempre nella convinzione – già dichiarata – circa l’inadeguatezza di un’indagine che si proponga di ricercare nel passato eventuali anticipazioni di figure proprie del nostro ordinamento, senza aver preventivamente studiato e compreso l’essenza dell’istituto rispetto al quale intende instaurare il raffronto. In tale ottica, dunque, soltanto una volta ricostruito il fenomeno interessato attraverso le categorie note alla modernità giuridica, sarà poi possibile indagare l’eventuale presenza di antecedenti storici nel diritto romano; e, laddove tale ricerca dia esito positivo, effettuare un raffronto, valutando se prevalgano i margini di continuità o, piuttosto, quelli di frattura.

Se questo è, dunque, il percorso che si intende seguire, il primo passo da compiere dovrà allora tendere ad inquadrare giuridicamente il fenomeno del pagamento al creditore apparente così come è oggi disciplinato: a tal fine, è necessario richiamare brevemente il contesto entro il quale detto istituto si colloca, che è, evidentemente, quello dell’adempimento delle obbligazioni, di cui il pagamento costituisce la più importante e frequente modalità.

Ora, com’è noto, l’adempimento è l’esatta esecuzione della prestazione dovuta dedotta in obbligazione e rappresenta, nell’ordinamento italiano, il principale, sebbene non unico, modo di estinzione delle obbligazioni. Più

correttamente, l’adempimento può definirsi come il mezzo normale di estinzione del rapporto obbligatorio, rispetto al quale si inserisce nella fase fisiologica ed esecutiva: con esso, infatti, il debitore, eseguendo esattamente la prestazione alla quale si è impegnato, si libera dal vincolo debitorio e, correlativamente, soddisfa l’interesse del creditore. L’esatto adempimento, dunque, al tempo stesso libera il debitore e soddisfa il creditore, estinguendo così il vinculum iuris che legava le due parti, attiva e passiva, dell’obbligazione.

Dal punto di vista ontologico, dunque, l’adempimento appartiene alla più ampia categoria dei fatti giuridici, intesi come quegli accadimenti naturali o umani produttivi di determinati effetti riconosciuti e tutelati dall’ordinamento1.

Sotto il profilo funzionale, invece, l’adempimento, in quanto teso a realizzare, da un lato, la soddisfazione dell’interesse del creditore e, dall’altro, la liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio, opera come strumento di composizione tra le diverse esigenze delle due parti dell’obbligazione2.

Per quanto concerne, poi, l’aspetto definitorio, pur essendo chiara l’essenza e la funzione dell’adempimento, manca tuttavia nel nostro ordinamento una sua definizione normativa. Il legislatore, infatti, pur utilizzando svariate volte il termine adempimento, non ha ritenuto necessario specificarne la nozione, né individuarne gli elementi costitutivi. Questi sono, dunque, ricavati in via interpretativa dal complesso delle disposizioni codicistiche e, in particolar modo, da quelle dettate in tema di inadempimento o non esatto adempimento dell’obbligazione e, correlativamente, di responsabilità contrattuale.

1 La qualifica dell’adempimento in termini di «atto giuridico» non è sempre stata pacifica in

dottrina. In passato si è, infatti, discusso se all’adempimento dovesse attribuirsi natura fattuale o, piuttosto, negoziale. In particolare, per i sostenitori della prima tesi, l’adempimento sarebbe un fatto giuridico, ossia ogni accadimento produttivo di conseguenze giuridicamente rilevanti; per i fautori della seconda tesi, invece, l’adempimento dovrebbe più correttamente qualificarsi come negozio giuridico, facendo riferimento alla manifestazione di volontà, diretta a costituire, modificare o estinguere situazioni giuridicamente rilevanti. Ad oggi, tuttavia, la teoria negoziale è stata per lo più abbandonata dalla dottrina, che tendenzialmente ricostruisce l’adempimento in termini fattuali. Qualche voce isolata sostiene ancora oggi la teoria negoziale, rilevando che, se l’adempimento non si fondasse sulla volontà di adempiere l’obbligazione, sarebbe un comportamento del tutto neutro, che necessiterebbe di essere ricollegato ad una qualche giustificazione casuale, come ad esempio una donazione.

2 Sul punto la dottrina (Perlingieri) sottolinea come tale funzione si giustifichi, in particolar

modo, laddove si acceda alla tesi che configura l’obbligazione come rapporto giuridico complesso.

