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Le deroghe al contraddittorio in tema di formazione della prova: l’art 190 bis c.p.p.

III Capitolo: Il concorso esterno alla prova del processo

2. Le deroghe al contraddittorio in tema di formazione della prova: l’art 190 bis c.p.p.

Abbiamo detto che il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. Ciò significa che i mezzi di prova, che vengono ammessi da parte del giudice e su cui questi baserà la sua decisione, devono essere il risultato di un confronto fra le parti.

Il quarto comma dell’art. 111 Cost. stabilisce che «la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore» proprio perché, come abbiamo già detto, il contraddittorio garantisce un miglior accertamento della verità poiché permette ad entrambe le parti di dar rilievo a questioni che se la prova dichiarativa fosse assunta unilateralmente probabilmente non emergerebbero.

Esistono soltanto tre ipotesi in cui è ammessa una deroga al contraddittorio409: il consenso dell’imputato410, la sopravvenuta impossibilità di natura oggettiva411 e una comprovata condotta illecita che abbia determinato un inquinamento probatorio. Solo ed esclusivamente in questi casi il giudice potrebbe ammettere in giudizio prove non assunte nel contraddittorio fra le parti, tuttavia vedremo che all’interno del codice di procedura penale sono presenti istituti processuali che talvolta sembrano andare oltre il dettato normativo dell’art. 111 Cost.

409 Art. 111, 5° comma Cost.

410 Questa eccezione non è sintomatica della disponibilità del diritto al contraddittorio, ma è

soltanto il presupposto dei riti alternativi – quali il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena su richiesta – che richiedono il consenso dell’imputato all’impiego del materiale raccolto durante le indagini preliminari

411 La causa dell’impossibilità di assumere la prova nel contraddittorio fra le parti deve anche

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L’art. 190 bis c.p.p. fu introdotto nel 1992412 con lo scopo di fornire uno strumento più incisivo nella lotta contro la criminalità organizzata.

In merito a taluno dei delitti di cui all’art. 51, 3° comma bis c.p.p., la disposizione stabiliva che soltanto se il giudice lo riteneva assolutamente necessario era ammesso l’esame di un testimone (o di una persona imputata in un procedimento connesso ex art. 210 c.p.p.) che avesse già rilasciato dichiarazioni in sede di incidente probatorio o qualora i verbali di tali dichiarazioni fossero stati acquisiti ai sensi dell’art. 238 c.p.p.

La disposizione fu fortemente criticata per l’eccessiva discrezionalità che affidava al giudice nel decidere se ripetere o meno l’esame. Il diritto di “difendersi provando” dell’imputato veniva svuotato del suo contenuto in quanto poteva succedere che una prova venisse ammessa nonostante egli non avesse potuto assistere alla sua assunzione in dibattimento. Egli, inoltre, si trovava costretto a svelare anticipatamente la sua linea difensiva poiché, per dimostrare l’indispensabilità dell’escussione orale, non poteva far altro che presentare al giudice le domande da porre al teste413.

Nel 2001 il primo comma dell’art. 190 bis c.p.p. fu modificato al fine di adeguarlo ai principi del giusto processo: prima di tutto la riescussione del testimone, oggi, non può essere concessa se le dichiarazioni sono state previamente assunte in incidente probatorio oppure in sede dibattimentale nel contraddittorio con la persona contro cui saranno utilizzate414, inoltre un nuovo

412

La disposizione fu aggiunta dall’art. 3, 3° comma, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, Provvedimenti di

contrasto alla criminalità mafiosa, conv. in l. 7 agosto 1992

413 P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), in P. Tonini (a cura di), Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova. (Legge 1° marzo 2001, n. 63), Padova, Cedam, 2001, p. 221

414 M. Montagna, I requisiti della prova in casi particolari: art. 190 bis c.p.p., cit., p. 732. Si tratta

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esame sarà ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi rispetto all’oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero qualora il giudice e taluna delle parti facciano emergere «specifiche esigenze» di una nuova audizione. Seppur abbandonato il parametro “dell’assoluta necessità”, resta comunque al giudice il potere di valutare la domanda della parte la quale non potrà certo limitarsi a dimostrare la mera non superfluità o la non irrilevanza415, ma dovrà indicare la

sfocerebbe nell’ambito applicativo dell’art. 238 c.p.p., oppure di un caso di riunione di più procedimenti tutti nella fase dibattimentale. In tal senso P. Maggio, La rinnovazione del

dibattimento per mutamento del collegio nei processi in materia di criminalità organizzata: un’inedita riproposizione del paradigma dell’«assoluta necessità» probatoria, in Cassazione penale, 2007, p. 3457

