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L’adiectus solutionis causa nelle fonti giuridiche romane.

diritto romano.

4. L’adiectus solutionis causa nelle fonti giuridiche romane.

Come anticipato nelle pagine introduttive del presente capitolo, il falsus

creditor o, più genericamente, il creditore apparente non deve essere confuso

con la diversa ipotesi dell’adiectus solutionis causa58. Quest’ultima figura – oggi contemplata, pur senza essere nominata, dal primo comma dell’articolo 1188 del codice civile – era ben nota al diritto romano, che già aveva immaginato l’eventualità in cui il creditore delegasse qualcun altro a ricevere il pagamento in sua vece. L’espressione adiectus solutionis causa, giunta fino ai

58 Per l’analisi manualistica dell’adiectus solutionis causa nel diritto romano, si vedano: V.

ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano cit., p. 393; P.BONFANTE, Istituzioni di diritto romano cit., p. 339; A.BURDESE, Manuale di diritto privato romano cit., p. 446, A.GUARINO, Diritto privato romano cit., pp. 803 ss.; M.MARRONE, Istituzioni di diritto romano cit., p. 474, 542; E.VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano cit., p. 435; G.PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano cit., p. 657; G.PUGLIESE –F.SITZIA –L.VACCA, Istituzioni di diritto romano

cit., p. 367; G. SCHERILLO – F.GNOLI, Diritto romano: lezioni istituzionali cit., p. 396, M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano cit., p. 570, 637; E.VOLTERRA, Istituzioni di diritto privato romano cit., pp. 603 ss.

nostri giorni, era utilizzata dai giuristi romani per indentificare la persona ‘indicata’ – ciò significa adiecta – dal creditore, al momento della stipulazione, per ricevere il pagamento dal debitore. L’adiectus – moderno ‘indicatario’ – non era, dunque, un rappresentante o un mandatario del creditore, ma piuttosto un semplice preposto all’esazione: egli non acquistava alcun diritto, che sorgeva immediatamente in capo al titolare del credito; e, non acquistandolo, non poteva evidentemente neppure validamente disporne59. Il pagamento effettuato all’adiectus infatti era considerato, almeno in epoca classica, alla stregua di una res facti e l’adiectus come un mero strumento per l’esecuzione dell’obbligazione: l’adiectus poteva soltanto liberare il debitore ricevendo la prestazione e, d’altro canto, la liberazione del debitore conseguiva alla volontà del creditore, non certo dell’adiectus60.

Data la sua funzione strumentale, peraltro, l’adiectus poteva essere anche un incapace61, come un furiosus o un pupillus, che potevano ricevere il pagamento anche senza l’auctoritas del tutore o l’assistenza del curatore; similmente, poteva essere destinatario del pagamento anche un servo un figlio in potestà. Tale funzione strumentale dell’adiectus in proseguo di tempo tuttavia venne mitigata e, nel diritto giustinianeo divenne quasi «annebbiata»62,

59 Sull’argomento si vedano le recenti osservazioni di C. MARVASI, Inadempienze e

risarcimento danni nel mandato: risposte alle questioni sostanziali e processuali nei rapporti fra mandante e mandatario, Milano: Giuffrè, 2013, p. 6, il quale, a sua volta, cita: A.

BURDESE, Manuale di diritto provato romano, cit., pp. 447 ss.; V.ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 393. L’autore, in particolare, sottolinea come Tizio, ossia l’adiectus, non