A tali considerazioni deve, poi, aggiungersi un’ulteriore precisazione lessicale: individuato l’adempimento come il modo ordinario per estinguere l’obbligazione debitoria, attraverso l’esecuzione della prestazione da parte dell’obbligato nei confronti del creditore, occorre però rilevare che non è infrequente3 l’utilizzo promiscuo da parte del nostro legislatore dei termini «adempimento» e «pagamento». Trattasi, in verità, di un utilizzo non del tutto proprio, dal momento che fra i due termini non può dirsi sussistente una perfetta assimilazione. L’utilizzo del termine «pagamento», infatti, dovrebbe più correttamente essere limitato alle sole obbligazioni pecuniarie, alle quali tecnicamente si riferisce in maniera specifica4. Tuttavia, in via di fatto deve rilevarsi come il suo utilizzo quale sinonimo di «adempimento», pur giuridicamente da considerarsi improprio5, risulti ampiamente diffuso nel linguaggio comune. Tale sovrapposizione terminologica, probabilmente, oltre ad essere il più delle volte irrilevante, stante il rapporto di genus ad species che lega i due concetti – essendo il pagamento nient’altro che una, anzi la principale, modalità di adempimento – è ulteriormente giustificabile in virtù dell’assenza, come anzidetto, di una definizione positiva che individui e, al contempo, ne delimiti, i confini precisi del concetto di adempimento.

Stante l’assenza di una norma definitoria all’interno del nostro codice, la dottrina e, in parte, anche la giurisprudenza hanno ampiamente discusso in merito all’opportunità di delineare una nozione di «esatto adempimento». Operazione, quest’ultima, solo apparentemente semplice, in quanto impone di

3 Per avere conferma dell’utilizzo legislativo del temine «pagamento» in luogo di quello,

tecnicamente corretto, di «adempimento», si vedano a titolo esemplificativo i seguenti articoli del nostro codice civile: 1185, 1188, 1189, 1190, 1191, 1192, 1193, 1194, 1195, 1197, 1198, 1200, 1201, 1203, 1205, 1206, 1245, 1262, 1269, 1270.

4 Ciò risulta chiaramente dall’articolazione del codice civile, che dedica un’apposita sezione (la

prima sezione del settimo capo del primo titolo del libro quarto «delle obbligazioni») alle obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro (cfr. artt. 1277 ss. c.c.).

5 La parola «adempimento» riveste una funzione generale ed omnicomprensiva, essendo

riferibile all’esecuzione di ogni tipo di prestazione, abbia essa ad oggetto un dare, un fare o un non fare dell’obbligato. Rispetto a tale generale accezione, il termine «pagamento» costituisce una delle possibili specificazioni, individuando più precisamente l’adempimento dell’obbligazione di pagare – e quindi di dare – una somma di denaro. Nel regime dell’adempimento delle obbligazioni (art. 1176 ss. del c.c.), infatti, il termine «pagamento» compare per la prima volta nell’art. 1182, comma 3, che riguarda l’obbligazione «avente per oggetto una somma di danaro». Per un approfondimento circa la nozione civilistica di pagamento, nonché quella più generale di adempimento, si rinvia a: M. GIORGIANNI, s.v.

Pagamento (diritto civile), in Noviss. Dig. It., 12, Torino: UTET, 1965, pp. 321-332; R. NICOLÒ, s.v. Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., 1, Milano: Giuffrè, 1958, pp. 554-567.

ampliare l’angolo di osservazione, richiedendo all’interprete di tenere insieme più prospettive: quella «etimologico-letterale», quella «logico-sistematica» e, naturalmente, quella «storico-funzionale».

Sotto il primo profilo, che indubbiamente si colloca ad un livello del tutto generale e preliminare, con il termine «adempimento» vengono indicati tutti quegli atti e comportamenti che risultino corrispondenti alla condotta imposta dalla norma, legislativa o negoziale che sia. Adempimento è termine che può essere utilizzato non soltanto con riferimento ad una obbligazione contrattuale, ma anche rispetto ad una prescrizione di legge, che risulta adempiuta laddove ad essa si conformi il comportamento del soggetto destinatario del precetto. Peraltro, non necessariamente deve trattarsi di norma afferente al campo del diritto civile o privato, potendo trattarsi di disposizione di legge amministrativa o anche penale e, dunque, pubblicistica6, nonché più in generale, come insegna la nostra Costituzione, di doveri di ordine sociale, economico e politico7.

