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La rilevanza probatoria delle massime di esperienza

III Capitolo: Il concorso esterno alla prova del processo

5. La rilevanza probatoria delle massime di esperienza

Le massime di esperienza sono «definizioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto da decidersi nel processo e dalle sue circostanze singole; guadagnati mediante l’esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi dalla cui osservazione sono tratti e oltre i quali pretendono di valere»450.

L’autonomia delle suddette massime viene, in realtà, attenuata dal fatto che la loro validità generale si fonda sull’esperienza passata: esse sono il frutto dell’elaborazione dei tratti comuni di eventi già verificatisi, per cui la loro forza

449 C.e.d.u., 26 marzo 1996, Doorson vs Paesi Bassi, in Diritto penale e processo, 1996, p. 816;

C.e.d.u., 5 ottobre 2006, Viola vs Italia, in http://hudoc.echr.coe.int. In questa pronuncia i giudici di Strasburgo si pronunciarono sulla partecipazione dell’imputato al proprio processo mediante videoconferenza. Data la gravità dei delitti (di mafia) per i quali si procedeva, la Corte riconobbe l’opportunità di impiegare misure più stringenti che impedissero ogni collegamento tra l’associato e il sodalizio mafioso, ma che allo stesso tempo garantissero gli elementi essenziali dell’art. 6 C.e.d.u. quale, ad esempio, il diritto a assistere al proprio processo. Corte Costituzionale, 6 novembre 2006, (dep.14 novembre 2006), n. 372 e Corte Costituzionale, 10 febbraio 1994, (dep. 24 febbraio 1994), n. 63, in www.cortecostituzionale.it. Con particolare riferimento alla trasmigrazione dei verbali di intercettazioni svolte in un altro procedimento, il giudice delle leggi ha riconosciuto la legittimità di un “doppio binario” nell’accertamento di reati particolarmente gravi capaci di destare un elevato allarme sociale. In un contesto «caratterizzato dalla seria minaccia alla convivenza sociale e all'ordine pubblico rappresentata dalla criminalità organizzata», non può che prevalere l’interesse a reprimere simili reati rispetto al diritto del singolo alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni; anche la Corte di Cassazione ha sottolineato l’impossibilità di contrastare adeguatamente il crimine organizzato con gli ordinari strumenti offerti dal codice Corte di Cassazione, I sez. pen., 12 giugno 2001, (dep. 27 luglio 2001), n. 29826, Bagarella, in

Cassazione penale, 2002, p. 3502; in dottrina P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), cit., pp. 232-234. Per un confronto con la

C.e.d.u. si rinvia al cap. 3, par. 8: La compatibilità del “doppio binario” con l’art. 6 e l’art. 7 della

C.e.d.u.

450 Definizione di F. Stein, Das privaten wissen dei richters, Hirschfeld Publisher, 1893, pp. 21ss,

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esplicativa non può dirsi tanto maggiore di quella posseduta dalla somma dei casi precedenti451.

Vediamo com’è che nascono le massime d’esperienza: inizialmente esse sono la conclusione specifica di prove raccolte in un processo; successivamente, il susseguirsi di sentenze che confermano quel risultato (in processi simili aventi ad oggetto il medesimo reato) trasformano quell’affermazione in un criterio di prova. Da quel momento in poi, ogni volta che si presenta un caso similare, non vi sarà più la necessità di dimostrare il collegamento tra la premessa A e la conclusione B, poiché esso sarà desumibile dal fatto stesso che la massima trova applicazione452.

È bene tenere presente, però, che non si può assumere per assoluto ciò che per sua natura è relativo, altrimenti si rischia di confondere le massime di esperienza con i fatti notori453, il cui abuso si è, infatti, verificato specialmente in periodi storici in cui la repressione di determinati reati era richiesta “a gran voce” dall’opinione pubblica454.

Nell’applicare la fattispecie associativa non si può certamente prescindere dal valutare i dati di contesto, ma resta comunque inammissibile l’impiego di

451 G. Ubertis, Prova, in Enciclopedia giuridica Treccani, 1991, p. 3; Borrelli, Massime d’esperienza e stereotipi socio-culturali nei processi di mafia: la rilevanza della «contiguità mafiosa», cit., p. 1076.

452 F. M. Iacoviello,La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione, cit., p.

193; G. Borrelli, Massime d’esperienza e stereotipi socio-culturali nei processi di mafia: la

rilevanza della «contiguità mafiosa», cit., p. 1079. Applicando il criterio dell’id quod plerumque accidit, si osserva il normale svolgimento delle vicende umane e il più o meno alto tasso di

probabilità statistica che un determinato fatto sia collegato ad un altro.

