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Dieci anni di indecisione giurisprudenziale

II Capitolo: Il concorso esterno in associazione mafiosa e la sua evoluzione giurisprudenziale

1. Dieci anni di indecisione giurisprudenziale

Il concorso esterno in associazione mafiosa è probabilmente tra gli istituti giuridici più dibattuti degli ultimi vent’anni. Si tratta di una forma di concorso di persone nel reato estremamente peculiare sia sotto il profilo degli elementi oggettivi della condotta, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo da riscontrare in capo all’agente.

Il percorso storico di questa figura criminosa è stato lungo e difficoltoso, in quanto la sua affermazione in relazione all’associazione di stampo mafioso è stata osteggiata enormemente da dottrina e giurisprudenza164. Come precedentemente visto, il concetto stesso di concorso in reati associativi ha fatto fatica ad affermarsi, ancor di più il concorso esterno il quale si caratterizza per un livello di partecipazione del terzo minore e più sfuggente. Per questo motivo il riconoscimento della configurabilità delle semplici condotte concorsuali in relazione alle fattispecie associative non fu sufficiente a permettere l’ingresso nel panorama giuridico anche della figura del concorso esterno.

Questo istituto giuridico può essere analizzato attraverso la ricostruzione storica della sua evoluzione giurisprudenziale, mediante sentenze di casi divenuti famosi proprio per i principi di diritto che la Corte di Cassazione è venuta via via esprimendo sul punto, non senza apprezzabili “mutamenti di rotta”.

164 In dottrina abbiamo precedentemente analizzato le teorie di Contento e di Insolera (vedi infra

Cap. 1, Par. 2.1: Le teorie sulla non configurabilità delle condotte concorsuali nei reati

associativi); in giurisprudenza vedremo più avanti la sentenza “Villecco” che nel 2000 si inserì in

un panorama giudiziario in cui il concorso esterno aveva già trovato accoglimento (vedi infra cap. 2, par. 3.2: Il caso “Villecco”:il concorso eventuale non è configurabile)

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Si iniziò a parlare di concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso nella prima metà degli anni ’80, poco dopo che l’art. 416 bis c.p. era entrato a far parte del panorama giuridico penale del nostro paese165. Fu necessario attendere il 1994 per osservare il consolidamento di un primo orientamento della Corte di Cassazione, fino ad allora, per circa dieci anni, le sezioni semplici della Suprema Corte oscillarono tra pronunce che riconoscevano il concorso esterno166 e decisioni che ne negavano fermamente la configurabilità167. Tutto ciò si spiega alla luce di una fattispecie, quale l’art. 416 bis c.p., priva di un contenuto facilmente interpretabile. Se sorgono dubbi persino sui limiti della rilevanza penale della condotta partecipativa, ben maggiori saranno le difficoltà nell’interpretazione di una condotta concorsuale che esula dalla tipizzazione codicistica.

Abbiamo visto come nell’individuazione degli elementi costitutivi della condotta partecipativa vennero a contrapporsi due orientamenti, l’uno a favore del modello causale168, l’altro a favore del modello organizzatorio169.

165 Negli anni ’80 furono significative alcune sentenze tra cui: Corte di Cassazione, I sez. pen., 22

aprile 1985, (dep. 7 agosto 1985), Aslan, in Cassazione penale, 1986, pp. 822-830; Corte di Cassazione, 13 giugno 1987, (dep. 16 marzo 1988) Altivalle ed altri, in Cassazione penale, 1988, pp. 1812-1845; in merito al concetto di “partecipazione”, Corte di appello di Napoli, 15 settembre 1986, Tortora ed altri, in Giustizia penale, II, 1987, p. 474

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Corte di Cassazione, 13 giugno 1987, (dep. 16 marzo 1988) Altivalle ed altri, cit., pp. 1822- 1823; Corte di Cassazione, I sez. pen., 4 febbraio 1988, Barbella, cit., p. 1988; Corte di Cassazione, I sez. pen., 23 novembre 1992, Altomonte, in Repertorio del Foro italiano, voce

Ordine pubblico, n. 11, p. 2197; Corte di Cassazione, sez. fer., 31 agosto 1993, Di Corrado, in Cassazione penale, 1994, pp. 1496-1497

