• Non ci sono risultati.

La “struttura mista” del reato di associazione mafiosa: l’elemento organizzativo

4. La condotta partecipativa tra modello causale e modello accusatorio

4.1 La “struttura mista” del reato di associazione mafiosa: l’elemento organizzativo

Quanto detto finora spiega perché abbia prevalso l’impostazione del reato di associazione di stampo mafioso come reato a struttura mista79. Nonostante sotto il profilo teorico la disponibilità del soggetto ad agire a favore dell’organizzazione criminale rappresenti un notevole contributo, spostando l’attenzione sul profilo probatorio si devono andare a ricercare elementi che rendano visibili la condotta criminosa nel processo. L’accertamento probatorio non può ridursi all’analisi dell’atteggiamento psicologico di chi decide di entrare a far parte di

78C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., pp. 234-235. Si potrebbe

osservare che, in effetti, viene ricercato un contributo causale, dal momento che il numero degli affiliati viene interpretato come strumento di rafforzamento e di forza per il sodalizio; Corte di Cassazione, II sez. pen., 28 Gennaio 2000, n. 5343, in Cassazione penale, 2001, p. 844

79G. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, cit., p. 314;

Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 66; G. De Vero, Tutela dell’ordine pubblico, cit., p. 289 G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 103-105. Stabilito che la forza di intimidazione è in grado di causare un timore diffuso nei consociati a prescindere da singoli atti intimidatori, comunque una manifestazione esplicita di tale forza deve poter essere rinvenuta in momenti precedenti. Se così non fosse, non si sarebbe ingenerata la condizione di assoggettamento ed omertà richiesta dalla fattispecie. Onde evitare di dare origine a “processi alle intenzioni”, è necessario ricercare un quid pluris che vada ad aggiungersi al semplice ingresso nell’associazione.

36

un’associazione mafiosa, ma necessita di indicatori fattuali del suo concreto inserimento80.

Inevitabilmente gli elementi usati in funzione probatoria finiscono con il dare un contenuto ben preciso al concetto sostanziale di partecipazione81. Accade frequentemente in questa branca del diritto che siano proprio le necessità processuali ad influenzare la dottrina nella sua opera di individuazione degli elementi costitutivi del reato. Lo stesso art. 416 bis c.p. nasce sulla scia di una prassi giurisprudenziale che aveva posto l’esigenza di un intervento del legislatore affinché formulasse una nuova fattispecie di reato. Reato che tutt’oggi è in continua evoluzione a causa dei mutamenti caratterizzanti le associazioni stesse. Il diritto sostanziale deve adattarsi alle esigenze del processo penale per garantire la perseguibilità di reati che presentano ogni giorno nuove peculiarità82.

Per quanto sia moralmente sanzionabile il desiderio di introdursi in un’associazione criminale, è impensabile punire un semplice accordo di volontà in assenza di elementi denotanti lo stabile inserimento del soggetto in una struttura organizzativa idonea a perdurare nel tempo e a realizzare il proprio programma

80 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 36; G. De Francesco, Gli artt. 416,

cit., pp. 50ss; G. De Vero, I reati associativi nell’odierno sistema penale, cit., pp. 410-411. Secondo l’Autore non è possibile considerare partecipe colui che, pur avendo preso seri impegni con il sodalizio, non abbia svolto un’attività continuativa e funzionale rispetto alle esigenze dello stesso. L’affectio societatis è un requisito essenziale ma non esclusivo; vi si dovrà affiancare un qualcosa di più concreto a dimostrazione del suo effettivo agire per conto dell’organizzazione. Non necessariamente dovrà trattarsi della commissione di un delitto-scopo.

81 P. Maggio, Prova e ragionevole dubbio nei procedimenti di criminalità organizzata, in Questione Giustizia, cit., p. 1005; F. M. Iacoviello, Il concorso esterno in associazione mafiosa, in Criminalia, 2008, p. 265

82 G. De Francesco, L’estensione delle forme di partecipazione al reato: uno sguardo sistematico su alcune recenti proposte in tema di criminalità organizzata, cit., pp. 408-409. Secondo l’Autore

le “attività ulteriori” assumono la connotazione di criteri di prova, più che di elementi costitutivi del reato. La difficoltà di riscontrare elementi decisivi per dimostrare processualmente la condotta partecipativa porta a «scambiare la prova con il relativo oggetto», poiché si finisce con l’accontentarsi dell’accertamento di tali attività tralasciando, così, la dimostrazione dell’assunzione di un ruolo stabile nell’organizzazione.

37

criminoso83. Se così non fosse si rischierebbe di non veder mai la concretizzazione di tale punibilità in una sentenza di condanna definitiva.

