A riprova di quanto si sta affermando, si può osservare l’evoluzione, di ispirazione costituzionale, che ha animato il legislatore italiano nell’apprestare tutela ad una particolare categoria di aventi diritto all’istruzione: i disabili.
Il diritto all’istruzione di cui è destinataria questa categoria non trova diretta proclamazione nel testo costituzionale, bensì deriva dall’art. 38 della Carta fondamentale (collocato nel titolo dedicato ai rapporti economici, sub specie di lavoro), a norma del quale viene riconosciuto il diritto degli inabili e dei minorati all’educazione e all’avviamento professionale. In altri termini, lo Stato è tenuto a farsi carico «della loro educazione, con l’intento di “recuperare la residua capacità lavorativa” per beneficio della collettività e comunque attraverso la istituzione di corsi e classi separate»75. Da queste considerazioni interpretative dell’Assemblea costituente prese spunto il legislatore degli anni Sessanta, che emanò una serie di disposizioni legislative76 finalizzate all’istituzione e al finanziamento delle scuole speciali, dove dovevano istruirsi i discenti portatori di handicap.
Soltanto a partire dalla l. n. 118 del 1971, il legislatore prese atto della necessità di adottare una politica di inclusione a favore dei soggetti portatori di disabilità, limitando la previsione di
del 1979, con le quali si sancisce il diritto all’istruzione per tutti, senza discriminazioni di razza e/o di genere; sempre in tale ultima prospettiva, le Convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, del 1990, e sui diritti delle persone con disabilità, del 2006; infine, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani, del 2011, in cui l’istruzione viene intesa come contenuto essenziale, strumento metodologico e fine ultimo di tutela dei programmi che abbiano di mira la tutela effettiva dell’educazione.
73 S. Nicodemo, op. cit. p. 26, fornisce al riguardo un’occasione di riflessione, con la considerazione che: «se l’originaria
ispirazione dello stato liberale intesa a giustificare l’intervento pubblico in istruzione intendeva garantire l’esercizio delle libertà individuali ad essa connesse per assicurare un livello di conoscenze base, lo stato democratico si fa promotore della diffusione della conoscenza, per assicurare un inserimento consapevole in condizioni di uguaglianza nella società e creare opportunità di accesso al lavoro ed elevazione professionale».
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S. Nicodemo, op. cit. p. 59.
75 In questi termini, S. Nicodemo, op. cit., pp. 65-66, ove si citano gli atti dell’Assemblea costituente.
76 Si pensi alle LL.: n. 1073 del 1962; n. 1862 del 1962 (con cui viene istituita la scuola media e si facoltizza la Pubblica
Amministrazione a istituire “classi differenziali per alunni disadattati scolastici” – art. 12, comma 1); n. 942 del 1966; n. 444 del 1968.
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classi speciali, da istituire nei centri di recupero e cura, per quei disabili che fossero impossibilitati a recarsi a scuola.
Seguirono una serie di interventi normativi finalizzati a normalizzare la presenza degli alunni disabili nelle scuole, con accorgimenti legati alla materia degli organici, sia intesi come numero di classi sul territorio e loro composizione (con il contenimento del numero di alunni totali nelle classi con alunni disabili)77; sia intesi come personale della scuola (con l’utilizzo di docenti con competenze specialistiche)78. Seguirono, poi, regolamenti e circolari ministeriali che disciplinarono vari aspetti legati al diritto all’istruzione dei disabili, sia nelle attività degli organi collegiali, che nello svolgimento degli esami di stato, etc.
Questa presa di coscienza della società, poi trasposta in norme di legge, regolamenti e atti amministrativi, ha indotto infine la Corte Costituzionale a consacrare il diritto all’istruzione dei disabili in una cornice, ormai presupposta, di inclusione all’interno dei percorsi formativi dei discenti normodotati79. L’integrazione dei disabili nella società, in sostanza, vede come suo primo momento di realizzazione quello formativo, a garanzia della dignità della persona; al tempo stesso, si risolve in un adempimento dei doveri di impronta pluralista che l’istruzione statale deve fornire a tutti, anche ai discenti normodotati, i quali ricavano per tale via un beneficio educativo, che consente loro di acquisire delle competenze che, in assenza di un confronto con i soggetti in condizioni di difficoltà psichico-fisiche, non riuscirebbero a maturare.