415 P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), cit., p. 229; P. Maggio, La rinnovazione del dibattimento per mutamento del collegio nei processi in materia di criminalità organizzata: un’inedita riproposizione del paradigma dell’«assoluta necessità» probatoria, cit., p. 3456; L. Caraceni, Poteri d’ufficio in materia probatoria e imparzialità del giudice penale, Milano, Giuffré Editore, 2007, pp. 86-89. Secondo

l’Autrice la valutazione dell’assoluta necessità comporta un’eccessiva ingerenza dell’organo giudicante in tema di valutazione della prova con il rischio che ne derivi un potenziale danno al principio di terzietà del giudice; Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e

dottrina, Art. 507, Milano, Giuffré Editore, 2012, pp. 317-323. Si ricorda che sin dall’entrata in

vigore del vigente codice di procedura penale sono sorti contrasti giurisprudenziali in merito all’art. 507 c.p.p. Vi era infatti un primo orientamento che riteneva di dover interpretare “l’assoluta necessità” in rapporto alla finalità del processo penale, ossia l’accertamento della verità, e che quindi il giudice potesse disporre al termine della fase acquisitiva l’assunzione di nuove prove anche a fronte della totale inerzia delle parti (Corte di Cassazione, II sez. pen., 10 ottobre 1991, (dep. 4 novembre 1991), Paoloni, in Cassazione penale, 1992, p. 1258; Corte di Cassazione, III sez. pen., 9 aprile 1992, (dep. 25 maggio 1995), Grenci, in Cassazione penale, 1993, p. 2362). Vi era poi un secondo orientamento che, al contrario, riteneva che l’iniziativa probatoria del giudice fosse esclusa nel caso dell’inerzia delle parti dal momento che l’art. 507 avrebbe dovuto essere utilizzato non per sopperire alle carenze istruttorie della parti, bensì per chiarire aspetti della vicenda processuale emersi dalle prove già assunte (Corte di Cassazione, III sez. pen., 2 dicembre 1990, (dep. 3 gennaio 1991), Ventura, in Cassazione penale, 1991, p. 496; Corte di Cassazione, III sez. pen., 18 dicembre 1991, Sala, in Giurisprudenza italiana, II, 1992, p. 562; Tribunale di Rovereto, 10 febbraio 2005, (dep. 10 marzo 2005), n. 32, in Diritto e giustizia, 2005, n. 15, p. 81). Le Sezioni Unite risolsero il contrasto affermando che il giudice deve poter supplire all’inerzia delle parti per approfondire circostanze che comunque sono emerse nel corso del processo, anche quando non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria, dato che le parole «terminata l’acquisizione delle prove» indicano soltanto il momento iniziale in cui il giudice può esercitare il suo potere probatorio e non il presupposto di tale potere (Corte di Cassazione, SS. UU., 6 novembre 1992, Martin, in Cassazione penale, 1993, pp. 285-286) Sul punto si pronunciò la Corte Costituzionale (24-26 marzo 1993, n. 111, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1994, p. 1064) sottolineando il carattere suppletivo dell’art. 507 c.p.p. Il giudice non ha un potere “eccezionale” in virtù del fatto che egli lo esercita al termine delle richieste di parte e in merito a prove la cui esperibilità è desumibile dagli atti del processo. Egli, dunque, non si sostituisce alle parti ma, in caso di dubbi derivanti da quanto emerso fino a quel momento, deve esser messo nella condizione di accertare la verità processuale (che infatti non è nell’esclusiva disponibilità delle parti) e, quindi, deve poter esperire nuove prove anche in caso di inattività delle parti, altrimenti verrebbe alterata la funzione conoscitiva del processo (in dottrina si è espresso P. Ferrua, I poteri probatori

del giudice dibattimentale: ragionevolezza delle Sezioni Unite e dogmatismo della Corte Costituzionale, in Rivista italiana diritto e procedura penale, 1994, p. 1072, secondo cui l’art. 507

