• Non ci sono risultati.

Le deroghe al contraddittorio in tema di circolazione della prova: l’art 238 c.p.p.

III Capitolo: Il concorso esterno alla prova del processo

3. Le deroghe al contraddittorio in tema di circolazione della prova: l’art 238 c.p.p.

Se l’art. 190 bis c.p.p. costituisce una deroga eccezionale ai principi sulla formazione della prova, l’art. 238 c.p.p. rappresenta l’eccezione in ambito di circolazione della stessa.

Per interpretare il singolo reato di mafia è essenziale avere alle spalle un bagaglio di conoscenze del fenomeno mafioso non indifferente; è necessario conoscere il programma criminoso e la storia dell’associazione poiché soltanto alla luce di un quadro completo delle dinamiche del sodalizio è possibile interpretare le singole vicende processuali. Le nozioni raccolte fino ad oggi sono il frutto del lungo e difficile lavoro svolto dalle autorità inquirenti che hanno avuto la capacità e la pazienza di ricostruire episodi delittuosi spesso scollegati fra loro, ma che osservati nel loro insieme hanno assunto un preciso significato.

162

Un simile risultato è stato raggiunto anche grazie ad un istituto come l’art. 238 c.p.p. che permette ai mezzi di prova di trasmigrare da un processo ad un altro. Il primo comma della disposizione, infatti, ammette l’«acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento» al fine di evitare la c.d. dispersione della prova. È molto importante che le informazioni acquisite sul fenomeno mafioso all’interno di un procedimento possano essere utilizzate aliunde, poiché difficilmente sarà possibile raggiungere lo stesso livello di conoscenza nei processi in cui i verbali confluiscono. La circolazione delle fonti di prova permette di salvaguardare la correttezza dell’accertamento probatorio e di arricchirlo di nozioni significative che altrimenti andrebbero perse.

Non è facile ottenere prove certe sui reati di mafia, specialmente quando si tratta di un’ipotesi di concorso eventuale. La contiguità mafiosa con il mondo politico ed imprenditoriale determina spesso una forte chiusura sia dei testimoni, sia dei collaboratori di giustizia424 i quali, se accettano di deporre, sono sottoposti ad un elevato rischio di subire intimidazioni e minacce. È dunque essenziale poter recuperare i verbali delle loro dichiarazioni qualora non fosse possibile assumere la prova in dibattimento e soprattutto quando le informazioni raccolte con così tanta difficoltà permettono di interpretare correttamente anche fatti oggetto di altri procedimenti.

Il quinto comma dell’art. 238 c.p.p., nato con lo scopo di riequilibrare l’inversione del principio di oralità, riconosce il diritto delle parti di ottenere l’esame di colui che ha rilasciato dichiarazioni nei loro confronti alla condizione che il processo non verta su uno dei reati previsti all’art. 51, 3° comma bis c.p.p.

424 Lo stesso Buscetta si è sempre rifiutato di riferire in merito al rapporto tra lo Stato e Cosa

163

proprio perché è in tali procedimenti che il pericolo di dispersione della prova aumenta esponenzialmente. Prima della riforma del 2001, in virtù del combinato disposto degli artt. 190 bis e 238 c.p.p., poteva addirittura capitare che all’imputato, totalmente estraneo al procedimento a quo, non fosse data alcuna possibilità di esercitare il contraddittorio sulla prova dichiarativa in discussione. Con l’entrata in vigore della legge n. 63 del 2001 si è quantomeno cercato di accreditare un meccanismo di contraddittorio anticipato mediante le modifiche apportate al 2° comma bis dell’art. 238 c.p.p.: l’utilizzo dei verbali di dichiarazioni è permesso soltanto avverso l’imputato il cui difensore abbia assistito all’assunzione della prova, fatta eccezione per gli atti divenuti irripetibili425. La riforma tutela il diritto di difesa dell’imputato, ma anche la validità delle dichiarazioni, poiché esse saranno il risultato di almeno un confronto svoltosi in un contesto garantito tra il dichiarante e l’accusato.