Le conclusioni a cui è approdata la Corte Costituzionale nel proprio percorso giurisprudenziale hanno indotto il legislatore a consacrare, con l. 104 del 1992, una serie di principi a tutela della disabilità che, per quanto concerne l’istruzione, costituiscono l’asse portante idoneo ad individuare quel nucleo essenziale di diritti, a danno del quale le politiche di bilancio restrittive del diritto sociale all’istruzione non possono tracimare. Sicché, ne è derivato un sistema in cui le scuole, con il proprio personale specializzato (sia docente che non), le aziende sanitarie e gli enti
77 L. n. 517 del 1977. 78
Art. 12, comma 3, l. n. 270 del 1982: «La consistenza complessiva delle dotazioni organiche dei ruoli provinciali della scuola materna è calcolata aggiungendo anche i posti di sostegno da istituire in ragione, di regola, di un posto ogni quattro bambini portatori di handicaps».
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C. Cost., n. 215 del 1987 che conclude per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 - recante "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili" - nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che «"sarà facilitata", anziché disporre che "è assicurata" la frequenza alle scuole medie superiori». L’interpretazione della Consulta a tutela dei disabili si incardina sia sulla necessità di apprestare una tutela alla loro salute fisica e psichica, ai sensi dell’art. 32, Cost. (cfr. sent. n. 167 del 1999); sia sulla violazione del principio di ragionevolezza (art. 3, comma 1, e 34 Cost.), che, con riguardo all’istruzione, impone al legislatore di non concretizzare misure lesive delle finalità a cui le norme (in materia di istruzione – art. 34, cit.) sono poste: cfr., tra le altre, sent. n. 215 del 1987, cit.; da ultimo, n. 80 del 2010.
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locali collaborano per realizzare dei piani educativi personalizzati, finalizzati a garantire al disabile la massima espansione della propria aspirazione a formarsi per ottenere una professionalizzazione “a parità di condizioni” con quella degli altri discenti80.
La progressiva regolamentazione nella nostra materia dei diritti riconducibili a questo nucleo irriducibile di tutela per queste categorie di persone rende i relativi diritti non regredibili. In altri termini, una volta che il legislatore si autolimita, esercitando la propria discrezionalità nel senso di tutelare una posizione giuridica in questi ambiti, non riesce più a tornare indietro facendo leva sulla tutela dell’interesse costituzionale all’equilibrio di bilancio, sottraendo risorse finanziarie per la loro salvaguardia. Fra le altre pronunce, a riprova di ciò, si segnalano la già citata sentenza della Corte Costituzionale, n. 80 del 2010, e la più recente sentenza dello stesso Giudice, n. 275 del 2016.
Nella prima, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: dell'art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno; e dell'art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno “in deroga”, in presenza di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente. In sostanza, le ragioni della prevedibilità della spesa nel bilancio statale, concretata mediante la predeterminazione di una quota fissa di organici di docenti di sostegno, al fine di rispettare il principio costituzionale di equilibrio di bilancio, regrediscono rispetto alle esigenze di tutela degli interessi costituzionali dell’istruzione (sub specie, inclusione, integrazione) e della salute (rispetto delle condizioni psico- fisiche) dei disabili.
Dal canto suo, la sentenza n. 275 del 2016, sulla quale si avrà modo di tornare nel corso della trattazione, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2-bis, della legge della Regione Abruzzo 15 dicembre 1978, n. 78 (Interventi per l'attuazione del diritto allo studio), aggiunto dall'art. 88, comma 4, della legge della Regione Abruzzo 26 aprile 2004, n. 15, recante «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo (Legge finanziaria regionale 2004)», limitatamente all'inciso «, nei limiti della
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Tutela per molti versi estesa anche a tutti i soggetti che, pur non potendo essere considerati disabili ai sensi della l. 104 del 1992, si trovano in condizioni di disagio biologico, psichico e sociale, tale da impedirgli una piena realizzazione del percorso formativo pensato per i discenti normodotati: i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento – es. dislessici, disgrafici, etc.) e i BES (Bisogni Educativi Speciali – es. stranieri e ragazzi in condizione familiare di particolare degrado sociale).
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disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa,».
Qui la questione è più sottile e occorre premettere qualche precisazione.
La norma citata prevedeva un finanziamento alle Provincie abruzzesi, che erogano il servizio di trasporto agli alunni disabili, pari al 50% dell’importo, tuttavia “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa”. Il che rimette al sostanziale arbitrio del legislatore regionale, concretizzato mediante le scelte di politica di bilancio che confluiscono annualmente nella legge regionale di finanza, sia l’an, che il
quantum del finanziamento.
Sicché, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della norma sulla base delle considerazioni che i diritti sociali sono diritti fondamentali; il legislatore è sottoposto al vincolo di cui all’art. 38, Cost.; la qualità fondamentale di un diritto costituisce un limite invalicabile per la discrezionalità del legislatore81.