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L’art 416 ter c.p e il patto di scambio favori/vot

II Capitolo: Il concorso esterno in associazione mafiosa e la sua evoluzione giurisprudenziale

5. L’accordo elettorale politico-mafioso: il “caso Mannino”

5.3 L’art 416 ter c.p e il patto di scambio favori/vot

Veniamo adesso a quello che potremmo considerare l’aspetto più importante della sentenza. La Corte non aveva l’onere di definire semplicemente i confini della condotta concorsuale, bensì era chiamata a stabilire se il politico che chiede o ottiene voti da parte di un clan mafioso in cambio di una promessa di favori possa essere perseguito per concorso esterno in associazione mafiosa275.

Senza alcun dubbio la Corte riconobbe che anche un accordo di tal tipo potesse assumere rilevanza penale alla stregua del concorso esterno.

273

G. Borrelli, Tipizzazione della condotta e nesso di causalità nel delitto di concorso in

associazione mafiosa, cit., p. 3764

274 P. Morosini, La creatività del giudice nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 551; G. De

Francesco, Concorso di persone, reati associativi, concorso nell’associazione: profili sistematici e

linee di politica legislativa, cit., pp. 134-135. L’associazione è un’entità dinamica e

funzionalmente rivolta al perseguimento di uno scopo. La condotta del concorrente, indirizzata al sodalizio nel suo complesso e non alle singole condotte partecipative, deve risultare utile per tale scopo; Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 141. L’apporto del concorrente esterno deve esser diretto a rafforzare la struttura organizzativa; è un contributo dato all’associazione nel suo complesso e non a specifiche imprese delittuose o a singoli associati; così anche C. F. Grosso,

Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed irrilevanza penale, cit., pp. 1191-1192; C. Visconti, Il concorso “esterno” nell’associazione mafiosa: profili dogmatici ed esigenze politico criminali, cit., p. 1324. L’autore ritiene che se si ammettesse

l’ipotesi del concorso nella partecipazione si rischierebbe di estendere l’ambito del penalmente rilevante oltre quel tipo di comportamento che si voleva sanzionare con l’istituto del concorso esterno. Inoltre la responsabilità per il reato associativo verrebbe attribuita con eccessivo rigore per condotte che in fin dei conti si esauriscono nel sostegno al singolo partecipante.

275 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Cassazione penale, cit., p.

3755. Abbiamo evidenziato in precedenza che, proprio per ottenere un’indicazione più precisa in tal senso, la difesa dell’imputato richiese la rimessione della causa alle Sezioni Unite.

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Nel nostro ordinamento vi era già una fattispecie di reato facente riferimento ad una forma di contiguità “politico-mafiosa”; prima della riforma del 2014 l’art. 416 ter c.p.276 sanzionava la condotta di colui che otteneva la promessa di voti in occasione di consultazioni elettorali in cambio dell’erogazione di denaro.

L’introduzione dell’art. 416 ter c.p. nel 1992 – sottolineò la Corte – non poteva essere interpretato come espressione della volontà del legislatore di limitare la rilevanza penale soltanto allo scambio denaro/voti, dal momento che esistono molti modi di dare origine a patti collusivi in materia elettorale con un’associazione mafiosa. L’art. 416 ter c.p. derivava dalla necessità di prevedere una specifica figura di reato alternativa alla condotta concorsuale, poiché solo così vi sarebbe stata una conseguenza sanzionatoria anche qualora la condotta del politico, non risoltasi in un contributo utile al fine del mantenimento e del rafforzamento dell’associazione, non fosse in grado di integrare gli estremi del concorso esterno277.

Qui, però, eravamo di fronte ad un qualcosa di molto diverso. Non vi era stata una dazione di denaro in cambio di sostegno elettorale e non vi era la prova del “classico” accordo politico-mafioso di cui all’art. 416 ter c.p. L’imputato era accusato soltanto di aver fatto delle promesse ai clan mafiosi per ottenere l’appoggio di un numero sostanzioso di elettori. Questo tipo di condotta poteva superare il varco del penalmente rilevante? Secondo la Corte la risposta era affermativa e un simile comportamento trovava la fonte della sua sanzionabilità

