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Par 5 L’atteggiamento della giurisprudenza ordinaria e amministrativa sui rapporti tra vincoli di finanza pubblica e diritto all’istruzione.

Per completezza, si ritiene necessario offrire anche una panoramica su quelle che sono le tendenze dei giudici ordinari e amministrativi in relazione ai rapporti tra interessi sottesi al bilancio pubblico e nocciolo duro dei diritti all’istruzione. E al riguardo la magistratura guarda a questo nucleo inviolabile come un limite alla discrezionalità sia del legislatore, che degli amministratori pubblici.

Anche da questo punto di vista, il banco di prova privilegiato è quello che concerne, in particolare, il diritto all’istruzione dei disabili. Infatti, in questo ambito, innanzitutto si riscontra il maggior numero di pronunce; in secondo luogo, maggiore è la sensibilità dei giudici verso la tutela del predetto nucleo essenziale di diritti.

Per quanto concerne la giurisdizione civile, appare di particolare interesse la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 25011 del 2014284, che ha considerato discriminatoria una decisione della Pubblica Amministrazione con cui non è stato concesso a un’alunna disabile (affetta da una rara sindrome) un docente di sostegno per 25 ore, come indicato nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) dell’alunna. La Suprema Corte innanzitutto qualifica come diritto fondamentale quello all’istruzione dei disabili, precisando che la relativa tutela «passa attraverso l'attivarsi della pubblica amministrazione per il suo riconoscimento e la sua garanzia, mediante le doverose misure di integrazione e sostegno atte a rendere possibile ai portatori disabili la frequenza delle scuole, a partire da quella materna». Inoltre, il Giudice di Legittimità, partendo dal presupposto della centralità del PEI ai fini dell’individuazione dei bisogni concreti dell’alunno disabile per garantirgli effettivamente il diritto allo studio, considera che il numero di ore di sostegno quantificato in quest’atto costituisca un limite all’esercizio della discrezionalità dell’Amministrazione, così rendendo a questa impossibile rideterminarle e sacrificare in via amministrativa il diritto al supporto didattico dell’alunno, per ragioni legate alla limitatezza delle risorse disponibili per il servizio. Inoltre, prosegue la Corte, l’insufficienza e l’omissione di quelle condotte atte a garantire l’integrazione dell’offerta formativa dell’alunno disabile, possono concretizzare «ove non accompagnate da una corrispondente contrazione dell'offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, una discriminazione indiretta, vietata dalla L. n. 67 del 2006, art. 2, per tale intendendosi anche il comportamento omissivo dell'amministrazione pubblica

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preposta all'organizzazione del servizio scolastico che abbia l'effetto di mettere la bambina o il bambino con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni». Pertanto, oltre all’obbligo di concedere le ore di sostegno individuate nel PEI, l’Amministrazione è stata condannata anche al risarcimento del danno non patrimoniale, per tale via determinandosi una spesa pubblica superiore a quella che, a monte, l’Amministrazione aveva considerato come “indisponibile”, al punto di non poter concedere le ore predette. Sembra inoltre di rilevante interesse l’affermazione della Suprema Corte, secondo cui è da ravvisare nella condotta dell’Amministrazione la realizzazione di una discriminazione indiretta ex art. 2, l. n. 67, cit., in assenza di una “corrispondente contrazione dell'offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati”. Da tale asserzione, infatti, sembra possa desumersi che sarebbe lecita la condotta della Pubblica Amministrazione che, difformemente da quanto stabilito nel PEI, diminuisca il numero di ore del docente di sostegno e al tempo stesso contragga con altre misure l’offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati.

Sulla stessa scia della pronuncia della Suprema Corte, si è collocato anche il Consiglio di Stato, il quale285 ha contestato la legittimità di un provvedimento amministrativo riduttivo delle ore di sostegno necessarie per garantire un’integrazione dell’offerta didattica proporzionata allo stato di handicap (grave) dell’alunno. Il Giudice amministrativo inoltre contesta all’Amministrazione di aver esercitato «una discrezionalità non consentita all'Amministrazione scolastica che si è fatta carico di ravvisare un vincolo derivante dalla carenza di risorse economiche che non possono, in modo assoluto, condizionare il diritto al sostegno in deroga, sino a esigere e sacrificare il diritto fondamentale allo studio e all'istruzione».