divenisse a sua volta creditore, ma un semplice destinatario del pagamento: pertanto, il debitore avrebbe potuto liberarsi dall’obbligazione eseguendola nei suoi confronti. Quanto, invece, ai rapporti tra creditore e adiectus, l’autore ritiene che fossero regolati, almeno normalmente, con l’actio mandati. La stessa opinione era già stata espressa da Francesco De Martino, secondo cui «in diritto classico [...] il rapporto interno tra creditore ed adiectus poteva essere vario, ma [...] il più delle volte l’adiectus era un semplice incaricato a riscuotere e quindi tenuto verso il dominus con l’actio mandati». L’autore sottolinea, poi, la connessione tra l’adiectio e il contratto a favore di terzi, rilevando che «tutta la storia dell’adiectus è legata a quella del contratto a favore di terzi e della cessione delle obbligazioni»: l’autore rileva, infatti, come l’emersione e l’evoluzione storica di queste ultime due figure abbia condizionato il destino dell’adiectus, dal momento che «via via che tali istituti vennero riconosciuti, la figura dell’adiectus andò identificandosi con quella del terzo a cui favore ha stipulato il contratto» (cfr. F.DE MARTINO, s.v. Adiectus solutionis causa, in Noviss. Dig. It., 1, Torino: UTET, 1957,

p. 285).

60 In particolare, contro la tesi che interpretava l’adiectus solutionis causa come un mandatario

del creditore (Ermächtigungsverhältnis), si schierò nettamente Stanislao Cugia(cfr. S.CUGIA, L’adiectus solutionis causa cit., passim.), secondo il quale i passi in cui l’adiectus compare in

veste di mandatario sarebbero in verità interpolati.

61 Sul punto si veda, ancora, S.CUGIA, L’adiectus solutionis causa cit. 62 Così si esprime F.DE MARTINO, s.v. Adiectus solutionis causa, cit., p. 285.

tanto che si consentì, in determinate ipotesi, che il pagamento fosse eseguito anche ai rappresentanti degli incapaci, quali il curatore del furiosus, il tutore del pupillo, e il dominus dello schiavo63.

L’eventuale indicazione di un soggetto terzo come possibile destinatario del pagamento avveniva al momento stesso della conclusione del negozio: la nomina dell’adiectus era contenuta nell’atto costitutivo dell’obbligazione – che, nella maggior parte dei casi, stando alle informazioni ricavabili dalle fonti era la stipulatio – e veniva di norma espressa attraverso un’autorizzazione, rivolta al debitore, cui si attribuiva la scelta di pagare direttamente al creditore o al terzo adiectus, nelle fonti normalmente indicato col nome di Tizio. La clausola tipicamente utilizzata in questi casi era «mihi aut Titio dari»64, sebbene le fonti attestino il ricorso anche a formule parzialmente diverse, quali «mihi aut Titio, utrum ego velim»65, o anche «mihi aut cui ego volam»66. Era,

63 Le ipotesi del pagamento effettuato nei confronti del furiosus, del pupillus e del servus sono

trattate contestualmente da Paolo nel seguente brano: D. 46.3.95.7 (Pap. 28 quaest.): «Nam si

furiosi vel pupilli persona adiecta sit, ita tutori vel curatori pecunia recte dabitur, si condicionis quoque implendae causa recte pecunia tutori vel curatori datur. Quod quidem Labeo et Pegasus putaverunt utilitatis causa recipiendum: idque ita recipi potest, si pecunia in rem vel pupilli vel furiosi versa est, quomodo si domino iussus dare servo dedisset, ut domino daret. Ceterum qui servo dare iussus est, domino dando non aliter implesse condicionem intellegendus est, quam si ex voluntate servi dedit. Idem respondendum est in solutione, si stipulato Sempronio sibi aut Sticho Maevii servo decem dari debitor Maevio domino pecuniam solverit.». Del pagamento al filius familias Paolo si occupa, invece, in quest’altro passo: D.

46.3.59 (Paul. 2 ad Plaut.): «Si ita stipulatus sim: “Mihi aut Titio dare spondes?” et debitor

constituerit se mihi soluturum, quamvis mihi competat de constituta actio, potest adhuc adiecto solvere. Et si a filio familias mihi aut Titio stipulatus sim, patrem posse Titio solvere quod in peculio est, scilicet si suo, non filii nomine solvere velit: dum enim adiecto solvitur, mihi solvi videtur: et ideo si indebitum adiecto solutum sit, stipulatori posse condici Iulianus putat: ut nihil intersit, iubeam te Titio solvere an ab initio stipulatio ita concepta sit.»