276 Articolo introdotto ex art. 11 ter, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in l. 7 agosto 1992, n. 356,

“Provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”. L’introduzione di questa norma andò ad affiancarsi agli art. 96 e 97 del Testo Unico delle legge recanti norme per la elezione della Camera

dei deputati (D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361) che già punivano rispettivamente le forme di

corruzione e coercizione elettorale. L’art. 416 ter c.p. è stato poi modificato dalla l.17 aprile 2014, n. 62, Modifica dell’art. 416 ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-

mafioso

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proprio nell’istituto del concorso esterno, tuttavia si richiese una rigorosa ricostruzione dei requisiti della fattispecie. L’aspetto più delicato non era più l’elemento psicologico quanto piuttosto il nesso causale tra il rafforzamento dell’associazione e le promesse effettuate dal politico278.

E’ davvero possibile riscontrare un contributo causalmente rilevante in una siffatta condotta atipica? Che un tessuto di rapporti con il mondo politico possa risultare estremamente utile per un clan mafioso è dato ormai certo. L’infiltrazione mafiosa nei poteri politici permette alle associazioni criminali di ottenere con maggior facilità, se non con assoluta certezza, il conseguimento di appalti, finanziamenti e quant’altro. È quindi innegabile che la mafia sappia come trarre profitto dall’attività di un politico connivente279. La difficoltà sta nel dimostrare tale consapevolezza nel processo tutte quelle volte in cui la condotta illecita non si concretizzi in un scambio denaro/voti.

A seguito della pronuncia del 2005, il concorso esterno in associazione mafiosa è stato riconosciuto configurabile nei casi di scambio promesse/voti. Tuttavia – affermò la Corte – non è sufficiente una “disponibilità” o “vicinanza” del personaggio politico alle famiglie mafiose per arrivare ad una sentenza di condanna. La soglia dell’oltre ogni ragionevole dubbio può essere superata soltanto nel caso in cui gli impegni presi dal politico siano seri e concreti – il che può esser desunto anche dall’affidabilità dei soggetti dell’accordo e dai caratteri strutturali dell’associazione – e qualora il fatto stesso dell’aver assunto impegni nei confronti del sodalizio si sia rivelato ex post sufficiente ad incidere significativamente sull’attività dello stesso, anche a prescindere da successive

278 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, “Mannino”, in Il Foro italiano, cit., p.

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condotte esecutive dell’accordo. Sono ammesse verifiche basate su massime di esperienza che abbiano il carattere dell’empirica plausibilità280 purché emergano elementi concreti da cui desumere che il patto abbia avuto conseguenze positive per il sodalizio281. E’ necessario dimostrare che, a seguito dell’appoggio richiesto nelle competizioni elettorali, il politico si sia impegnato ad attivarsi a favore del clan mafioso e che da tale accordo l’associazione abbia tratto un vantaggio in termini di rafforzamento delle sue capacità operative282. Non potrà trattarsi, in altri termini, di un consolidamento meramente psicologico derivante dalla consapevolezza di poter contare su un contributo così “prestigioso” 283.

Nel caso di specie la Corte ritenne che il giudice di appello avesse omesso di indagare sul contenuto dell’accordo con evidenti conseguenze sul piano dell’accertamento probatorio. Non è possibile condannare l’imputato sulla base di un patto di cui non si conoscono i contenuti e che quindi non fornisce informazioni sugli impegni assunti a favore di Cosa Nostra. Le Sezioni Unite, inoltre, ritennero che la Corte di appello non avesse effettuato la suddetta verifica ex post, in merito all’efficacia causale della promessa del politico, per cui la

280 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., p.

100; Corte di Cassazione, 22 novembre 2012, (dep. 24 aprile 2013), n. 18491, in Cassazione

penale, 2014, p. 566. In questa pronuncia la Corte ha escluso che il rapporto di parentela con un

affiliato sia di per sé sintomatico della mafiosità dell’imputato.

281 A. Perini, S. Coda, L’accertamento del patto politico mafioso, cit., p. 946. Il contributo del

politico deve risultare condizione necessaria dell’evento. Gli autori ritengono che non si possa ammettere la punibilità del semplice scambio di promesse, poiché questo condurrebbe al sanzionamento del politico anche qualora non venisse eletto; in merito all’esito delle elezioni, G. Turone (Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 352) ritiene che l’effettiva disponibilità del politico si perfezioni ad elezione avvenuta, salvo che il rapporto tra il soggetto e la mafia non sia risalente nel tempo e già sufficientemente collaudato.