167 Corte di Cassazione, 19 gennaio 1987, (dep. 4 luglio 1987), Cillari, in Cassazione penale, 1989,

p. 36; Corte di Cassazione, I sez. pen., 18 marzo 1994, Mattina, cit, pp. 2685-2686; Corte di Cassazione, I sez. pen., 18 maggio 1994, Clementi, cit., p. 562;Cortedi Cassazione, I sez. pen., 30 giugno 1994, n. 2699, Della Corte, cit., p. 1116

168 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 36; G. Insolera, L’associazione per delinquere, cit., p. 218; A. Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 96; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 300

169

G. Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 86; Muscatiello, Il concorso esterno nelle

fattispecie associative, cit., pp. 140-141; contro G. De Francesco, Societas sceleris. Tecniche repressive delle associazioni criminali, in Rivista italiana diritto e procedura penale, cit., p. 146,

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Abbiamo altresì osservato che ad oggi questi due modelli tendono a convergere, dando origine alla teoria della struttura mista del reato, in base alla quale acquisisce rilevanza sia l’inserimento del soggetto all’interno della struttura organizzativa, sia l’apporto concreto che egli dà all’associazione170.

Sulla scia di questo ragionamento, la Corte di Cassazione171,affrontando per la prima volta il problema del concorso eventuale, ne riconobbe la configurabilità. Stabilì che, anche quando l’associazione fosse già costituita, commetteva il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, il soggetto agente che non fosse stato accettato come socio172 e, nonostante questo, contribuisse con un apporto idoneo ex ante al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione criminosa.

A ciò si aggiunse il requisito psicologico della consapevolezza e volontà di contribuire alla realizzazione dei fini dell’associazione.

In un primo momento, dunque, la Corte adottò un punto di vista apparentemente chiaro e conciso: “apparentemente”, in quanto poco dopo emersero i primi dubbi.

La Corte iniziò a ritenere che il presupposto per la punibilità a titolo partecipativo fosse unicamente la deliberata e volontaria adesione al sodalizio con la consapevolezza di offrire la propria incondizionata disponibilità ad operare a favore di esso. A ciò si aggiunse l’idea che, ai fini della perseguibilità della condotta, fosse sufficiente la mera manifestazione di volontà, seppur priva di ogni

170 G. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, cit., p. 314;

Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 66; G. De Vero, Tutela dell’ordine pubblico, cit., p. 289; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit, pp. 103-105.

171 Corte di Cassazione, I sez. pen., 13 giugno 1987, Altivalle e altri, cit., p. 1823; nello stesso

senso Corte di appello di Napoli, 15 settembre 1986, Tortora e altri, cit., p. 473

172La Corte sembrò quasi prediligere il modello organizzatorio di configurazione della condotta

partecipativa, ponendo l’accento sull’inserimento del soggetto all’interno dell’organizzazione. Inserimento che poteva prescindere da formalità o riti iniziatici, ma che poteva dedursi anche da

facta concludentia, ossia da comportamenti che denotassero la partecipazione dell’agente alla vita

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potenzialità causale173. Questo perché l’associazione vede radicata la sua pericolosità proprio nel patrimonio umano di cui dispone, quindi nella certezza di avere a disposizione un determinato numero di individui, pronti a mettersi in azione ogni qualvolta l’associazione ne abbia bisogno174.

Le conseguenze probatorie di un atteggiamento di tal tipo sono facilmente intuibili. Venne meno l’esigenza di riscontrare espressioni materiali e concrete dell’inserimento del soggetto, dal momento che con il suo mero atto di volontà egli avrebbe dato un contributo utile ed effettivo alla vita dell’associazione175.

Nell’arco di poco tempo il panorama giurisprudenziale cambiò radicalmente e, così, presero piede le idee di coloro che non ritenevano configurabile il concorso esterno nell’associazione mafiosa. Si cominciò a sottolineare l’impossibilità di distinguere, specialmente sotto il profilo psicologico, la condotta del partecipe da quella dell’esterno176.