453 F. P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. 2, Milano, Giuffré Editore, 2011, p. 76. I fatti notori

sono quei fatti che rientrano nella comune esperienza e che il giudice conosce, non per sua cognizione personale o perché per una serie di circostanze egli ne è venuto a conoscenza, ma perché rientrano nel bagaglio culturale di qualunque cittadino; nello stesso senso G. Ubertis,

Prova, cit., p. 5. L’Autore sottolinea che mentre i fatti notori sono accadimenti storici reali, le

massime di esperienza sono regole di giudizio, ancorché proprie di una certa società in un dato periodo storico e quindi potenzialmente valevoli universalmente.

454 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, in G. Fornasari (a

cura di), Strategie di contrasto alla criminalità organizzata nella prospettiva di diritto comparato, Padova, Cedam, 2002, p. 204

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escamotages probatori455. Anche perché, se già i requisiti dell’art. 416 bis c.p. – come detto – si prestano ad essere in vario modo interpretati, attribuire sì tanto peso alle massime d’esperienza faciliterebbe ulteriormente l’adattamento biologico della fattispecie agli standards di prova richiesti. Dal momento che non esiste un regola di valutazione assoluta cui il giudice deve attenersi nell’impiego delle massime d’esperienza, è necessario che il significato attribuito loro nel caso concreto sia sorretto da ulteriori elementi di riscontro proprio perché la loro interpretazione tenderà a variare a seconda di chi le applica.

Quando non si era ancora formato un “sapere sulla mafia”, le massime d’esperienza si sono rivelate fondamentali per le indagini e per l’evoluzione legislativa in materia, ma sono le associazioni stesse e la loro capacità di cambiare e di adattarsi alla risposta giudiziaria che ci obbligano ad utilizzare con cautela questi strumenti e a verificare continuamente gli esiti conoscitivi raggiunti456. Si pensi, ad esempio, alle modalità di affiliazione: inizialmente, per poter considerare membro dell’associazione un soggetto era necessario accertare l’avvenuto rito iniziatico ma, nel tempo, il giuramento è stato sostituito dall’esecuzione di meri facta concludentia e l’iniziazione stricto sensu ha perso valore457.

È pur vero che le più importanti informazioni sulle associazioni mafiose derivano proprio dall’esperienza e dalla prassi giudiziaria. Per poter comprendere il programma criminoso e le ragioni sottostanti alla commissioni di determinati delitti è fondamentale conoscere il funzionamento di un’associazione mafiosa, le sue caratteristiche e la sua struttura, ma anche il contesto ambientale in cui opera, altrimenti non sarebbe possibile distinguere comportamenti normalmente “neutri”

455

A. Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 127

456 In merito alle difficoltà sul piano delle indagini per reati di mafia si veda M. Maddalena, I problemi pratici delle inchieste di criminalità organizzata nel nuovo processo penale, cit., pp. 79ss 457 Si veda infra cap. 1, par. 2: La condotta partecipativa e il concorso di persone nel reato

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che, però, nelle indagini di mafia sono sintomatici dell’attività criminale458. Il problema è che troppo spesso simili deduzioni vengono avallate dalle sole massime di esperienza e non trovano riscontro in elementi ulteriori di cui, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., il giudice dovrebbe dar conto nella motivazione della sentenza. L’art. 192 c.p.p. esprime il c.d. principio del libero convincimento, in base al quale nella fase di valutazione delle prove (legittimamente acquisite ed ammesse) l’autorità giudicante non deve subire alcun tipo di interferenza esterna. Il pregio di tale disposizione è che, se da un lato garantisce l’autonomia del giudice in ossequio agli artt. 101 e 104 Cost., dall’altro ne limita la discrezionalità poiché lo obbliga a ricostruire il percorso logico-conoscitivo che gli ha permesso di valutare in un certo modo le prove disponibili e di trarre determinate conclusioni459.

