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4 «Apparenza di apparenza»: apparenza del diritto e istituti «apparentemente» affini.

4.2. Apparenza del diritto e simulazione.

Proprio quest’ultima distinzione ci è utile per distinguere l’apparenza da un’ulteriore fattispecie, che è quella consistente nella simulazione101. A riguardo è stato, infatti, sostenuto che il negozio simulato sarebbe in verità un negozio fittizio e come tale non reale, che intende tuttavia presentarsi tale agli occhi esterni: l’obiettivo del negozio simulato dunque sarebbe quello di suscitare l’apparenza di un negozio reale102.

100 A.FALZEA, s.v. Apparenza cit., p. 698: «ove concorra la colpa o il dolo» del terzo «si avrà

un’ipotesi particolare di apparenza e sarà bene distinguerla dalla prima».

101 Senza pretesa alcuna di completezza, ci permettiamo di segnalare alcuni fondamentali lavori

in tema di simulazione, fra cui in primis quello di G.PUGLIESE, La simulazione nei negozi giuridici: studio di diritto romano, Padova: CEDAM, 1938. Si vedano, inoltre,G.LONGO, Sulla simulazione dei negozi giuridici, in Studi in onore di Salvatore Riccobono, 3, Palermo:

Castiglia, 1936, pp. 111-161; e, sempre come esempio di lavoro dedicato specificamente al tema della simulazione in diritto romano, quello di N.DUMONT-KISLIAKOFF, La simulation en droit romain, Paris: Cujas, 1970. Con riferimento, poi, al diritto moderno, nell’ambito della

copiosa bibliografia in tema di simulazione, ci limitiamo a citare alcuni classici, fra cui: F. FERRARA, Della simulazione dei negozi giuridici, Milano: Società editrice libraria, 1913 (1a

ed.), Roma: Athenaeum 1922 (2a ed.); F.PESTALOZZA, La simulazione nei negozi giuridici,

Milano: Società editrice libraria, 1919; A.BUTERA, Della simulazione nei negozi giuridici e

degli atti in fraudem legis, in A.BUTERA, Della frode e della simulazione, 2, Torino: UTET,

1936; A. AURICCHIO, La simulazione nel negozio giuridico: premesse generali, Napoli:

Jovene, 1957 (1a ed.), Napoli: ESI, 1978 (2a ed.); S.ROMANO, Contributo esegetico allo studio

della simulazione: l’art. 1414 c.c., Milano: Giuffrè, 1955;N.DISTASO, La simulazione dei negozi giuridici, Torino: UTET, 1960; G.A.NUTI, La simulazione del contratto nel sistema del diritto civile, Milano: Giuffrè, 1986; G.BIANCHI, La simulazione, Padova: CEDAM, 2003. Si

vedano, inoltre, le voci enciclopediche relative al concetto di simulazione: G.PUGLIESE, s.v. Simulazione (diritto romano), in Noviss. Dig. It., 17, Torino: UTET, 1970, pp. 351-359; F.

FERRARA, s.v. Simulazione nei negozi giuridici, in N. Dig. It., 17/1, Torino: UTET, 1939, pp.

309-319; F.CANFORA, s.v. Simulazione, in Dig. It., 21/3, Torino: UTET, 1895-1902, pp. 411-

451; M.CASELLA, s.v. Simulazione (diritto privato), in Enc. dir., 47, Milano: Giuffrè, 1990,

pp. 593-614, specialmente par. 7, pp. 598-599, relativo all’apparenza.

102 In questo senso si veda L.MITTEIS, Römisches Privatrecht: bis auf die Zeit Diokletians,

Leipzig: Duncker & Humblot, 1908, p. 261 nt. 15, la cui ricostruzione tuttavia viene criticata da E. BETTI, Consapevole divergenza della determinazione causale del negozio giuridico (simulazione e riproduzione “dicis causa” o “fiduciae causa”), in BIDR, 42 (1934), pp. 299-

325, in particolare pp. 306 ss., il quale non esita a definire la nozione che l’autore propone di negozio simulato come «falsa».

Ciò ha indotto alcuni autori, in passato, a sostenere che la base della tutela dell’apparenza risiederebbe infatti proprio nella disciplina della simulazione, ma si è replicato che la simulazione tutela solo alcune categorie di terzi e non la loro totalità, dal momento che riguarda l’opponibilità del patto.

Tuttavia, se si analizzano i due istituti, è agevole rendersi conto che gli stessi non possono identificarsi.

La simulazione, infatti, com’è noto ricorre quando le parti concludono un negozio che in realtà non volevano porre in essere o che, secondo una forma meno radicale, intendevano stipulare ma a condizioni diverse. Quest’ultima precisazione è alla base della distinzione, interna al fenomeno simulatorio, fra simulazione assoluta – il primo caso – e relativa – il secondo. Comune a entrambi i negozi è, invece, la peculiare metodologia di manifestazione della volontà, che presenta una deviazione fra quanto rappresentato all’esterno, e quanto intimamente voluto. Siamo cioè di fronte a quella che viene tradizionalmente definito in dottrina una consapevole divergenza tra voluto e manifestato, ossia quel fenomeno per cui la modalità di ostensione e, dunque, la forma contrattuale non corrisponde alla reale voluntas contrahentium.

