• Non ci sono risultati.

Gli effetti del pagamento al creditore apparente nel diritto romano e in quello moderno: sanzionabilità del falsus creditor e tutela del

diritto romano.

3. Il creditore apparente nelle fonti giuridiche romane: un caso isolato di falsus creditor.

3.3. Gli effetti del pagamento al creditore apparente nel diritto romano e in quello moderno: sanzionabilità del falsus creditor e tutela del

debitore in buona fede.

Appurata, dunque, l’identificabilità della fattispecie descritta da Ulpiano nel frammento citato rispetto a quella del pagamento al creditore apparente come descritta dal legislatore italiano, occorre però valutare se ad una sovrapponibilità degli elementi costitutivi della fattispecie astratta faccia seguito una assimilabilità anche quoad effectum. In particolare, ciò che interessa considerare sono i rimedi predisposti dai due ordinamenti, moderno e antico, in risposta a tale situazione, dai quali potrà ricavarsi qualche elemento in più in ordine alla prospettiva nella quale gli stessi hanno inteso inquadrare il fenomeno.

Ora, dall’analisi del frammento contenente il riferimento al falsus

creditor, emerge con certezza un dato: questi non potrà divenire proprietario

delle cose ricevute e in buona fede consegnate dal debitore, in quanto privo

56 Sulla disciplina moderna dell’istituto ci siamo già soffermati all’inizio del presente capitolo

(par. 1): sarà, dunque, qui sufficiente richiamare il contenuto dell’art. 1189 c.c., rinviando alle pagine precedenti per la compiuta analisi della fattispecie: «Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito.».

della legittimazione a riceverle – legittimazione che è stata soltanto simulata (qui se simulat creditorem) –; egli sarà pertanto considerato un semplice possessore, peraltro di mala fede. Ecco perché, nel principium del frammento D. 47.2.43 Ulpiano afferma con sicurezza e senza esitazione che il falsus

creditor che abbia percepito un quid non acquista la proprietà di quanto

ricevuto: in questo caso, infatti, il denaro non diventa suo («nec nummi eius

fient»), cioè non entra a far parte del patrimonio di colui che si è finto

creditore, il quale anzi appropriandosi scientemente di qualcosa che non gli spettava, si macchia inevitabilmente del delitto furto («furtum facit»).

La conclusione perentoria di Ulpiano, secondo cui il falso creditore, o creditore apparente, che riceve del denaro commette senza dubbio furto è, dunque, l’unico elemento dal quale possiamo cercare di ricavare indizi in merito alla disciplina del falsus creditor, individuato come antesignano del nostro creditore apparente. Com’è evidente, trattasi di informazioni troppo esigue per poterci consentire di affermare l’esistenza di una costruzione giuridica e di uno studio istituzionale intorno alla figura in esame, che probabilmente non rappresentò nel diritto romano fonte di particolari questioni degne di attenzione da parte dei giuristi. Se così non fosse, infatti, avremmo rinvenuto nel Digesto – verosimilmente vicino al passo appena esaminato – ulteriori frammenti dedicati a tale figura, esattamente come avviene per il

falsus procurator, che al contrario trova menzione in svariate ipotesi, rispetto

alle quali i giuristi furono chiamati a rendere il proprio responsum. L’ipotesi del falso creditore non è stata, invece, al centro di particolari dispute e, come abbiamo appena visto, viene in rilevo unicamente per individuare una delle possibili ipotesi di furtum.

Alla luce di tali considerazioni, è allora possibile ricavare la diversa prospettiva che connota il diritto romano rispetto alla impostazione moderna relativa al creditore apparente. In particolare, come abbiamo visto l’unico isolato esempio in cui le fonti antiche si preoccupano di prendere in considerazione il falso creditore è funzionale ad una attribuzione di responsabilità – peraltro di tipo penale, a titolo di furtum – per la condotta appropriativa del bene altrui. Al contrario, la moderna disciplina del creditore apparente contenuta nel codice civile all’articolo 1189, oltre a configurare profili di responsabilità in capo al soggetto che si sia finto creditore – il quale,

