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Prove penali e “giusto processo”

III Capitolo: Il concorso esterno alla prova del processo

1. Prove penali e “giusto processo”

Il diritto penale sostanziale e il diritto penale processuale sono legati da uno stretto rapporto di strumentalità, poiché il processo esiste se e soltanto se le norme penali vengono violate. I principi di determinatezza e di tipicità del diritto penale rappresentano una garanzia per i consociati poiché se il fatto di reato non è sufficientemente specificato il diritto di difesa (art. 24 Cost.) inevitabilmente si affievolisce392. Se una norma non descrive con precisione la condotta penalmente rilevante, essa non sarà più in grado di fungere da limite ai poteri dell’autorità giudiziaria393. Il legislatore ha, pertanto, l’obbligo di formulare la fattispecie in modo da far sì che l’individuazione del confine tra lecito ed illecito sia chiara per i cittadini, ma anche per il giudice che, altrimenti, avrebbe eccessiva discrezionalità nel valutare la rilevanza del fatto394.

Teniamo presente che il processo conduce all’accertamento di quella che potremmo definire la “verità giudiziale”, ossia la «proiezione della verità “storica” filtrata» attraverso il giudizio penale. Essa è il risultato di un ragionamento giuridico fondato sui risultati probatori legittimamente acquisiti ed è il principio del contraddittorio a far sì che essa combaci il più possibile con la verità storica. Più il metodo di accertamento dei fatti risulta efficace e più il rischio di riscontrare

392 S. Fiore, La teoria generale del reato alla prova del processo, cit., pp. 51-52. Vi è una stretta

connessione funzionale tra il principio di tassatività e l’obbligatorietà dell’azione penale. Quest’ultimo principio è attuabile soltanto alla stregua di una normazione improntata al canone della tipicità; se così non fosse, si correrebbe il rischio di rendere troppo discrezionale l’esercizio dell’azione penale.

393 G. Insolera, Il reato di associazione mafiosa: rapporti tra norme sostanziali e norme processuali, cit., p. 577

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un ampio divario tra le due realtà si riduce395. Nel rispetto dei principi del giusto processo, introdotti con la riforma costituzionale del 1999396, il giudizio penale deve svolgersi in un contesto dibattimentale cosicché l’imputato sia messo nella condizione di replicare alle accuse mosse nei suoi confronti. Se, però, l’imputazione è eccessivamente generica sarà molto più difficile impostare una linea difensiva adeguata con la conseguenza che neanche il confronto dibattimentale potrà garantire a sufficienza l’equità processuale.

L’accertamento processuale inizia con l’individuazione del thema probandum, ossia dell’oggetto della prova (art. 187 c.p.p.). Esso può essere definito come l’avvenimento (penalmente rilevante) da ricostruire e le prove come «l’oggetto inanimato, il fatto o l’atto con i quali si cerca di ricostruirlo»397. Se, tuttavia, il diritto penale non è in grado di offrire una fattispecie di reato che risponda ai canoni della tassatività e della tipicità, il thema probandum non potrà essere individuato con certezza. Inoltre, se non si hanno chiari gli estremi della condotta penalmente rilevante, vi è il rischio che siano proprio le risultanze probatorie ad influenzare l’individuazione del fatto da provare.

Data l’indeterminatezza della fattispecie incriminatrice, quando il procedimento verte su fatti di mafia, è frequente che gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 bis c.p. siano individuati direttamente nel processo, con la conseguenza che l’accertamento probatorio viene a fondarsi su dei criteri che tendono a modificarsi in relazione al caso concreto. È necessario, infatti, tenere in

395 S. Astarita, Circolazione della prova e delle sentenze nei processi di criminalità organizzata, in

A. Bargi (a cura di), Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, Torino, Giappichelli Editore, 2013, pp. 806-807; A. Gaito, Il procedimento probatorio (tra vischiosità della tradizione

e prospettive europee), in A. Gaito, La prova penale, Vol. 1, Milano, Utet, 2008, p. 103

396 L. cost. 23 novembre 1999, n. 2, Inserimento dei principi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione, legge entrata in vigore il 7 gennaio 2000

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considerazione aspetti difficilmente oggettivabili, quali il programma associativo, il metodo mafioso, le regole interne all’organizzazione e la ripartizione dei ruoli tra i singoli affiliati. Per non parlare delle ipotesi di “contiguità mafiosa”, il cui accertamento è ulteriormente complicato dall’assenza di una norma tipizzata398.