64 Le fonti che attestano l’utilizzo della clausola «mihi aut Tizio» sono innumerevoli. Fra

queste, ci limitiamo a fornire qualche esempio: D. 46.1.23 (Marc. 4 reg.): «Si “mihi aut Titio

decem?” stipulatus fuerim, Titius fideiussorem accipere non potest, quia solutionis tantum causa adiectus est.»; D. 46.1.34 (Paul. 72 ad ed.): «Hi, qui accessionis loco promittunt, in leviorem causam accipi possunt, in deteriorem non possunt. Ideo, si a reo mihi stipulatus sim, a fideiussore mihi aut Titio, meliorem causam esse fideiussoris Iulianus putat, quia potest vel Titio solvere. Quod si a reo mihi aut Titio stipulatus, a fideiussore mihi tantum interrogem, in deteriorem causam acceptum fideiussorem Iulianus ait. Quid ergo, si a reo Stichum aut Pamphilum, a fideiussore Stichum interrogem? Utrum in deteriorem causam acceptus est sublata electione? An in meliorem, quod et verum est, quia mortuo eo liberari potest?»; D.

46.3.71.pr. (Cels. 27 dig.): «Cum decem mihi aut Titio dari stipulatus quinque accipiam,

reliquum promissor recte Titio dabit.»; D. 46.3.81.pr. (Pomp. 6 ad Q. Muc.): «Si stipulatus sim mihi aut Titio dari, si Titius decesserit, heredi eius solvere non poteris.» D. 46.3.95.6 (Pap. 28 quaest.): «Usum fructum mihi aut Titio dari stipulatus sum: Titio capite deminuto, facultas solvendi Titio non intercidit, quia et sic stipulari possumus: “Mihi aut Titio, cum capite minutus erit, dari?”».

65 Come esempi di utilizzo della clausola «mihi aut Titio, utrum ego velim» si vedano: D.

inoltre, possibile che, con la formula con cui il creditore aggiungeva un ulteriore possibile destinatario del pagamento, introducesse una distinzione in ordine alle rispettive prestazioni, ammettendo così che il debitore potesse liberarsi eseguendo nei confronti del creditore o dell’adiectus due prestazioni diverse, per esempio pagando una somma di denaro o consegnando uno schiavo («decem mihi aut hominem Titio dari»)67. Se, dunque, l’oggetto della prestazione poteva variare in ragione del suo destinatario, creditore o adiectus, non sembra che lo stesso principio valesse per il luogo (locus solutionis) e per il tempo (tempus solutionis) dell’adempimento, rispetto ai quali, almeno in diritto classico, pare vi fosse minore flessibilità. La questione tuttavia non è pacifica, dal momento che le fonti non sono esaustive sul punto: anzi, in dottrina è stato recentemente sostenuto che alcune di esse sarebbero «indicative quod mihi dandum est, certi stipulatio est, ex eo, quod illi solvendum, incerti: finge mea interesse Titio potius quam mihi solvi, quoniam poenam promiseram, si Titio solutum non fuisset.»; D. 45.1.75.8 (Ulp. 22 ad ed.): «Qui illud aut illud stipulatur, veluti “decem vel hominem Stichum”, utrum certum an incertum deducat in obligationem, non immerito quaeritur: nam et res certae designantur et utra earum potius praestanda sit, in incerto est. Sed utcumque is, qui sibi electionem constituit adiectis his verbis “utrum ego velim”, potest videri certum stipulatus, cum ei liceat vel hominem tantum vel decem tantum intendere sibi dari oportere: qui vero sibi electionem non constituit, incertum stipulatur.»

