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Gli accordi di protezione tra mafia ed imprenditor

II Capitolo: Il concorso esterno in associazione mafiosa e la sua evoluzione giurisprudenziale

7. La mafia e il mondo imprenditoriale

7.1 Gli accordi di protezione tra mafia ed imprenditor

È l’eventualità di una reciprocità di interessi ad aver portato alla stipulazione dei cc.dd. “accordi di protezione”. Sono due gli scenari che possono profilarsi in questo caso: o si hanno delle richieste di denaro una tantum, sotto minaccia di ritorsioni e senza offrire una contropartita in cambio362, oppure l’associazione mafiosa richiede una prestazione all’imprenditore in cambio della promessa di assicurargli «protezione». Viene offerta la garanzia non solo di non subire pregiudizi da parte dell’organizzazione in questione, ma si garantisce un vero e proprio servizio di tutela contro i danni provenienti dall’intero ambiente malavitoso363.

Si crea un rapporto tale da poter essere inquadrato nella logica del contratto assicurativo dove, però, la fonte del rischio è rappresentata anche dallo stesso assicuratore364. Ecco perché non è detto che l’imprenditore obbligato al pagamento del “pizzo” sia necessariamente una vittima della mafia: sulla base di un siffatto accordo, il titolare dell’azienda eviterà un danno ingiusto, ma potrebbe anche avvalersi in via mediata della forza intimidatrice dell’associazione,

362 Come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza, la minaccia può aversi in forma diretta o

indiretta, manifesta oppure implicita, determinata o indeterminata, purché idonea ad incutere il timore di subire un pregiudizio grave. Corte di Cassazione, VI sez. pen., 26 gennaio 1999, (dep. 12 marzo 1999), n. 3298, Savian, in Cassazione penale, 2000, p. 1957; Corte di Cassazione, II sez. pen., 10 aprile 2001, (dep. 19 maggio 2001), n. 20382, Massaro, in Cassazione penale, 2002, pp. 2361-2362; Corte di Cassazione, II sez. pen., 16 giugno 2004, (dep. 23 settembre 2004), n. 37526, Giorgetti ed altro, in Cassazione penale, 2006, p. 613; Corte di Cassazione, V sez. pen., 22 settembre 2009, (dep. 28 ottobre 2009), n. 41507, Basile, in Cassazione penale, 2010, p. 3483

363 Tribunale di Catania, 28 marzo 1991, Amato, cit., p. 482 364 Tribunale di Catania, 28 marzo 1991, Amato, cit., p. 482

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richiedendone, ad esempio, l’intervento per far escludere altre imprese da una gara di appalto365.

Teniamo presente che la controprestazione, chiesta in cambio della protezione, non sempre si tramuta nell’erogazione di una somma di denaro, ma può concretizzarsi nell’assunzione all’interno dell’azienda di un soggetto appartenente al sodalizio366. La rilevanza di una conseguenza di tal tipo non deve essere sottovalutata, in quanto l’insediamento di un affiliato in un’impresa lecita permette l’ampliamento del raggio d’azione della cosca la quale, allo stesso tempo, acquisisce maggior prestigio e credibilità sul territorio in cui opera e, oltretutto, si mostra capace di assicurare un impiego legale ai propri affiliati367.

Ad oggi, la mafia tende ad evitare l’utilizzo della violenza in questo ambito poiché, di fronte alla possibilità di ottenere la connivenza degli imprenditori, le minacce rappresentano un rischio inutile368. Nel tempo i titolari delle aziende non sono più stati considerati semplicemente dei soggetti terzi su cui esercitare una pressione, bensì sono stati coinvolti in accordi che hanno reso l’impresa parte della struttura mafiosa. Nel frattempo, sfruttando dei prestanome e grazie alle inesauribili risorse economiche, la mafia ha iniziato a creare essa stessa delle

365

Tribunale di Palermo, 12 dicembre 1996, Scamardo e altri, in Il Foro italiano, II, 1997, p. 712

366 Tribunale di Palermo, 13 dicembre 1996, Scamardo e altri, cit., p. 710. Le prestazioni effettuate

dall’imprenditore possono essere fra le più varie, in relazione al tipo di attività che egli stesso svolge e alla conseguente opportunità che offre al sodalizio. Qualunque sia la controprestazione, essa rappresenta comunque un significativo contributo al mantenimento o rafforzamento dell’associazione.