282 G. Borrelli, Tipizzazione della condotta e nesso di causalità nel delitto di concorso in associazione mafiosa, cit., p. 3765

283 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., p.

100. Secondo la Corte, una volta stipulato l’accordo, l’associazione mafiosa si organizzerà di conseguenza predisponendo risorse umane, materiali, strumenti finanziari e individuando la più corretta strategia da seguire. Se il patto tra il personaggio politico e la mafia è realmente avvenuto, dice la Corte, il potenziamento dell’efficienza operativa del sodalizio sarà quasi immediatamente riscontrabile. Se così non fosse, non sarebbe possibile pervenire ad alcuna sentenza di condanna.

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decisione si era basata su concetti virtuali ed eccessivamente vaghi, dai quali non era possibile trarre conclusioni probatorie in tema di concorso esterno284.

Senza volersi concentrare troppo su tale aspetto, teniamo presente che la decisione della Corte di appello venne criticata anche per aver preso a riferimento, nella valutazione del compendio probatorio, sentenze non ancora irrevocabili. Le Sezioni Unite pronunciarono un importante principio di diritto anche a tale proposito. Nel ricorso la difesa contestava l’acquisizione e l’utilizzo di sentenze non definitive per trarne elementi di prova in merito alla contiguità di Mannino con l’associazione Cosa Nostra. La Corte condivise tale obiezione e stabilì che le sentenze pronunciate in diversi procedimenti penali e non ancora passate in giudicato possono fornire la prova solo dell’esistenza della decisione e delle vicende processuali ivi rappresentate, ma non della ricostruzione dei fatti accertati e della valutazione probatoria effettuata dai giudici in tal contesto285.

In conclusione, la Corte decise di annullare la sentenza di condanna e di rinviarla ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Fu ritenuta possibile

284 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., p.

101. Nelle pagine precedenti della motivazione le Sezioni Unite osservano che la Corte di appello aveva ribaltato la decisione di primo grado criticando il metodo atomistico seguito del Tribunale. I giudici di secondo grado, infatti, ritenevano che taluni episodi avrebbero dovuto essere analizzati unitariamente come elementi di un singolo mezzo di prova. Solo così se ne sarebbe potuto apprezzare la portata. Presi singolarmente, infatti, appaiono come meri elementi indiziari insufficienti a fondare una decisione di condanna. La Corte critica questo ragionamento e sostiene che in sede di appello sono stati considerati rilevanti fatti diversi da quelli che l’incriminazione per concorso esterno in associazione mafiosa richiedere.

285 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., pp.

102-103. In particolare si contesta l’acquisizione delle sentenze di condanna non definitive a carico di Inzerillo e Ferraro dove si riconosceva la mafiosità dei due imputati. Tale elemento venne considerato rilevante dalla Corte di appello nella ricostruzione del contributo causale apportato da Mannino, date le sue innegabili relazioni con i suddetti; Parlato, nota a Corte di Cassazione, 12 luglio 2005, in Il Foro italiano, II, 2006, p. 84. In applicazione dell’art. 238 e 238 bis c.p.p. una sentenza non definitiva deve essere considerata come prova precostituita delle mere vicende processuali e non della ricostruzione probatoria dei fatti oggetto di accertamento. Per quanto una sentenza rientri nella categoria di prova documentale, si dà precedenza al principio di oralità, evitando che il documento risulti essere la prova di “rappresentazione di fatti” invece che di semplici fatti; G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, VI edizione, Padova, Cedam, 2012, p. 361. Ricordiamo che ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. anche la valutazione delle sentenze divenute irrevocabili va incontro a dei limiti, in quanto è necessario che i fatti ivi accertati trovino riscontro in ulteriori elementi di prova.

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una nuova analisi del materiale probatorio, proprio in virtù del fatto che secondo le Sezioni Unite vi era stata un’erronea configurazione dei requisiti oggettivi e soggettivi del fatto di reato. In altre parole, si prospettavano temi probatori più solidi, capaci di dar vita ad un’interpretazione del materiale indiziario più certa e definita e ad una maggiormente corretta qualificazione giuridica delle condotte penalmente rilevanti poste in essere da Mannino.