Per quanto i due orientamenti analizzati siano così diversi, in realtà presentano un punto di partenza comune. Entrambi richiedono la presenza di una struttura organizzativa ben formata e delineata84.

E’ bene chiarire che l’organizzazione associativa deve essere tenuta distinta dai singoli membri; essa ha vita autonoma ed è perseguibile come entità concettualmente distinta dagli apporti individuali, seppur tenuta in vita da questi ultimi85. A prescindere, quindi, dalla corrente di pensiero che si decide di assecondare, le condotte perseguibili risponderanno ai canoni di tipicità ed offensività soltanto in relazione ad una organizzazione stabilmente ed adeguatamente predisposta alla realizzazione del programma criminoso.

A ben vedere il modello causale e quello organizzatorio finiscono con il convergere sotto vari aspetti.

Del resto il primo non richiede una causalità intesa come ricerca di un vero e proprio nesso eziologico tra il fatto di reato e l’associazione86. Si ammette la punibilità dell’azione che si presenti in grado di arricchire e potenziare il

83C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., p. 129; Corte di Cassazione, I

sez. pen., 22 aprile 1985, Aslan, in Cassazione penale, 1986, p. 823. In questa pronuncia la Corte sottolinea che il riconoscere rilevanza penale al solo fatto di partecipare significherebbe sfuggire ad ogni possibilità di tipizzazione della condotta. Una totale carenza di tassatività del dato normativo, farebbe sorgere non pochi dubbi sulla costituzionalità dell’istituto. Il dato di partenza deve essere un’organizzazione stabile e permanente,che nasce sulla base di un accordo tra almeno tre persone. Accordo che deve concretizzarsi in struttura idonea alla persecuzione dei propri fini. Ma a ciò dovrà aggiungersi un effettivo contributo, seppur minimo, apportato dai singoli membri.

84 C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., p. 311

85 G. De Francesco, Concorso di persone, reati associativi, concorso nell’associazione: profili sistematici e linee di politica legislativa, in G. Fiandaca e C. Visconti (a cura di), Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, Torino, Giappichelli Editore, 2010, p. 142.

L’associazione mafiosa presenta tre componenti essenziali: la struttura organizzativa, il suo carattere di stabilità e permanenza e la sua idoneità al perseguimento del programma delittuoso. In presenza di questi tre elementi è possibile attribuirle un connotato strutturale-organizzativo tale da giustificarne l’autonoma ratio puniendi.

38

sodalizio. Ciò che si esclude è l’adesione formale o ideale87 di un nuovo adepto senza che si realizzi un’attiva partecipazione, un’assegnazione e accettazione di un ruolo fattivo in ossequio al programma e quindi un potenziamento dell’ente dovuto al suo ingresso. Non si richiede un riscontro concreto, in termini di realizzazione di delitti-scopo, dell’azione criminale del soggetto, bensì un quid pluris dell’intenzionalità dell’agente idoneo a conferire un carattere di materialità alla sua condotta88.

Parimenti i fautori del modello organizzatorio sono risoluti nel non considerare rilevante una condotta che si risolva nella spontanea ed unilaterale messa a disposizione del proprio contributo in favore dell’associazione. Il rapporto tra il singolo e il sodalizio dovrebbe essere caratterizzato da una reciprocità relazionale, di modo che il mero atto di ingresso non rientrerebbe nelle condotte penalmente rilevanti89.

Persino l’importanza del giuramento decade; ciò che conta è l’assunzione di un ruolo stabile all’interno del sodalizio, a prescindere dall’inserimento formale mediante un rito d’iniziazione90. L’ingresso del nuovo membro potrà aversi anche per facta concludentia, ciò nonostante un dato formale dovrà essere ricercato onde

87 G. Insolera, L’associazione per delinquere, cit., p. 218; A. Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 96

88 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 35

89 C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., pp. 314-315;

V. B. Muscatiello, Il concorso esterno nelle fattispecie associative, cit., pp. 140-141; contro G. De Francesco, Societas sceleris. Tecniche repressive delle associazioni criminali, in Rivista italiana

diritto e procedura penale, 1992, p. 146, nota 176. In parziale contrasto con quanto affermato,

l’Autore sostiene che il disvalore offensivo della condotta del partecipe si colga già nel ruolo che questi assume all’interno dell’associazione, purché questa si fondi su di una struttura organizzata e idonea a realizzare il programma criminoso. Eventuali comportamenti ulteriori non possono essere elementi costitutivi della fattispecie. Non sarebbero, infatti, idonei ad identificare la condotta partecipativa laddove venisse a mancare quella tipicamente associativa.

