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Imprenditore-vittima ed imprenditore colluso

II Capitolo: Il concorso esterno in associazione mafiosa e la sua evoluzione giurisprudenziale

7. La mafia e il mondo imprenditoriale

7.2 Imprenditore-vittima ed imprenditore colluso

La domanda che sorge spontanea è quali siano stati i criteri utilizzati fino ad ora per distinguere l’imprenditore colluso dall’imprenditore vittima della mafia.

Tendenzialmente la differenza viene individuata nella situazione di coartazione in cui versa l’imprenditore. Di fronte ad una «pressione insuperabile» che costringe ad uniformarsi alle richieste della mafia, subentra una vera e propria lesione della libertà di autodeterminazione che rende l’imprenditore una vittima

371 E. Amati, T. Guerini, Gli accertamenti bancari nelle indagini sui reati associativi, cit., p. 366.

Si crea una situazione di prassi comune dove il sodalizio non ha neanche più bisogno di effettuare richieste palesi.

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Tribunale di Palermo, 13 dicembre 1996, Scamardo e altri, cit., pp. 710ss. Nella motivazione della sentenza il Tribunale di Palermo mostra di dare particolare rilevanza alle massime di esperienza formatesi in ambito di criminalità organizzata. Sono, infatti, frequenti i riferimenti ai processi precedenti, alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e alle situazioni che «di solito» si verificano.

373 C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., pp. 346.347; Corte di

Cassazione, I sez. pen., 5 gennaio 1999, Cabib, in Il Foro italiano, II, 1999, p. 640

374 C. F. Grosso, Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed irrilevanza penale, cit., p. 1200; Visconti, Imprenditori e camorra: l’«ineluttabile» coartazione come criterio tra complici e vittime?, in Il Foro italiano, II, 1999, p. 635; F. De Leo, Aspettando un legislatore che non si chiami Godot. Il concorso esterno dopo la sentenza Mannino, cit., p.

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delle associazioni375. Una siffatta impostazione, però, sembra richiedere un livello di coercizione psicologica più elevato rispetto alle vittime di una normale estorsione, mentre – si è osservato – sarebbe più logico il contrario, visto che l’attività estorsiva viene perpetuata da un’organizzazione mafiosa e, quindi, in una condizione di rischio maggiore376.

Se si ammettesse di rinvenire la distinzione tra imprenditore compiacente e imprenditore soggiacente nello status di «pressione insuperabile», si finirebbe con il fare una valutazione basata semplicemente sulla stipulazione o meno di un patto di protezione. Di fronte ad un siffatto accordo sarebbe, infatti, difficile riscontrare lo status di assoggettamento in colui che, nel pianificare la propria attività produttiva, include nei costi d’impresa il prezzo della propria sicurezza. Non si può, tuttavia, non ammettere che non sempre l’effettiva trattativa con l’organizzazione deriva da una scelta autonoma dell’imprenditore. Egli, comunque, subisce un danno patrimoniale ed è sottomesso alla forza intimidatrice della mafia, la quale, nel contempo, ottiene un profitto ingiusto377.

L’imprenditore che accetta la protezione dell’organizzazione e svolge servizi per la stessa semplicemente per evitare di subire ritorsioni, si trova in una situazione di minaccia e costrizione talmente grave da rendere inesigibile una diversa

375 Corte di Cassazione, I sez. pen., 5 gennaio 1999, Cabib, cit., p. 643. Nella pronuncia in esame

la Corte si interroga sull’effettività dello status di vittima dell’imprenditore che, per prevenire eventuali pregiudizi, accetta di stipulare un accordo di protezione; un simile orientamento è già riscontrabile in Corte di Cassazione, VI sez. pen., 10 giugno 1989, Teardo, in Giustizia penale, II, 1990, p. 355; contra C. Visconti, Imprenditori e camorra: l’«ineluttabile coartazione» come

criterio discretivo tra complici e vittime?, cit., p. 635. In disaccordo con tale impostazione,

l’autore non ritiene riscontrabile alcuna differenza rispetto al titolare di un’azienda che semplicemente ubbidisce alle richieste avanzate dalla mafia. Il patto con un sodalizio non esclude automaticamente lo stato di assoggettamento dell’imprenditore.

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C. Visconti, Imprenditori e camorra: l’«ineluttabile coartazione» come criterio discretivo tra

complici e vittime?, cit., p. 633.

377 C. Visconti, Imprenditori e camorra: l’«ineluttabile» coartazione come criterio tra complici e vittime?, cit., pp. 634-635

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condotta378. Ciò è vero fino a quando l’imprenditore non decide di trarre un vantaggio da quella condizione (seppur di soggezione) che lo pone in un rapporto di vicinanza con il sodalizio. Quest’ultimo, infatti, può risultare utile per un’azienda procurandole commissioni, appalti, finanziamenti, forza lavoro e molto altro e mettendo a disposizione il proprio apparato intimidatorio. Nasce, così, un vero e proprio rapporto sinallagmatico da cui entrambe le parti contraenti traggono un profitto. In tal caso, allora, l’imprenditore non è più una vittima della mafia, bensì il suo comportamento integra gli estremi del concorso eventuale, se non addirittura della partecipazione in associazione mafiosa379.