66 L’utilizzo della formula «mihi aut cui ego volam» è attestato da Scevola: D. 32.37.3 (Scaev.

18 dig.): «Pater emancipato filio bona sua universa exceptis duobus servis non mortis causa

donavit et stipulatus est a filio in haec verba: “Quae tibi mancipia quaeque praedia donationis causa tradidi cessi, per te non fieri dolove malo neque per eum ad quem ea res pertinebit, quo minus ea mancipia quaeque ex his adgnata erunt eaque praedia cum instrumento, cum ego volam vel cum morieris, quaequae eorum exstabunt neque dolo malo aut fraude factove tuo eiusque ad quem ea res pertinebit in rerum natura aut in potestate esse desissent, si vivam mihi aut cui ego volam reddantur restituantur, stipulatus est Lucius Titius pater, spopondit Lucius Titius filius”. Idem pater decedens epistulam fideicommissariam ad filium suum scripsit in haec verba: “Lucio Titio filio suo salutem. Certus de tua pietate fidei tuae committo, uti des praestes illi et illi certam pecuniam: et lucrionem servum meum liberum esse volo”. Quaesitum est, cum filius patris nec bonorum possessionem acceperit nec ei heres exstiterit, an ex epistula fideicommissa et libertatem praestare debeat. Respondit, etsi neque hereditatem adisset neque bonorum possessionem petisset et nihil ex hereditate possideret, tamen nihilo minus et ex stipulatu ab heredibus patris et fideicommisso ab his quorum interest quasi debitorem conveniri posse, maxime post constitutionem Divi Pii, quae hoc induxit.»

67 D. 45.1.141.5 (Gai. 2 de verb. obligat.): «Cum “mihi aut Titio” stipulor, dicitur aliam

quidem rem in personam meam, aliam in Titii designari non posse, veluti “mihi decem aut Titio hominem”: si vero Titio ea res soluta sit, quae in eius persona designata fuerit, licet ipso iure non liberetur promissor, per exceptionem tamen defendi possit.»; D. 46.3.98.6 (Paul. 15 quaest.): «Mihi Romae aut Ephesi Titio dari stipulor: an solvendo Titio Ephesi a me liberetur, videamus: nam si diversa facta sunt, ut Iulianus putat, diversa res est. Sed cum praevalet causa dandi, liberatur: liberaretur enim et si mihi Stichum, illi Pamphilum dari stipulatus essem et Titio Pamphilum solvisset. At ubi merum factum stipulor, puta insulam in meo solo aedificari aut in Titii loco, numquid, si in Titii loco aedificet, non contingat liberatio? Nemo enim dixit facto pro facto soluto liberationem contingere. Sed verius est liberationem contingere, quia non factum pro facto solvere videtur, sed electio promissoris completur.»

di una tendenza giurisprudenziale del III terzo secolo, orientata nel senso della liberazione del debitore che avesse pagato alibi all’adiectus solutionis

causa68».

L’inserimento di simili clausole nel regolamento negoziale costituiva una particolare applicazione del negozio verbale sponsio-stipulatio, con la quale si introduceva nel rapporto obbligatorio un ulteriore soggetto. In sostanza, l’obligatio poteva intercorrere fra due soli soggetti, debitore e creditore, o tra più persone. Se nell’ambito della stipulatio veniva indicato soltanto il creditore, il pagamento aveva effetto liberatorio solo se eseguito nei suoi confronti. Se, invece, nella stipulatio fosse stata inserita una delle clausole sopra menzionate, al rapporto veniva aggiunto (adiectus) un nuovo soggetto, che era già individuato in via preventiva come possibile destinatario del pagamento (solutionis causa) alternativo («aut») rispetto al creditore. La circostanza che la nomina dell’adiectus equivalesse, nella sostanza, ad un’autorizzazione preventiva a ricevere il pagamento, ci consente di ricavare che, a contrario, l’adempimento effettuato nelle mani di una persona diversa dal creditore, dall’adiectus, e dunque non autorizzata, sarebbe stato invalido e privo di effetto liberatorio per il debitore che lo avesse compiuto. Inoltre, proprio perché inserita all’interno del contratto di stipulatio, la facoltà di scegliere il soggetto nei confronti de quale eseguire il pagamento, una volta concessa dal creditore, era irrevocabile: infatti la stipulatio, in quanto atto bilaterale, non avrebbe potuto essere modificata attraverso un successivo atto unilaterale del creditore. Perciò, un eventuale successivo divieto di adempiere nei confronti dell’adiectus, sarebbe stato privo di effetto e il debitore avrebbe