90 G. Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 98; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit., pp. 300 ss. Secondo l’Autore il giuramento rappresenta una “disponibilità

conclamata” ad agire a favore del sodalizio. E questo, già di per sé, è un contributo innegabile alla vita dell’ente. Sta di fatto che la mera affiliazione sarà difficile da dimostrare processualmente senza un elemento esterno in più.

39

evitare di far leva soltanto sull’atteggiamento interiore di appartenenza del soggetto.

Come già detto non è sufficiente la volontà di far parte dell’organizzazione, bensì è necessario che quest’ultima accetti e riconosca il soggetto come suo membro proprio91.

Allo stesso tempo, però, si ritiene che il disvalore dell’attività dell’associato si colga nella tipicità insita nel ruolo di cui il soggetto è investito. Ulteriori comportamenti saranno utili a titolo di consolidamento dell’imputazione addebitata, ma non elementi costitutivi della condotta punibile, anche se sul piano processuale è innegabile che l’accertamento dell’accettazione del soggetto all’interno del sodalizio sia estremamente più complesso in difetto di un fatto materiale riscontrabile92. Il problema può essere risolto soltanto spostando l’attenzione sulla funzione rivestita dal partecipe, dalla quale deve emergere la sua permanente correlazione con l’associazione. La rilevanza della partecipazione dipende dal radicamento all’interno del tessuto organizzativo del soggetto il quale deve essersi impegnato a svolgere stabilmente un’attività a favore del sodalizio93.

91 G. De Francesco, Concorso di persone, reati associativi, concorso nell’associazione: profili sistematici e linee di politica legislativa, cit., p. 138; G. Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso,

cit., p. 99

92C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale,cit., p. 318. La “messa a

disposizione” di un soggetto a sostegno delle esigenze associative è certamente rilevante, tuttavia, all’interno di un processo, sarà necessario ricercare circostanze esteriori che confermino la permanenza e la stabilità di tale disponibilità; F. M. Iacoviello, Concorso esterno in associazione

mafiosa: il fatto non è previsto dalla giurisprudenza come reato, nota a Corte di Cassazione

penale, VI sez. pen., 21 settembre 2000, Villecco, in Cassazione penale, n. 7/8, Luglio-Agosto 2001, p. 2078. L’autore riconosce che nonostante la necessità di dimostrare la stabilità del legame tra i membri del sodalizio, la prova principe su cui costruire l’accusa di partecipazione o concorso resta la commissione dei delitti-scopo. Quindi, nonostante l’assunzione di un ruolo all’interno del sodalizio rappresenti il primo passo verso l’esecuzione del programma criminoso, sul versante processuale risulta difficile basare l’impianto accusatorio solo ed esclusivamente su tale elemento.

93

G. De Francesco, Societas sceleris. Tecniche repressive delle associazioni criminali, cit., pp. 142-148. È chiaro che le singole condotte degli affiliati non potranno mai assumere in sé per sé carattere permanente, l’importante è che esse siano rivolte ad un’associazione caratterizzata da una struttura organizzativa tale da permetterle di perdurare nel tempo.

40

Alla luce di questo ragionamento è facile comprendere come mai sia prevalsa una teoria intermedia che connota il reato associativo come reato a struttura mista, il cui dato caratterizzante per eccellenza è l’organizzazione stessa all’interno della quale l’agente decide di entrare a far parte. Soltanto se essa risulterà stabile nei suoi elementi essenziali – patto associativo, programma criminoso e struttura organizzativa94 – sarà in grado di esprimere un’autonoma ratio puniendi giustificata proprio dalla sua potenzialità lesiva. A questo, tuttavia, deve aggiungersi l’accertamento di un qualcosa di tangibile che dimostri l’effettiva capacità intimidatrice del sodalizio.

E’ pur vero che associazioni già affermate e in piena attività non hanno più bisogno di utilizzare strumenti intimidatori in ogni occasione95. Di conseguenza, una volta instauratasi la condizione di assoggettamento ed omertà, non vi sarà più il costante bisogno dell’accertamento giudiziario della sua forza96. Ma se tale accertamento ha ad oggetto la realizzazione di atti intimidatori da parte dei consociati, che così danno prova del loro inserimento nell’associazione, viene meno anche l’esigenza della dimostrazione di un’attività esterna.