Il fatto che nella simulazione le parti intendano dissimulare il vero e coprire la reale essenza del negozio con una veste diversa non significa che ciò sia necessariamente dettato da volontà frodatorie o lato sensu illecite, potendo, come ha correttamente rilevato la dottrina, servire per far fronte a nuove esigenze dei privati cui il diritto non abbia ancora apprestato risposta103. A conferma di tale assunto, valido sin dalle epoche più antiche, la dottrina ha sottolineato come la simulazione costituisca proprio l’espediente preferito che ha fondato in passato quel fenomeno di «riproduzione imitativa (dicis causa) di negozi preesistenti» – di cui l’esperienza romana ci riporta numerosi esempi

103 E.BETTI, Consapevole divergenza cit., p. 305: «non è da credere che la simulazione serva

solo a coprire una illeceità riprovata dal diritto». Certo, indubbiamente la simulazione «può bensì servire anche a questo, e cioè adibirsi a scopo di frode», sia rivolta contro legge, sia diretta nei confronti di altri privati. Ma, come correttamente avverte l’autore, non è questa l’unica eventualità possibile, «potendo benissimo esservi frode senza simulazione». Quest’ultima, infatti, può servire «per far salve certe convenienze sociali» e in questo caso come rileva l’autore, l’illiceità che si intende coprire con la simulazione è una «illiceità puramente sociale», ma anche «per supplire a deficienze che il diritto scopre di fronte a sopravvenienti esigenze dell’autonomia privata».

attraverso quei negozi che le fonti romane qualificano come «imaginarii»104 col quale si è cercato di rispondere alle richieste emergenti nella società civile, adeguando gli stessi negozi, «mercé opportuni adattamenti, a nuove funzioni economiche o sociali»105.

Tanto che si è parlato, forse con un’eccessiva enfasi, della simulazione quale strumento della «lotta per il riconoscimento di nuovi tipi di negozi»: la quale, anzi, costituirebbe addirittura la sua «ragion d’essere», determinandone l’origo, ma anche segnandone ineluttabilmente la finis106.

Al di là della rappresentazione più o meno enfatica che si preferisca dare del fenomeno simulatorio, ciò che è certo è che nei casi sopra prospettati si determina uno sviamento rispetto alla causa che connota e contraddistingue il tipo negoziale prescelto, che viene utilizzato e funzionalizzato al perseguimento di uno scopo pratico diverso rispetto a quello per il quale l’ordinamento lo ha concepito: volendo chiamare in causa le categorie moderne, potremmo dire che si determina un disallineamento della causa concreta rispetto alla causa astratta, frutto di una «esasperazione della funzione

104 Imprescindibile qui il riferimento alla definizione gaiana di mancipatio quale «imaginaria

venditio»: «Est autem mancipatio, ut supra quoque diximus, imaginaria quaedam venditio: Quod et ipsum ius proprium civium Romanorum est; eaque res ita agitur: Adhibitis non minus quam quinque testibus civibus Romanis puberibus et praeterea alio eiusdem condicionis, qui libram aeneam teneat, qui appellatur libripens, is, qui mancipio accipit, rem tenens ita dicit: hunc ego hominem ex iure quiritium meum esse aio isque mihi emptus esto hoc aere aeneaque libra; deinde aere percutit libram idque aes dat ei, a quo mancipio accipit, quasi pretii loco.»

(Gai., 1.119).

105 Le espressioni virgolettate sono riprese da E.BETTI, Consapevole divergenza cit., p. 306, il

quale sottolinea come tali negozi «ricalcati sopra un modello e da esso imitati nella forma», proprio in ragione della loro «palese incongruenza tra forma e causa», saranno qualificati come «imaginarii», poiché compiuti «dicis causa proprie veteris iuris imitationem». Quali esempi di questi negozi imaginarii, in particolare, l’autore cita (p. 307) le diverse applicazioni della

mancipatio, in cui la giurisprudenza si è servita del modello mancipatorio ai fini della

formazione di un nuovo tipo di negozio giuridico, che ha successivamente ottenuto «il riconoscimento ufficiale del diritto»: fra questi, in particolare, egli ricorda la mancipatio

familiae, come nucleo fondamentale da cui si evolverà il testamentum per aes et libram, la datio in adoptionem, l’emancipatio, la coemptio matrimonii causa e, inoltre, la noxae deditio

del libero.