367 Tribunale di Catania, 28 marzo 1991, Amato, cit., pp. 482-483. Afferma, infatti, il Tribunale

che talvolta i soggetti assunti dagli imprenditori prestano seriamente la propria opera all’interno della ditta, mentre talvolta l’assunzione è meramente fittizia; A. Garilli, Mafia e lavoro, cit., p. 289. Si è affermato il mito di una mafia imprenditrice – ossia caratterizzata dalla capacità di combinare attività criminali e imprenditoriali – in grado di assicurare posti di lavoro alla società; A. Ardituro, Le infiltrazioni dei sodalizi mafiosi nell’acquisizione e nella gestione degli appalti

pubblici, in A. Bargi (a cura di), Il «doppio binario» nell’accertamento dei fatti di mafia, Torino,

Giappichelli Editore, 2013, p. 458

368 D. Gambetta, La protezione mafiosa, in G. Fiandaca, S. Costantino (a cura di), La mafia. Le mafie, Roma-Bari, Editori Laterza, 1994, p. 225

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aziende capaci di inserirsi nel mercato lecito senza dover ricercare l’appoggio di imprenditori o politici.

Cedendo ai benefici tratti dal rapporto con il clan, l’imprenditore-vittima ha, così, lasciato il passo all’imprenditore-complice. Riuscire a comprendere la complessa relazione che si instaura tra il sodalizio e l’imprenditore non sempre è agevole, anche perché può capitare che il titolare di un’azienda entri nell’orbita mafiosa inizialmente come vittima e solo dopo venga attratto dai vantaggi che può cogliere “collaborando” con l’associazione369.

Alla luce di quanto affermato, appare chiaro come in simili ipotesi di vicinanza alla mafia, è assolutamente necessario evitare ogni tipo di automatismo nella valutazione dei fatti ed è importante che l’impiego delle massime d’esperienza da parte degli organi giudicanti avvenga con estrema cautela. È, infatti, piuttosto frequente riscontrare il rinvio alla realtà sociale mediante l’assunzione di un punto di vista socio-criminologico poiché, ai fini della corretta individuazione della colpevolezza, è utile tenere in considerazione la pervasività delle cosche mafiose370. È innegabile la condizione di “minaccia ambientale”371 ormai

369 A. Ardituro, Le infiltrazioni dei sodalizi mafiosi nell’acquisizione e nella gestione degli appalti pubblici, cit., pp. 441-443; P. Arlacchi, La mafia imprenditrice, Bologna, Il Mulino, 1983, pp.

109-110. La mafia offre un importantissimo vantaggio competitivo agli imprenditori: lo scoraggiamento della concorrenza. La forza d’intimidazione delle associazioni criminali funge da vera e propria «barriera doganale» e le rende in grado di assicurare mezzi, merci e materie a prezzi di favore, nonché appalti, commissioni e finanziamenti.

370

C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., p. 332; G. Fiandaca, La

contiguità mafiosa del imprenditori tra rilevanza penale e stereotipo criminale, cit., p. 477. Il

ricorso a giudizi di valore si presenta come inevitabile, proprio perché valutare il condizionamento ambientale esercitato dalla mafia sul territorio è essenziale per individuare l’atteggiamento psicologico di soggezione o connivenza degli imprenditori; lo stesso Sutherland, nella sua celebre opera “Il crimine dei colletti bianchi” (E. H. Sutherland, Il crimine dei colletti bianchi, Milano, Giuffré Editore, 1987, pp. 293ss), sottolinea che l’uomo d’affari che commette un reato non si considera un criminale, bensì egli continua ad avere un’alta considerazione di sé, poiché è la stessa collettività a non considerare i “colletti bianchi” dei delinquenti. Inevitabilmente un siffatto sfondo culturale influenza anche l’interpretazione data dai giudici alle norme penali. L’autorità giudicante sarà, infatti, portata a non sottovalutare gli effetti di un contesto ambientale così alterato; in tal senso R. Boudon, L’ideologia. Origine dei pregiudizi, Torino, Einaudi, 1991, pp. 190ss.

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instauratasi, ma ciò non può giustificare un ragionamento giuridico improntato prevalentemente al canone dell’id quod plerumque accidit372. Al giudice spetta l’arduo compito di individuare la linea di confine tra la condotta lecita ed illecita dell’imprenditore che intrattiene rapporti con un’organizzazione mafiosa; di conseguenza le informazioni avvalorate dalla realtà circostante devono comunque trovare un riscontro preciso nei fatti posti al vaglio dell’organo giudicante373. Ecco perché, così come non si può desumere lo status di vittima dal mero pagamento del pizzo, la stipulazione di un accordo di protezione non necessariamente è indice di connivenza con il sodalizio374.

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