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La disciplina del pagamento al creditore apparente nel nostro codice civile: l’art 1189.

FALSUS CREDITOR E ADIECTUS SOLUTIONIS CAUSA

1. Il creditore apparente e l’adiectus solutionis causa nel diritto civile italiano.

1.3. La disciplina del pagamento al creditore apparente nel nostro codice civile: l’art 1189.

Nell’ambito del breve quadro appena tracciato in merito al regime dell’adempimento descritto dal nostro codice, ai nostri fini interessa particolarmente approfondire l’art. 1189 da ultimo citato, dal momento che lo stesso costituisce evidente applicazione del principio dell’apparentia iuris: in particolare, si tratta di un’ipotesi di apparenza pura od oggettiva24, che – come chiarito nel capitolo iniziale25– si verifica quando ad uno stato di fatto si riconosce la capacità di produrre i medesimi effetti giuridici di uno stato di diritto di cui, tuttavia, non ricorrono gli estremi. La ratio di tale estensione, come anticipato, risiede nella necessità di tutelare, da un lato, il valore fondamentale della certezza del diritto al fine di garantire la stabilità delle relazioni giuridiche e agevolare, così, la circolazione dei beni che da una situazione di incertezza potrebbe risultare compromessa; e, dall’altro, il suo corollario rappresentato dalla buona fede e dal legittimo affidamento dei terzi, in capo ai quali, a causa della situazione di oggettiva apparenza, potrebbe formarsi il ragionevole convincimento che allo stato di fatto corrisponda anche

della nozione di «vantaggio» contenuta nell’art. 1190 c.c.: in particolare, secondo alcuni andrebbe inteso in senso economico, come arricchimento patrimoniale, richiedendosi che il pagamento confluisca nel patrimonio dell’incapace incrementandolo; secondo una diversa ricostruzione, invece, vantaggio non dovrebbe in senso economico, quale mero incremento patrimoniale, bensì in senso tecnico, come possibile e ragionevole utilizzazione da parte dell’incapace di quanto ricevuto.

24 La configurabilità del pagamento al creditore apparente quale ipotesi di «apparenza pura»

non è sempre stata pacifica in dottrina. In passato infatti, si era sostenuto che, ai fini dell’integrazione del requisito della buona fede, fosse necessario che l’errore del debitore fosse stato cagionato dal comportamento del creditore, che avesse colposamente contribuito a determinare la situazione di apparenza. Rispetto a questa ricostruzione del fenomeno in termini di «apparenza colposa», è però prevalsa la lettura in termini di «apparenza pura»», che valuta la buona fede semplicemente sulla base del comportamento del debitore, senza considerare quello del creditore. A riguardo, ci limitiamo a citare: N.IMARISIO, op. cit., pp. 17 ss.; A. FALZEA, op. cit., pp. 698 ss.; BESSONE –DI PAOLO, op. cit., pp. 3 ss.

una realtà di diritto. In quest’ottica, si è dunque scelto di riconoscere valore giuridico ad una situazione di apparenza e di ‘salvare’, a certe condizioni, un adempimento che, a stretto rigore, non dovrebbe considerarsi legittimo.

Come nelle altre ipotesi di apparenza, anche nel caso del pagamento al creditore apparente il legislatore condiziona la produzione dell’effetto liberatorio per il debitore al ricorrere di due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo. Trattasi peraltro di requisiti cumulativi e non alternativi: ai fini della produzione dell’effetto giuridico proprio della situazione ‘apparente’, infatti, non è sufficiente la sussistenza di uno soltanto di essi, ma è richiesta la compresenza di entrambi.

In primis, sul piano oggettivo, l’ordinamento esige uno stato di

‘obiettiva’ apparenza, ossia la presenza di circostanze univoche che inducano il

solvens a credere che il pagamento sia rivolto ad un soggetto munito della

legittimazione a ricevere. Il presupposto oggettivo dell’apparenza è, dunque, rappresentato dalla univocità delle circostanze, le quali non devono suscitare nel debitore dubbi o incertezze di sorta: esse devono essere tali da ingenerare il ragionevole convincimento di adempiere all’effettivo destinatario del pagamento26.