come abbiamo visto, è tenuto a restituire quanto indebitamente ricevuto, potendo essere destinatario di un’azione di indebito arricchimento eventualmente intentata dal debitore – si preoccupa anche di predisporre un adeguato meccanismo di tutela proprio di quest’ultimo soggetto, caduto in errore senza sua colpa. Infatti, come già evidenziato, il presupposto dell’apparenza giuridica, di cui il creditore apparente rappresenta espressione, è il legittimo affidamento57 riposto nella situazione di apparenza, che in base a circostanze univoche ed oggettive induce a ritenere sussistente uno stato di fatto in realtà assente. Ed ecco allora che il nostro legislatore, proprio per tutelare il legittimo affidamento del debitore che, in virtù di un errore scusabile, abbia pagato al soggetto sbagliato, stabilisce che se questi effettua in buona fede il pagamento al creditore apparente (‘falso’), sarà liberato e non potrà essere chiamato ad eseguire nuovamente la prestazione nelle mani del creditore effettivo (‘vero’). Una simile preoccupazione e attenzione – almeno per quanto è a noi dato sapere – è del tutto assente nel diritto romano, il quale si limita a prendere in considerazione il fenomeno del falsus creditor dal lato di quest’ultimo, sanzionando la condotta simulatoria e, dunque, ingannatoria nei confronti del soggetto (debitore) che effettua il pagamento, attraverso l’addebito del delictum di furtum. L’elemento che, dunque, contraddistingue la fattispecie è la mala fede del falsus creditor, che «se simulat creditorem» e, così facendo, contribuisce a creare la situazione di apparenza, determinando, con la propria condotta, l’errore del debitore.

Pur nella identità di presupposti del fenomeno giuridico in esame, la diversità di prospettiva fra diritto moderno e antico si manifesta allora in tutta la sua evidenza: se nell’esperienza attuale il problema del pagamento al creditore apparente ruota attorno alla figura del debitore, che il codice civile si preoccupa di tutelare nell’ipotesi in cui abbia eseguito il pagamento in buona fede, nel diritto romano l’attenzione è invece focalizzata sulla figura del creditore apparente (rectius ‘falso’), che assume rilevanza e viene preso in considerazione unicamente quale potenziale soggetto attivo del delitto di furto.

57 In ordine alla nozione di legittimo affidamento correlato alla buona fede e alla sua rilevanza

nell’ambito della teoria dell’apparenza giuridica, ci permettiamo di rinviare alle osservazioni già esposte nel capitolo I del presente lavoro, nel quale abbiamo cercato, per quanto possibile di sciogliere i termini della questione, anche attraverso l’indicazione di alcuni imprescindibili riferimenti bibliografici.

Volendo tradurre la distinzione in termini moderni, potremmo dire che, mentre il nostro codice civile all’articolo 1189 delinea un’ipotesi di apparenza pura, che rileva in sé e a prescindere dal contegno assunto dal creditore apparente, nonché dal fatto che questi abbia concorso nella determinazione dello stato di apparenza, il falsus creditor è invece preso in considerazione al diritto romano proprio in ragione del suo comportamento ingannevole e configura, pertanto, un’ipotesi di apparenza colposa.

Non vi è, peraltro, nel passo esaminato, alcun riferimento alle sorti del pagamento effettuato dal debitore al creditore falsus (apparente): la nostra fonte si limita a riferirci che il falso creditore commette furto e non diventa proprietario del denaro, ma non ci informa in merito alla posizione del debitore e non si pronuncia in ordine al buon esito della dazione da questi effettuata a titolo di pagamento. Sorge, allora, spontaneo il seguente interrogativo: il debitore, laddove abbia pagato in buona fede al creditore apparente, sarà liberato oppure potrà essere chiamato ad eseguire nuovamente il pagamento al creditore verus? Ciò che a riguardo possiamo osservare è che, stando a quanto ci riporta Ulpiano, il denaro non passa in proprietà del creditore falsus, che con l’inganno lo abbia ricevuto («nec nummi eius fient»): la somma pertanto rimane in proprietà del debitore, che non ne ha mai perso la titolarità. Tuttavia egli, pur mantenendo la relazione giuridica sul bene, ha perso quella di fatto consistente nel possesso, avendolo in buona fede consegnato all’apparente creditore: in una tale situazione, può allora il debitore, proprietario non possessore dei denari, ritenersi liberato? In merito a tale questione la nostra fonte nulla dichiara in maniera esplicita, limitandosi ad affermare che il falsus

creditor commette furtum. L’unico rimedio esperibile contro di lui, dunque,

potrà essere l’actio furti, con la quale il falsus creditor potrà essere condannato a restituire quanto indebitamente sottratto, incrementato in base al meccanismo del multiplo cui si ispira il modello sanzionatorio degli illeciti civili.