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ragione per cui determinate questioni dovrebbero essere ulteriormente approfondite in dibattimento. Ebbene, è chiaro che l’oggetto dei «fatti o (delle) circostanze», cui viene fatto riferimento all’interno dell’art. 190 bis c.p.p., non può che dipendere dal thema probandum dell’intero processo. Abbiamo visto, però, che quando il giudizio verte sul concorso eventuale in associazione mafiosa molto spesso il suddetto thema probandum viene individuato nel corso del giudizio quindi, al momento di presentare la richiesta di un nuovo esame, l’imputato potrebbe non essere in grado di argomentare la sua domanda proprio perché non può sapere quali elementi saranno considerati tanto rilevanti da giustificare la riassunzione della prova dichiarativa.

Nonostante la riforma, dunque, non vi è ancora corrispondenza tra l’art. 190 bis c.p.p. e le deroghe al contraddittorio previste dal 5° comma dell’art. 111 Cost. La Corte di Cassazione, tuttavia – nel rigettare per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale sollevata in merito al combinato disposto degli artt. 511, 2° comma e 190 bis c.p.p. – dichiarò che la necessità di salvaguardare l’usura delle fonti di prova nei processi di criminalità organizzata, legittimava la diversa modalità di assunzione della suddetta prova416.

La semplificazione delle regole probatorie rende innegabilmente più efficaci i processi di mafia ma, nel contempo, vi è il rischio di ritornare a quel modello

c.p.p. è il risultato di un compromesso raggiunto tra l’esigenza di imparzialità del giudice e di completezza dell’istruttoria dibattimentale. Se non vi fosse alcun controllo giurisdizionale, si correrebbe il rischio di lasciare lacune significative a discapito dell’accertamento processuale; del resto, non solo il potere probatorio del giudice viene esercitato al termine dell’acquisizione su richiesta di parte, ma sulle prove in tal modo assunte verrà espletato il contraddittorio nel pieno rispetto dei principi del giusto processo). Nel 2006 le Sezioni Unite ribadirono che il giudice può esercitare il suo potere probatorio in caso di assoluta necessità, in correlazione ad una prova decisiva ed in relazione alle prospettazioni delle parti, anche qualora non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria purché le prove che egli assume ex officio siano determinanti per la formazione del suo convincimento. Devono, in sostanza, essere prove non assunte precedentemente che, però, risultano dagli atti del processo (Corte di Cassazione, SS. UU., 17 ottobre 2006, (dep. 18 dicembre 2006), n. 41281, Greco, in Cassazione penale, 2007, p. 961).

416 Corte di Cassazione, I sez. pen., 12 giugno 2001, (dep. 27 luglio 2001), n. 29826, Bagarella, in Cassazione penale, 2002, p. 3502

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processuale in cui il contraddittorio si ha sulla prova e non per la prova. Ai sensi dell’art. 190 bis c.p.p. le parti si confronteranno su un elemento che, di fatto, è già stata assunto altrove417 quindi quando l’imputato viene accusato di concorso esterno egli non solo dovrà difendersi da un’imputazione resa generica dall’impossibilità di inquadrare con precisione la condotta illecita ma, oltretutto, potrebbe non avere mai né la possibilità di discutere di fronte al giudice del dibattimento delle prove su cui l’accusa si fonda, né quella di raffrontarsi in giudizio con chi rilascia dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti.

In virtù dei principi di immediatezza e di oralità, volti a salvaguardare la non dispersione della prova e a garantire un più affidabile accertamento dei fatti, il giudice dovrebbe valutare sulla base delle sole prove che egli stesso ha visto formarsi nel processo. Nei procedimenti di mafia, invece, accade che la prova scritta diviene la regola generale, quella orale l’eccezione.

Persino in caso di mutamento dei membri del collegio il giudice deve dare priorità alla lettura degli atti precedentemente acquisiti ex art. 190 bis c.p.p.418. Ai sensi dell’art. 525, 2° comma c.p.p. «alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento» e quindi nel caso in cui vi sia un cambiamento nella composizione collegiale è necessario disporre la rinnovazione dell’esame419. Ne deriva che ordinariamente il giudice non può dar lettura delle dichiarazioni raccolte da altri, mentre nei processi di

417 A. Bargi, La prova indiziaria nell’accertamento del fatto di partecipazione o di concorso nell’associazione mafiosa ed in altre associazioni di criminalità organizzata, cit., p. 922