Di conseguenza, anche chi non compie atti di intimidazione in prima persona potrà essere considerato partecipe; in questo caso si dovrà ricercare un nesso tra atti di organizzazione e atti intimidatori. Chi svolge compiti di direzione e gestione delegherà ad altri la realizzazione dei singoli delitti-scopo, questo però

94 G. Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 22; G. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, cit., pp. 290-291; B. Romano, Il diritto penale della criminalità organizzata, in Diritto penale e processo, n. 9, Settembre 2013, p. 1014

95 Questo non significa che gli atti d’intimidazione possano essere totalmente assenti; come

precedentemente affermato, è possibile che essi si siano manifestati in un momento precedente e che, quindi, la forza d’intimidazione dell’associazione si sia già consolidata. Così G. Insolera,

Diritto penale e criminalità organizzata, cit., pp. 77-78; G. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, cit., p. 309 e 311

96 G. Spagnolo, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 29; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit., pp. 113ss

41

non ne esclude la punibilità. Se così non fosse, ci troveremmo nella situazione paradossale in cui i capi mafia che impartiscono ordini non potrebbero essere perseguiti non essendo gli autori materiali dei reati. Il disvalore di tali condotte può individuarsi nell’innegabile relazione stabile con la struttura e l’attività dell’organizzazione criminale. L’attività dei vertici è infatti propedeutica e funzionale alla commissione dei reati97.

Quanto detto è confermato dall’art. 416 bis c.p. che al secondo comma prevede pene più severe per le c.d. condotte qualificate, ossia per coloro che «promuovono, dirigono o organizzano l’associazione».

Infine, altro punto di incontro tra il modello organizzatorio e causale, a favore della teoria della struttura mista, è la consapevolezza di dover andare a ricercare una realtà fenomenica che puntualizzi l’effettiva e permanente disponibilità del soggetto ad operare in favore del sodalizio98.

Nuovamente, la discussione sui requisiti della condotta punibile porta con sé il rischio di superare il confine tra diritto sostanziale e processuale. Emerge un’ampia discrezionalità del giudice che è costretto di volta in volta a prendere in considerazione elementi quantitativamente e soprattutto qualitativamente diversi a seconda dell’organizzazione presa in esame, della sua dislocazione sul territorio, del periodo storico in cui agisce e dei mutamenti del contesto sociale che ha sullo sfondo. A ciò si aggiungono i mezzi di prova disponibili e le tecniche investigative in continua evoluzione.

97 G. De Francesco, Concorso di persone, reati associativi, concorso nell’associazione: profili sistematici e linee di politica legislativa, cit., p. 141-142. Il problema, ancora una volta, è

incentrato sull’elemento essenziale della fattispecie associativa: la struttura organizzativa. Una volta dimostrata la presenza di un’organizzazione stabile e permanente, sarà possibile giustificare la punibilità delle condotte dei “picciotti” – che “semplicemente” eseguono gli ordini ricevuti – così come quella dei boss, che di tale struttura sono responsabili.

98C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., p. 317. Tutto ciò per evitare una

42

L’autorità giudiziaria è chiamata a confrontarsi con un reato caratterizzato da elementi costitutivi, per così dire, vaghi. Questa realtà di fatto genera una serie di intrecci peculiari tra fattispecie, fatti da provare ed elementi di prova. L’esigenza di reprimere le organizzazioni criminali e la necessità di concentrare la propria azione su condotte individuali, porta a far sì che il contenuto della condotta partecipativa spesso si plasmi in modo differente a seconda degli elementi di prova a disposizione. Questo è dovuto anche ad una forte indeterminatezza della fattispecie99 la quale, così, si presta facilmente ad un “adattamento biologico” 100 allo standard di prova necessario ai fini della decisione.

L’unica soluzione accettabile diviene, allora, quella di prevedere la rilevanza penale di una condotta associativa che passi attraverso indicatori fattuali capaci di far venire meno l’evanescenza della fattispecie che altrimenti rischierebbe di perire a contatto con la realtà processuale.

Per questa ragione anche la “disponibilità permanente dell’agente” deve concretizzarsi in elementi esteriori a dimostrazione della volontà del soggetto per così dire “a tempo indeterminato”. Una circostanza significativa, in questo senso, è rappresentata certamente dalla struttura stabile e sedimentata dell’organizzazione. In assenza di un siffatto elemento sarebbe impossibile configurare come penalmente rilevante la mera assunzione della qualifica di membro del sodalizio101.

99 P. Maggio, Prova e valutazione dei comportamenti mafiosi i risvolti processuali, in G. Fiandaca

e C. Visconti (a cura di), Scenari attuali di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni

normative, Torino, Giappichelli Editore, 2010, pp. 491- 492

100 Immagine di G. Insolera, Il reato di associazione mafiosa: rapporti tra norme sostanziali e norme processuali, in Questione giustizia, n. 3, 2002, p. 582

43

5. Le ipotesi di contiguità mafiosa tipizzate all’interno dell’ordinamento

Outline

Documenti correlati