L’impiego delle massime di esperienza complica notevolmente il processo valutativo poiché, nonostante esse si fondino su un ragionamento induttivo come le regole scientifiche, soltanto queste ultime sono inserite in un contesto teorico generalmente accettato. Dalle prime, tutt’al più, può dedursi la probabilità che anche i casi non analizzati siano caratterizzati dagli stessi elementi, ma si tratta di un’ipoteticità del tutto congetturale, priva di univocità e continuamente soggetta a falsificazioni460. Esse derivano dalla ricostruzione effettuata dall’organo giudicante e sono inevitabilmente influenzate dal bagaglio di esperienze del singolo. Pertanto esse devono sempre essere relativizzate e confermate all’interno del procedimento in cui trovano applicazione461, anche mediante la ragionevole

458 P. Maggio, Prova e valutazione giudiziale dei comportamenti mafiosi: i risvolti processuali,

cit., p. 499. Per arrivare a conoscere l’ “ambiente mafioso” non p sbagliato tenere in considerazioni fattori come la storia dell’associazione e le sue regole interne, ma non si può comunque permettere un’interpretazione influenzata da pregiudizi sociologici.

459

G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, cit., p. 322

460 G. Ubertis, Prova, in Enciclopedia giuridica Treccani, cit., p. 4

461 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 207; G.

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eliminazione di spiegazioni confliggenti o alternative rispetto a quella che si vuole avvalorare462.

Il sapere extragiudiziale è entrato a tal punto all’interno degli schemi valutativi del giudice da surrogare il vaglio di elementi più oggettivabili, con il rischio che l’accertamento conduca ad un risultato di mera verosimiglianza463. Se il ricorso a nozioni sociologiche sostituisce l’accertamento probatorio vero e proprio, non si lede soltanto il diritto di difesa dell’imputato, ma l’intero processo in quanto la decisione finale non potrà che basarsi su meri dati indiziari.

Non si può, tuttavia, dimenticare che questo tipo di criminalità, proprio perché organizzata, ha un codice di comportamento ben delineato e circoscritto ad una realtà ambientale basata su un sistema di relazioni umane che funziona secondo leggi proprie: interpretare le attività degli affiliati alla luce di tali criteri è essenziale per comprenderne il significato. Con questo non si vuol dire che le massime di esperienza debbano essere equiparate ad assiomi, ma non si può

«contiguità mafiosa», cit., p. 1078; significativa in tal senso, Corte di Cassazione, V sez. pen., 27

aprile 2001, (dep. 6 giugno 2001), Riina, in Cassazione penale, 2002, p. 983. In questa pronuncia la Corte negò la rilevanza della massima di esperienza in base alla quale per la mera appartenenza alla “cupola”, i membri della Commissione erano (automaticamente) responsabili dei cc.dd. delitti eccellenti. Tale regola d’esperienza nacque in primis dalle dichiarazioni del pentito Buscetta che, però, aveva avuto conoscenza diretta solo dei fatti accaduti fino ai primi anni ’80, per cui non si poteva estendere l’applicabilità della massima al periodo successivo soprattutto con riferimento ad un’associazione mafiosa che, al pari di qualsiasi altra organizzazione umana, è portata a modificare e riadattare nel tempo le proprie regole.

462 P. Ferrua, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in P. Ferrua, F. M. Grifantini, G.

Illuminati, R. Orlandi, La prova nel dibattimento penale, Torino, Giappichelli Editore, 2005, pp. 281ss

463 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 209; in

giurisprudenza Corte di Cassazione, I sez. pen., 5 gennaio 1999, Cabib, cit., p. 640. In questa pronuncia si riconosce che le indagini socio-criminologiche hanno contribuito a migliorare la conoscenza del fenomeno mafioso, ma ciò non può esimere il giudice dal ricercare elementi corroboranti le massime di esperienza in quanto, da sole, non possono essere considerate idonee a ricostruire la singola vicenda processuale; nello stesso senso, Corte di Cassazione, I sez. pen., 11 dicembre 2005, D’Orio, cit., p. 1071

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neanche ignorare che in simili contesti la ripetitività di determinati comportamenti e condizioni acquisisce una certa rilevanza464.

Il problema emerge quando la mancanza di cristallizzazione delle regole di esperienza fa sì che il giudice possa desumerle da regolarità sociali, dalla sua personale esperienza o dalle caratteristiche delle organizzazioni, attribuendovi un peso diverso a seconda del caso concreto.

A conferma di quanto stiamo dicendo vale la pena osservare i diversi elementi su cui le sentenze di condanna si sono via via basate: in alcune decisioni la struttura verticistica è stata considerata indice della riconducibilità dei reati-scopo alla cupola465 con la conseguente deduzione che i delitti eccellenti non potessero esser commessi senza il consenso dei vertici del sodalizio466; altre volte, nell’accertamento della condotta partecipativa, sono stati valorizzati meri “indizi di appartenenza”, quali i precedenti penali e l’ingiustificato arricchimento del soggetto467; altre ancora, l’esistenza stessa dell’associazione è stata sufficiente per attribuire la responsabilità dei fatti criminosi a tutti i partecipi468.