Si fece strada un concetto che negli anni successivi verrà ripreso più volte. La Corte individuò la differenza tra il partecipe e il concorrente esterno nella

173 Corte di Cassazione, I sez. pen., 24 giugno 1992, Alfano, in Giustizia penale, II, 1993, pp. 274-

275. In questa pronuncia la Corte sostenne che, mentre nel caso dell’associazione per delinquere è necessario il riscontro di un concreto apporto da parte dell’agente, nell’ipotesi dell’associazione di stampo mafioso, acquisiscono rilevanza causale la mera adesione al sodalizio e la disponibilità ad agire come “uomo d’onore”. Questa decisione è totalmente in contrasto con la sentenza “Aslan” (Corte di Cassazione, I sez. pen., 22 aprile 1985, cit., p. 823) che nel 1985 aveva richiesto, rispetto al mero incontro di volontà, un quid pluris che si concretizzasse in un, seppur minimo, contributo effettivo del singolo.

174 C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., pp. 234-235; Corte di

Cassazione, Sez. II, 28 Gennaio 2000, n. 5343, in Cassazione penale, 2001, p. 844

175

Corte di Cassazione, I sez. pen., 24 giugno 1992, Alfano, cit., p. 274

176 G. Insolera, Diritto penale e criminalità organizzata, cit., p. 105; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 492; in giurisprudenza Corte di Cassazione, I sez. pen., 19

gennaio 1987, Cillari, cit., p. 36; Corte di Cassazione, I sez. pen., 30 giugno 1994, n. 2699, Della Corte, cit., p. 1116; Corte di Cassazione, I sez. pen., 18 marzo 1994, (dep. 30 giugno 1994), Mattina, cit., pp. 2685-2686. In questo caso la Corte ritenne configurabile soltanto il concorso morale esterno; contra L. De Liguori, Concorso eventuale e reati associativi, in Cassazione

penale, 1989, pp. 37-38. Per integrare il reato di partecipazione in associazione mafiosa, è

necessario che l’agente sia parte del sodalizio; egli deve avere un ruolo stabile e ben determinato, tanto che, a prescindere dal contributo effettivo, l’associazione “conta su di lui” come parte del proprio organico. In assenza di tale condizione, l’extraneus non potrà essere equiparato ad un partecipe, neanche se ha la volontà di realizzare gli scopi dell’organizzazione.

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modalità di espletamento della prestazione. Il partecipe, avendo dato la propria disponibilità ad agire a favore dell’associazione, realizzava condotte destinate a protrarsi nel tempo, mentre l’apporto del concorrente esterno, per quanto causale rispetto al sodalizio, era caratterizzato dall’occasionalità del singolo comportamento destinato ad esaurirsi nel momento della sua espressione177.

La poca chiarezza del legislatore nell’individuare gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 bis c.p., aveva fin da subito causato notevoli problemi interpretativi. Il contenuto della fattispecie associativa veniva spesso individuato sulla base delle cc.dd. “risultanze probatorie”: erano gli strumenti di prova a disposizione a plasmare gli elementi costitutivi del reato.

Persino la Corte di Cassazione, nel tentativo di definire la condotta partecipativa, causò un indebolimento del principio di tipicità modificando più volte il proprio orientamento sulla base di esigenze probatorie che finivano con il tramutarsi in elementi integrativi della fattispecie di reato. Erano, infatti, proprio le suddette esigenze probatorie a porre in evidenza la necessità di dimostrare la sussistenza di elementi che, in questo modo, venivano considerati costitutivi della condotta punibile178.

Se da un lato questo atteggiamento permise di chiarire aspetti oscuri di tale disciplina, dall’altro causò un’innegabile lesione del diritto di difesa in primis e dei principi fondamentali del nostro ordinamento e del processo penale.

177Corte di Cassazione, I sez. pen., 4 febbraio 1988, Barbella, cit., p. 1988. In particolare la Corte

stabilì che integra un’ipotesi concorsuale, e non partecipativa, l’agente estraneo al sodalizio «che si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale (…) che si esaurisca nel momento della sua espressione»; Corte di Cassazione, I sez. pen., 23 novembre 1992, Altomonte, cit., p. 2197. La condotta partecipativa richiede sia il pactum sceleris, che l’affectio societatis. Il concorrente esterno, invece, è privo di tali requisiti, dal momento che egli si è limitato a svolgere prestazioni occasionali, con la consapevolezza del fatto che il suo contributo sarebbe stato causalmente idoneo ad agevolare il raggiungimento degli scopi sociali o il mantenimento in vita dell’organizzazione.

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Fu soltanto a partire dagli anni ’90 che si ebbero le prime pronunce delle Sezioni Unite, che tentarono di porre fine a questi dieci anni di “indecisione giurisprudenziale”.

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