La formulazione vigente dell’art. 238 c.p.p. è certamente più garantista, ma resta il fatto che i verbali di prova vengono considerati alla stregua di veri e propri documenti, nonostante ai sensi dell’art. 234 c.p.p. il documento sia tale quando si è formato al di fuori del procedimento in cui se ne chiede l’acquisizione, mentre si parla di documentazione in riferimento ad atti formatisi all’interno del processo426. La provenienza esterna rispetto al giudizio in cui vengono acquisiti induce a considerare i verbali documenti stricto sensu, nonostante siano in tutto e per tutto atti del processo. Ma il verbale è un documento sui generis visto che ha ad oggetto

425 Ricordiamo che il terzo comma dell’art. 238 c.p.p. stabilisce che l’acquisizione dei verbali sarà

ammessa anche in caso di irripetibilità sopravvenuta solo qualora essa dipenda da circostanze imprevedibili; N. Rombi, Circolazione probatoria e diritto al contraddittorio (art. 238 c.p.p.), in P. Tonini, (a cura di), Giusto processo: nuove norme sulla formazione e valutazione della prova:

legge 1° marzo 2001, n. 63, Padova, Cedam, 2001, p. 371. La mancata partecipazione del

difensore alla formazione della prova non vale, comunque, ad escludere l’impiego pro reo delle dichiarazioni. Il contraddittorio non viene, infatti, leso se le informazioni in tal modo acquisite e prive di valenza accusatoria contribuiscono a ricostruire i fatti da provare

164

la rappresentazione di un prova assunta aliunde. Ne consegue che il giudice ad quem finirà col basare la sua decisione su atti avulsi dalla realtà processuale in cui si sono formati, con il rischio che la sua capacità decisionale venga alterata in quanto egli non ha assistito all’assunzione delle prove. Leggere un verbale non è equiparabile all’ascolto in udienza del dichiarante, il verbale infatti non può riprodurre il contesto in cui una dichiarazione viene rilasciata, mentre in un processo di mafia osservare il modo di parlare e l’atteggiamento del testimone è essenziale, poiché ad esempio è soltanto dal comportamento del teste che potrebbe desumersi che egli ha subito un’intimidazione, tanto da giustificare il ricorso all’art. 500, 4° comma c.p.p. (su cui ci soffermeremo più avanti)427.

La legittimità della disciplina esaminata si fonda sul fatto che in simili situazioni di “emergenza criminale” la circolazione delle prove dichiarative sui cc.dd. dati di contesto (ottenuti in altri procedimenti) rende l’accertamento probatorio più preciso, in quanto permette di avere un quadro cognitivo più completo della realtà in cui il fenomeno mafioso si sviluppa.

Specialmente l’accertamento del concorso esterno in associazione mafiosa è reso particolarmente complesso proprio dalle difficoltà riscontrate nell’interpretare i collegamenti tra la società civile e il mondo illecito. In questi casi sarà anche il politico connivente, il giudice corrotto o l’imprenditore-cliente della mafia a far di tutto per celare il loro legame con il sodalizio, quindi le informazioni relative alle modalità in cui tale rapporto prende vita devono poter essere utilizzate anche al di fuori del singolo procedimento in cui sono state

427 P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), cit., p. 223; S. Astarita, Circolazione della prova e delle sentenze nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 805; in merito all’intimidazione del testimone si rinvia al cap. 3,

par. 7: L’inquinamento della prova testimoniale e l’istituto delle contestazioni ex art. 500, 4°

165

acquisite. Ma per quanto l’art. 238 c.p.p. sia uno strumento essenziale nella lotta alla contiguità mafiosa, la disciplina della circolazione delle fonti di prova deve comunque essere improntata al principio del giusto processo e quindi, anche nel rispetto del dettato normativo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la trasmigrazione dei verbali non può che essere limitata ai soli casi in cui nel procedimento a quo vi sia stata almeno un’occasione per dibattere sull’assunzione della suddetta prova.

Outline

Documenti correlati