Il thema probandum appare, dunque, influenzato da elementi che tendono a cambiare di volta in volta, con la conseguenza che le garanzie processuali relative

464 E. Fassone, La valutazione della prova nei processi di criminalità organizzata, in V. Grevi (a

cura di), Processo penale e criminalità organizzata, Roma-Bari, Editori Laterza, 1993, pp. 259- 261

465

Corte d’Assise di appello di Caltanissetta, 7 aprile 2000, Aglieri e altri, in Il Foro italiano, II, 2002, p. 360; Corte di Cassazione, I sez. pen., 28 novembre 1995, (dep. 31 gennaio 1996), Bano, in Cassazione penale, 1997, pp. 695-696; contra Corte di Cassazione, V sez. pen., 27 aprile 2001, Riina, cit., p. 983; in merito alla responsabilità degli associati per i reati-scopo si veda T. Padovani,

Il concorso dell’associazione nei delitti-scopo, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1998,

pp. 763ss

466 F. M. Iacoviello,La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione, cit., p.

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467

Corte di Cassazione, I sez. pen., 15 aprile 1994, (dep. 10 maggio 1994), Matrone, in Cassazione

penale, 1996, pp. 76-77; Corte di Cassazione, I sez. pen., 15 maggio 1993, (dep. 10 luglio 1993),

Chité, in Cassazione penale, 1994, p. 2979

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all’acquisizione della prova risultano affievolite469. Ciò è dovuto al (già sottolineato) deficit di tipicità della fattispecie associativa che ha comportato la necessità di colmare tale vuoto mediante il ricorso a strumenti capaci di semplificare l’accertamento probatorio470.

Tuttavia, ogni volta che il giudice dà valore agli «indicatori fattuali»471 del fenomeno criminale, senza accertare il contenuto effettivo del contributo dell’agente, viene meno il collegamento (da cui non si può prescindere) tra le regole di esperienza e il fatto specifico472. I dati ricavati dalla prassi possono innegabilmente fornire un apporto significativo alla logica giudiziale, purché essi siano accompagnati da un’attenta verifica dibattimentale473. Se così non fosse, il giudice potrebbe addirittura utilizzare alla stregua di regole dell’esperienza stereotipi socio-criminologici, senza dar luogo ad una valutazione critica del materiale probatorio raccolto e dell’effettiva vicenda processuale. Si faccia l’esempio dell’accordo di protezione tra mafia e imprenditori: non si può affermare in maniera assoluta che l’accertata presenza di un sodalizio su un territorio generi automaticamente un’«ineluttabile coartazione» sui titolari di aziende. Il prudente apprezzamento deve essere sempre alla base del

469 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 202 470 P. Maggio, Prova e valutazione dei comportamenti mafiosi i risvolti processuali, cit., p. 492; G.

Borelli, Massima d’esperienza e stereotipi socio-culturali nei processi di mafia: la rilevanza della

«contiguità mafiosa», cit., p. 1075. Il reato di cui all’art. 416 bis c.p. si caratterizza per la sua

relativa indeterminatezza; per questo motivo la rilevanza penale di una condotta è stata spesso individuata anche grazie allo studio del contesto in cui il reato veniva commesso e quindi sulla base di considerazioni socio-culturali. Il rischio che ne deriva è che il metodo di valutazione della prova, incentrato su elementi non oggetto di definizione normativa, si traduca in un eccessivo soggettivismo dell’interprete.

471 Corte di Cassazione, SS. UU. 12 luglio 2005, Mannino, cit., p. 96. In questa pronuncia le

Sezioni Unite sottolinearono che la prova della partecipazione in associazione mafiosa può essere ricavata da tutti quegli indicatori fattuali dai quali «sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità organizzata» si possa logicamente desumere il nucleo essenziale della condotta partecipativa. È ragionevole presumere, però, che tali indizi debbano essere gravi e precisi, così da evitare il ricorso a qualsivoglia automatismo probatorio.

472 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 224 473 M. Nobili, Nuove polemiche sulle cosiddette «massime d’esperienza», in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1969, pp. 146

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ragionamento del giudice che quindi, nonostante l’assodata forza espletata dalle cosche in alcune zone del paese, non può prescindere dal verificare la corrispondenza di tali convinzione astratte con il caso concreto474.