Precisò infine la Corte che, per quanto la “vicinanza” di un politico con le famiglie mafiose sia eticamente e socialmente riprovevole, per poter parlare di concorso esterno è necessario che tale “disponibilità” sia surrogata da concreti e forti elementi di prova in merito al nesso di causalità e al dolo del concorrente286.

Cerchiamo di riflettere sul tipo di condotta illecita che la Corte si è trovata a dover giudicare: prima di tutto notiamo che la punibilità di un accordo favori/voti nel 2005 poteva esser ricercata soltanto nell’applicazione del concorso esterno in associazione mafiosa, dal momento che l’art. 416 ter c.p. prevedeva la perseguibilità dell’accordo politico-mafioso soltanto in caso di scambio denaro/voti.

La domanda al centro del dibattito sull’argomento era se l’introduzione dell’art. 416 ter c.p. non fosse da interpretare come volontà del legislatore di limitare la soglia di punibilità ai casi in cui vi fosse un evento concreto come la dazione di una somma di denaro.

286 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., pp.

103-104; in tal senso già Corte di Cassazione, V sez. pen., 26 maggio 2001, (dep. 19 agosto 2001), n. 220266, Allegro e altri, in Cassazione penale, 2002, p. 3450, dove si affermava che la mera vicinanza del politico al gruppo mafioso non è sufficiente per la sussistenza del reato, così come neppure la semplice accettazione del sostegno elettorale. E’ necessario che tra le parti si instauri un accordo in base al quale il candidato si impegna concretamente a favorire le attività del sodalizio. Precisiamo che Mannino fu poi assolto nel 2008 dalla seconda sezione della Corte di appello di Palermo e che nel 2010 la Corte di Cassazione confermò tale sentenza di assoluzione.

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In tal senso si esprimeva Fiandaca, contrario alla configurabilità del concorso esterno nelle ipotesi in cui l’accordo politico-mafioso non integrasse la fattispecie prevista all’art. 416 ter c.p.287 Egli sosteneva che se il legislatore aveva ritenuto opportuno dare origine ad un reato autonomo ben definito come il patto politico- mafioso (inteso come elargizione di denaro in cambio di voti), evidentemente non considerava l’istituto del concorso esterno idoneo a perseguire un tal tipo di condotte.

Altrettanto indicativo era il fatto che all’interno della suddetta fattispecie non fosse stata prevista la punibilità del semplice accordo avente ad oggetto la promessa di favori futuri in cambio di voti. Perseguire tale condotta alla stregua del concorso esterno avrebbe determinato l’inosservanza dei principi di tassatività e legalità288. Inoltre, affermava Fiandaca, anche volendo inquadrare il comportamento del politico all’interno del concorso eventuale, non sarebbe comunque stato possibile riscontrare un contributo obiettivamente apprezzabile per l’associazione. Il politico promittente offriva semplicemente un apporto potenziale e non poneva in essere nessuna concreta attività di rafforzamento. Del resto, promettere azioni politiche in cambio di voti è la naturale conseguenza di un sistema democratico basato sul consenso elettorale.

In contrapposizione rispetto a quanto riferito finora, Grosso, il quale invece riteneva che l’art. 416 ter c.p. fosse stato introdotto dal legislatore per assicurare la punibilità, come reato autonomo, di comportamenti che raramente avrebbero

287 G. Fiandaca, Un’espansione incontrollata del concorso criminoso, in Il Foro italiano, V, 1996,

p. 127

288 Secondo l’Autore il legislatore ha introdotto l’art. 416 ter c.p. come reato autonomo perché

non riteneva perseguibile alla stregua del concorso esterno un accordo avente ad oggetto lo scambio di denaro/voti. Ma allora, dice Fiandaca, perché una condotta che oltretutto appare meno grave, dal momento che il patto ha ad oggetto una promessa, dovrebbe rientrare nell’applicazione del concorso esterno? Il silenzio del legislatore andrebbe interpretato come esclusione della rilevanza penale di qualsiasi accordo diverso da quello previsto all’interno dell’art. 416 ter c.p.