68 Questa è l’opinione di F.PULITANÒ, De eo quod certo loco: studi sul luogo convenzionale

dell’adempimento nel diritto romano, Milano: Giuffrè, 2009, p. 210, che l’autrice ricava

soprattutto da un brano di Ulpiano, che a sua volta riporta il pensiero di Giuliano: D. 13.4.2.7 (Ulp. 27 ad ed.): «Idem Iulianus tractat, an is, qui Ephesi sibi aut Titio dari stipulatus est, si

alibi Titio solvatur, nihilo minus possit intendere sibi dari oportere. Et Iulianus scribit liberationem non contigisse atque ideo posse peti quod interest. Marcellus autem et alias tractat et apud Iulianum notat posse dici et si mihi alibi solvatur, liberationem contigisse, quamvis invitus accipere non cogar: plane si non contigit liberatio, dicendum ait superesse petitionem integrae summae, quemadmodum si quis insulam alibi fecisset quam ubi promiserat, in nihilum liberaretur. Sed mihi videtur summae solutio distare a fabrica insulae et ideo quod interest solum petendum.» L’autrice instaura un raffronto tra la posizione di

Giuliano e quella di Ulpiano, espressa in D. 13.4.9 (Ulp. 47 ad Sab.): «Is qui certo loco dare

promittit, nullo alio loco, quam in quo promisit, solvere invito stipulatore potest.»; da

quest’ultimo brano, in particolare, a suo avviso potrebbe ricavarsi che «Ulpiano senz’altro accoglieva il divieto di solvere invito stipulatore, ma non sappiamo se egli, a differenza di Giuliano, applicasse la regola anche all’adiectio solutionis causa.»

comunque potuto eseguire il pagamento anche nelle mani del secondo aggiunto, con effetto liberatorio69.

L’aggiunta (addictio) di un soggetto ulteriore rispetto alle parti principali del rapporto, – creditore e debitore – peraltro, poteva riguardare anche un’ulteriore ipotesi, in cui accanto al primo creditore se ne aggiungeva un secondo, che, come ci riporta Gaio, veniva qualificato come adstipulator («quem vulgo adstipulatorem vocamus»)70. In particolare, mentre l’adiectus

solutionis causa era una persona, diversa dal creditore, legittimata a ricevere,

validamente e con effetto liberatorio per il debitore, il pagamento per conto del creditore, l’adstipulator era un soggetto – normalmente una persona di fiducia del creditore – che stipulava col debitore un’obbligazione avente lo stesso oggetto di quella originaria71. La formula utilizzata in questo caso era infatti

69 D. 46.3.12.pr.-4 (Ulp. 30 ad Sab.): pr. «Vero procuratori recte solvitur. Verum autem

accipere debemus eum, cui mandatum est vel specialiter vel cui omnium negotiorum administratio mandata est.» 1. «Interdum tamen et non procuratori recte solvitur: ut puta cuius stipulationi nomen insertum est, si quis stipuletur sibi aut Titio.» 2. «Sed et si quis mandaverit, ut Titio solvam, deinde vetuerit eum accipere: si ignorans prohibitum eum accipere solvam, liberabor, sed si sciero, non liberabor.» 3. «Alia causa est, si mihi proponas stipulatum aliquem sibi aut Titio: hic enim etsi prohibeat me Titio solvere, solvendo tamen liberabor, quia certam condicionem habuit stipulatio, quam immutare non potuit stipulator.»

4. «Sed et si non vero procuratori solvam, ratum autem habeat dominus quod solutum est,

liberatio contingit: rati enim habitio mandato comparatur.»