418 Tribunale di Foggia, 23 gennaio 2006, in Cassazione penale, 2007, pp. 3456-3457

419 Corte di Cassazione, SS.UU., 15 gennaio 1999, Iannasso e altro, in Il Foro italiano, II, 1999,

pp. 147-148. L’inciso «a meno che l’esame non abbia luogo», contenuto all’interno del 2° comma dell’art. 511 c.p.p., postula che esso non si svolga o per volontà delle parti, o per impossibilità sopravvenuta. Pertanto, le Sezioni Unite affermano che, se nessuna delle parti lo richiede, il giudice può disporre d’ufficio la lettura delle dichiarazioni precedentemente assunte, senza ripetere l’esame del teste. Se invece le parti ne fanno richiesta, egli è obbligato a disporre la riassunzione della prova, fatta eccezioni per l’ipotesi prevista all’art. 190 bis c.p.p.

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mafia si applica una presunzione di superfluità del nuovo esame facendo, così, prevalere la prova scritta su quella orale420.

Tale impostazione è giustificata dalle consuete minacce ed intimidazioni subite dai testimoni e dai collaboratori di giustizia. Per evitare di rendere vani gli sforzi dell’autorità requirente, si è preferito comprimere il diritto al contraddittorio rimettendo al giudice il vaglio della necessità dell’escussione orale421. La ratio del primo comma dell’art. 190 bis c.p.p. consiste, dunque, nell’esigenza di preservare le fonti di prova e di evitare l‘usura del testimone422. Il che ci riporta al quinto comma dell’art. 111, Cost. con la differenza, però, che la Carta Costituzionale ammette un’eccezione al contraddittorio solo se la «comprovata condotta illecita» si è verificata, mentre l’art. 190 bis c.p.p. risponde ad una logica preventiva: la gravità del reato di cui l’imputato è accusato è sufficiente a far presumere che sia necessario derogare al contraddittorio al fine di evitare il rischio di inquinamento delle fonti di prova. Per tutelare gli interessi di cui è portatore il teste e le esigenze di economia processuale, il legislatore ha preferito evitare la duplicazione di attività istruttorie in quei procedimenti particolarmente delicati che potrebbero porre in pericolo l’incolumità dei testimoni423.

In sostanza, per salvaguardare la funzionalità del processo, in termini di efficienza, celerità e sicurezza sociale, si è acconsentito all’impiego di criteri e

420 P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), cit., p. 226; P. Maggio, La rinnovazione del dibattimento per mutamento del collegio nei processi in materia di criminalità organizzata: un’inedita riproposizione del paradigma dell’«assoluta necessità» probatoria, cit., p. 3469;Corte di Cassazione, VI sez. pen., 20 aprile

2005, (dep. 16 febbraio 2006), Aglieri, in Cassazione penale, 2007, p. 2573

421 P. Maggio, La rinnovazione del dibattimento per mutamento del collegio nei processi in materia di criminalità organizzata: un’inedita riproposizione del paradigma dell’«assoluta necessità» probatoria, cit., p. 3461; C. Cesari, Prova (acquisizione della), in Digesto delle discipline penalistiche, agg., 2004, p. 723

422 M. Montagna, I requisiti della prova in casi particolari: art. 190 bis c.p.p.,cit., p. 729; S.

Astarita, Circolazione della prova e delle sentenze nei processi di criminalità organizzata, cit., p. 805

423 P. Morosini, La formazione della prova nei processi per fatti di criminalità organizzata (art. 190 bis c.p.), cit., p. 225

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strumenti differenziati proprio in relazione a reati la cui evanescenza, al contrario, richiederebbe maggior rigore nell’accertamento probatorio visto che, quando l’accusa verte su un’ipotesi di concorso eventuale, l’indeterminatezza della condotta illecita già di per sé pone l’imputato in svantaggio rispetto all’organo requirente.

L’assunzione delle prove secondo il metodo dialettico è essenziale proprio per riequilibrare la situazione e per garantire il “diritto a difendersi provando” poiché soltanto dal confronto tra i testimoni e tutte le parti in causa potrà emergere un quadro probatorio completo ed unitario in grado di sopperire alla carenza di tipizzazione dei comportamenti penalmente rilevanti.

3. Le deroghe al contraddittorio in tema di circolazione della prova: l’art.

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