Oltre alle questioni che concernono contestazioni che pongono il PEI a fondamento delle decisioni giudiziali, un ulteriore filone di particolare interesse concerne alcune pronunce che il giudice amministrativo ha dedicato al rapporto tra discrezionalità amministrativa e scelte dell’Amministrazione sugli organici di diritto, con riguardo a decisioni amministrative i cui effetti abbiano ricadute sul rapporto tra numero di alunni e classi, nei casi in cui ci siano anche alunni disabili.

Il d.p.r. n. 81 del 2009, all’art. 5, 2° comma, prevede un tetto massimo di 20 alunni per classe, “di norma”, quando tra di essi vi siano alunni con disabilità. La disposizione specifica inoltre che debba essere «esplicitata e motivata la necessità di tale consistenza numerica, in rapporto alle esigenze formative degli alunni disabili» e inoltre che il progetto articolato di integrazione debba

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definire «espressamente le strategie e le metodologie adottate dai docenti della classe, dall’insegnante di sostegno, o da altro personale operante nella scuola». Secondo taluna dottrina286 tale formulazione può essere letta in una duplice direzione. Secondo una prima, più rigorosa e aderente al tenore letterale, ogni volta ci sia un alunno disabile il numero massimo di alunni per classe dovrebbe rispettare il limite previsto dalla disposizione. E in tale ipotesi si imporrebbe «in ogni caso, un doppio step di garanzia, consistente nell’onere di esplicitazione e motivazione in ordine alla consistenza in concreto individuata alla luce delle specifiche esigenze formative dei portatori di handicap e comunque nell’ambito di una cornice di riferimento offerta dal riferito progetto di integrazione». Secondo altro filone interpretativo, invece, si dedurrebbe che gli indicati step di garanzia «siano funzionali alla possibilità di derogare alla regola del tetto minimo dei venti studenti, con comunque rilevante compressione della discrezionalità dell’istituzione scolastica tenuta al rispetto di una procedura aggravata che passa per oneri di specifica motivazione e oneri di nuova redazione (riferiti al citato progetto di integrazione)».

In ogni caso, lo spazio di discrezionalità che residuerebbe all’amministrazione conserva spazi davvero angusti, tutti relegati alle spalle dell’effettiva garanzia del diritto allo studio dello studente disabile. A tal fine, si segnala a riprova una pronuncia del T.A.R. Calabria287 che, con approccio particolarmente rigoroso sul tenore letterale dell’art. 5, comma 2, cit., considera non derogabile il tetto dei 20 alunni per classe, nemmeno con riguardo a quei comuni nei quali vi sia «un solo istituto scolastico nel quale sia istituita una sola classe prima di scuola secondaria di primo grado».

Peraltro, il giudice amministrativo “indica” all’Amministrazione un percorso alternativo da seguire, suggerendole la possibilità di esercizio del potere previsto dall’art. 4, 2° comma, del d.p.r. n. 81 cit., a norma del quale «i dirigenti scolastici possono disporre incrementi del numero delle classi dell’istruzione primaria e dell’istruzione secondaria solo in caso di inderogabili necessità legate all’aumento effettivo del numero degli alunni rispetto alle previsioni, previa autorizzazione del dirigente preposto all’Ufficio scolastico regionale». Certo, al riguardo, preme evidenziare che, nell’ottica di una visione di insieme sul piano dell’organizzazione delle risorse e delle strutture scolastiche, si potrebbe immaginare che la Pubblica Amministrazione possa rispondere a questo tipo di problematiche, decidendo di chiudere la scuola nei contesti rurali in cui si possano verificare situazioni del genere, per poter razionalizzare ed efficientare l’utilizzo delle risorse.

286 F. Gambardella, Diritto all’istruzione dei disabili e vincoli di bilancio nella recente giurisprudenza della corte

costituzionale, in Nomos, Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, n. 1/2017, pp. 12-13.

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Tuttavia, la pianificazione in materia compete alle Regioni e agli Enti Locali, pertanto viene ancora una volta in evidenza l’incoerenza di un sistema in cui ai poteri di pianificazione non consegue la gestione delle risorse.