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potuto integrare gli estremi del concorso esterno289. L’enorme disponibilità economica di una cosca mafiosa faceva fortemente dubitare che essa necessitasse della dazione di denaro da parte di un politico per andare avanti. Conseguentemente si sarebbe raggiunta solo con estrema difficoltà la prova del nesso causale tra l’azione del politico e il sodalizio.

Allo stesso tempo, sottolineava Grosso, prevedere una fattispecie ad hoc per i casi di scambio promesse/voti, in una società democratica che fonda la sua attività politica sulle campagne elettorali, sarebbe stato eccessivo. Questo, però, non escludeva la perseguibilità del politico che stipulasse accordi con un’associazione mafiosa.

L’istituto del concorso esterno appariva il più adatto per sanzionare una siffatta condotta. Certamente la semplice promessa risultava più difficile da punire rispetto alla concreta realizzazione di un fatto di favore, ma non perché incapace di esprimere il disvalore offensivo incardinato nella norma, ma piuttosto perché, da un punto di vista probatorio, era più complesso reperire concreti elementi di riscontro. Tale accordo, comunque, doveva essere effettivamente capace di produrre il rafforzamento del sodalizio; se ne poteva desumere l’idoneità offensiva, ad esempio, dalla qualità della promessa, dall’affidabilità del politico, dalla situazione in cui versava l’associazione e dal contesto in cui si verificavano i fatti. Quindi non si voleva punire alla stregua di elementi vaghi e incerti, ma si mirava a perseguire un comportamento che risultasse potenzialmente lesivo dell’ordine pubblico.

289 C. F. Grosso, Accordo elettorale politico-mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa,

in Il Foro italiano, 1996, parte V, pp. 121ss; G. De Francesco, Gli artt. 416, cit., p. 77. Anche a detta dell’Autore l’intervento legislativo del 1992 deve esser letto come un tentativo di tipizzare determinate forme di collaborazione illecita con le associazioni mafiose, ma non come la volontà di escludere la punibilità di ulteriori modalità di cooperazione non espressamente previste nell’articolo.

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Prese le distanze da entrambe le teorie Turone, il quale considerava il patto di scambio favori/voti punibile a titolo di partecipazione nell’associazione290. Secondo l’autore tra il politico e il sodalizio mafioso si instaurava un rapporto di collaborazione e di vantaggio reciproco stabile e continuativo tale da comportare l’assunzione di fatto di un impegno sistematico a svolgere prestazioni diffuse a favore del clan. Nel momento in cui il politico andava a chiedere il supporto elettorale di una cosca mafiosa, con la consapevolezza dei metodi illeciti utilizzati dalla stessa, certamente era spinto da un movente autonomo, ma inevitabilmente le sue intenzioni si intrecciavano con quelle dell’associazione criminale. In questo modo egli assumeva i connotati dell’affectio societatis poiché dimostrava di condividere la valenza coercitoria degli scopi del sodalizio.

Con la sentenza “Mannino” la Corte di Cassazione sposò la tesi di Grosso e parimenti fece emergere le difficoltà probatorie di cui lo stesso autore parlava nell’articolo291.

Non era, infatti, facile pervenire a quel grado di certezza, che la Corte stessa richiedeva, in merito alla capacità del semplice accordo di fungere da contributo rafforzativo del sodalizio se non si era ancora dato avvio ad una condotta esecutiva dello stesso.

In questo caso al giudice non restava che valutare caso per caso le conseguenze del patto politico-mafioso. Se l’accordo risultava di per sé idoneo ad aumentare il livello di efficienza ed operatività dell’associazione, ma soprattutto a compromettere l’ordine pubblico, il buon andamento della pubblica amministrazione o qualsivoglia bene giuridico tutelato mediante l’art. 416 bis c.p.,

290 G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit., pp. 225 e 349

291 Corte di Cassazione, SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino, in Il Foro italiano, cit., pp.

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il politico promittente poteva esser punito come concorrente esterno. Il compimento di fatti ulteriori, in adempimento degli impegni assunti, avrebbe costituito solamente un’utile prova dell’avvenuta intesa e non un elemento costitutivo del reato292.

5.4 Le modalità di manifestazione dell’accordo politico-mafioso e i limiti del

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