Può succedere, dunque, che la tipicità del reato non dipenda più soltanto dalla norma incriminatrice, ma anche dal processo e, talvolta, dalle funzioni etiche, sociali, economiche e politiche che esso è chiamato a svolgere399. Con questo non si vuol dire che la giurisprudenza si stia sostituendo al legislatore nel definire la fattispecie astratta; tuttavia, modificando i criteri di prova a seconda del caso concreto, essa restringe (o amplia) il campo della rilevanza penale e contribuisce all’individuazione della condotta tipica400.

Si pensi, ad esempio, ai cc.dd. facta concludentia dai quali è desumibile l’assunzione della qualità di membro. È ben possibile che un determinato evento

398 P. Maggio, Prova e valutazione giudiziale dei comportamenti mafiosi: i risvolti processuali,

cit., p. 492.In dottrina si è più volte sottolineata l’opportunità di descrivere e tipizzare le condotte che possano dare origine a contiguità mafiosa, onde evitare di lasciare impunite condotte non integranti i parametri dell’art. 416 bis c.p., ma pur sempre meritevoli di pena. In tal senso G. De Francesco, Dogmatica e politica criminale nei rapporti tra concorso di persone ed interventi

normativi contro il crimine organizzato, cit., p. 1296; F. Viganò, Mafia e imprenditori: una decisione coraggiosa in tema di stato di necessità, in Diritto penale e processo, n. 10, 2004, p.

1259; A. Cavaliere, Il concorso eventuale nel reato associativo, cit., p. 378-379; G. Insolera;

Qualche risposta agli interrogativi sollevati dal concorso esterno nell’associazione mafiosa, cit.,

p. 126

399 G. Insolera, Il reato di associazione mafiosa: rapporti tra norme sostanziali e norme processuali, cit., p. 578; M. Nobili, Associazioni mafiose, criminalità organizzata e sistema processuale, in S. Moccia (a cura di), Criminalità organizzata e risposte ordina mentali. Tra efficienza e garanzia, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999 p. 228. Capita frequentemente

che venga data origine ad un “processo parallelo” da parte dei mass media: l’opinione pubblica viene influenzata talmente tanto dai risultati delle indagini preliminari che giunge quasi ad una sentenza anticipata, con il rischio che le aspettative della società incidano sul formarsi della volontà del giudice.

400 F. M. Iacoviello, La motivazione della sentenza penale e il suo controllo in Cassazione,

Milano, Giuffré Editore, 1997, p. 162; G. Insolera, Il reato di associazione mafiosa: rapporti tra

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venga interpretato ogni volta in maniera diversa e che sia il giudice a decidere quale significato attribuirgli401.

Tutto ciò accade a causa del deficit di tipicità della fattispecie associativa che inevitabilmente viene colmato nel e dal processo. Vero è che sia la condotta partecipativa, sia quella concorsuale, molto spesso si manifestano in modo diverso, ma ciò non può comportare che l’interprete modifichi ogni volta gli elementi della categoria sostanziale in relazione allo standard di prova utile per la decisione402.

La riforma dell’art. 111 Cost. è il risultato del recepimento dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritto dell’Uomo403, al cui interno vengono fissati gli aspetti essenziali del procès équitable e del diritto di difesa dell’imputato. Come si giustifica, allora, la sussistenza nel nostro ordinamento di una fattispecie di reato che rischia di ledere notevolmente il principio del giusto processo?

Più avanti vedremo che la necessità di contrastare la criminalità organizzata ha condotto all’introduzione di istituti processuali speciali che talvolta determinano una compressione del diritto alla formazione della prova nel contraddittorio fra le parti.

Con riferimento ai processi per mafia si parla, infatti, di “doppio binario”: un modello di processo “alternativo” che risulti più efficace nel contrastare quei reati

401 G. Insolera, Il reato di associazione mafiosa: rapporti tra norme sostanziali e norme processuali, cit., p. 582; C. Visconti, La sentenza Andreotti: profili di interazione tra diritto sostanziale e accertamento probatorio, in Critica del diritto, 2000, p. 498

402 P. Maggio, Prova e valutazione giudiziale dei comportamenti mafiosi: i risvolti processuali,

cit., p. 492; S. Fiore, La teoria generale del reato alla prova del processo, cit., p. 85; R. Orlandi,