Al contrario, l’imprenditore soggiacente è colui che non tenta di scendere a patti con l’organizzazione, ma cede all’imposizione mafiosa subendo un danno ingiusto o cercando di limitare i danni mediante il raggiungimento di un accordo380.

378

C. F. Grosso, Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed

irrilevanza penale, cit., p. 1202; Tribunale di Palermo, 18 marzo 2004, in Diritto penale e processo, n. 10, 2004, p. 1253. In questa pronuncia si esclude l’applicabilità dell’esimente non

codificata della “inesigibilità della condotta”. L’accertamento del condizionamento ambientale e della necessità di scongiurare un pregiudizio deve aversi semplicemente alla stregua dell’art. 54, 3° comma c.p.; contra R. Acquaroli, Una discutibile applicazione dell’art. 54, terzo comma c.p., in Giustizia penale, II, 1993, pp. 596-598. Parlare di “inesigibilità della condotta” conduce ad un’implicita applicazione dello stato di necessità determinato da altrui minaccia (art. 54, 3° comma, c.p.). L’Autore contesta una simile scelta, soprattutto qualora il pericolo attuale concerna la sopravvivenza dell’impresa, poiché, in tal caso, il bilanciamento di interessi non potrebbe essere effettuato con gli stessi canoni valutativi impiegati nel caso di una minaccia grave alla persona. Ciò che desta maggiori perplessità, tuttavia, è l’opportunità di ravvisare la necessarietà della condotta nel contesto di «condizionamento ambientale» e di timore diffuso ingenerato dalle cosche mafiose presenti sul territorio; C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, cit., p. 361. L’Autore teme che il “condizionamento ambientale” influenzi eccessivamente l’interprete con il rischio che le sue decisioni vengano a basarsi su stati psicologici (di difficile accertamento), piuttosto che su elementi oggettivi caratterizzanti l’azione dell’imprenditore.

379 C. F. Grosso, Le contiguità alla mafia tra partecipazione, concorso in associazione mafiosa ed irrilevanza penale, cit., p. 1203; Corte di Cassazione, I sez. pen., 11 ottobre 2005, (dep. 20

dicembre 2005), n. 46552, D’Orio, in Cassazione penale, 2007, p. 1072; G. Fiandaca, La

contiguità mafiosa degli imprenditori tra rilevanza penale e stereotipo criminale, cit., p. 472.

L’Autore sostiene, infatti, che l’accordo di protezione tra imprenditori e mafiosi si basi su un vero e proprio «fascio di relazioni di scambio (…) complesse e ambigue».

380 Corte di Cassazione, I sez. pen., 11 ottobre 2005, n. 46552, D’Orio, cit., p. 1072; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit, p. 342; Tribunale di Catania, 28 marzo 1991, Amato, cit., p.

482. In questa pronuncia il Giudice Istruttore parla del tentativo di trovare una «soluzione di non conflittualità» con il sodalizio: non viene stipulato un vero e proprio accordo di protezione, ma, per evitare di subire ritorsioni, l’imprenditore cede alle pressioni mafiose.

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All’interno della categoria degli imprenditori collusi è poi possibile distinguere coloro che instaurano una relazione clientelare con l’associazione al fine di perseguire obiettivi comuni – in tal caso si parlerà di imprenditori-clienti – da coloro che mirano a raggiungere un compromesso per realizzare scopi diversi, ma complementari – in tal caso si parlerà di imprenditori-strumentali381.

Gli imprenditori-clienti, in virtù di un rapporto stabile di cooperazione reciproca, si impegnano a svolgere a favore del sodalizio una serie di prestazioni diffuse. È possibile che sia l’imprenditore stesso a ricercare la collaborazione del mafioso: generalmente accade che l’azienda presti favori al sodalizio senza che ne sia stata fatta richiesta, cosicché l’imprenditore potrà vantare un credito nei confronti dell’associazione. Quest’ultima, tuttavia, accetterà i servizi offerti solo ed esclusivamente se intravede l’opportunità di instaurare una vantaggiosa relazione clientelare382.

Gli imprenditori-strumentali, invece, mirano alla stipulazione di un accordo non continuativo e “a tempo determinato”, con la possibilità di reiterarlo secondo le esigenze concrete383. Si tratta di una categoria di imprenditori che potremmo definire più forti, in quanto risultano in grado di instaurare un rapporto di scambio con il sodalizio, pur mantenendo la propria autonomia. Questa categoria di “collusi” effettua una scelta meramente utilitaristica derivante dalla constatazione della forza esercitata sul territorio dalle cosche. La presenza delle associazioni mafiose viene vissuta come un dato di fatto, come un problema da risolvere per

381 R. Sciarrone, Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria, in Quaderni di sociologia, n. 5, 1993, p. 81; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, cit, p. 343

382 R. Sciarrone, Il rapporto tra mafia e imprenditorialità in un’area della Calabria, cit., pp. 86-

87. Le prestazioni offerte dall’azienda possono anche non concernere l’attività d’impresa in senso stretto. Il sodalizio, ad esempio, può richiedere l’accesso al mondo istituzionale e finanziario, una falsa testimonianza a suo favore o persino l’ospitalità per un affiliato latitante.

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poter svolgere la propria attività. Gli imprenditori preferiscono scendere a patti con la mafia proprio perché, dal punto di vista aziendale, la trattativa viene concepita semplicemente come un costo di impresa aggiuntivo384.

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