106 E.BETTI, Consapevole divergenza cit., pp. 310-311: «col riconoscimento giuridico l’effetto

vincolante del nuovo negozio è ormai assicurato: ma ecco che allora la simulazione esaurisce la sua funzione genetica e cessa di avere senso», pronta a risorgere, come una fenice, solo in presenza di ulteriori e diverse esigenze pratiche. «Essa conserva la sua fisionomia caratteristica solo finché lotta per il riconoscimento di nuovi tipi di negozi: il trionfo in questa lotta segna necessariamente la sua fine, perché ne sopprime la ragion d’essere». Ecco dunque quale sarebbe, secondo l’autore, la dialettica e la perenne vicenda della simulazione: «un fenomeno che vive al margine dell’ordinamento giuridico e mentre oscilla fra l’irrilevanza giuridica e l’illiceità [...] aspira, tuttavia a mettersi sotto la sua protezione».

strumentale del negozio giuridico»107, che, forzato nella sua struttura, viene piegato ed orientato al soddisfacimento dell’interesse privato108.

Ora, se così è, non può condividersi la teoria che assimila l’apparenza alla simulazione e che addirittura ritiene che il negozio apparente nasca da quello simulato. Infatti, nell’apparenza la divergenza tra situazione di fatto e di diritto non necessariamente è voluta dalle parti e, dunque, può tranquillamente mancare – e anzi manca nell’apparenza cosiddetta pura – l’elemento soggettivo che connota invece l’essenza stessa della simulazione.

Per questo motivo, volendo riprendere l’esempio dei negotii imaginarii del diritto romano, la dottrina ha escluso che questi possono definirsi apparenti, poiché in essi manca una «dissonanza tra stato di fatto e stato di diritto», è assente una «divergenza tra quanto appare materialmente e quanto è invece giuridicamente» e, inoltre, non si rinviene alcun affidamento da tutelare109.

Ciò posto, non può dunque affermarsi che fra apparenza e simulazione sussista un rapporto di identità, né di derivazione della prima dalla seconda. Semmai, invertendo i termini del rapporto, potrà dirsi che la simulazione costituisce una peculiare ipotesi di apparenza e, in particolare, di apparenza colposa110: gli autori del negozio simulato, infatti, pongono in essere un atto che in verità non hanno intenzione di concludere, quantomeno nei termini e

107 È sempre E. BETTI, Consapevole divergenza cit., p. 304 a sottolineare come nella

simulazione si verifichi una divergenza nella determinazione causale, dal momento che «caratteristica della simulazione è che la determinazione di volontà non si indirizza, come dovrebbe, alla funzione economico-sociale tipica del negozio, ma [...] la sostituisce» in tutto o in parte «con uno scopo pratico diverso».

108 Questa l’argomentazione sulla cui base autorevole dottrina ha in passato ritenuto di

affiancare la simulazione al negozio indiretto, non senza incontrare tuttavia oppositori, che suggerivano di mantenere distinti i due istituti. Si veda in proposito la diversa visione di Tullio Ascarelli, fautore della tesi «separatista» e il contrario avviso di Emilio Betti, che, ironizzando, ritiene che la costruzione dogmatica del collega sia «frutto di una curiosa diplopia» (cfr. E. BETTI, Consapevole divergenza cit., p. 304, nt. 1).

109 Le espressioni sono di S.ROMEO, L’appartenenza e l’alienazione in diritto romano: tra

giurisprudenza e prassi, Milano: Giuffrè, 2010, p. 259 nt. 208, la quale, occupandosi del

fenomeno della imaginaria venditio nel diritto romano, accenna alla problematica e controversa questione della identificazione tra negotii imaginarii, negozi apparenti e simulazione. Sul punto ci uniamo all’autrice nel rinviare alle opposte tesi sostenute da E. BETTI, Consapevole divergenza cit., pp. 306 ss. e da G.PUGLIESE, La simulazione nei negozi

giuridici, cit., il quale alla tematica in questione ha dedicato una compiuta e approfondita

analisi.

110 A.FALZEA, s.v. Apparenza cit., p. 698: «un’ipotesi caratteristica di apparenza colposa si ha

in tema di simulazione, in cui il titolare reale determina consapevolmente quella situazione di titolarità apparente, che è in grado di indurre in errore i terzi».

nelle modalità manifestate all’esterno, e dunque pongono coscientemente le basi per la determinazione nei terzi di uno stato di errore e di fraintendimento. In questo caso, quindi, l’errore scaturito dall’apparenza non sarà derivato dalla situazione di fatto in sé considerata, non potendosi negare che all’insorgere dello stesso abbia concorso la condotta di coloro che hanno voluto la simulazione. Non potrà, dunque, certo parlarsi in tale ipotesi di apparenza pura, ma saremo di fronte ad un classico caso di apparenza colposa. In quest’ipotesi indubbiamente apparenza e simulazione si identificano, ma rimane ferma la loro distinzione sul piano concettuale, che non consente – per quanto abbiamo appena detto – di fondare sul negozio simulatorio, che dell’apparenza costituisce come abbiamo visto soltanto una delle possibili forme e manifestazioni, l’intera teoria dell’apparentia iuris.

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