Con riferimento al secondo profilo, che abbiamo per sinteticità definito «logico-sistematico», l’adempimento deve essere inserito nel sistema giuridico nel suo complesso, ossia osservato non singolarmente ma all’interno del nostro ordinamento e letto nel rapporto con i diversi istituti che lo compongono. Sotto tale prospettiva, l’adempimento dovrà dunque essere messo a confronto con il suo corrispettivo, ossia l’inadempimento, che rispetto ad esso rappresenta concetto simmetrico e speculare, dal punto di vista etimologico e funzionale. In particolare, dalla lettura dell’art. 1218 c.c.8 si ricava che è «inadempiente» il

6 Per quanto concerne il diritto penale basti pensare all’art. 51 c.p., che nell’ambito delle cause

di giustificazione (o scriminanti che dir si voglia) contempla quella dell’«adempimento di un dovere», escludendo la punibilità della condotta criminosa nel caso in cui sia stata posta in essere nell’osservanza e, dunque, in adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine dell’autorità (cfr. art. 51 – Esercizio di un diritto o adempimento di un

dovere: «L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma

giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. [...]). Rispetto al diritto amministrativo sarà sufficiente ricordare il dibattito dottrinale che, in sede di redazione del codice del processo amministrativo (c.p.a., d.lgs. 104/2010), si è sollevato in merito all’azione di esatto adempimento, volta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione all’emanazione di un determinato provvedimento.

7 Il riferimento è evidentemente all’articolo 2 della nostra Carta costituzionale, che richiede

«l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

8 Si riporta, per comodità del lettore, il testo dell’art. 1218 c.c. – Responsabilità del debitore:

«Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.».

debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta e, pertanto, potrà a

contrario concludersi che quello stesso soggetto risulta essere «adempiente»

quando esegue la prestazione in modo esatto e conforme a quanto richiesto. Infine, analizzando il fenomeno dal punto di vista storico-funzionale, che peraltro è quello che ai nostri fini maggiormente interessa, occorre rilevare la differenza fra la moderna accezione di adempimento e il significato che tale concetto assumeva nel diritto romano. Sotto quest’ultima prospettiva, occorre ricordare che nel diritto romano in verità l’adempimento non rappresentava, come oggi, il normale mezzo estintivo del rapporto obbligatorio. Infatti, l’estinzione del vinculum iuris9, ossia l’obbligazione che legava il cosiddetto «obligatus», cioè il debitore, al proprio creditor, richiedeva il compimento di un atto formale, che nelle fonti è normalmente individuato mediante la parola «solutio». La solutio rientrava nel novero dei cosiddetti atti per aes et libram, categoria comprensiva dei più antichi atti del ius civile, fra cui, oltre a quello che qui interessa, possiamo citare il testamentum per aes et libram o la

mancipatio. Tali atti erano connotati, com’è noto, da un formalismo e

ritualismo estremamente rigido e rigoroso: essi, per essere considerati validi, imponevano alle parti il compimento di una serie di atti che dovevano rispettare una sequenza precisa e predeterminata, la quale, non avrebbe dovuto essere disattesa neppure in minima parte. Infatti, anche la più piccola discrasia o deviazione rispetto a quanto richiesto dal ius civile avrebbe irrimediabilmente viziato l’atto, precludendo del tutto la produzione degli effetti giuridici avuti di mira dalle parti. La caratterizzazione dell’atto di solutio come atto per aes et

libram lascia intendere, dunque, che al diritto romano non interessava tanto la

conformità tra la prestazione eseguita dall’«obligatus» – ossia il debitore – e quella che formava oggetto dell’obbligazione contratta; piuttosto, occorreva che le parti – debitore e creditore – realizzassero un negozio conforme ai requisiti formali della «solutio» e, dunque, rispettoso di le solennità richieste dal ius civile per quello specifico atto. In caso contrario l’atto non sarebbe stato considerato perfetto agli occhi del ius civile e, di conseguenza, ad esso non

9 A tutti nota è la celebre definizione giustinianea di obligatio (Inst. Iust. 13.3), con la quale

ancora oggi i manuali di diritto privato e civile spesso introducono la trattazione del concetto di obbligazione: «obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur alicuius solvendae

sarebbe seguita la produzione dell’effetto giuridico, cioè la liberazione del debitore dall’obbligazione: quest’ultimo sarebbe pertanto rimasto avvinto al creditore dal vinculum iuris che la solutio informale e irrituale non era in grado di sciogliere. Da questo punto di vista, emerge allora con evidenza la diversa caratterizzazione della solutio del diritto romano rispetto all’adempimento del diritto civile moderno: la solutio si connota come negozio astratto e solenne, che, ai fini dello scioglimento del vincolo obbligatorio, da un lato impone alle parti il rispetto di rigide formalità, ma dall’altro non impone alcuna conformità alla prestazione obbligatoria originaria; il secondo, al contrario, è slegato da specifiche solennità, ma richiedente una perfetta conformità tra la prestazione posta in essere al debitore e quella dovuta in base all’obbligazione contratta.

1.2. La legittimazione passiva a ricevere il pagamento e i possibili

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