Sul piano soggettivo, poi, il nostro codice richiede la buona fede del debitore. Peraltro, a differenza di quanto normalmente previsto dal nostro ordinamento, l’onere della prova in ordine alla sussistenza di tale status ricade sul debitore: quest’ultimo, per conseguire l’effetto liberatorio, dovrà dimostrare la propria buona fede, la quale dunque – in deroga alla regola dettata in via generale dell’art. 1147 c.c.27 – non si presume28, ma deve essere provata

26 La situazione di ‘obiettiva’ apparenza dovrà, naturalmente, essere accertata in concreto da

parte del giudice, il quale, in base alle circostanze del caso concreto, dovrà verificare l’assenza di un eventuale concorso colposo del debitore.

27 L’art. 1147 c.c., rubricato «possesso di buona fede», così recita: «È possessore di buona fede

chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.» L’art. 1147 c.c. è norma dettata con riferimento al possesso, ma di portata indubbiamente più ampia, anzi generale, in quanto contiene la descrizione del concetto di buona fede soggettiva, tradizionalmente individuata appunto nella ignoranza di ledere l’altrui diritto. Tale accezione soggettiva di buona fede non deve essere confusa con quella, invece, oggettiva, da intendersi come «correttezza», ricavabile dall’art. 1175 c.c. e presente in ulteriori disposizioni che ne impongono l’osservanza con riferimento alle diverse fasi della vita contrattuale (formazione interpretazione ed esecuzione: rispettivamente, artt. 1337, 1366 e 1375 c.c.).

dall’interessato, indicando gli specifici elementi di fatto da cui abbia ricavato il convincimento che la situazione di apparenza corrispondesse a realtà. Tale buona fede, poi, in concreto si tradurrà nella incolpevole ignoranza da parte del debitore in ordine alla legittimazione a ricevere l’adempimento del soggetto

accipiens. In altre parole, il debitore deve aver pagato al soggetto sbagliato ‘per

errore’: con l’ulteriore precisazione che, per poter considerare l’ignorantia

debitoris come ‘incolpevole’, dovrà trattarsi di errore scusabile29, ossia giustificabile in base al diligente apprezzamento dell’homo medio, tale che chiunque altro avrebbe, in base alla comune esperienza, potuto incorrervi30. Al contrario, il debitore non sarà liberato in presenza di una colpa grave del debitore, che, usando la dovuta diligenza, si sarebbe accorto della divergenza tra apparenza e realtà31.

Verificandosi tali presupposti, l’ordinamento riconosce valore giuridico alla situazione di apparenza e, quindi, il pagamento effettuato nelle mani del creditore fittizio viene considerato equipollente a quello rivolto al legittimo destinatario. tale soluzione consente di tutelare le ragioni del debitore, che rischierebbero di essere pregiudicate da circostanze a lui trascendenti e non imputabili32.

La disciplina codicistica, peraltro, non dimentica di considerare la posizione del reale creditore, pregiudicato dall’erroneo pagamento, al quale è

28 Una deroga alla deroga è però prevista dall’art. 1264 c.c., che, in caso di cessione del credito,

prevede la liberazione del debitore che abbia eseguito il pagamento nelle mani del cedente, qualora il cessionario non abbia provveduto a notificargli la cessione del credito: in questo caso la buona fede del debitore viene presunta, rimettendo al cessionario l’eventuale contro prova in ordine alla conoscenza dell’avvenuta cessione da parte del debitore.

29 Sul requisito della scusabilità dell’errore ai fini dell’integrazione della fattispecie di

apparenza si rimanda alle osservazioni già esposte nel primo capitolo (cap. 1, par. 4.1).

30 Questo è quanto viene costantemente ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità, la

quale ha più volte precisato che il giudice, nel valutare il contegno del debitore deve prendere come parametro di riferimento il cosiddetto «uomo medio», che nel gergo legislativo è rappresentato attraverso l’espressione «buon padre di famiglia» (cfr. art. 1176 c.c., comma 1) e, in base ad esso accertare che il debitore abbia adempiuto la propria obbligazione usando l’ordinaria diligenza esigibile in base alle circostanze del caso concreto.

31 In questo caso spesso dottrina e giurisprudenza parlano di ‘buona fede temeraria’.

32 Un evidente pregiudizio per il debitore emerge già dal fatto che, laddove fosse disconosciuta

efficacia liberatoria al pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c., il creditore potrebbe procedere – nel caso in cui il debitore non esegua la prestazione entro il termine stabilito per l’adempimento – alla messa in mora ex art. 1219 c.c. (sul punto cfr. C. M. BIANCA,op. cit.).

consentito di agire ex art. 2033 c.c.33 contro il creditore apparente per ottenere la restituzione di quanto illegittimamente ricevuto, in base ai principi che regolano la ripetizione dell’indebito.

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