Inchieste preparatorie nei procedimenti di criminalità organizzata: una riedizione dell’inquisitio

generalis?, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1996, p. 570

403 Art. 6, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, 4 novembre 1950, Roma, in

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particolarmente gravi indicati all’art. 51, 3° comma bis c.p.p.404. La fenomenologia dei delitti di mafia giustifica una disciplina processuale differenziata volta, da un lato, a garantire la repressione delle organizzazioni, dall’altro, a tutelare le fonti di prova e la segretezza delle indagini405. Le conseguenze del deficit di tipicità della fattispecie sono chiaramente più evidenti quando il processo verte su un’ipotesi di concorso esterno poiché, in tal caso, è l’autorità requirente a dover ricostruire il fatto di reato. In mancanza di una disposizione codicistica che indichi con precisione la condotta penalmente rilevante, è, infatti, l’interprete ad inquadrare quali siano gli elementi costitutivi del reato sulla base del materiale probatorio a disposizione. A tal proposito, si parla di scorciatoie probatorie proprio perché identiche circostanze possono assumere valore differente a seconda del fatto da provare, con la conseguente possibilità che il presunto concorrente esterno non sappia su quali elementi andrà a fondarsi la sentenza di condanna poiché essi tenderanno a cambiare in relazione al caso concreto406.

Proprio perché persino l’autorità giudiziaria non sa con precisione che cosa deve riuscire a dimostrare, sarebbe dunque più che auspicabile un miglior bilanciamento di interessi tra la tutela dell’ordine pubblico e le garanzie di libertà dell’individuo che, già a partire dall’imputazione, vanno incontro ad importanti

404 A. Bargi, La prova indiziaria nell’accertamento del fatto di partecipazione o di concorso nell’associazione mafiosa ed in altre associazioni di criminalità organizzata, in A. Bargi (a cura

di), Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, Torino, Giappichelli Editore, 2013, p. 918; M. Montagna, I requisiti della prova in casi particolari: art. 190 bis c.p.p., in A. Bargi (a cura di), Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, Torino, Giappichelli Editore, 2013, p. 727

405 E. M. Catalano, Requisiti investigativi, procedimento probatorio e decisione nei procedimenti di mafia, in A. Bargi (a cura di), Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, Torino,

Giappichelli Editore, 2013, p. 1011

406

A. Bargi, La prova indiziaria nell’accertamento del fatto di partecipazione o di concorso

nell’associazione mafiosa ed in altre associazioni di criminalità organizzata, cit., p. 929; D.

Siracusano, Reati associativi e processo penale, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1997, p. 1087; A. Fiore, La teoria generale del reato alla prova del processo, cit., p. 103

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limitazioni. La formulazione chiara dell’imputazione è, per l’appunto, essenziale ai fini della garanzia del diritto di difesa: in ossequio al terzo comma dell’art. 111 Cost., l’imputato ha il diritto di essere informato il prima possibile e con precisione delle accuse mosse a suo carico e degli indizi in possesso dell’autorità inquirente. Solo così egli sarà in grado di difendersi in giudizio. Ma come può l’imputazione essere certa di fronte all’indeterminatezza della fattispecie penale? Come può tutelarsi l’imputato avverso un fatto di reato i cui elementi costitutivi vengono individuati nel processo? Va rilevato che la struttura elastica ed indeterminata della fattispecie associativa e del concorso esterno ha facilitato la “decodificazione” di comportamenti e circostanze che altrimenti sarebbero apparsi privi di significato e ha permesso di introdurre nell’accertamento probatorio il contributo dei collaboratori di giustizia e le massime di esperienza ricavate dal contesto ambientale. Una siffatta impostazione ha certamente condotto ad indiscutibili successi giudiziari ma, nel contempo, ha ampliato notevolmente la discrezionalità del giudice e ha contributo a ridurre le garanzie di difesa dell’imputato407.

La legge n. 63 del 2001408 ha introdotto delle modifiche nel codice di procedura penale al fine di rendere effettiva la riforma del giusto processo ma, in riferimento ai reati di mafia, sono state previste delle deroghe espresse al contraddittorio in tema di formazione e circolazione della prova: in particolare agli artt. 190 bis e 238 c.p.p.

407 A. Bargi, La prova indiziaria nell’accertamento del fatto di partecipazione o di concorso nell’associazione mafiosa ed in altre associazioni di criminalità organizzata, cit., p. 929; P. Morosini, Contiguità alla mafia e prova penale, in Questione Giustizia, 2005, p. 519; S. Fiore, La

teoria generale del reato alla prova del processo, cit., p. 59. Il diritto di difesa è garantito in primis

dal metodo dialogico di formazione della prova: affinché il contraddittorio sia possibile è, però, necessario che i fatti contestati all’imputato siano certi e determinati.

408 L. 1 marzo 2001, n. 63, Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'articolo 111 della Costituzione, entrata in vigore il 6 aprile 2001

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2. Le deroghe al contraddittorio in tema di formazione della prova: l’art.

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