È pur vero, però, che è grazie alle indagini socio-criminologiche che è stato possibile distinguere i casi in cui un imprenditore è vittima della mafia, dai casi in cui invece egli diviene un concorrente esterno. Le massime di esperienza coniate a tal proposito derivano dalla presa d’atto che, ond’evitare che l’imprenditore minacciato si rivolga alle forze dell’ordine, le associazioni mafiose hanno iniziato a cercare dei compromessi con gli imprenditori assicurando loro un vantaggio economico concreto mediante la stipulazione di un “accordo di protezione”475.

Del resto, possono sfociare in sentenze ingiuste o addirittura sbagliate, anche i processi in cui si è raggiunta una verità formalmente ineccepibile, in termini di correttezza procedurale e di congruità nella qualificazione dei fatti rispetto alle prove. Questo perché il ragionamento giuridico che conduce alla statuizione è frutto di un’attività induttiva il cui esito non discende per necessità logica dai fatti da cui si muove, ma è reso da essi soltanto più probabile476. La sentenza è il frutto della personale valutazione del giudice il quale, in quanto essere umano, può sempre commettere un errore, anche qualora le prove a sostegno dell’accusa siano, per così dire, “schiaccianti”. Alla luce di quanto emerso, assume centrale rilievo la formulazione della fattispecie: quanto più essa è indeterminata e vaga, tanto più fatto e diritto si intrecciano rendendo complicato il concreto esperimento del contraddittorio, con inevitabili ripercussioni sulla plausibilità della sentenza. Il

474 Corte di Cassazione, I sez. pen., 5 gennaio 1999, Cabib, cit., p. 643; C. Visconti, Imprenditori e camorra: l’«ineluttabile coartazione» come criterio discretivo tra complici e vittime?, cit., p. 632 475

Per un approfondimento sul punto si rinvia al cap. 2, par. 7: La mafia e il mondo

imprenditoriale

476P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 256; P.

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reato delineato all’art. 416 bis c.p. conduce necessariamente a valutazioni basate sull’esperienza che influenzano l’imputazione in primis e il ragionamento logico- giuridico del giudice in secundis, ma tali valutazioni non possono sostituirsi in toto al suddetto ragionamento: esse devono servire soltanto a rafforzare e supportare la validità della decisione finale477.

Ancora una volta appare auspicabile che il legislatore formuli fattispecie di reato lineari e chiare per facilitare il contraddittorio fra le parti e, nel contempo, limitare la discrezionalità dell’organo giudicante.

L’assenza di una sufficiente definizione della condotta penalmente rilevante si riflette sul processo, poiché il giudice sarà più facilmente portato a fondare la propria decisione su elementi continuamente diversi.

5.1 Le regole dell’esperienza nell’interpretazione dell’accordo elettorale politico-mafioso alla luce della recente riforma dell’art. 416 ter c.p.

Quando ci si sposta sul fronte dell’accertamento del concorso esterno, il problema si complica ulteriormente: si pensi ad uno dei casi analizzati nel primo capitolo, in particolare il “caso Mannino”. In questa pronuncia le Sezioni Unite riconobbero che per verificare l’idoneità degli impegni assunti dal politico ai fini del rafforzamento dell’associazione, fosse ammissibile l’impiego delle massime di esperienza, purché dotate di empirica plausibilità478. Parimenti, stabilirono che la mera disponibilità o vicinanza all’associazione – così come le «continuative e stabili relazioni con esponenti della mafia agrigentina o palermitana», gli incontri

477 P. Maggio, Le massime d’esperienza nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 259; P.

Ferrua, Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, cit., p. 206

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e le frequentazioni con soggetti appartenenti ad un sodalizio – fossero elementi «giuridicamente indifferenti» e inidonei a configurare il concorso esterno479.

L’art. 416 ter c.p. è un esempio dei problemi legati alla configurabilità sostanziale dell’illecito. Sin dalla sua entrata in vigore, la norma è stata oggetto di critiche da quella parte della dottrina che auspicava un intervento più incisivo e più tipizzante480.

Abbiamo visto nel secondo capitolo che ai sensi del previgente art. 416 ter c.p. era punibile soltanto il politico che stipulava con una cosca mafiosa un accordo di scambio denaro/voti, quindi, a meno che non fossero integrati i requisiti del concorso eventuale, restava esente da pena colui che si impegnava a prestare meri favori in cambio del sostegno elettorale481.

Dopo più di vent’anni dall’entrata in vigore della fattispecie, lo scorso luglio è stata presentata una proposta di legge in modifica all’art. 416 ter c.p. Lo scopo era

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