Individuato chiaramente il rimedio esperibile a fronte di tale situazione, occorre tuttavia domandarsi chi lo possa esperire, ossia – sempre per utilizzare la terminologia e le categorie moderne – individuare il ‘legittimato attivo’ ad esercitare l’azione di furto contro il falsus creditor, che in mala fede ha acquistato il possesso dei denari. Un simile dubbio in ordine alla legittimazione può, infatti, sorgere perché soggetti danneggiati dalla condotta del falsus

creditor sono due: da un lato, il debitore, che paga ad un soggetto sbagliato e

che, dunque, a causa del proprio errore potrebbe essere teoricamente chiamato a pagare nuovamente al creditore effettivo, rimasto insoddisfatto; dall’altro, appunto, il creditore ‘vero’, il cui interesse è rimasto evidentemente disatteso, avendo altri percepito quanto era a lui spettante. Nonostante tale duplicazione delle ‘vittime’ dell’indebito pagamento, il dubbio in ordine a chi fra i due soggetti sia titolato ad esperire il rimedio è presto sciolto, se solo si pensi a quali sono i requisiti di legittimazione per l’esercizio dell’actio furti. Ora, dal momento che legittimato attivo all’azione di furto è il proprietario dei beni sottratti, occorre capire chi, a seguito del pagamento al falsus creditor, abbia la titolarità del diritto reale sui beni consegnati a titolo di pagamento. Sul punto, possiamo affermare che il proprietario del quid sottratto dal falsus creditor è – e rimane anche dopo l’appropriazione da parte del falsus creditor – il debitore: ciò risulta, infatti, chiaramente dall’affermazione di Ulpiano, secondo cui il

falsus creditor non acquista la proprietà del denaro («nec nummi eius fient»).

D’altro canto, l’azione non potrebbe essere esercitata dal creditore verus, il quale non è ancora proprietario della somma, pur essendo l’unico legittimato a riceverla: la proprietà dei nummi, infatti, presuppone la loro consegna, che però non è avvenuta in suo favore. Da ciò parrebbe, dunque, potersi concludere, senza troppi dubbi, che unico legittimato ad esperire l’actio furti è il debitore che abbia effettuato il pagamento al creditore apparente (falsus creditor).

Volendo, allora, profilare una qualche conclusione dell’analisi fin qui compiuta, possiamo prendere posizione concordando con quanti hanno escluso una compiuta costruzione giuridica da parte del diritto romano intorno alla figura del creditore apparente. Il tentativo di individuare un embrione di tale istituto nel falsus procurator, se certamente appare l’unica linea percorribile, non può però consentitici di considerarla esistente e già compiutamente delineata nel pensiero di Roma antica. Indubbiamente il fenomeno del pagamento al creditore apparente era già stato individuato e messo a fuoco dai giuristi romani, come testimonia il frammento esaminato; ma, una volta individuata la sanzione da comminare nei confronti di chi abbia indebitamente ricevuto l’adempimento del credito, l’attenzione della giurisprudenza romana subisce una battuta di arresto, senza preoccuparsi di considerare gli ulteriori

risvolti del fenomeno, che non risulta essere venuto in rilievo in fattispecie diverse da quella citata da Ulpiano.

Quindi, per quanto concerne la fattispecie del creditore apparente, i profili di continuità fra diritto romano e diritto moderno sussistono nei limiti in cui entrambi i diritti contemplano e si preoccupano di disciplinare il pagamento al ‘falso creditore’, individuando le conseguenze della condotta di colui che si finge legittimato a riceverlo. Ma, appena l’attenzione si sposta dalla figura del creditore apparente a quella del debitore, ‘vittima’ dell’apparenza, la continuità si dissolve ed emergono i profili di frattura: da un lato, il moderno diritto consente la liberazione del debitore, in virtù del legittimo affidamento da questi riposto; dall’altro, l’esperienza antica contempla unicamente la possibilità di agire contro il falso creditore mediante l’actio furti, per ottenere la condanna di colui che con l’inganno lo abbia indotto a consegnargli quanto spettava al creditore verus.

Questi i motivi in base ai quali riteniamo, dunque, di poter concludere che fra creditore apparente e falsus creditor i profili di frattura superano e sovrastano quelli, pur esistenti, di continuità.

Outline

Documenti correlati