70 Si veda la nota introduttiva di F.PASTORI, Il negozio verbale in diritto romano, Milano:

Cisalpino, 1994, p. 13: «Altre peculiari applicazioni del negozio verbale furono la costituzione di garanza (sponsio, fidepromissio e fideiussio), l’applicazione di una penale per rafforzare la protezione di determinati obblighi per sanzionarli se sprovvisti di tutela (stipulatio poenae), la legittimazione di un altro soggetto attivo e passivo quale parte di rapporti obbligatori (adiectus

solutionis causa e adstipulator).»

71 L’espressione ‘adstipulator’ è utilizzata da Gaio nel frammento 3.110, nonché nei frammenti

successivi, nei quali il giurista si diffonde sulla figura e sulla diversa casistica ad essa afferente. Cfr. Gai 3.110-114: «110. Possumus tamen ad id, quod stipulamur, alium adhibere, qui idem

stipuletur, quem vulgo adstipulatorem vocamus. 111. Et huic proinde actio conpetit proindeque ei recte solvitur ac nobis; sed quidquid consecutus erit, mandati iudicio nobis restituere cogetur. 112. Ceterum potest etiam aliis verbis uti adstipulator, quam quibus nos usi sumus. Itaque si verbi gratia ego ita stipulatus sim: “dari spondes?” ille sic adstipulari potest: “idem fide tua promittis?” vel: “idem fide iubes?” vel contra. 113. Item minus adstipulari potest, plus non potest. Itaque si ego sestertia X stipulatus sim, ille sestertia V stipulari potest; contra vero plus non potest. Item si ego pure stipulatus sim, ille sub condicione stipulari potest; contra vero non potest. Non solum autem in quantitate, sed etiam in tempore minus et plus intellegitur; plus est enim statim aliquid dare, minus est post tempus dare. 114. In hoc autem iure quaedam singulari iure observantur. Nam adstipulatoris heres non habet actionem. Item servus adstipulando nihil agit, qui ex ceteris omnibus causis stipulatione domino adquirit. Idem de eo, qui in mancipio est, magis placuit; nam et is servi loco est. Is autem, qui in potestate patris est, agit aliquid, sed parenti non adquirit, quamvis ex omnibus ceteris causis stipulando ei adquirat; ac ne ipsi quidem aliter actio conpetit, quam si sine kapitis diminutione exierit de potestate parentis, veluti morte eius aut quod ipse flamen Dialis inauguratus est. Eadem de filia familias et quae in manu est, dicta intellegemus.»

«idem dari spondes?», con cui il terzo si faceva promettere, in una seconda stipulazione, la quale poteva anche essere anche sottoposta a termine, a condizione – quanto promesso allo stipulante, eventualmente anche in una quantità minore: l’adstipulator dunque, a differenza, dell’adiectus, assumeva le vesti di concreditore, e aveva possibilità di agire contro il promittente in concorso con lo stipulante.

Al contrario, l’adiectus era, come abbiamo detto, un mero strumento per l’adempimento e, pertanto, non poteva esercitare alcuna azione a tutela del credito: egli non poteva né agire in giudizio per chiedere il pagamento, né effettuare la litis contestatio72. Egli inoltre, non essendo titolare del diritto di credito non poteva estinguerlo in modo diverso dal pagamento, ad esempio rimettendo il debito, o effettuando una novazione73, né il alcun modo modificarlo o altrimenti disporne, anche eventualmente accettando garanzie da altri offerte, senza un’apposita indicazione in tal senso da parte del legittimo creditore74.

Da quanto osservato, dunque, risulta confermata la differenza sia di essenza sia di funzione tra la figura dell’adiectus solutionis causa sia da quella del falsus creditor, sia da quella del falsus procurator: in queste ultime due ipotesi, infatti, il soggetto finge di possedere il titolo o quantomeno l’autorizzazione a riscuotere il pagamento, laddove invece tale autorizzazione del dominus costituisce proprio l’elemento costitutivo dell’adiectio. Perciò, non vi è margine di sovrapponibilità tra queste figure, rispetto alle quali l’affinità è soltanto ‘apparente’.

72 D. 46.3.57.pr.-1 (Ulp. 77 ad ed.): pr. «Si quis stipulatus fuerit “decem in melle”, solvi

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