Da ultimo, merita menzione il T.A.R. Molise, per avere nel 2011, con sentenza n. 163, introdotto una forma di tutela (anche se) solo indirettamente riconducibile al diritto all’istruzione, in quanto declinata sul piano della sicurezza dell’incolumità e dell’igiene nelle aule scolastiche. Tale circostanza ha consentito al Giudice di emanciparsi dal percorso (apparentemente) obbligato della tutela rafforzata degli interessi sottesi alla categoria della disabilità. Così, il T.A.R. Molise perviene a fornire una tutela rivolta anche agli alunni normodotati, contestando una misura di dimensionamento di alcune classi. Sicché, secondo la pronuncia «deve essere sospeso il provvedimento con cui l'Ufficio scolastico regionale ha proceduto ad accorpare una classe ad altre dello stesso istituto in quanto contrario alle norme igieniche e di sicurezza». I giudici amministrativi hanno riconosciuto, infatti, che il provvedimento dell'U.S.R. del Molise, seppur emanato in coerenza col d.p.r. n. 81/2009, non rispetta le norme poste a tutela dell’igiene e della sicurezza a causa del sovraffollamento delle classi e che quindi il dimensionamento disposto dall'amministrazione scolastica non possa essere realizzato perché in contrasto con la lettera di cui al D.M. 18 dicembre 1975. Tale decreto stabilisce che il numero di alunni per classe non possa essere superiore a 25 in aule di 47 mq nella scuola materna, primaria e secondaria di I grado, e di 52 mq nella scuola secondaria di II grado. Nel caso le aule siano di dimensioni inferiori devono essere costituite classi con un numero inferiore di studenti, in modo da rispettare l'indice di 1,80 mq per alunno nelle istituzioni primarie e secondarie di I grado, e di 1,96 mq per alunno nelle secondarie di II grado. Inoltre, laddove sia presente anche uno studente disabile, il tetto massimo di 25 alunni si riduce a 20. Se intenda comunque costituire classi con più di 25 alunni in un'aula che risulti perlomeno di 47 o 52 mq, il dirigente dovrà richiedere una preventiva autorizzazione ai Vigili del Fuoco, ai sensi del D.M. del 18/12/1975, recante norme in materia di edilizia scolastica (che viene considerata dal Giudice amministrativo lex specialis, e non semplicemente anteriore al d.p.r. 81/2009, e pertanto non abrogata da tale ultima norma). Tuttavia, dopo aver esaminato, in via preliminare, con le predette considerazioni sostanziali tali profili di illegittimità, il Giudice amministrativo precisa che «il parametro di legittimità violato è dunque rappresentato non dal citato decreto ministeriale del 1975 bensì dal d. lgs. 626 del 1994 poi confluito nel d. lgs. 81 del 2008 – applicabile agli istituti scolastici ai sensi dell’art. 3, comma 2, del medesimo, come

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successivamente precisato dall’art. 1, comma, 1 D.M. 382/1998 anche con riferimento agli alunni in quanto “utenti” del servizio – e […] dal D.M. 26 agosto 1992 sulla prevenzione incendi».

Per concludere in parte qua, salvo eventuali sviste dello scrivente, non è dato rivenire precedenti giurisprudenziali significativi che si pronuncino su questioni relative all’organizzazione scolastica e alla riduzione degli organici, seppur in circostanze in cui vi sia violazione del disposto di cui al d.p.r. 81/2009, cit. Inoltre, si rileva anche l’assenza di pronunce della giurisprudenza ordinarie significative su altri diritti connessi all’istruzione degli alunni normodotati. Se ne deduce che o l’amministrazione agisce sempre legittimamente; oppure sussiste un sostanziale disinteresse (dimostrato dalla mancata attivazione in giudizio) degli aventi diritto a ricevere un servizio di insegnamento adeguato per lo meno ai parametri di legge. L’utenza media infatti ignora probabilmente che attivare all’inizio dell’anno scolastico (o comunque in tempo utile a far data dalla concreta formazione delle classi) un giudizio per chiedere che l’amministrazione componga legittimamente una classe, potrebbe limitare sensibilmente tutta quella serie di giudizi che vengono invece attivati al termine dell’anno, quando l’alunno non riesca a conseguire l’idoneità per passare alla classe successiva, contestando valutazioni tecniche del corpo docente, che difficilmente possono trovare tutela nelle sedi giudiziarie.

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PARTE II.

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